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PAOLO SEGNERI:
UN CLASSICO
DELLA TRADIZIONE
CRISTIANA

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE
DI STUDI SU PAOLO SEGNERI
NEL 300° ANNIVERSARIO
DELLA MORTE (1694-1994)
NETTUNO
9 DICEMBRE 1994, 18-21 MAGGIO 1995

di
ROCCO PATERNOSTRO
ANDREA FEDI

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I -  LA FORTUNA CRITICA DEL SEGNERI
di Antonio Franceschetti


A ripercorrere oggi quanto è stato scritto sul Segneri nel corso dei trecento anni successivi alla sua morte colpisce e sorprende innanzi tutto, e in maniera macroscopica, una situazione particolare. Con lui ci si trova di fronte a un fenomeno che, pur non essendo certo nuovo e non rappresentando un unicum, si manifesta nel suo caso in maniera più evidente di quanto non avvenga per altri autori della nostra tradizione letteraria. Non si tratta infatti solo di vedere chi lo ha ammirato e chi lo ha disprezzato, chi lo ha difeso e chi lo ha attaccato, e, tanto meno, i successivi approfondimenti nella valutazione della sua figura e della sua presenza nel contesto della seconda metà del diciassettesimo secolo; per il Segneri sembra che le interpretazioni e le letture date della sua opera nel complesso della letteratura del suo secolo siano affatto contrastanti, in quanto qualcuno l'ha vista, e qualcuno ancora la vede, come l'espressione caratteristica della peggiore prosa barocca, mentre altri segnalano lo scrittore come il primo, o uno dei primi, che si sarebbe liberato dai difetti tipici dei prosatori del Seicento e che avrebbe segnato un rinnovamento fondamentale nella storia di quella prosa - un precursore, in altre parole, di quello che gli scrittori dell'Accademia dell'Arcadia erano destinati a fare e a rappresentare nella storia della poesia e della prosa italiana fra Sei e Settecento.

Nell'ambito del tema annunciato nel titolo di questa relazione non intendo dunque soffermarmi sui vari dettagli della storia della fortuna critica di Paolo Segneri, sia per non ripetere il preciso panorama tracciato succintamente ma acutamente da Mario Scotti in anni recenti,(1) sia per non anticipare inutilmente e in maniera superficiale varie indagini particolari più approfondite che si possono vedere nelle relazioni e nelle comunicazioni pubblicate in questi Atti, Mi limiterò soltanto ad indicare qualcuno dei nodi che a me sono parsi centrali nella storia di quella fortuna, lasciando ai lettori il compito di trame le conclusioni e le conseguenze che giudicheranno più opportune.

Paolo Segneri: un nome che si è disperso nel nubifragio della critica antibarocca che ha dominato il panorama letterario assai a lungo, e che neppure oggi, in ultima analisi, possiamo dire concluso e placato del tutto. Un nome, vorrei aggiungere, che si è perso in parte finanche nella pronuncia, perché non sono pochi quelli che ancora lo chiamano piuttosto Paolo Segneri. Eppure ai suoi tempi era un nome che tutti conoscevano, rispettavano ed ammiravano, un nome che diceva ed esprimeva molto, fino al punto che chi lo portava fu nominato da papa Innocenzo XII nel 1692 alla prestigiosa carica di Predicatore del Palazzo Apostolico a Roma; ma anche il Segneri, come tanti altri, è stato vittima della " alterna / onnipotenza delle umane sorti " di foscoliana memoria, che un giorno celebrano ed esaltano qualcuno, per deprimerlo e cancellarlo quando quella che sembra solo una moda fastidiosa ed antipatica è destinata a declinare e a scomparire.

L'accurata rassegna di Martino Capucci in questo volume delinea un quadro puntuale del progressivo affievolirsi dell'attenzione per l'opera e per la figura del Nostro nei giornali eruditi italiani ed europei tra il 1665 e il 1720 circa: un affievolirsi che si riflette anche negli scritti dei maggiori pensatori del tempo. Lo troviamo ricordato da Giovan Mario Crescimbeni in termini elogiativi, ma solo fuggevolmente, per la sua difesa di un sonetto, a esser sinceri abbastanza mediocre, di Alessandro Segni.(2) Nello stesso periodo di tempo Giusto Fontanini lo elenca, senza speciale menzione di altro genere, come autore del Quaresimale nella sezione sulla " Rettorica " fra gli " Oratóri sacri in lingua italiana ", e del Cristiano istruito fra gli scrittori dì " Morale e dottrina cristiana ";(3) ai due brevi riferimenti Apostolo Zeno, nelle ampie annotazioni che di lui si leggono nell'edizione veneziana del Pasquali del 1753, non solo non avvertì la necessità di aggiungere nulla, ma per il Quaresimale lamentava che il Fontanini citasse in quel capitolo solo " sei o sette " autori, e denunciava il fatto come una delle " imperfezioni e mancanze di un buon catalogo letterario ", dove " debbono aver luogo almeno i migliori "(4) - segno evidente che per lui il Segneri non doveva certo annoverarsi fra questi, o quanto meno di tali " migliori " non era uno dei più rappresentativi e dei più significativi. Dal canto suo Lodovico Antonio Muratori, uno dei più fervidi sostenitori fra i pensatori d'Arcadia della semplicità, della spontaneità, della chiarezza e della naturalezza nell'opera letteraria, e autore di un trattato significativamente intitolato Dei pregi dell'eloquenza popolare, pur ricordando il " grande obbligo " dovuto al Nostro, soprattutto per opera del quale ci si era liberati dal " pessimo Gusto " dominante " nel Secolo prossimo passato [...] di eccedere negli ornamenti ",(5) lo vede come esponente ai suoi tempi di quel tipo di " eloquenza " destinato alle persone colte che non rappresenta per lui l'ideale, e lo cita, con vari altri, proprio per la sua carica di Predicatore del Palazzo Apostolico:

Per l'ordinario il magnifico Oratore fabbrica bensì per li dotti, ma non già per gl'ignoranti. Nobili Predicatori, insigni Prediche da gran tempo suole ascoltare il Palazzo Apostolico. [...] Bene sta a quel maestoso consesso, tutto composto di personaggi ornati di Letteratura e di mentì elevate, l'apparato d'una Sublime Eloquenza. Siccome tutto è ivi adattato alla comprensione de gli Uditori, così niun periodo, niuna ragione vi sì adopera, che non faccia o possa far colpo nel loro Intelletto. Ma indubitata cosa è, che Eloquenza tale, qualor si porga a teste ignoranti, non vi penetrerà.(6)

Poco dopo la metà del secolo appariva un'opera del padre Alessandro Bandiera sui Pregiudizi dette umane lettere, indirizzata, con intento esplicitamente didattico, a " chi le insegna ", con lo scopo di mostrare ciò che si doveva fare o non fare nelle scuole, e ciò che si doveva o non si doveva leggere nelle stesse.(7) Nella terza parte del volume, in cui sono passati in rassegna una serie di autori e una serie di opere da usarsi o meno (sempre nelle scuole), attenzione particolare viene dedicata al Quaresimale del Segneri, del quale l'autore si prefigge di esaminare in un lungo capitolo " i pregi ed i difetti ", partendo dal riconoscimento che " l'alta ed universale riputazione, che questo Scrittor possiede appresso di tutte le persone colte " era tale da far sì che il titolo stesso di quel capitolo avrebbe potuto infastidire ed apparire presuntuoso a molti dei suoi lettori. Tale scrupolo in ogni modo non lo arresta, e prosegue nel suo lavoro con una precisazione che risulta particolarmente interessante:

Intendiam [...] che gli esposti pregi siano ad esaltazione dell'illustre soggetto, siccome nel Quaresimale trasfusi dall'elevato suo intendimento; e vogliamo all'incontro che i dimostrati difetti si rifondano nella letteraria corruttela del secolo, nel qual visse.

È infatti " malagevole " che qualsiasi .

scrittore, comecché dall'avvenimento suo aiutato, nello scrivere si dilunghi al tutto da' correnti vizi del suo secolo, e [...] non contraggane qualche parte: se ne potrebbe di ciò fare ampia dimostrazione con molti esempj.(8)

Appare qui in maniera affatto esplicita un motivo che diverrà caratteristico in tutta la storia della fortuna del Segneri, e che ritroveremo ripetuto innumerevoli volte fino in tempi vicinissimi a noi: la netta separazione fra quelli che sono i meriti e le buone qualità dell'uomo e dello scrittore da un lato, e dall'altro i difetti e le manchevolezze che si riscontrano nelle sue pagine per colpa non sua, ma del secolo in cui visse, il secolo dell'esecrato Barocco - senza, naturalmente, nessuna apparente consapevolezza che a contraddistinguere e a determinare i presunti difetti e le supposte manchevolezze del Barocco come tale fii anche il Segneri, in quanto scrittore che è di quel secolo, di quella cultura e di quella civiltà letteraria. Ci sono poi, è chiaro, diverse prospettive su quelli che meriti e difetti particolari possano essere, nel senso che quanto alcuni, per gusto personale o per tendenza del momento in cui scrivono, annoverano fra i primi, appare piuttosto ad altri come uno dei secondi; ma l'atteggiamento fondamentale non muta per questo.

Per quanto riguarda specificamente il Bandiera (che, diversamente da quel che si crede, dedica varie pagine agli aspetti positivi che appaiono nel Nostro), i pregi sono numerosi, e spesso riconducibili più o meno direttamente ai principi teorici che caratterizzano la cultura arcadica della prima metà del secolo, informati ai suoi ideali di semplicità, di chiarezza, di ragionevolezza, di moderato impiego delle figure e degli artifici retorici, e via dicendo: " II Segneri ha le idee chiare delle cose, che meravigliosamente quadrano al proposito, al quale sono per esso applicate ";(9) " sempre con chiarezza espone ";(10) " guida il raziocinio con maravigliosa condotta ";(11) gli argomenti, onde conduce il raziocinio d'ordinario sono popolari ed i più veri ";(12) " fa diritto uso della Sacra Scrittura"(13) "usa ingegnosi e naturali passaggi "; "ha gran maneggio di figure [...] pregio il più noto di questo Quaresimale";(14) " muove opportunamente gli affetti ed efficacemente ".(15) Per quanto riguarda invece i difetti il Bandiera riprende innanzi tutto il motivo precedentemente indicato (" mettiamo in veduta il rovescio della medaglia, non a denigramento dello scrittore, ma ad imputazione del trapassato guasto secolo, alla cui letteraria corruttela attribuir si vuole ogni difetto, acciocché ad essi l'imitazion non s'inoltri "),(16) e passa quindi ad elencarli: " Il P. Segneri non usa il puro ed elegante Toscan linguaggio ",(17) perché " o [...] non ha giammai letto i buoni scrittori Toscani, e spezialmente il Boccaccio, delle cui graziose maniere appena nel suo scrivere rinviensi vestigio: o, se gli ha letti, non è giammai entrato nel gusto di nostra lingua";(18) " alla penna non ha lo stile oratorio, quale si converrebbe, nell'elette decorose voci, nelle luminose maniere, nel costruire armonico, e trasporto, come richiederebbe la maestà dell'orazione: ciò che si vuole inteso ancora de' Panegirici ";(19)" in diverse maniere fa abuso delle similitudini ", o " perché le viene talora come ammassando "(20), o " non adoperando sempre le decorose, e le adatte ad oratorio e sostenuto discorso ",(21) o anche perché " talora la similitudine investe in forza d'argomento, che facilmente degenera in qualche falsità ";(22) " alcuna volta tratta argomenti del tutto o in parte inverisimili ", e il Bandiera precisa trattarsi di " difetto [...] comune agli scrittori del secolo trapassato ";(23) e infine " abusa l'Erudiziene profana " come facevano in genere " i predicatori nel trascorso secolo ".(24)

Forse minor indignazione avrebbero sollevato le censure del Bandiera, e maggior consenso il suo conclusivo riconoscimento che quei difetti " degni sono d'essere da chi compone le Prediche notati e fuggiti ",(25) se egli non avesse commesso l'imperdonabile ingenuità di esemplificarli dal punto di vista pratico, riportando alcune pagine fra le più note del Segneri con a fianco la propria trascrizione allo scopo di dimostrare come le stesse avrebbero dovute essere formulate idealmente secondo i principi dei " buoni scrittori Toscani " (e qui riscrive l'exemplum del nobile cavaliere che, in punto di morte, ripete ostinatamente: " Non posso " al confessore che lo esorta ad abbandonare la donna con cui ha una relazione illecita)(26) e secondo " il vero carattere dello stile Oratorio " {e a questo proposito rielabora l'inizio della predica in cui il Segneri annuncia drammaticamente agli ascoltatori il fatto che tutti, un giorno o l'altro, siamo destinati a morire).(27) È ben noto che, se criticare è semplice, rifare quanto hanno fatto gli altri migliorandolo è cosa assai più complicata, ed ebbe subito facile gioco il Parini a mostrare, in una lettera indirizzata all'abate Pier Domenico Soresi e pubblicata nel 1756, non solo la banalità della riscrittura, ma anche la presunzione e l'arroganza del Bandiera nel compiere tale operazione, che sarebbe rimasta celebre, non del tutto giustamente, assai più delle altre sue osservazioni, alle quali tuttavia i critici successivi non avrebbero mancato di attingere e di rifarsi.(28)

L'atteggiamento polemico del Bandiera sembra per altro aver sortito l'effetto, verisimilmente affatto remoto dai suoi propositi, di richiamare e di risvegliare l'attenzione per il Segneri nella seconda metà del secolo, dove la sua presenza e l'interesse per la sua opera sono molto più vivaci di quanto non lo fossero stati nella prima. Un tono fondamentalmente negativo è riscontrabile innanzi tutto con il Denina, che, pur riconoscendogli il merito, condiviso con il Pallavicino e con il Bartoli (due nomi che troveremo in seguito sempre più frequentemente ricordati insieme a quello del Segneri), di non aver aspettato " esempj stranieri per iscrivere ordinatamente senza la diffusa eleganza de' dialogisti, e 1'erudizione farraginosa de' chiosatori ",(29) lo coinvolge, sempre menzionandolo insieme a quei due scrittori, nella sua condanna globale dei prosatori barocchi:

Quelli stessi che conoscevano l'inconvenienza delle maniere figurate e ricercate, [...] appena se ne guardavano essi stessi allorché parea loro, che l'argomento richiedesse qualche ornamento. Il Segneri si andante, sì facile, e schietto nel Cristiano Instruito, perché credeva necessario di essere popolare in quei ragionamenti diretti all'instruzione del popolo, e che non è troppo lambiccato nella Manna dell'Anima, perché intese di fare riflessioni famigliari e piane, riuscì egli ancora ampolloso e gonfio nelle prediche destinate ad un più nobile teatro. Peggior è ancora lo stile de' suoi panegirici, perché veramente questa spezie di eloquenza non solo comporta, ma sembra esigere una dicitura più raffinata, e pomposa.(30)

Peggio di lui scrisse il Baretti, sempre così estremista e radicale nelle sue valutazioni, che lo hanno reso celebre non tanto per la loro intrinseca validità critica, spesso assai discutibile, quanto per la carica polemica ed emotiva che le caratterizza. Nella sua globale condanna degli scrittori gesuiti italiani (a differenza di quelli francesi) egli ne fa un elenco, che inizia appunto con il Segneri, osservando: " Ve n'avesse pur uno, in quel tanto numero, che un gentiluomo dotato d'un po' di buon gusto potesse leggere senza tosto recere! ";(31) e altrove, parlando dell'Oliva e del Nostro, commenta che le loro opere " en punto de lengua toscana son bastante malditas, sin tornar en la cuenta las tantas sutilezas ridiculas y los frecuentes piojosos concetillos de ambas Sus Reverendissimas ".(32)

Ma la polemica iniziata dal Bandiera produsse anche altri frutti. All'impennata del Panni seguì di pochi anni quella di Giuseppe Malmusi, che nella sua Analisi del Quaresimale del padre Paolo Segneri (del 1768) parte affermando nella " Prefazione " che fra gli esempi più illustri dell'" arte oratoria [...] certamente si distingue, e serve di luminosissima guida " proprio l'opera del Nostro, il cui

eccellente lavoro [...] si attrae l'universale applauso, e per il suo modo maraviglioso di provare, e per l'uso sceltissimo d'argomenti forti e popolari, e per la forza vivissima del continuo suo raziocinio, e pel suo naturale artifizio dei passaggi da un argomento all'altro, e per la bella disposizione, con cui sempre va avanti, e cresce l'orazione, e per l'arte grande d'amplificare, per cui comparisce di un'eloquenza straordinaria, e pel giudizioso maneggio delle figure, ed infine [...] per la somma perizia nella mozion degli affetti, in cui veramente si distingue, ed è prodigioso.(33)

Detto questo, appare subito tuttavia un'altra precisazione:

Non devesi dissimulare, avere il quaresimale del Segneri i suoi nei, i quali senza dubbio rifonder si debbono nella letteraria corruttela del secolo nel qual visse; ma questi sono tali, che punto non pregiudicano alla sua bellezza, giacché sono di un ordine, che viene come ad essere estrinseco alla sostanza del fare oratorio, come [...] si è il piccolo abuso dell'erudiziene profana;(34)  

e per quanto riguarda le censure del Bandiera leggiamo quanto segue:

Non si debbono poi tener per difetti tutti quelli che vengono opposti dal p. Bandiera [...], mentre una gran parte di loro sono assolutamente insussistenti, come ho procurato di dimostrare di mano in mano a suo luogo nelle analisi, alle quali mi riporto [...]. E queste critiche tanto meno vi hanno luogo, se badisi essere il Segneri un grande oratore bensì, ma insieme popolare, a cui perciò non sarebbe stato bene lo stile e il linguaggio boccaccevole, giacché predicandosi al popolo, regolarmente si ha d'anteporre alla sublime la popolare eloquenza,(35)

con riferimento, per quanto riguarda quest'ultima, al trattato di Ludovico Antonio Muratori, Dei pregi dell'eloquenza popolare, dove, come abbiamo visto, il Nostro era ricordato invece fra coloro che non avevano abbracciato questo tipo di " eloquenza ". Ci troviamo così di fronte, anche nel caso del Segneri, a uno dei capisaldi più costanti della cultura settecentesca, ripetuto a proposito di molti altri scrittori del Seicento: da un lato si colloca la condanna globale per il Barocco (che diventa quindi quasi una categoria) e per quelli che sono considerati i suoi limiti e le sue lacune fondamentali, dall'altro il recupero del singolo autore che, pur non potendo evitarli del tutto, si è tuttavia innalzato al di sopra di quelli indicando ai contemporanei e ai posteri la giusta strada da seguire.

Poco più tardi, nel 1775 (siamo, si ricordi, a due anni dalla soppressione della Compagnia di Gesù per volontà di Clemente XIV, sotto le pressioni di Portogallo, Francia, Spagna e via dicendo), l'ormai ex-gesuita Saverio Bettinelli, nel Risorgimento d'Italia negli studi, nelle arti e ne ' costumi dopo il Mille, ha parole di elogio per il Segneri, ma solo per quanto riguarda l'arte dell'eloquenza italiana, della quale riconosce in lui il fondatore " per comune opinione ";(36) egli si era opposto al pregiudizio di quanti erano convinti che " la buona eloquenza " imitata dai classici non stesse bene " per le cose sacre " e fosse anzi " profana e nemica della Fede ".(37) proposito poi del " corrompimento " della lingua nella crisi del cattivo gusto del Seicento si legge questo commento:

furono quasi soli alcuni eccellenti scrittori [...], come Segneri, Pallavicino, Mambelli, Battoli ed altri, a' quali l'italiane lettere hanno immortali obbligazioni. Questi scrissero dottamente del pari che elegantemente in eloquenza, in istoria e molto più nel gusto del comporre in volgare dando insin leggi ed opere pregiatissime per la lingua, che da tutti i nostri scrittori si calpestava e corrompeva barbaramente.(38)

Si tratta di un'altra censura contro il Barocco che, già presente presso vari scrittori del Seicento stesso, aveva poi trovato consacrazione e conferma ai tempi dell'Accademia dell'Arcadia, ed era stata più volte ripetuta da un Gravina, da un Muratori., da un Maffei e via dicendo; mentre l'elogio del Segneri non tocca il contenuto della sua opera, ma solo l'aspetto esteriore e linguistico.

Più positivamente si sofferma sul Segneri Giovanni Andrés nel primo tomo del suo Dell'origine, progressi e stato attuale d'ogni letteratura, apparso nel 1782. Per lui il Nostro " può forse credersi l'unico, ed è certamente il primo oratore che la moderna Italia abbia dato alla luce ";(39) e poco più avanti, a proposito del " gusto moderno ", nel capitolo sulla letteratura del Seicento, dopo aver accennato ad alcuni scrittori francesi, afferma che

al tempo medesimo il Segneri combattendo valorosamente in Italia contro al depravato gusto de' suoi predecessori se non seppe dare le sacre sue orazioni intieramente purgate da' difetti allora regnanti, lasciò però nondimeno monumenti d'una maschia e robusta eloquenza capace di formare eccellenti e degni oratori.(40)

Ritornando successivamente sullo stesso secolo nel terzo tomo del lavoro (apparso nel 1787), precisa innanzi tutto che il Segneri è " l'oratore, e lo scrittore più eloquente di tutta l'Italia, benché talvolta si risenta anch'egli del gusto allora regnante ", e ne mette in rilievo la funzione emblematicamente esemplare, per la quale egli " trasse dietro di sé molti sacri oratori, e rimosse eziandio altri scrittori dal depravato gusto di quell'età ";(41) riprende quindi ed elabora i vari punti in alcune pagine del capitolo sull'" eloquenza sacra ":

II Segneri è l'oratore, che maggior onore ha recato al pergamo italiano; e le sue prediche tradotte e studiate dall'altre nazioni sono l'uniche, che hanno finora goduta la considerazione di classiche e magistrali. E in verità la copia di dottrina, e la forza ed espressione della dicitura, due cose molto essenziali nell'oratoria, in pochi predicatori si ritrovano sì pienamente, quanto nel Segneri. Egli, ricolmo il petto di scrittura, di santi padri, e d'ogni erudizione sacra e profana, la profonde con si larga e liberai mano, che può a ragione essere accusato d'eccessiva prodigalità; ma certo quella sua abbondanza e ricchezza gli fa presentare molte ragioni, e comunemente sode e forti, e recare i testi più opportuni e più adattati alle cose che dice, senza bisogno, come altri fanno, d'andarti mendicando meschinamente, e di stiracchiarli stentatamente e per forza. , II suo stile è nobile ed elegante, energico e forte: ogni sua parola per lo più propria, ogni frase la più espressiva, ogni periodo della più giusta misura, le espressioni significanti ed opportune, le figure ben maneggiate, e i lumi tutti della dizione adoperati con maestria, e con felicità. S'egli vi fa una narrazione, la dipinge co' più naturali e veri colori; se muove un affetto, l'incalza colla più viva ed ardente forza; se vuole amplificare un sentimento, lo presenta nel maggior lume, e colla più nobile dignità; e il suo stile risplende cogli ornamenti d'una naturale facondia, senza gli smisurati vezzi d'una studiata affettazione. [...] troppo era allora adulterato il pergamo italiano per potergli levare d'un tratto tutte le sue macchie, e dargli un sincero splendore. Il Segneri non si perde in vani concetti, e in puerili giuochi di parole, come allora si usava con applauso universale; ma non sa sempre schivare perfino l'apparenza di questo male, e talora potrà sembrare (Tessersi lasciato condurre dal comun uso a qualche concetto men degno della gravita della sacra orazione. Egli non ischerza co' testi della scrittura, né profana i santi padri; ma abbonda alle volte fino all'eccesso nell'ammassare citazioni, spesso anche d'autori profani, e fiacca colla moltitudine dei testi la forza del discorso: la sodezza del suo spirito non ama i paradossi, né i sottili argomenti allora usati, più frivoli e puerili che ingegnosi; ma non sempre le sue ragioni sono assai ben fondate e concludenti, e talvolta : . s'appoggiano con poca sicurezza ad un fatto storico, ed anche soltanto . ad un mitologico. L'uso della favola non conviene alla cattedra della verità; ed ancor quando convenisse, dovrebbe riprendersene nel Segneri la soverchia profusione. [...] è da dolere, che il Segneri con tanta facondia e dottrina non unisse ugualmente il fino gusto, e l'illuminato giudizio, che allora non conoscevasi, e che è troppo necessario per dare a tutte le opere la dovuta perfezione. Ma ad ogni modo restano al Segneri tanti pregj di vera e soda eloquenza, ch'egli dèe a ragione chiamarsi il riformatore del pergamo italiano, il principe della sua oratoria, e il maestro di tutti i posteriori predicatori.(42)

Altrettanto è possibile ricavare nelle pagine dedicate al Segneri da Girolamo Tiraboschi nella sua monumentale Storia della letteratura italiana, apparsa in prima edizione fra il 1772 e il 1782, e in seconda edizione " accresciuta " fra il 1787 e il 1794 - pagine nelle quali si osservi anche l'attenzione data dallo studioso al rapporto che si stabilisce dal punto di vista storico fra la situazione del Nostro e quella degli scrittori suoi contemporanei:

Come verso al finir del secolo la Poesia italiana cominciò a risorgere all'antica sua maestà e bellezza, cosi lo stesso avvenne all'Eloquenza, e la gloria di aver avuto il coraggio prima di ogni altro di lasciare il sentiero per tanti anni battuto, e di tornare su quello, a cui la ragione e il buon senso richiamava i sacri Oratori, si da per comune consentimento al P. Paolo Segneri Gesuita [...]. Gli Oratori de' secoli precedenti ci avean date omelie piuttosto che prediche [...]. Quelli del secolo XVII. voller fare maggior uso del raziocinio, ma essi invece ne abusarono; [...] innoltre pareva, che gli Oratori fosser più solleciti di ottener l'applauso degli uditori colla novità de' concetti e coll'arditezza delle immagini, che di convincerli colla forza degli argomenti, e di commuoverne con una robusta eloquenza gli affetti. Il P. Segneri conobbe, che non era quello il modo di maneggiare con decoro e con frutto la Divina parola, e saggiamente credette, che quel genere d'eloquenza, che effetti sì prodigiosi avea già prodotti al tempo de' Greci e de' Romani Oratori, non dovesse essere meno opportuno, quando fosse rivolto agli argomenti della Cristiana Religione. Ei proccurò dunque di conformarsi a que' primi modelli; e si conosce chiaramente, che prese in ispecial modo a imitar Cicerone. Ei non ama molto le divisioni, come non le amavano gli antichi Oratori; ma stabilita la sua proposizione si accinge a provarla; e con tal ordine dispone gli argomenti, e con tal metodo li va incatenando fra loro, e stringendo con essi sempre più l'uditore, che questi alfin si trova convinto, e forza è, che si arrenda, persuaso dalle ragioni, e mosso dall'eloquenza, con cui l'Orator le promuove e le incalza. Egli sbandì dalla sacra eloquenza que' profani ornamenti, che l'ignoranza de' secoli precedenti vi avea introdotti: e che il reo gusto di quell'età avea smodatamente accresciuti; e la abbellì invece colla varietà delle figure e colla vivacità delle immagini. È vero, che qualche avanzo dell'infelice gusto del secolo vedesi nel P. Segneri, e forse egli non ardì di fare un'intera riforma dell'eloquenza, temendo, che non si potesse ciò eseguire tutto in un colpo, e che convenisse dar qualche cosa all'universale entusiasmo, con cui l'Italia correva perduta dietro alle metafore e a' contrapposti. Anzi da una lettera del Card. Noris al Magliabecchi da Pisa del 1677 [...] si raccoglie, che [il Segneri] ne' primi anni erasi mostrato anche più indulgente a' vizi del suo tempo; e che poi erasene egli stesso emendato.(43)

L'atteggiamento del Tiraboschi presenta un risvolto che non avevamo ancora visto nei confronti del Nostro: la suggestione del Barocco non si eserciterebbe in lui per colpa del tempo in cui visse, ma rappresenterebbe una sua scelta intenzionale (che lo studioso presenta tuttavia in forma ipotetica, moderandone la portata con quel " forse egli non ardì di fare un'intera riforma ") per la consapevolezza che sarebbe stato impossibile alterare radicalmente tutto in un colpo lo stile imposto dal gusto dei tempi.

A riflettere ora globalmente sugli interventi a proposito del Segneri nell'ultima fase del Settecento, se ne può riconoscere un'altra circostanza centrale nella storia della fortuna del Nostro: la condanna o la difesa della sua opera e della sua personalità sembrano condizionate a volte non tanto da criteri estetico-culturali e da considerazioni autonome riguardanti i suoi scritti e la sua figura, quanto piuttosto dalla sua appartenenza alla Compagnia di Gesù e dal relativo atteggiamento, da parte di chi ha espresso il giudizio, nei confronti di tale ordine religioso (con tutto quello che ciò implica necessariamente al momento in cui gli animi erano accesi dalle polemiche per la sua soppressione). Il fatto stesso di vedere il nome del Segneri, nelle sarcastiche stroncature del Baretti, abbinato a quello di Gian Paolo Oliva, Generale dell'ordine dal 1664 al 1682, e, nei commenti del Denina e del Bettinelli, al Sartori e al Pallavicino, è di per sé abbastanza indicativo. Inutile aggiungere che un simile fattore, affatto esterno al fenomeno letterario, non ha nessuna ragione di sussistere né nel caso del Segneri, né in quello dei suoi confratelli.

Tracce ancor più evidenti di questa circostanza sono invece ben riconoscibili nella critica dell'Ottocento. Così ad esempio Pietro Giordani parla di " Battoli, Pallavicini, Segneri " definendoli " tre giganti gesuiti del seicento, contemporanei, coetanei, quasi viventi insieme ", e anche se " immensamente si distaccano l'uno dall'altro ", pure ognuno di loro è " grandemente bello ";(44) e per il Nostro sottolinea " le somme ed eterne bellezze " e " gl'innumerabili e grandissimi pregi " che lo rendono " modello ammirabile ed efficacissimo e unico ", anche se " quasi impossibile ad imitare ", mentre sui suoi difetti " non è bisogno d'insister molto; perché facilmente appaiono a chiunque ha un poco di intelligenza: e sono più difetti di quel tempo che di quell'uomo ".(45) Altrettanto favorevole è il giudizio di Francesco Salfi, che mette in risalto l'impegno e la serietà del Nostro contro la superficialità e la vacuità degli altri predicatori, i quali, " non potendo farsi distinguere per l'importanza dei pensieri, [...] adottarono quello stile a pretensione, ampolloso, ridicolo, che era la mania e la vergogna del secolo "; ed aggiunge:

Noi non avremmo rammentate le loro stravaganze, se esse non avessero servito a far conoscere ed apprezzare il merito del P. Segneri, il quale osò il primo imparare la vera eloquenza nei classici antichi, e far servire in qualche modo Cicerone medesimo a predicar le massime dell'Evangelio. Egli lottò durante qualche tempo coi pregiudizi del suo secolo, ma il suo metodo, la sua costanza, la sua morale, trionfarono finalmente di tutti gli ostacoli, e l'eloquenza evangelica fu ristabilita nei pergami. Penetrato dell'importanza delle verità, delle quali era l'apostolo, il P. Segneri usò la semplicità di uno stile puro e corretto per rialzare l'interesse e la forza dei suoi ragionamenti. Egli si occupò principalmente di dar loro un filo ed una progressione più decisa. Disgraziatamente egli volle più spesso convincere che persuadere, di modo che si mostra alle volte dissertatore anziché oratore. Qualche volta pure si dette ad un genere di erudiziene e di ornamenti che non sono troppo d'accordo con la predicazione evangelica. Malgrado questo piccolo tributo che pagò al gusto ed alle prevenzioni de' suoi contemporanei, ei fece molto per i progressi dell'arte, e lasciò poco da fare ai suoi successori per terminar l'opera.(46)

Molto vicino al Giordani è Basilio Puoti:

[...] nel decimo settimo secolo in mezzo alle arguzie, alle antitesi, alle metafore fiorirono tre scrittori di tanta eccellenza, che sarebbe gran torto di non proporli a studiare ai giovani. Questi sono il Segneri, il Pallavicino, ed il Bartoli, che vanno annoverati tra1 più eloquenti scrittori d'Italia, e ponendo mente al loro altissimo valore ed alla miseria , dei tempi in cui vissero, sembrano tre robustissimi giganti, che sorgono in mezzo ad una generazione di eunuchi e di nani.

Tuttavia " a tale giunse la corruzione del gusto a que' giorni, che non poterono al tutto guardarsene in alcune almeno delle loro scritture, neppur que' medesimi singolarissimi lumi dell'eloquenza toscana ".(47) Ancora una volta, è la temperie culturale in cui vivono a determinare i limiti del Segneri come degli altri due, non si tratta di una scelta precisa e consapevole da parte dello scrivente. Per quanto riguarda poi in particolare il Nostro, cui " deesi dar lode di aver emendato e condotto a più nobile altezza l'eloquenza del pergamo ", e che " non è secondo a verun altro, ma risplende solo tra' sacri oratori ", il Puoti vede proprio nella sua appartenenza alla Compagnia di Gesù la componente che lo avrebbe condizionato nella missione di riformatore letterario:

Paolo Segneri, che di buon'ora erasi renduto Gesuita, essendo stato allevato nelle scuole della Compagnia; le quali meglio che ogni altra si tennero lontane da' vizi del tempo, propostosi gli antichi, e segnatamente Cicerone ad esempio, emendò e ridusse a nuova e più nobil forma la sacra eloquenza, e le die pulitezza e splendore. Ma quantunque egli con le sue prediche, che molto sono da commendare per la giustez-za dell'invenzione, per il buon ordinamento delle parti, e per la purezza ed eleganza dello stile, si sforzasse di purgar l'arte del dire dagl'immensi e gravi difetti ch'eran tenuti allora rarissimi pregi; pur non potè al tutto guardarsi dal contagio del reo gusto di quell'infelice stagione, e leggendo nelle sue opere, ti avvedi talvolta ch'egli scriveva al tempo del Mascardi e del Tesauro. Laonde se i giovani procederanno con cautela e diligenza, trar potranno non leggiero frutto dalla lettura del Cristiano istruito, che è tra' suoi libri il più puro di favella ed il meglio castigato di stile, ed ancora più dal suo Quaresimale, che non negherò che sia la maggior opera di tal sorta che abbia la nostra Italia.(48)

Punto fermo nell'esaltazione dei Gesuiti è la figura del Segneri per Antonio Mirabelli, lo studioso che ha lasciato forse le pagine più vibranti e più nuove sul Nostro nella critica del secolo scorso. La sua posizione si caratterizza sia per la visione ciclica della letteratura, per cui il Segneri e i prosatori in generale occupano una posizione specifica nella storia del suo svolgimento, sia per la stretta connessione che egli viene a stabilire fra l'esperienza di vita dell'uomo e quella dello scrittore. Dopo una globale difesa dell'ordine e della sua lotta per l'affermazione dell'ortodossia cattolica contro il mondo protestante, il Mirabelli esordisce in questi termini: " [...] mentre rigoglioso il potere de' Gesuiti crescea e spendeasi a bene del Cristianesimo, dall'umile chiostro tuonava il Segneri a riformare i cristiani costumi ". E quindi prosegue:

Già con Dante e col Petrarca e col Boccaccio era nata e cresciuta la favella, già coll'Ariosto e col Tasso erasi ingrandita e renduta magnifica ed illustre, ma il cristiano pulpito non aveala accolta ancora a grande onore. Come prima vennero Omero ed Eschilo e Pindaro, da ultimo Demostene; come prima Ennio e Lucrezio, di poi Cicerone, [...] così dopo il fulgore de' poeti massimi che l'Italia produsse, ecco un oratore magnifico e solenne che il settimodecimo secolo domina e in sé riassume. Se nella poesia tutto è immaginazione, nell'oratoria è dominante l'elemento razionale, il quale più tardi nelle nazioni si svolge [...], e però il Segneri venir non potea in Italia prima del secolo predetto.(49)

Su quest'ultimo, il Mirabelli condivide le tradizionali censure del Settecento e del Romanticismo, estendendole ad accogliere un complessivo senso di totale decadenza non solo nella poesia, ma nella società tutta e nella vita morale - ed anzi, decadenza della poesia perché decadenza di ogni altro valore, come avvenne nella Roma antica dopo la morte di Augusto.(50) Da qui il foltissimo risalto che acquista la figura del Segneri, per il quale lo studioso non avverte nemmeno la necessità di spendere troppe parole nel ribattere le critiche consuete:

Coloro che si adontano ad ogni parola men pura, che solo la leggiadria della favella ricercano, costoro menano pure alcun lamento per il Segneri. A me pare maraviglioso che in un secolo nel quale la vita d'Italia fosse sì guasta nelle midolle, e corrotta tutta nell'esterno vivere e nell'interno, pare dico maraviglioso che sia sorto un Segneri [...]. In mezzo allo splendore de' trionfi che il suo ordine riportava [...], ammirabilmente E' perorava, manifestando la religione essere unica per esser vera, essere essa la romana, l'apostolica, sostenuta da' successori di Pietro. Di santità pari a' molti fratelli, perseverante nel suo proponimento per convinzione e per fede, sfavillante di carità per il bene degli uomini, gli snidi fatti ne' claustrali silenzi, a veggente dello Spirito Divino, il Segneri mette a prova contro il vizio e l'incredulità: non potuerat quae audiverat non loqui.(51)

C'è, per il Mirabelli, una perfetta corrispondenza fra la preparazione, la pratica della vita e la produzione letteraria del Segneri:

[...] il luminoso ingegno [...] fu con incessanti cure coltivato, prima negli umani studi, poi ne' filosofici, e dopo questo insegnando tre anni interi amene lettere. [...] Ma la sapienza della mente non basta al pulpito senza una santa vita e costumi immacolati. E il Segneri la mente e il cuore avea educato al Vangelo, ed ardea dell'amore di Dio e del prossimo e dell'onore della sua chiesa. Quindi la sua vita era principalmente spesa nelle Missioni, alle quali usciva dopo Pasqua e ritornava quindi al novembre; ventisette anni fra gli altri consumò in questi nobilissimi esercizi, scorrendo le diocesi dell'Alta Italia e santificandole colla sua voce; al collegio di Firenze ritornava per diportarsi alquanto dopo le Apostoliche missioni; e quella beatissima terra del leggiadro parlare vedealo lavorare allora attesamente a que' volumi preziosi, in aureo italiano dettati.(52)

Da questa esperienza immediata derivano le prediche del Quaresimale, nelle quali

gli argomenti [...] sono i medesimi che ad ognuno può suggerire il Cristianesimo, perché tratta della sua essenza, e quello che abbiamo a credere, e quello che abbiamo a sperare, e quello che abbiamo ad evitare, e quello che abbiamo a seguire: Egli si governa non dissomigliantemente dagli altri oratori sacri o greci o latini che lo hanno preceduto; Egli come tutti gli altri oratori, insegna, diletta e muove, e per modo convince l'intelletto, che la volontà consentisce trasportata all'empito della sua facondia. [...] Se questo è il fondamento delle sue orazioni, egli mette altresì a guadagno natte le storie sacre e profane per provare il suo subbietto, sicché nondimeno non si lasciasse tanto trasportare alla erudiziene pagana da dimenticare la santità del suo ministerio, e vedesi che la Scrittura Sacra è la miniera inesausta donde cava sì nobil ricchezze. A questo aggiugnete un andar largo e maestoso di tutta la orazione, sicché disgradar possa la pomposa movenza o di Demostene o di Cicerone, e le acconce proporzioni in cui per tutte le parti è divisa l'orazione ordinatamente, e ciascuna parte per sé condotta e lavorata con fino magistero: da ultimo un correre forte alle commozioni, un accendersi di santo zelo, quanto dettavaglielo la giustizia della sua causa e la salute de' fratelli, rendono il Segneri il primo oratore sacro, che abbia l'Italia, e le quaranta prediche del suo Quaresimale [...] tutte risplendono qual più qual meno di sovrumane bellezze.(53)

L'esaltazione del Nostro si conclude con i panegirici, " i più belli [...] scritti in Italia ", a parte " qualche concetto alquanto studiato ", nei quali

pieno di un nobile entusiasmo, il dicitore esalta il braccio di Dio operatore di prodigi singolari per mezzo de' suoi servi fedeli, e mentre conforta i credenti nella potenza divina, gl'invita ad imitare i costumi di que' taumaturghi (54)

Nelle pagine del Mirabelli traspare, insieme all'esaltazione, lo sforzo di minimizzare, lasciandoli in penombra o trascurandoli affatto, gli aspetti negativi del Segneri indicati dagli studiosi precedenti; dal lato opposto si collocano invece gli interventi di altri critici che, ostili alla Compagnia di Gesù, insistono su quei lati e concedono molto poco agli aspetti positivi. Così negli stessi anni in cui scrive il Mirabelli appare la Storia della letteratura italiana dell'Emiliani Giudici, nella quale ben poco viene concesso al Nostro - come anche al Pallavicino e al Bartoli. Dopo aver tracciato un quadro tutto negativo della poesia del Seicento, il discorso prosegue in questi termini:

La prosa, considerata generalmente, si mostrò infetta degli stessi vizii che lordarono la poesia. I professori dì eloquenza, e i predicatori soprattutto, mostrarono vergogne rettoriche da fare sgomento. Fra il numeroso branco di costoro i crìtici vogliono eccettuato il Segneri, il quale è reputato eloquentissimo. Ch'egli abbia pregi e di molti, non nego; ma sia l'indole del genere, sia che l'Italia per non avere libera la parola, o non potesse gloriarsi della vera eloquenza, come si vanta di ogni altra specie di scrivere, le scappatoie oratorie del Segneri non hanno nulla che adombri o l'impeto di Demostene o la dignitosa magnificenza di Cicerone, e molto meno il maschio e logico arringare de' moderni popoli costituzionali.(55)

Un atteggiamento ancor più opposto a quello del Mirabelli assume in seguito Ruggiero Bonghi, che sul Segneri si sofferma soprattutto nella nona delle sue Lettere critiche (datate dal 9 marzo al 3 agosto 1855). A ben poco si riducono per lui i pregi del Nostro: così in generale il " periodo ", a confronto di quello degli altri oratori, " quantunque abbia talora un'armonia sconveniente alla prosa, pure l'ha varia ", e la sua lingua che può essere presa a modello, sempre a confronto di quella " piena di ridondanze e di vanità [...] falsa [...] ed impropria e grossolana " impiegata dagli altri.(56) Ma nessun impegno, nessuna serietà morale e religiosa è riconoscibile nelle sue opere, che diventano anzi una stridente contraddizione con il suo modo di vivere: infatti, a differenza di quelli francesi, gli oratori italiani si affidano esclusivamente alla retorica a causa della

scarsezza di vita nel sentimento religioso in Italia; scarsezza dipendente dall'esserci state poco contese e difese, in una lotta effettiva e rischiosa, le dottrine religiose officiali. [...] Da questo difetto di vita nel sentimento religioso comune è derivato un difetto di sentimento religioso ne' nostri oratori sacri, grandi e piccoli. Chi ha la riputazione del più "" grande, il Segneri, è appunto il più profano. A leggere le sue prediche, io mi fo di lui un concetto come d'un uomo a cui il Cristianesimo non paresse altro se non una cosa molto ingegnosa, che si prestasse bene a de' bei partiti di frase, e a degli argomenti arguti prò e contro. Dalle sue opere non avrei mai saputo cavare quello che poi ho sentito e letto; la santità della sua vita e la bontà del suo animo. A me sarebbe parso che la religione avesse dovuto rimanergli qualcosa di estrinseco, da esercitarvisi sopra come su un pianoforte per creare armonie agili e pronte.(57)

Di conseguenza anche nel Segneri, e spesso soprattutto in lui, trapelano i difetti caratteristici di tutti gli oratori sacri italiani: " punta finezza, né novità di osservazione ", " l'eccesso dell'erudizione, ma d'un'erudizione volgare e raccogliticcia ", " l'abuso delle citazioni, e la mancanza di critica ", " punta delicatezza di mente e di animo ", " l'abuso dell'immaginazione, facoltà di compenso, abbondante, facile e sterile "; e da questo complessivo " difetto nella materia della predicazione " deriverebbero " le continue leziosaggini della forma, e l'incapacità d'esprimere con semplicità ed affetto un vero sentito ".(58)

Al clima intemperante rappresentato dal Bonghi non parve opporsi in modo sostanziale l'atteggiamento dei pensatori cattolici che avrebbero dovuto, almeno idealmente, sentirsi più vicini e più legati dal punto di vista della religione e della morale all'opera e alla figura del Segneri. Il Tommaseo gli dedica varie pagine in una delle edizioni del suo Dizionario estetico (più di quante non siano riservate a volte ad altri autori meglio noti), ma anche se non gli si dimostra apertamente ostile, non per questo lo si può annoverare fra i critici favorevoli al Nostro. Significativo è l'avvio del suo " discorso ",(59) in cui il caso Segneri diventa emblematico di verità universali ed assolute:

Pensando ai pregi ond'è distinta l'eloquenza del Segneri, e al secolo nel quale sorse, non gli si può certo negare stima d'ingegno potente; poi pensando ai difetti che i più saggi confessano in lui, non si può non riconoscere la forza ch'ha sopra le operazioni della mente e dell'animo, il tempo e la nazione in cui l'uomo nasce e viene educato.(60)

Poco conta la restrizione che subito segue (" Se non che i pregi di questa eloquenza all'ingegno e all'animo del Segneri, i difetti al secolo in massima parte debbonsi attribuire ")(61) al Tommaseo

pare che [...] e' sia il più delle volte incorso in que' difetti che con gli esempi di più sana eloquenza egli in modo tacito condannava: par ch'e' credesse non potere non dico piacere, ma giovare col bello, presentandolo tutto libero dalla maschera secentistica.(62)

Si direbbe anzi che per il Tommaseo non sia stata una consapevole reazione ai modi del Barocco a guidare il Nostro verso la riforma dell'oratoria sacra, ma piuttosto che quest'ultima sia stata determinata in lui dalla natura stessa della religione in cui credeva e che viveva profondamente, contro gli stimoli del gusto di cui condivideva nell'intimo le cadenze e le modalità più peculiari:

Pieno il Segneri dello zelo di Dio, e conoscendo l'altezza della causa ch'e' veniva a trattare al tribunale degli uomini, non poteva non sentir vivamente l'inconvenienza dei modi oratori d'allora. La rettitudine della rara sua mente poteva forse, in mezzo all'esempio comune, agli allettamenti della gloria vana, ai lacci che tende alla ragione un ingegno agile e ricco, falsarsi: ma il cuore acceso di Dio, doveva comandargli linguaggio più vero. La religione doveva metter lui sulla via della vera eloquenza, e vel mise. Questa maestra che gl'insegnò sì efficacemente a cansare tanti dei più ridicoli difetti del secolo, avrebbe liberato il suo stile da quelli pure che gli rimasero, se [...] non fosse paruto anche al Segneri debito di accorto zelo adulare alquanto il pregiudizio dei molti. E tanto è vero doversi più alla virtù che all'ingegno lo spirito che gli dettò a quando a quando la vera eloquenza del cristianesimo, che dove l'ingegno suo si abbandona a sé stesso, ivi il dire appare misero de' concetti che sono la trista proprietà di quel tempo.(63)

Tuttavia, anche se " l'amore della verità ch'egli annunzia " e " l'esemplare semplicità, compagna indivisibile della grandezza ", derivano nel Segneri " dall'animo piuttostoché dall'ingegno ", il Tommaseo riconosce che quest'ultimo

dimostra tale fecondità, prontezza, intenzione, da rispettarsi anche in mezzo agli abusi. [...] negli stessi difetti di quel suo stile è non so che di diritto, di franco: i ragionamenti sono sovente involti d'esemplificazioni inopportune, di similitudini mendicate, ma quasi sempre luminosi, efficaci. E' li dispone con arte, sì che dal luogo stesso acquistin potenza. E soprabbonda l'affetto, come in parecchie delle seconde parti, quando Partifìzio non ha più campo in mezzo alla moltitudine dell'idee vere e importanti, che, stornate prima dalle forme, accorrano tutte quasi affollate alla fin della predica; allora l'ingegno apparisce nella sua libertà, gli affetti s'intrecciano mirabilmente cogli argomenti, ogni cosa prorompe con quella rapida varietà ch'e l'impulso del genio; allora il Segneri da saggio di quel che potrebb'essere un vero oratore italiano.(64)

A questo si aggiungono vari altri pregi: " la conoscenza delle dottrine teologiche, delle Scritture, de' Padri, de' moralisti profani, dell'eloquenza antica "; " il modo, talvolta nuovo, d'allegare le parole e le idee della Bibbia "; " l'esemplare sicurezza della lingua, e certa scorrevolezza del numero che concilia al discorso un'armonia tutta agevole e popolare ".(65) Ma tutto il rimanente del " discorso " è occupato da un lungo elenco dei difetti con esempi esclusivamente ricavati dalla prima predica del Quaresimale, perché non sembrino, scrive il Tommaseo, " spigolati qua e là con maligna industria ": e si tratta di " artifizii da retore ", di " ritrattazioni rettoriche ", del " tono litigioso " degno di un avvocato " che vuoi confondere l'ascoltatore ", di " esclamazioni rettoriche ", di " ripetizioni enfatiche ", di " concetti falsi, o puerili ", di " similitudini ricercate ", di " esempi " infelici, di " citazioni od inutili o non convenienti ", come le " allusioni mitologiche ", e vìa dicendo.(66) L'entusiasmo porta quindi il Tommaseo a fornire " la serie degli argomenti " della stessa predica, suddivisa in dieci punti, e a proporne invece sei ricavati " non da altro oratore, [...] ma dalla considerazione del tema ", mediante i quali " gli argomenti del Segneri ", ristretti " in più breve spazio ", acquisterebbero " quella efficacia che, così dilatati per la predica tutta quanta, non hanno ".(67) Se non si ricade in tal modo del tutto nell'ingenuità del Bandiera, è chiaro che ci siamo comunque molto vicino. Il " discorso " si conclude quindi con le lodi dello stile del presunto " grande oratore ", nel quale " ognuno da sé può vedere [...] come la sincera facondia sia sempre congiunta a franchezza e a Semplicicità" e come, essendo egli " profondamente persuaso delle verità che annunziava, si senta fin sotto agli artifizi rettorici quella forza incalzante, quella profonda e quasi lontana tenerezza che viene dall'affetto e tende ad ammansare più che a combattere, a compungere più che a convincere "(68) uno stile che " la naturalezza concilia con l'eleganza, giacché, tranne pochi modi imitati dagli antichi e forse vivi al suo tempo, tutto il resto appartiene alla lingua parlata ".(69) Ma la pagina che segue è interamente occupata non da esempi di quelle buone qualità, sì dai suoi difetti, tanto che al lettore non può non giungere che come una sorpresa l'ultima frase del " discorso ": " Ma questi sono rari nei. E lo stile del Segneri è de' più degni di studio, che la letteratura italiana vanti, povera (se d'eloquenza parliamo) nella sua tanta ricchezza ".(70)

Appare più moderata, ma si muove pur sempre sulla stessa linea la presentazione del Nostro nella Storia della letteratura italiana del Cantù:

[...] di mezzo alle ampollosità del seicento, che non mostrano vigor d'intelletto ma sforzo d'ingegno, sorse Paolo Segneri romano gesuita [...], il miglior nostro predicatore, lo che non vuoi dire perfetto, né pari ai grandi suoi contemporanei francesi Bossuet, Massillon, Bourdaloue. Ricco di dottrina, ne abusò talora, singolarmente nei panegirici; [...] abusa d'esempj, di similitudini, di narrazioni ed allusioni profane; stravolge Ì testi sacri, ovvero ne fa un cumulo indigesto; ricorre a tutte le figure retoriche di ripetizioni, di ritrattazioni, di sospensioni, di ominazioni; paga il suo misero tributo alle vanità del secolo, e sempre da a vedere non la santità, che pur era tanta in lui, ma l’artifizio. Pure assaissimo è da impararvi. E prima quell'armonia tutta agevole e popolare, venuta dal franco maneggio della lingua natia. Ricchissimo di locuzioni, efficace nelle figure, evidente nelle narrazioni, cerca sempre la progressione del discorso: e sebbene miri a convincere più che a muovere, egli mostrasi compreso e passionato, donde gli derivano semplicità ed evidenza qualora l'arte noi travia, e minor bisogno di ricorrere alla declamazione e alle metafore, neppur nel panegirico, che è il campo ove gli oratori più si credono permessa la gonfiezza,(71)

dove sarà tuttavia da ammettere che, con l'elenco dei difetti subito seguito da quello dei pregi, rimane al lettore un'impressione complessivamente favorevole del Nostro.

Le censure del Bonghi erano invece destinate ad essere riprese, ampliate ed elaborate dal De Sanctis, che nella Storia della letteratura italiana (1870-1871) insiste sull'esteriorità degli scritti del Nostro, sulla mancanza di partecipazione emotiva a quanto viene scrivendo che sarebbe riconoscibile in lui:

il padre Segneri [...] non ha altra serietà che letteraria, ornare e abbellire il luogo comune con citazioni, esempli, paragoni e figure rettoriche: perciò stemperato, superficiale, volgare e ciarliere. [...] se avesse veramente il sentimento della terrena infelicità, e delle gioie celesti, non mancherebbe ai suoi colori novità, freschezza, profondità. Ma non è che uno spasso letterario, un esercizio rettorico. Luogo comune il concetto, luoghi comuni gli accessori. Non mira efficacemente a converti-re, a persuadere l'uditorio; non ha fede, né ardore apostolico, né unzione; non ama gli uomini, non lavora alla loro salute e al loro bene. Ha nel cervello una dottrina religiosa e morale di accatto ed ereditaria, non conquistata col sudore della sua fronte, una grande erudiziene sacra e profana: ivi niente si move, tutto è fissato e a posto. La sua attività è al di fuori, intorno al condurre il discorso e distribuire le gradazioni, le ombre e la luce e i colori. Gli si può dar questa lode negativa, che se spesso stanca, non annoia l'uditorio, che tien sospeso e maravigliato con un " crescendo " di gradazioni e sorprese rettoriche; e talora piacevoleggia e bambineggia per compiacere a quello.(72)

Questa pagina tutta negativa (che segue l'altra, altrettanto negativa, sul Battoli) si legge nel capitolo che prende il titolo dal nome del Marino, e che non è se non una lunga, insistita svalutazione di tutto il Seicento, il secolo nel quale, secondo il De Sanctis, " non solo la letteratura nelle sue forme e nel suo contenuto, ma è anche esaurita la vita religiosa, morale e politica, quantunque ce ne fosse una seria apparenza comandata e servile ".(73) Se per lui dunque il Nostro costituisce una delle manifestazioni della decadenza collettiva dell'epoca del Barocco, è invece l'aspetto antigesuitico di quella decadenza che emerge dalle Lezioni di letteratura italiana nell'altrettanto radicale condanna del Settembrini; anche se dopo la lapidaria sentenza secondo la quale " i predicatori del Seicento non si leggono che per ridere delle loro stranezze ", il tono sembrerebbe cambiare:

Fra tanti strani e vuoti predicatori si distingue per senno e temperanza il gesuita Paolo Segneri [...], che ebbe bontà di animo e dottrina. Egli ha fama del più grande oratore nostro: perché? Sentimento cristiano egli ne ha pochissimo, quantunque fosse stato uomo di molta pietà; ma essendosi proposto d'imitar Cicerone nella forma dello stile, riesce pagano nella sostanza. A leggere il suo Quaresimale e le sue Prediche e Panegirici voi vedete che egli considera il Cristianesimo come una cosa tutta di mente, da spiegarla con argomenti arguti, ornarla con belle frasi, farne un esercizio d'ingegno. E qui cade un'osservazione: il gesuitismo annulla il volere, spegne l'affetto per modo che il cuore non palpita nemmeno per Gesù: nessun gesuita, neppure il Segneri, ha verità di sentimento, ma tutti hanno religione di testa, non di cuore. Sebbene in ogni oratore il sentimento sia tutto, pure passiamo innanzi. Ei non è un ragionatore robusto: basta aprire qualunque delle sue opere per vederci un grande abuso di citazioni, mancanza intera di critica, argomenti più speciosi che veri, e un discorrere più con arguzie che con ragioni: cerca il nuovo nel paradosso, e così tiene desta la curiosità dell'uditore. Sentimento no, ragionamento no, perché dunque ha riputazione del più grande oratore? Perché fu canonizzato dagli Academici della Crusca, che lo citarono nel loro Vocabolario, e lo fecero testo di lingua. E siccome la lingua è stata per molto tempo il solo vincolo nazionale, e il grande affare degl'Italiani, i quali confondendo lingua e stile, e non badando al contenuto, hanno ciecamente adorato qualunque più scempia scritturella fatta in lingua pura; così trovando nel Segneri il meno reo dei predicatori, e vedendolo approvato dalla Crusca l'hanno riputato grande. Se pure non vogliate dire che i Gesuiti per dare spaccio ai loro scrittori li fecero bollare dalla Crusca. Paragonate le prediche del Segneri a quelle del Massillon, del Bourdaloue, del Bossuet, e vedrete che nei francesi c'è pensiero proprio, sentimento vero, stile efficace; nel Segneri nessuno affetto, molte citazioni, ed uno stile che non è sfrenato ed ampolloso ma artefatto di altro modo, a volte lisciato, a volte fiacco. [...] Né il Segneri dunque, né gli altri venuti di poi sino ai nostri giorni meritano il nome di oratori sacri, perché nessuno di essi ci ha data quella sacra eloquenza che acqueta la ragione, che vi solleva il sentimento [...].(74)

In verità, da chi aveva scritto il ben noto giudizio: " Che cos'è il Secentismo? È il Gesuitismo nell'arte ",(75) non era possibile aspettarsi molto di diverso; anche se meritano di essere comunque sottolineate le qualità positive che il Settembrini riconosce nell'uomo (" senno ", " temperanza ", " bontà d'animo ", " dottrina ") e la serietà del suo impegno di vita come cristiano.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un lettore attento e da un osservatore penetrante quale egli fu (un'attenzione e una penetrazione che lo hanno spesso portato a rovesciare i giudizi tradizionalmente espressi a proposito di molte personalità letterarie e di vari momenti culturali), non molto di nuovo hanno portato negli studi sul Segneri le pagine che gli ha dedicato in varie occasioni Benedetto Croce, al di là dell'ammirazione da lui espressa per il " discernimento della vita interiore " nelle lettere di guida e di conforto a suor Umilia Garzoni e nel parere sulla biografia di Giovanni Palafox, nel quale il Nostro aveva mostrato " la vanità del sant'uomo e le sue ipocrisie e false umiltà di autopanegirista "(76) - e questo nonostante l'esteriorità del Seicento e della sua religiosità in generale. Nel panorama dei predicatori italiani del suo secolo lo studioso sembra quasi aver fretta di liberarsi di lui, ripetendo in sostanza il giudizio del Tiraboschi:

II Segneri, che fu tra i primi riformatori della sacra eloquenza, nelle sue prime prediche aveva anche lui inclinato ai concetti e allo stile fiorito. Se ne liberò poi, benché resti ancora intinto di altri vizi del tempo;(77)

e globalmente in modo ancor meno positivo viene riassunta la sua esperienza e la sua missione di credente:

Nelle storie letterarie si suole segnalare Paolo Segneri come colui che riportò l'oratoria sacra alla gravita e schiettezza dello stile; ma fu una restaurazione, più che d'altro, di superficie, simile a quella onde alla prosa barocca si sostituiva la prosa di tradizione cinquecentesca; e non un'intrinseca rinnovazione. Un'oratoria sacra, davvero nuova e viva, avrebbe richiesto un'originalità di pensiero, o per lo meno di sentimento, che non si ebbe allora, e forse non mai più di poi, nella chiesa di Roma; onde l'assunto del Segneri par quello di persuadere i cattolici a prender sul serio ciò a cui essi professavano di credere senza restrizione alcuna, e a cui in concreto non si può dire che credessero davvero, appunto perché non lo prendevano sul serio e non lo traducevano in azioni; e l'effetto che fanno le sue prediche è l'opposto di quello che aveva di mira: lasciano intatta e aggravata la frigidezza spirituale, che vuoi altro che prediche.(78)

Al che si potrebbe obiettare che, se dovessimo giudicare del senso e dell'interpretazione cristiana della vita di un Dante o di un Manzoni dall'effetto che produssero sui contemporanei la diffusione e la lettura della Commedia e dei Promessi sposi, dovremmo inevitabilmente considerare questi, come tanti altri capolavori, dei tentativi affatto fallimentari e abortiti.

Un tono molto favorevole è invece riconoscibile nelle pagine di Antonio Belloni, nonostante anche qui si trovino ripetuti e rielaborati alcuni dei consueti limiti indicati nel Segneri:

Non già ch'egli sia del tutto scevro dei vizi del tempo suo; là dove la parola gli viene non dall'anima ma dall'intelletto, dove le preoccupazioni del retore hanno il sopravvento sull'ardore, sullo zelo, sull'entusiasmo verace del servo di Dio, dove gli vien meno quello spirito che da vita alle fredde leggi dell'arte; egli pure cade nei difetti comuni agli altri predicatori del Seicento; ma con la differenza che non se ne lascia irretire così da rimanerne schiavo, anzi sa rimettersi subito sulla buona via e ritrovare se stesso. Godeste concessioni al gusto dei tempi (ingegnosità, affettazione, ricercatezza, frondosità), sono dovute alla necessità e alla convenienza di assecondare il genio dell'uditorio, quando questo era formato dei ceti sociali più raffinati e l'ambiente richiedeva quella che, in contrapposizione all'eloquenza apostolica, potremmo chiamare eloquenza di lusso. Ma, pur con questi difetti, il Segneri resta sempre un predicatore e uno scrittore di prim'ordine [...].(79)

L'atteggiamento positivo del Belloni ci avvicina ai giudizi spesso assai più favorevoli che incontriamo sul Segneri nel corso del Novecento. La bella monografia che Giulio Marzot gli ha dedicato nell'ormai lontano 1950, anche se risente senza dubbio dei criteri critici del periodo e della sostanziale censura antibarocca che ancora dominava - significativa in questo senso una frase delle prime pagine del volume, dove, senza eccedere nel biasimo del Nostro, viene messa in rilievo l'idea che il Segneri " fu costretto a cedere all'andazzo del secolo e, senza assumere la 'maschera secentesca', ne ritenne qualche colore, il gusto e non poco l'enfasi "(80) - questa monografia, dicevo, ha bisogno certo di essere rivista e aggiornata, senza nulla togliere ai pregi delle analisi ivi contenute, che sono molto spesso puntuali e penetranti, ma che meritano - omaggio dovuto a chi allora osava occuparsi a fondo di un simile autore - di essere riprese in considerazione secondo criteri più moderni. Dopo di lui i giudizi positivi si sono intensificati e fatti sempre più numerosi: nell'Enciclopedia cattolica Celestino Testore lo definisce " il principe degli oratori " italiani " per l'eloquenza rapida, calda, sovente polemica e impetuosa, per la logica serrata e progrediente dell'argomentazione, per la classicità della lingua e dello stile ", e ne evidenzia " la reazione viva e quasi totale [...] al gusto pretenzioso, vaniloquente e mariniano dell'eloquenza sacra secentesca ", pur rimarcando che " qualche abuso, tuttavia, dell'antitesi, della metafora, delle immagini colorite, della parola troppo studiata ancora rimane ";(81) Mario Scotti ha giudicato il Quaresimale " il capolavoro [...] dell'oratoria sacra barocca ";(82) Alberto Asor Rosa ha chiamato il Segneri " il maggior predicatore del secolo "(83) e ne ha tracciato un profilo rapido, ma fondamentalmente assai favorevole, scrivendo fra l'altro:

il tipo di prosa equilibrato e sereno, abbastanza adorno ma non troppo, misto di vigile attenzione descrittiva e d'interna tensione spirituale, nel quale gesuiti come Bartoli e Segneri furono maestri, era fatto per colpire F immaginazione e per attrarre un ceto intellettuale come il Nostro, per il quale una sana rettorica è stata sempre indispensabile al mestiere stesso dello scrittore,(84)

dove è il caso di osservare che molto di quanto era stato indicato come lato negativo del Segneri diventa in realtà componente ineliminabile del suo essere scrittore italiano, del suo appartenere a una tradizione letteraria nella quale quelli che sembrano difetti costituiscono invece aspetti caratteristici e condizionanti. Nella Letteratura italiana di Einaudi Giorgio Raimondo Cardona non esiterà a dare proprio l'esempio del Segneri fra i " predicatori di grande spicco e di grandi qualità letterarie e retoriche ";(85) e Lina Bolzoni gli dedicherà alcune pagine assai meditate e significative, dove viene fra l'altro messo in evidenza " quel nuovo modo di predicare destinato a lunga fortuna che il padre Segneri teorizza e attua in numerose 'missioni' fra il 1665 e il 1692 " e sottolineato quanto segue:

Innegabili sono le novità dei suoi testi: uno stringente procedimento argomentativo, il ricorso al senso letterale della Scrittura (anzi, spesso a versetti che fanno da ritornello implacabile), exempla ben narrati e rigorosamente finalizzati, un'elocutio artificiosamente semplice.(86)

Ancora Sergio Bertelli, nella Storia della letteratura italiana di Garzanti, lo definirà " il più grande oratore sacro del tempo ".(87)

In questo complesso di elogi particolarmente significativa per le precise, anche se non approfondite, messe a punto e per l'esatta prospettiva in cui viene collocata l'opera e la figura del Nostro nel panorama della cultura e della società del suo tempo è l'ariosa pagina di Ezio Raimondi nell'" Introduzione " all'antologia da lui curata Trattatisti e narratori del Seicento:

Mentre il patetico bartoliano ha per sfondo un paesaggio esotico e vive nelle dimensioni luminose dei 'vastissimi spazi' ricreati dalla fantasia, quello del Segneri richiama piuttosto alla mente un oratorio saturo di incenso, un suono d'organo, di fanfare esultanti per le volte di una chiesa barocca. La retorica degli affetti, dell'emozione corale, della catarsi devota secondo gli schemi della psicologia e della propaganda gesuitiche, attinge nel Segneri una dignità severa, seppur macchinosa, svolgendosi, in contrasto con le spampanate eleganze della predicazione 'analogica', su di un registro drammatico ora nelle forme di una disputa affettuosa, ora nelle cadenze di un lirismo iperbolico, e trascrivendo il discorso biblico in un declamato teatrale che non è privo di forza. L'oratoria del Segneri è fastosa ma commossa, concitata ma densa, spettacolare ma sensitiva: scandita da un gesto nobile e ampio, che amplifica l'evidenza di una lingua plastica, schietta, essa nasce, oltre che dalle ragioni di un genere letterario e dal gusto di una civiltà, dalla coscienza di un cattolico austero. Si sente nel Quaresimale la forza della Controriforma, l'eco delle missioni portate per le campagne dell'Italia, in un mondo di contadini e di poveri che bisogna consolare con l'immagine di un ciclo sfolgorante, popolato di angeli e di beati. Ma questo assiduo, faticoso contatto con il peccato quotidiano educa anche a una saggezza realistica, a una minuziosa esperienza di uomini e cose. Più che la novità degli argomenti, ciò che si apprezza nell'apologetica del Segneri è la ricchezza dell'osservazione, l'arguzia del narratore con certi movimenti che sembrano già manzoniani, e soprattutto l'analisi di costume, il gusto dell'ambiente contemporaneo, dalle guerre che hanno . desolato l'Europa alla vita di un paese con il suo ballo domenicale. Così, la società del Seicento sfila dinanzi a un pulpito per essere giudicata da un moralista che ferma lo spettacolo del mondo nei colori disfatti della decadenza.(88)

Certo, non tutto è diventato sempre cosi roseo: anzi in alcuni casi si assiste ad un fenomeno che potremmo chiamare di retrocessione. Così ad esempio, se nella prima edizione, del 1938, del Grande dizionario enciclopedico della UTET Antonio Bozzone si esprimeva sul Segneri in questi termini:

Egli aveva compreso quale fosse il difetto principale della predicazione del tempo: l'abuso della retorica, delle metafore, dell'enfasi; in sostanza quello che noi diciamo ora secentismo. Lo studio dei Padri, greci soprattutto, e degli oratori francesi gli indicò il rimedio(89)

(" rimedio " sul quale il Bozzone non scende comunque in particolari); nell'edizione più recente della stessa opera Luigi Vigliani, rifacendosi chiaramente al Croce, scrive invece che

non è da cercarsi in lui né novità di pensiero, né slancio mistico, né fervore di fantasia; bensì zelo, dottrina, chiarezza e solidità di argomentazioni e sapiente preparazione letteraria. La riforma dell'oratoria sacra ch'egli promosse è quindi fatto di pura tecnica letteraria e non coincide con un rinnovamento spirituale.(90)

In conclusione, se gli ultimi giudizi favorevoli espressi sul Nostro sembrano avviare a una rinnovata e più equilibrata valutazione della sua opera e della sua figura nell'ambito del momento storico e culturale in cui egli visse e operò, è necessario tuttavia riconoscere che Paolo Segneri rimane una personalità assai poco conosciuta del mondo del secondo Seicento, e che non si può in buona fede parlare per lui (a differenza di quanto è avvenuto per altri autori della nostra tradizione letteraria) di un effettivo risveglio dell'attenzione e degli studi. Sono ancora vere purtroppo le parole scritte quasi quarant'anni fa da Domenico Mondrone:

II Segneri è uno degli autori più discussi della nostra letteratura. Può darsi che abbiano esagerato i contemporanei Dell'esaltarlo, come certamente eccedono i posteri nell'abbassarlo, fino a misconoscergli ogni merito di oratore e di scrittore. Pochissimi, però, son gli studiosi del Seicento che abbiano avuto l'ardire di non badargli. Ma l'impressione complessiva che si raccoglie dalla maggior parte di quanti se ne sono occupati è la tenacità, quasi concertata, con cui se ne deforma la fisionomia e l'opera. Di solito si tratta di comode ripetizioni di quanto ne ; avevano detto taluni demolitori più in vista. [...] e vi sono manualisti i quali dal modo come ripetono giudizi e pregiudizi danno a sospettare di non averne che scarsa conoscenza della vita e di aver letto ben poco delle opere.(91)

Sorte, quest'ultima, che il Nostro condivide con non pochi altri confratelli della repubblica delle lettere!

Non ha giovato al Segneri prima di tutto il genere letterario cui ha dedicato la maggior parte della sua vita, la predicazione religiosa, per la quale il laicismo della fine dell'Ottocento e del primo Novecento ha riservato quella forma di esecuzione capitale destinata al Nostro come a tanti altri scrittori insieme a lui. A questo si è aggiunto il periodo in cui è vissuto, quel corrotto e abominato Seicento in cui c'era assai poco da salvare e da recuperare. Così sono stati messi in discussione la sua serietà non solo di letterato, ma anche di religioso, come se i suoi lavori in questo campo fossero da compararsi a quelli di un parolaio che agiva e scriveva in tal modo solamente perché quello era quanto ci si aspettava da lui. Sono stati messi in dubbio il suo impegno e la sua sincerità di scrittore religioso, come se quello che usciva dalla sua penna non fosse la motivazione e lo stimolo del suo operato, ma soltanto l'ipocrita e menzognera attività scrittoria di un indifferente che tendeva esclusivamente a un successo personale, a proiettare qualcosa in cui lui era il primo a non partecipare emotivamente, personalmente, individualmente. Mi duole scrivere della sua " fortuna " critica in questi termini; ma se vogliamo tracciare da un punto di vista storico l'itinerario di questa " fortuna ", che è stata assai spesso " sfortuna ", è inevitabile ripetere ciò che senza dubbio la maggior parte dei lettori conosce anche meglio di me.

Dire adesso che il Segneri è un autore tutto da riscoprire non significa guardare irrispettosamente a quanto è stato fatto e scritto su lui dalla fine del Seicento ad oggi, ma solo riproporre l'esame di un autore che merita assai più di quanto non gli sia stato concesso; ora, in un tempo in cui non solo le nuove interpretazioni del Barocco che si sono avvicendate negli ultimi decenni, ma anche le nuove prospettive metodologiche che si sono sviluppate nel corso del nostro secolo aprono diverse vie e diverse possibilità alla valutazione della vita e dell'opera di un personaggio che ha significato molto ai suoi tempi e proprio come tale molto può dirci e può spiegarci del periodo in cui ha operato e ha vissuto.

Uno dei problemi critici fondamentali per tale valutazione è senza dubbio la sua prolificità, la quantità delle opere che ci ha lasciato - un problema che non è certo solo suo e che condivide con molti altri autori, e non solo sempre minori, della nostra storia letteraria. Riaffrontare e rileggere tutta la sua opera per cercare di ricavarne delle conclusioni serie e convincenti è impresa non molto facile e tale da scoraggiare non pochi studiosi. Da questo punto di vista è assai significativo quanto su lui ha scritto Carmine Jannaco, pur non trascurandone limiti e deficienze:

a lui manca quella ricchezza di fantasia [...] che è il requisito indispensabile del grande oratore. [...] Di fronte ai temi più impegnativi, il nostro padre Paolo, che ben ne conosce la difficoltà, sa che la sua orazione dovrebbe assurgere a tonalità più alte; ma l'impeto gli viene meno, sicché altro non sa trovare che esclamazioni; non mentite certo, ma en-fatiche e quasi aggiunte dall'esterno alla predica.(92)

Lo studioso osservava però con esattezza:

Effettivamente il Segneri è una personalità complessa e importante, una delle pochissime di vero rilievo che abbia il Seicento italiano. Se nessuna delle sue numerose opere può dirsi di alto valore storico o artistico, tutta la sua produzione si fa apprezzare, in compenso, oltre che per i meriti particolari e diversamente graduabili delle singole opere, per il complessivo e sicuro carattere unitario.(93)

È probabilmente nelle visioni di oggi più nuove e più globali del Seicento e della religiosità barocca che il Segneri è destinato a ritrovare il suo posto e la sua collocazione più convincente. Non sta a me, nell'assunto del tema che sono stato invitato a illustrare in questa sede, cercar di portare una parola nuova e definitiva sull'opera, sulla personalità, sul ruolo che il Nostro occupa nel panorama letterario italiano. Ma una parola storica sì, perché la storia non si fa sulle impressioni e sui pregiudizi; si fa sui dati di fatto che lo studioso ha il dovere di cercar di raggiungere attraverso analisi e accertamenti. Che il Segneri sia uno di quei " minori " che merita l'attenzione degli studiosi è un dato di fatto che nessuno può mettere in dubbio ed esimersi dal prendere in considerazione. È questo certamente il contributo più considerevole delle giornate di lavoro in occasione del terzo centenario della sua morte, e il messaggio che gli Atti di questo convegno sono destinati a lasciare indelebilmente agli studiosi per il futuro.


ANTONIO FRANCESCHETTI
University of Toronto

NOTE

1 - Cfr. Mario Scotti, s.v. " Segneri, Paolo ", in Dizionario critico della letteratura italiana, dir. Vittore Branca, con la collaborazione di Armando Balduino, Manlio Pastore Stocchi, Marco Pecoraio, seconda edizione, 4 vol., Torino, UTET, 1986, vol. IV, pp. 153-55.

2 - Cfr. Giovan Mario Crescimbeni, Comentarj... intorno alla sua Istoria della Volgar Poesia, 6 voli., Venezia, Lorenzo Basegio, 1730-1731, vol. IV: il Segneri viene citato insieme ad Antonio Maria Salvini come uno di " due celebri Accademici [...] della Crusca" (p. 241) e come "famoso" (p. 242).

3 - Giusto Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana... con le annotazioni del Signor Apostolo Zeno, 2 voll., Venezia, Giambattista Pasquali, 1753, vol. I,p. 147 e vol. II, p. 441.

4 - Ibidem, vol. I, p. 147.

5 - Lodovico Antonio Muratori, Dei pregi dell'eloquenza popolare, Colla giunta in questa edizione Napoletana delle Poesie dell'istesso Autore, Napoli, Giuseppe De Bonis, 1750, pp. 17-18 (che segue, per i Pregi, la princeps veneziana dello stesso anno).

6 - Ibidem, pp. 23-24.

7 - Alessandro M. Bandiera, I pregiudizi delle umane lettere, per argomenti apertissimi dimostrati, spezialmente a buon indirizzo di chi le insegna...,- Venezia, Bettinelli, 1755.

8 - Ibidem, PP. 200-01.

9 - Ibidem, p.201.

10 - Ibidem, p.202.

11 - Ibidem, p.203.

12 - Ibidem, p.204.

13 - Ibidem, p.205.

14 - Ibidem, p.206.

15 - Ibidem, p.207.

16 - Ibidem,

17 - Ibidem, p.208.

18 - Ibidem, p.211

19 - Ibidem, p.224

20 - Ibidem, p.232

21 - Ibidem, p.234

22 - Ibidem, p.233

23 - Ibidem, p.235

24 - Ibidem, p.237

25 - Ibidem, p.238

26 - Ibidem, p.214-19

27 - Ibidem, pp. 226-31. Nel Quaresimale i due brani si leggono, rispettivamente, nella seconda parte della predica undicesima e all'inizio della prima.

28 - Cfr. Due lettere intorno al libro intitolato I pregiudizi delle umane lettere, Milano, Nella Regio-Ducal Corte, 1756: la prima è del Parini e la seconda del Soresi stesso (sempre in polemica con il libro del Bandiera, ma riguardo altri punti non concernenti il Segneri). Per l'atteggiamento del Parini rimando naturalmente in questi Atti alla relazione di Gennaro Savarese, Avventure segneriane tra Sette e Ottocento: Parini, Leopardi, De Sanctis.

29 - Carlo Denina, Discorso sopra le vicende della letteratura, 2 voll., Venezia, Palese, 1788, vol. II, p. 65. La prima edizione dell'opera è del 1760.

30 - Ibidem, p. 60.

31 - Giuseppe Baretti, La scelta dette lettere familiari, a cura di Luigi Piccioni, Bari, Laterza, 1912, p. 252. L'opera fu scritta fra il 1777 e il 1778.

32 - Giuseppe Baretti, Prefazione alla " Historia del famoso predicador fray Gerundio de Campazas, alias Zotes, esenta por el licenciado don Francisco Lobon de Salazar " (1787), in Prefazioni e polemiche, a cura di Luigi Piccioni, Bari, Laterza, 1932, p. 324.

33 Giuseppe Malmusi, Analisi del Quaresimale del padre Paolo Segneri, Torino, Marietti, 1887, p. 3; il testo costituisce la seconda parte, pubblicata in volume separato, di un'edizione del Quaresimale stesso.

34 - Ibidem.

35 - Ibidem, pp. 3-4.

36 - Saverio Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studi, nelle arti e ne' costumi dopo il Mille, a cura di Salvatore Rossi, Ravenna, Longo, 1976, p. 405.

37 - Ibidem, p. 415 nota. Interessanti osservazioni sul diverso uso delle citazioni e dei riferimenti a scrittori latini da parte del Segneri e di un Gesuita ungherese coevo si possono ora vedere in Maria Teresa Angelini, Aspetti comuni e differenze in due predicatori barocchi: Segneri e Pàzmàny, in " Nuova Corvina. Rivista di italianistica dell'Istituto Italiano di Cultura per l'Ungheria ", 2, 1994, pp. 7-12.

38 - Saverio Bettinelli, Risorgimento d'Italia, cit., p. 484.

39 - Giovanni Andrés, Dell 'origine, progressi e stato attuale d'ogni letteratura, tomo I, Parma, Stamperia Reale, 1782, p. 410. Si avverta l'enfasi posta dallo studioso sulla " modernità " del Segneri, che lo porta ad anteporlo agli scrittori dell'aureo Cinquecento, delP" epoca del Badoaro, e del Casa " (ibidem).

40 - Ibidem, p. 420.

41 - Giovanni Andrés, Dell'origine, cit., tomo III, Parma, Stamperia Reale, 1787,p. 54.

42 - Ibidem, pp. 247-49.

43 - Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Seconda edizione modenese riveduta corretta ed accresciuta dall'autore, tomo Vili, Dall'Anno MDC all'Anno MDCC, parte I, Modena, Presso la Società Tipografica, 1793, pp. 516-18. Recentemente Maria Serena Sapegno ha scritto giustamente che il Tiraboschi, anche lui, ormai, ex-gesuita e colpito dalla soppressione dell'Ordine, " respinge [...] come infondata l'accusa ai Gesuiti di essere responsabili del cattivo gusto secentesco, rivendicando invece come primo campione della ripresa il Segneri " (Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, in Letteratura italiana, dir. Alberto Asor Rosa, Le Opere, voi. II, Dal Cinquecento al Settecento, Torino, Einaudi, 1993, p. 1175); trascura tuttavia di avvertire che, come abbiamo avuto modo di vedere, l'atteggiamento dello studioso modenese non costituisce una novità nel momento in cui scrive, e che la sua posizione è chiaramente riconduci-bile a quanto veniva scritto sul Nostro in quel periodo.

44 - Pietro Giordani, Opere, tomo XIV, Appendice pubblicata da Antonio Gussalli, Milano, Francesco Sanvito, 1863, pp. 452-53.

45 - Ibidem, p. 452.

46 - Francesco Salfi, Ristretto della storia della letteratura italiana, 2 voli., Lugano, Ruggia, 1831, vol. II, pp. 85-86.

47 - Basilio Puoti, Della maniera di studiare la lingua e l'eloquenza italiana. Libri due, coli 'aggiunta di due Opuscoli del P. Ani. Cesari ed una Lezione del Prof. Francesco Ambrosoli, Parma, Pietro Fiaccadori, 1853, pp. 24-25; la prima edizione dell'opera risale al 1837.

48 - Ibidem, pp. 25-26.

49 - Antonio Mirabelli, Istituzione di belle lettere per uso della sua scuola di letteratura, 2 voll., 4 libri, Napoli, Salvatore de Marco, 1844-1845, vol. II, lib. I, Filosofìa delle lettere e letteratura comparata. Prosatori, pp. 204-05

50 - Per le idee del Mirabelli sul Seicento si veda in particolare nella stessa opera il vol. II, lib. II, Filosofia delle lettere e letteratura comparata. Poeti, pp. 244-56.

51 - Antonio Mirabelli, Filosofia delle lettere e letteratura comparata. Prosatori, cit., vol. II, lib. I, pp. 205-06.

52 - Ibidem, pp. 206-07.

53 - Ibidem, pp. 207-08.

54 - Ibidem, p. 209.

55 - Paolo Emiliani Giudici, Storia della letteratura Italiana, Quarta impressione 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1865, vol. II, pp. 261-62. La prima edizione è del 1844.

56 - Ruggiero Bonghi, Lettere critiche. Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia, Milano, Francesco Colombo e Celestino Bianchi, 1856, p. 75.

57 - Ibidem, pp. 77-78.

58 - Ibidem, pp. 78-80.

59 - " Dell'eloquenza del Segneri, Discorso " è il titolo con cui il Tommaseo fa riferimento alle pagine sul Nostro nella " Prefazione " all'edizione del 1852 del suo Dizionario estetico (Milano, Giuseppe Reina), elencando gli " scritti inediti " e gli " altri che sono o il sugo od il saggio di piucché cinquanta, tra brevi e lunghi, miei stampati lavori " aggiunti di nuovo rispetto all'edizione uscita " dodici anni " prima (p. VII). Queste stesse pagine non si leggono più invece nell'edizione del 1867 (Dizionario estetico, Quarta ristampa con correzioni e giunte molte di cose inedite, Firenze, Successori Le Monnier), dove ne rimane comunque occasionalmente l'eco: ad esempio, parlando di Gian Lorenzo Berti, dopo aver detto che " i passi della Bibbia torce talvolta a sensi strani ", osserva che " tali abusi riscontrami più rari che nel Segneri, assai " (col. 118); o parlando di " due prediche italiane " di Elia Miniati commenta: " Senti il fare del Segneri, ma con libera emulazione seguito, non con cura servile imitato. Ch'anzi parecchi difetti della eloquenza del Segneri seppe il Miniati evitare: que' giuochi di parole e di concetti, quegli accenni inopportunamente profani, e, massimo difetto del grande Italiano, quel muovere contenzioso contro gli uditori a guisa di avvocato che tratta una causa, non a modo d'amico, di fratello, di padre " (coll. 663-64).

60 - Ibidem. 337.

61 - Ibidem.

62 - Ibidem.

63 - Ibidem, p. 338.

64 - Ibidem, pp, 338-39.

65 - Ibidem, p. 339.

66 - Ibidem, pp. 339-42.

67 - Ibidem, p. 343.

68 - Ibidem, pp. 344-45.

69 - Ibidem, p. 345.

70 - Ibidem. L'interesse per la figura del Segneri e della sua opera, nonostante le scarse simpatie che alcuni studiosi nutrivano per entrambe, è comunque confermato in quel giro di anni dalla pubblicazione delle Lettere inedite di Paolo Segneri al Granduca Cosimo terzo, tratte dagli autografi, a cura di Silvio Giannini, Firenze, Felice Le Monnier, 1857, per le quali si veda in questi Atti l'intervento di Andrea Fedi, Le Lettere dì Paolo Segneri a Cosimo III de ' Medici.

71 - Cesare Cantù, Storia della letteratura italiana, Seconda impressione, Firenze, Le Monnier, 1887, pp. 415-17; la prima è del 1865.

72 - Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Firenze, Sansoni, 1965, p. 587. Sulla posizione del De Sanctis nei confronti del Nostro si veda in questo volume la relazione di Savarese.

73 - Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cit, p. 571.

74 - Luigi Settembrini, Lezioni dì letteratura italiana, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1964, vol. II, pp. 718-19; le lezioni furono stese fra il 1866 e il 1872. 75 Ibidem, p. 579.

75 - Ibiden p.579.

76 - Benedetto Croce, Storia dell 'età barocca in Italia. Pensiero - Poesia e letteratura - Vita morale, Bari, Laterza, 1953, p. 160.

77 - Benedetto Croce, I predicatori italiani del Seicento e il gusto spagnuolo, in Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 19644, pp. 177-78.

78 - Benedetto Croce, Storia dell'età barocca in Italia, cit, pp. 438-39.

79 - Antonio Belloni, // Seicento, quarta ristampa della seconda edizione con supplemento bibliografico (1929-1954), a cura del prof. Aldo Vallone, in Storia letteraria d'Italia, Milano, Vallardi, 195 5, p. 515.

80 - Giulio Marzot, Un classico della Controriforma: Paolo Segneri, Palermo, gi G.B.Palumbo, 1950,p. 7.

81 - Celestino Testore, " Segneri, Paolo ", in Enciclopedia cattolica, vol. IX, Città del Vaticano, Ente per l'enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, 1953, col. 239.

82 - Mario Scotti, " Segneri, Paolo ", cit., p. 154.

83 - Alberto Asor Rosa, Daniello Bartoli e la prosa gesuitica, in La letteratura italiana, dir. Carlo Muscetta, vol. V, tomo II, Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 289.

84 - Ibidem,?. 319.

85 - Giorgio Raimondo Cardona, Culture dell'oralità e culture della scrittura, in Letteratura italiana, dir. Alberto Asor Rosa, voi. II, Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, p. 63. Il giudizio è tanto più significativo proprio perché si legge in un contesto che non riguarda in particolare né la letteratura del Seicento, né la storia dell'oratoria o della predicazione.

86 - Lina Bolzoni, Oratoria e prediche, in Letteratura italiana, dir. Alberto Asor Rosa, vol. IlI, Le forme del testo, tomo II, La prosa, Torino, Einaudi, 1984, pp. 1066-67.

87 - Sergio Bertelli, Storiografi, eruditi, antiquari e politici, in Storia della letteratura italiana, dir. Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, vol. V, Il Seicento, Milano, Garzanti, 1967, p. 377.

88 - Trattatisti e narratori del Seicento, a cura di Ezio Raimondi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. XV - XVI; si veda ora Ezio Raimondi, Tra moralisti e narratori, in I sentieri del lettore, vol. II, Dal Seicento ali 'Ottocento, a cura di Andrea Battistini, Bologna, II Mulino, 1994, pp. 101-02.

89 - Antonio Bozzone, " Segneri, Paolo ", in Grande dizionario enciclopedico, a cura del prof. Giovanni Trucco, con la collaborazione di numerosi noti specialisti, sotto la dirczione di S.E. il prof. Pietro Fedele, vol. IX, Torino, UTET, 1938, p. 1337.

90 - Luigi Vigliani, " Segneri, Paolo ", in Grande dizionario enciclopedico UTET, fondato da Pietro Fedele, terza edizione interamente riveduta e accresciuta, vol. XVII, Torino, UTET, 1972, p. 43.

91 - Domenico Mondrone, Paolo Segneri, in Letteratura italiana. I minori, vol. III, Milano Marzorati, 1961, p. 1751 nota. Sorprendentemente, dopo un riconoscimento così lusinghiero, il Mondrone non evita poche pagine più avanti di riflettere i giudizi tradizionali scrivendo che " il Quaresimale è l'opera con la quale l'autore paga più del conveniente il suo tributo alla moda. La composizione risale agli anni che il Segneri, ancor giovine di esperienze, saturo delle recenti letture di Seneca, di Tito Livio e soprattutto di Cicerone, senza escludere i pochi oratori a lui contemporanei, non seppe difendersi tempestivamente dagli artifici dai quali era così infetta l'aria che respirava " (ibidem, p. 1755).

92 - Cannine Jannaco, Il Seicento, con la collaborazione di Martino Capucci, in Storia letteraria d'Italia, Milano, Vallardi, 1963, p. 805.

93 - Ibidem, p.803.







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