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PAOLO SEGNERI:
UN CLASSICO
DELLA TRADIZIONE
CRISTIANA

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE
DI STUDI SU PAOLO SEGNERI
NEL 300° ANNIVERSARIO
DELLA MORTE (1694-1994)
NETTUNO
9 DICEMBRE 1994, 18-21 MAGGIO 1995

di
ROCCO PATERNOSTRO
ANDREA FEDI

HOME - OPERE

XIII

LA RETORICA E LA GRAZIA:
PREDICAZIONE E PERSUASIONE
IN PAOLO SEGNERI

di FULVIO PEVERE,



Nella premessa al lettore posta in apertura del Quaresimale, il Segneri dichiara di non aver, nel comporre le prediche raccolte nel volume, " potuto metter piede in quella selva vastissima dalla qual tanti predicatori si sogliono giornalmente fornir di assunti o speculativi o scolastici, ben intendendo essi a pruova che tali assunti, mercé la pompa di quelle alte dottrine con cui si spiegano, sono forse i più validi ad eccitare nel popolo men perito la maraviglia".(1) Con questa decisa affermazione preliminare l'autore pare prendere programmaticamente le distanze dagli eccessi retorici e linguistici caratteristici di parte dell'oratoria sacra contemporanea, evocando immediatamente il pericolo che quella " maraviglia ", la cui ricerca esasperata può apparire come il frutto di un non innocente connubio con la coeva letteratura profana, possa finire per sovrapporsi alla fedele esposizione dell'autentico dettato delle Scritture, facendosi essa stessa, in un'inaccettabile commistione tra parola umana e parola divina (e, anzi, nel prevalere della prima sulla seconda), scopo primario della predicazione, nell'ambizione di accattivarsi i favori e le simpatie di quel " popolo men perito " di cui il Bartoli già aveva scritto che " forma i predicatori quali egli vuole che siano "(2) e frequenta le chiese attirato unicamente dalla " curiosità avida di vaghezze, di bella e ornata dicitura, di novità, di bizzarrie ingegnose, di satire, di sottigliezze academiche, di buffonerie ".(3) Il Segneri ribadisce invece il carattere eminentemente pratico dell'eloquenza sacra, il suo essere indirizzata unicamente verso un docere per tendere al quale non fa bisogno di ricorrere ad un apparato di ornamenti retorici che avrebbero il risultato non solo di distogliere l'animo del fedele da quello che dev'essere il suo unico e autentico obiettivo, ma anche quello di confondere totalmente quest'ultimo, di velarlo dietro una fumosa cortina di parole, che riempiono (per poi essere subito dimenticate) le orecchie, lasciando freddi i cuori, sino a renderlo del tutto indiscernibile. Ecco allora l'annuncio della decisione di discostarsi dal costume ormai invalso di inserire nelle prediche, a puro scopo di abbellimento, citazioni dirette di autori classici, facendo ricorso unicamente a fonti bibliche e patristiche, e di attenersi il più fedelmente possibile al senso letterale delle Scritture, considerato il più vicino alla loro autentica essenza, rinunciando a tutte le ingegnose interpretazioni, sottili talora sino al limite della capziosità, " curiose sì, ma sregolate o stravolte, che di là passano a trionfar poi su' pergami, con applauso sensibilissimo benché ingiusto ",(4) a tutte le argomentazioni che, " a mirar bene, sono più vivaci che sode e più vaghe che sossistenti ",(5) facendosi in ciò simile a Cristo (a cui il predicatore viene spesso assimilato), " il quale mai non curò di tirare i popoli al Ciclo per altra strada che per la regia di ragioni veraci ".(6)

L'ideale stilistico e insieme fortemente etico di una prosa sacra nella quale la parola dell'uomo si faccia a tal punto tersa e trasparente, sin quasi ad annullarsi, da lasciar splendere in tutto il suo fulgore e la sua pienezza la luce abbagliante del verbo divino trova però una remora insuperabile proprio nel gusto e nella sensibilità del popolo, il quale ben poco apprezza l'aspetto severo e disadorno con il quale viene presentata una verità di per sé difficile da accettare e quasi scandalosa, " ripugnante al senso ",(7) come il Segneri scrive nel Cristiano instruito nella sua legge, una verità che trova il suo fondamento e il suo significato più profondo nella radicale negazione dei valori e dei piaceri mondani e che promette, a chi vorrà raggiungere la salvezza, una dura milizia, fatta di rinunce e sofferenze, sotto le insegne di Cristo, poiché " la virtù de' cristiani è una virtù di croce, di contradizione e di violenza usata agli appetiti ribelli ", così che " il regno de' cieli non si darà se non a chi l'ottiene a forza e l'espugna con l'arme in mano ".(8) La predicazione è dunque lo strumento privilegiato che dovrà servire a spingere il credente ad intraprendere questa ardua conquista, è la spada (F immagine, di origine biblica,(9) è del Segneri stesso) che dovrà essere tanto acuminata da poter penetrare nel cuore per infondere in esso la parola di salvezza e di redenzione. Tale opera da parte del sacerdote sarebbe però totalmente inutile se lo strumento di cui egli si serve non fosse adeguato alle esigenze di coloro ai quali è destinato, per cui la necessità di presentare la parola divina nella sua pura essenza non può non venire a patti, pur cedendo il meno possibile al suo rigore, con le regole della retorica e dell’ ornatus, sulle quali, intese come armi di persuasione e quindi di controllo sociale, tanto insisteva la dottrina gesuitica.(10) La dichiarazione stessa, contenuta nella premessa al Quaresimale, circa l'assenza di citazioni da fonti classiche, del resto, non poteva che suonare solo in parte veritiera, in quanto è sin troppo noto come il patrimonio letterario dell'antichità fosse utilizzato dai Gesuiti per lo più non in modo diretto, ma come deposito e repertorio di luoghi retorici e quindi con una funzione eminentemente tecnica, in conformità con quelle che erano state le indicazioni fornite, ad esempio, nella Bibliotheca selecta del Possevino circa l'uso dei testi classici e le precauzioni da adottare nella loro lettura, o con la generale impostazione metodologica dei manuali di retorica più diffusi nei collegi gesuitici," (11)così come, d'altra parte, la memoria di temi ed episodi appartenenti al patrimonio culturale e letterario della classicità è spesso ben presente, seppur occultata nelle pagine dell'opera. Il Segneri, dunque, nella premessa al Quaresimale, si trova costretto a mediare tra le opposte esigenze della fedeltà assoluta alla parola di Dio e del ricorso all'artificio da parte della parola umana per far sì che un discorso troppo severo e disadorno non generi noia e fastidio negli uditori, risultando totalmente inefficace e provocando un effetto altrettanto controproducente che uno sfoggio di eloquenza ridondante. Ha quindi dovuto, come ammette egli stesso, dedicare particolari cure all'" elocuzione ", distinguendo tra la lodevole e irrinunciabile semplicità e linearità stilistica e linguistica e la biasimevole trascuratezza e imperizia, "perché l'esperienza c'insegna che il parlar nitido a nessuno antico oratore scemò credenza, là dove l'imperito e l'inculto continuamente ingenera vilipendio ".(12) In questa sua cura per la forma dell'espressione, per la ricerca di un sobrio decoro che escluda ogni eccessiva ricercatezza e affettazione nella scelta dei vocaboli, l'autore si è sforzato di mantenersi " dentro i limiti di quella facilità sì difficultosa che rende il dire quasi simile ad un cammino, fiorito no, ma bensì agiato ed andante ",(13) dove l'uso della figura retorica dell'ossimoro diviene la cifra più evidente del difficile tentativo di conciliazione compiuto. La predica dovrà perciò risultare compatta da un punto di vista stilistico, unitaria e serrata nella struttura, in modo tale che tutte le sue parti concorrano funzionalmente al raggiungimento di quel " solido giovamento " che essa si pone per scopo, senza inutili e fuorvianti digressioni che indulgano al " diletto vano ",(14) ordinata secondo un climax che renda lo sviluppo delle argomentazioni sempre più serrato e stringente:

Vero è che sempre si dee tal causa andar dipoi promovendo di mano in mano con argomenti più forti, or accrescendo le ragioni a favore, or abbattendo le opposizioni che sono facili a sovvenire in contrario, affinchè in ultimo, con un perpetuo guadagno, i discorsi riescano come il torcolo, che quanto più cammina, tanto più strigne.(15)

La costante presenza di similitudini, come quella del " torcolo ", che punteggiano il discorso del Segneri finisce dunque per evidenziare come anche la più seria e risentita delle denunce contro la debordante invadenza della retorica e le degenerazioni, in particolare nel campo dell'oratoria sacra, dello stile concettoso, se intende raggiungere con successo il proprio bersaglio, debba inevitabilmente finire per servirsi della forza delle immagini e, quindi, venire a sua volta retoricamente concepita ed espressa. È dunque necessario che il religioso si faccia simile a quel " perfetto predicatore " che è Cristo anche nelle doti (che l'autore desume nel commentare un passo giovanneo) che egli deve possedere, tra cui quella del " dilettare ", sia pur finalizzata al " muovere " e all'" insegnare ":

Tre sono le doti richieste in un predicatore perch'egli sia non solo buono, ma ottimo: insegnare, muovere e dilettare. E queste tre sono quelle che di sé Cristo tacitamente qui insinua, mentr'egli dice: " Ego sum via, veritas et vita ", perché come via insegna, come verità muove, come vita diletta.(16)

Un discorso analogo viene svolto dal Segneri, e ancora a maggior ragione, nei due capitoli dedicati alla predicazione di quella sorta di trattato didattico sulla missione sacerdotale che è Il parroco istruito. I parroci ai quali il Segneri si rivolge sono per lo più quelli che si trovano in rapporto diretto con le masse misere e ignoranti delle campagne, ben conosciute - grazie all'esperienza delle missioni rurali, di cui le opere segneriane recano spesso traccia - dall'autore, che sa perfettamente, dunque, quali siano i mezzi più idonei per influire su di esse e determinarne l’orientamento morale. L'attenzione del Segneri si appunta decisamente sulla dispositio e sull'elocutio, rimandando, per quanto riguarda la scelta dei temi, che dovranno comunque essere o di ordine speculativo o di ordine pratico, ai " più laudevoli catechismi ".(17) Per ciò che concerne le materie speculative, il parroco non potrà esporle nella loro nudità concettuale, a pena di non venire capito e di vedere quindi vanificata la propria fatica, ma dovrà ricorrere a esempi e similitudini (con una funzione non dissimile da quella delle parabole evangeliche) che siano in grado di suggestionare la fantasia dell'uditorio in modo tale che anche concetti astratti di altrimenti difficile comprensione possano imprimersi nella mente dei fedeli:

Ho da avvertirvi che nell'esporre certe verità, utili ma sottili, non le portiate in astratto, perché il volerle insegnar così è un voler pascere la respirazione dì un aere così puro, così purgato che l'alito non vi regga. Pertanto, siccome nel valicare montagne altissime fa di mestieri per vivervi addensar l'aria con frequenti spugne bagnate, cosi con gli esempi, con le espressioni e con le simiglianze più popolari fa d'uopo che voi rendiate sensibili le istruzioni di tali cose intellettuali, che sempre al vostro popolo sarann' ardue e pure è necessarissimo che le sappia.(18)

Ancora una volta risulta evidente l'estremo pragmatismo del Segneri, che, comprendendo lucidamente la basilare funzione comunicativa svolta dalla predicazione, aliena da ogni gratuito sfoggio retorico, intuisce l'assoluta necessità di stabilire un rapporto dialettico con i propri destinatari, che si definisca di volta in volta, a seconda del variare dell'uditorio, con modalità diverse e specifiche. L'ornatus che qui si propone è puramente funzionale all'intento parenetico dell'orazione, non ha alcun fine esornativo né intende, attraverso l'uso di complessi artifici e figure, scatenare l'applauso che certifichi la bravura del predicatore. Le sue caratteristiche, al contrario, lo pongono sul livello di un'eloquenza umile, modesta, elementare, che intende adeguare il tono del discorso alla natura e alle necessità di chi lo ascolta, perseguendone la massima semplificazione mediante l'uso delle " espressioni " e delle " simiglianze più popolari ", un'eloquenza che, nella sua semplicità, ricalca quella di cui, parallelamente, si serve il Segneri stesso nel proprio trattato, volta anch'essa unicamente a facilitare il raggiungimento dello scopo che l'opera si prefigge, quello di istruire parroci, sovente dalla modesta preparazione culturale, ai quali, anche a costo di disgustare qualche uditore dal palato eccessivamente fine, " non si richiede un dire oratorio (più tosto disconverrebbe); si richiede un dire facile e familiare, qual è quel di padre a' figliuoli, né si richieggiono parole scelte, ma vive, quali son quelle che pone su la lingua un amor cordiale, di cui è proprio rendere anche facondo uno scilinguato ".(19)

È forse opportuno però, a questo punto, osservare come il modello retorico, apparentemente elementare, che il Segneri propone sia comunque pur sempre esemplato sulla cultura " alta " dei Gesuiti, anche nel momento in cui si prospetta di esso un abbassamento di livello dettato da esigenze specifiche e contingenti, come nel caso della raccolta delle massime popolari che viene suggerita al sacerdote, sorta di equivalente dell'operazione compiuta, su un piano intellettualmente assai più elevato, dall'oratoria gesuitica con lo sfruttamento della letteratura classica come deposito di topoi retorici:

Quando però ne' libri buoni incontrate di tali similitudini popolari, notatele a vostro prò, sì per averle pronte al bisogno e sì per abilitare la vostra mente a produrne di altre conformi ad esse.(20)

Se da un lato, dunque, il parroco sarà tenuto ad eliminare ogni eccessiva difficoltà di ordine concettuale, dall'altro, in particolare per quanto concerne la predicazione delle materie che più direttamente riguardano l'edificazione morale dei fedeli e tendono, quindi, ad avere influenza sulla loro vita quotidiana e i loro comportamenti, per dare la massima efficacia alla propria orazione dovrà, pur senza fare riferimenti troppo specifici a qualche singola persona, scendere dall'universale al particolare, ai dettagli che maggiormente possano toccare quello specifico uditorio al quale si sta rivolgendo, alle conseguenze concrete che ciascuno potrà applicare, in tal modo, al proprio singolo caso, così da giungere quasi - ciò a cui il Segneri annette una fondamentale importanza - a esercitare un vero e proprio controllo individuale sulle coscienze dei parrocchiani. Ed è per questo che il Segneri deplora l'abitudine di taluni parroci di invitare nei propri villaggi, nel periodo della quaresima, predicatori di professione, poiché essi, non conoscendo i fedeli, corrono il rischio, parlando in termini eccessivamente astratti e generali, di non essere compresi e, quindi, di fallire proprio in tale essenziale opera di controllo, mancando così il raggiungimento di quello che doveva essere il loro scopo primario.

Bisogna inoltre porre una particolare attenzione ad ogni accorgimento diretto a far sì che l'uditorio, già di per sé non certo particolar-mente propenso all'attenzione e al raccoglimento (e del cui comportamento durante l'omelia il Segneri fornisce una realistica descrizione, invitando il parroco a non adirarsi e a non inveire contro " chi attende poco, chi discorre, chi dorme, chi fa romore "),(21) non si annoi eccessivamente, avendo perciò cura di eliminare dalle prediche tutte quelle materie che potrebbero tediare o infastidire oltre misura gli ascoltatori, e badare che esse non risultino eccessivamente lunghe, per evitare che l'attenzione finisca per rivolgersi altrove. Non per questo, però, il predicatore dovrà astenersi dal ripetere frequentemente e con " santa importunità "(22) i dogmi e le verità basilari della fede, affinchè possano imprimersi più profondamente nella memoria, né, per quanto ciò possa risultare sgradevole e fastidioso, dal minacciare i fedeli, per il bene della loro salute spirituale, di castighi oltremondani e dal riprenderli aspramente per i loro peccati.

Il religioso deve dunque compiere ogni sforzo per assolvere nel modo migliore quella che è la parte essenziale della propria missione, comunicare agli altri la parola di Dio, e adempiere in tal modo a quel precetto " e positivo, e naturale, e divino "(23) che è la predicazione, l'importanza fondamentale della quale è uno degli argomenti sui quali il Segneri più frequentemente ritorna nelle sue opere (e non a caso ad esso dedica i primi due ragionamenti del Cristiano instruito). Dio, se volesse, avrebbe il potere di parlare direttamente all'animo di ciascun uomo, senza servirsi d'alcun intermediario e svelando il proprio verbo nella sua più immediata e abbagliante evidenza, nella sua assoluta e icastica purezza, ma ha invece deciso di affidare tale compito ai sacerdoti, che dovranno operare perciò una mediazione retorica tra le due lingue, quella di Dio e quella degli uomini, travestendo la prima di concetti tali che possano restituirla in tutta la sua pienezza. La Chiesa, in tal modo, perfeziona e fortifica l'anima umana, dissipando le tenebre dell'ignoranza che gravano su di essa, destinata altrimenti a cadere irrimediabilmente preda dei vizi e delle tentazioni, poiché " il vizio entra nell'anima per tante porte quanti sono i sensi, ma la virtù non v'entra se non per una porta sola, cioè per l'udito: e però, dove non si truovi chi parli bene, non si troverà né meno chi viva bene ".(24)

Il Segneri istituisce qui un rapporto di stretta dipendenza tra persuasione e comportamento, che rivela, oltre all'assoluta necessità di un controllo morale e sociale da parte delle autorità ecclesiastiche sulla comunità, una concezione profondamente pessimistica della natura del popolo che, schiavo dei propri sensi e delle proprie cieche e incontrollabili passioni, è totalmente incapace - di per se stesso - di discernimento e potrà quindi volgersi alla virtù non per qualità proprie, ma solamente perché indirizzatevi dalla predicazione (anche se, nel Parroco istruito, viene operata una distinzione tra le masse rurali e gli abitanti della città, i quali meno hanno bisogno di ascoltare la voce dei sacerdoti, poiché " non sogliono essere sì ignoranti di ciò che si appartiene al vivere cristiano, e più anche al credere ").(25) L'oratore sacro, pertanto, avrà la pesantissima responsabilità di trattare " le materie maggiori che sieno al mondo ",(26) e dovrà avvertire come un preciso dovere morale la ricerca, nelle sue omelie, del difficile equilibrio tra parola umana e parola divina, quella ricerca che ha contribuito ad attirare al Segneri, e in particolare al Segneri del Quaresimale, l'accusa (condivisa, tra gli altri, anche dal Croce) di tendere non verso un rinnovamento della prosa, ma alla sterile restaurazione di un classicismo cinquecentesco ormai tramontato e privo di vitalità.(27) Accusa perlomeno riduttiva, in quanto la preoccupazione del Segneri, in realtà, va ben oltre il mero aspetto stilistico, radicandosi in un più profondo sostrato ermeneutico, e nasce dal timore che la verità e la semplicità del dettato sacro possano smarrirsi irreparabilmente nei meandri della parola fatta figura retorica, una retorica realmente avvertita nella sua necessità come " frutto del peccato d'Adamo ",(28) timore che era già stato manifestato piuttosto esplicitamente anni prima, a proposito della poesia, dal Bartoli nell' Uomo di lettere difeso ed emendato, quando aveva constatato come, nell'irrefrenabile moltipllcarsi delle metafore e dei traslati, il valore originario della parola finisse inevitabilmente per smarrirsi in una foresta di sovrasensi, in una caleidoscopica rifrazione semantica che lo dissolveva in una miriade di svariate ed eterogenee significazioni.(29)

Il pericolo che si profilava all'orizzonte dell'oratoria sacra era quindi tanto più grave, dal momento che non più di " favole " e fantasie umane si trattava, ma della parola stessa di Dio, e che non più lo svago e la ricreazione erano in gioco, ma la salvezza spirituale, ed era implicitamente reso ancora maggiore dal fatto che ai rischi di natura strettamente morale e religiosa si accompagnavano quelli di una riduzione del potere di controllo sulle masse popolari e sui loro orientamenti, che la diminuita efficacia della predicazione inevitabilmente comportava. Ecco allora il senso profondo delle critiche rivolte agli altri predicatori e l'insistenza sull'esegesi letterale della Scrittura, non dettate da facile moralismo o da aridità e freddezza intellettuale, ma dalla lucida constatazione che ormai la parola stava finendo per prevaricare sul contenuto, il significante sul significato, il mezzo sul fine.(30)

Certo il Segneri espresse sempre le sue critiche con prudenza e moderazione, come è dimostrato dal secondo ragionamento della prima parte del Cristiano instruito, Donde avvenga che non sì cavi gran frutto della Parola di Dio, dedicato perlopiù a riprendere severamente l'atteggiamento distratto o indifferente degli uditori e la loro scarsa disponibilità a cogliere e fare proprio l'insegnamento morale impartito dalla predicazione, ma che non nasconde, nell'introdurre l'argomento, le gravi colpe che per tale situazione ricadono sugli oratori:

Io non nego che buona parte del poco frutto delle prediche possa talora provenire perché la parola divina non è più parola divina, ma umana, tanto è corrotta; e però, siccome l'acque minerali, per altro sì salutevoli, se si mescolano nel decorso coll'acque comuni non son più quelle, così la parola di Dio mescolata o, dirò meglio, profanata da un linguaggio tutto di terra, non è maraviglia se non fa quelle cure ch'ella è solita fare da chi la bee pura pura nella sua fonte. Qui habet sermonem meum, dice Dio, narret sermonem meum vere. Chi predica la mia parola, la predichi come mia, non come sua, spiegando le Scritture nel loro vero senso e non stiracchiandole con interpretazioni alterate.(31)

La limitazione di responsabilità implicita nell'" io non nego che " iniziale non attenua minimamente la severità del giudizio su coloro che, per amore del successo personale, non esitano ad imbrattare la parola divina col fango di quella umana, mistificandola, rendendola inintelligibile e vanificandone ogni effetto. Addirittura, prosegue il Segneri, questo pervertimento dell'oratoria sacra è stato "un'arte grandissima del demonio, affinché la semenza vitale della predicazione non pulluli più ne' cuori ", quel demonio che " procura di togliere alla predicazione quel principio di verità dove risiede tutta la forza, affinché non germogli e non dia mai frutto ".(32)

La voce del Segneri non era certo la sola a far risuonare parole di condanna contro la diffusione di tale costume, e i timori che egli esprimeva erano condivisi da tutti quei religiosi che vedevano in esso la causa principale della decadenza della predicazione. Il Bartoli, ad esempio, nell'Eternità consigliera, lamentava di come si vedessero ormai " i pulpiti fatti scene, le chiese teatri e la predicazione commedia ",(33) mentre un altro Gesuita come il Casalicchio abbandona anche quel minimo di prudenza che nel Cristiano instruito era stato usato. Nonostante la distanza che lo separa dalle rigorose premesse intellettuali del Segneri, data la propensione, che appare sin dal titolo della sua opera. L'utile col dolce, ad un tipo ammaestramento morale non disgiunto dal motto arguto di ascendenza novellistica, dalla facezia, dall'ironia, e che anzi proprio attraverso tali mezzi potesse essere più facilmente impartito, fino a ridursi e a richiamarsi talvolta alla semplice dimensione del buon senso quotidiano (tutto ciò che appunto il Segneri, nel nome della dignità e della gravita con cui dovevano essere trattate le materie di carattere sacro, esplicitamente respingeva), è infatti estremamente preciso e diretto:

Chi non sa che il mondo è perduto per mancamento de' ministri della parola di Dio, i quali in luogo di frangere panem parvulis, lor danno a mangiare paglia di certe parole affettate, di concetti i quali, perché sono sconnessi in ordine al fine che si pretende di convertir l'anime a Dio, forse si chiamano spezzati, di descrizioni tutte intente a descrivere exercite la lor bella memoria et insieme il lor poco giudizio, e signate, verbi gratia, la coda del cavallo, la nascente aurora, il pavone e simili, empiendo l'orecchio di chi sente di parole poco utili e lasciando il cuore digiuno del santo verbo di Dio.(34)

Sono parole, queste, non dissimili da quelle usate dal Segneri (analogia rimarcata dalla ricorrenza dell'espressione biblica del frangere panem parvulis, desunto da Lam. 4, 4, che già compare, citata letteralmente, nella premessa al Cristiano instruito),(35) che individuano lucidamente il male che mina l'eloquenza sacra contemporanea nel passivo e colpevole accoglimento di tutte quelle immagini e quei topoi (come il pavone e la nascente aurora) tanto cari al concettismo e così diffusi nella letteratura e nella poesia contemporanee.(36) La parola divina è ormai ricoperta, incrostata da tali scorie, prosegue il Casalicchio, al punto che la sua fisionomia non è quasi più riconoscibile:

Questo è il male d'oggidì (sempre parlando con riverenza de' predicatori apostolici), che non si predica più la parola di Dio, e se questa si predica, si veste con tante sopravesti di vanità, d'ingegnosi bischizzi e modi di dire affettati, di belli paralleli, di figure rettoriche, di fiori di e-loquenza, di tirate longhissime di memoria. Insomma, esce dalla lor bocca mescolata con tanta vanità di dire che più non la conoscete s'è parola divina o poetica, se dire sacro o profano, se è parola di predicatore o di vano e superbo dicitore, se di uomo che cerca la gloria di Dio o la sua medesima, verificandosi ad litteram ch'eglino siano i chiamati dal gran Predicatore delle genti adulterantes verbum dei [2 Cor. 2, 17, e 4, 2], e che come tali in luogo di riprendere adulano, invece di muovere il cuore a chi l'ascolta a fare un atto di contrizione e dire: " Oh, come ho fatto male! " gli muovono solo a fargli applauso et a dire: " Oh, come ha detto bene il predicatore, che bella lingua tosca, che bella memoria, che bel passare che fa da una lingua all'altra! "(37)

È estremamente grave, dunque, il pensare di poter impunemente mescolare, per amore della gloria personale e per vano compiacimento della propria abilità oratoria, letteratura ed eloquenza sacra, poiché ciò significa mettere a repentaglio, per il più futile dei motivi, la salute dell'anima di coloro che Dio ha affidato alla cura spirituale del sacerdote, non rendersi conto che l'uomo è perennemente in bilico tra la salvezza e la dannazione, e basta un nulla, un'inezia, a far imboccare l’una piuttosto che l'altra via, come il Segneri mostra nella predica XXI del Quaresimale: " L'udire o '1 non udire una predica, il leggere o '1 non leggere un libro, il parlare o '1 non parlare con una persona, l'andare o '1 non andare a una veglia può esser quello che o c'incammini al Cielo, o c'incammini all'inferno ".(38)

In nessun modo, pertanto, con una posta in gioco così alta come il destino escatologico dell'individuo, si potrà pensare di affidare l'efficacia di quel fondamentale strumento di persuasione e di salvezza che è la predica unicamente alla forza di suggestione che può esercitare su persone più o meno incolte un discorso ricco di immagini e figure elaborate sovente fino ai limiti della stranezza e a tratti anche fascinose, ma destinate comunque, per la loro scarsa comprensibilità, a non rimanere infisse nel cuore e nell'intelletto. Il tentativo del Segneri sarà dunque quello di inserire la potenza suggestiva che indubbiamente le sue prediche possiedono all'interno di un impianto rigoroso, lucidamente costruito, dominato da un sottile intellettualismo che riconduce le immagini e le figure retoriche (impedendo la loro degenerazione verso gli esiti più bizzarri) sotto il controllo di una logica indefettibile che si propone di trasmettere all'uditorio una serie di verità di fede percepibili come verità assolutamente razionali, e, quindi, razionalmente persuasibili (e basti pensare, a questo proposito, al ragionamento Sopra la fede del Cristiano instruito}., in modo tale che il rispetto di esse appaia come un qualcosa di perfettamente ovvio e naturale,(39) e la trasgressione un venir meno ai dettami della ragione, quella ragione in cui, come il Segneri scrive nella dichiarazione proemiale a La manna dell'anima, la parola divina trova la sua conferma e " consonanza ".(40)

Il discorso del Segneri riguardo alla predicazione subisce però parziali correzioni quando la destinazione di quest'ultima e della retorica che ne costituisce l'ossatura non sia più eminentemente orale, quando cioè il medium non sia più la parola e la gestualità dell'oratore sacro, ma la pagina scritta. Se le prediche del Quaresimale, come dice l'autore, pur con una certa affettazione di modestia, furono pubblicate " tali appunto quai furono da me dette, senza veruna alterazion dipoi fattavi, almeno considerabile, per la stampa, o sia nell’abbellirle, o sia nell'accrescerle "(41) (e non ci è dato in effetti di dubitare che le modifiche subite da tali prediche al momento della pubblicazione siano state realmente minime), e se viene ribadita in questo caso, data la loro originaria destinazione, la preminenza delle modalità della comunicazione orale, con le sue particolari caratteristiche, su quelle della comunicazione scritta, in quanto " quantunque sappia ancor io molto bene che l'orecchio e l'occhio son giudici diversissimi, contuttociò non so intendere come l'occhio non sia tenuto a deporre assai dell'innata severità qualora incontrisi in ciò ch'è fatto per sottoporre principalmente all'orecchio, censore men avveduto e cosi men aspro ",(42) tuttavia in un'opera destinata invece alla lettura e rivolta, per stessa dichiarazione dell'autore, a un destinatario mediamente colto come Il Cristiano instruito l'ornatus non può non assumere una ben diversa funzione, oltre a rivestire una maggiore importanza.

Se, evidentemente, la parola scritta deve possedere un decoro ben più elevato di quella orale, allora l'opera - pur nel suo fine eminentemente pratico (e sostanzialmente analogo a quello delle prediche del Quaresimale) di fornire al cristiano ammaestramenti riguardanti, in modo particolare, il suo comportamento e i suoi costumi, e pur ribadendo, nella scelta di vocaboli " piani e propri ",(43) la volontà di privilegiare ancora una volta la capacità del discorso di giungere al proprio scopo rispetto al suo ornamento esteriore - dovrà comunque essere composta in uno stile " se non illustre [...], almanco non ignudo di ogni abito e di ogni arredo che alletti i guardi ".(44) Ecco, è lo sguardo che qui entra in gioco, non più l'orecchio, e lo sguardo va allettato: se l'elocuzione, dice Segneri con sant'Agostino, è una chiave, certo l'importante è che apra la porta a cui è destinata, indipendentemente dal materiale di cui è fatta, ma se ci si troverà a poter scegliere tra una chiave di ferro e una d'oro, entrambe ugualmente funzionali, allora " nessun si ritroverà che a qualunque chiave di ferro non anteponga la chiave d'oro "(45) (ed è piuttosto significativo, da questo punto di vista, il non infrequente ricorso, nel Cristiano instruito, non solo a citazioni di autori classici, respinte invece nel Quaresimale, ma anche, seppure in misura assai più limitata, a quelle di autori moderni).

Non si deve però pensare che la necessità di " allettare i guardi " derivi semplicemente da un desiderio di compiacere anche i sensi del lettore, oltre ad edificarne lo spirito: essa, anzi, nasce da una ben più profonda motivazione, intrinsecamente connessa alla natura stessa del testo scritto e alle peculiari modalità della sua percezione da parte del lettore. In esso, infatti, non possono essere sfruttate tutte quelle risorse dell 'actio e della pronunciatio sulla cui fondamentale importanza ai fini della persuasione tanto insistè la didattica dei Gesuiti, dai quali furono curate e perfezionate a tal punto da giungere a stabilire una sorta di autentica osmosi con le tecniche di recitazione teatrale(46)

È da considerare che non si è potuto in questi ragionamenti scuotere , l'uditorio con figure, con interrogazioni, con ironie, con reticenze e con o." altre simili mutazioni di scena e quasi di personaggio abili da se stesse , a tenerlo desto, come si fa nelle prediche di eloquenza.(47)

Per ottenere tale risultato, ecco allora il bisogno di ricorrere a una più profonda e articolata elaborazione retorica del discorso, che dovrà svolgere una funzione analoga a quella dell' actio e della pronunciatio nella predica, al sostegno che si può trarre " dalle similitudini, dagli esempi, dalle erudizieni e da altre sì fatte curiosità che adulando la fantasia fanno che l'intelletto si lasci poi da lei tenere come legato ad udire in grazia di essa la verità, la quale troppo riuscirebbegli ancora più volte odiosa se non gli venisse dinanzi in vestito adorno ".(48) A maggior ragione, naturalmente, la pagina scritta dovrà rispondere a quel lucido dettato logico, a quello stringente procedere argomentativo che già avrebbero dovuto costituire la struttura portante del discorso parlato, ma che all'interno di esso non potevano non venire almeno in parte compromessi (sia pure a vantaggio dell'immediata efficacia della comunicazione) dai " tuoni propi del pergamo ",(49) da quell' inevitabile enfasi e concitazione alla quale il predicatore è costretto a improntare la propria orazione. Lo scritto favorisce invece la lenta lettura, e con essa la meditazione, il raccoglimento, quella lunga e continuata rielaborazione interiore della parola divina che il Segneri raccomanda nella Manna dell'anima,(50) e, quindi, anche in considerazione del particolare tipo di pubblico a cui è rivolto, potrà, con i suoi toni pacati e pur convincenti, far leva ancora di più sulla persuasione razionale, sull'argomentazione logica e lineare, rinunciando in parte a quella carica di suggestione, a quei toni altisonanti caratteristici della predicazione. Chi dorme, dice il Segneri, potrà sì essere destato con lo strepito, ma, assai meglio, con la luce: " e questa è quella maniera che si è desiderato ancor di tenere su queste carte: risvegliare chi dorme nel suo peccato, ma risvegliarlo a forza di puro lume che a lui si mostri, non di fracasso ".(51) E maggior giovamento - scrive nel fervore antilibertino dell' Incredulo senza scusa - apporteranno nel persuadere della superiorità e dell'autenticità del credo cattolico gli scrittori sacri che i predicatori, " attesoché quelle ragioni dotte che son le proprie di sì giovevole tema molto meglio si apprendono a vista fissa che ad udito fuggente, onde nessuno vi sarà che in leggendole non ne divenga più facilmente padrone che in ascoltandole poco men che di furto ",(52) ed è per questo motivo che gran merito va a coloro che composero testi di carattere religioso " in lingua materna, perché chi non era atto ad apprenderli dalle estranee (quale per molti nel Lazio stesso può correre la latina), gli apprendesse dalla dimestica ".(53)

Nonostante ciò, però, la circolazione dei testi scritti rimane necessariamente limitata a una cerchia piuttosto ristretta di fedeli, per cui i predicatori potranno più utilmente servirsene come una sorta di deposito di spunti e materiali da usare, semplificandoli e rendendoli accessibili a tutti, nelle loro prediche, dando loro quella vividezza e quella capacità di far presa su più ampi strati di popolazione che solo la parola pronunciata può conferire:

In ogni caso che non dimorasse quest'opera in altre mani, spero che non sarà ella mai ributtata da quelle di molti fervidi missionari, i quali, come fra tutti i predicatori van provveduti di zelo sommo nel dire, evangelizant virtute multa [Sal., 67, 12], così non si rimarranno mai dalla tiepidezza di questi ragionamenti a non gli aver cari, tanto ben eglino li sapranno avvivare col loro fiato, quasi languidi tizzi, in accese faci.(54)

Nessuna capacità oratoria o stilistica, però (e sarebbe inammissibile peccato di superbia il pensarlo), potrà mai possedere la menoma efficacia se non sarà sostenuta dall'aiuto operante e decisivo della grazia divina. Il mondo è stato già redento dal Cristo, dice il Segneri nella Manna dell'anima (55) e non lo è certo dal predicatore, al quale altro non resta da fare che esortare gli uomini a seguire una via già tracciata. Quello di curare le anime è, ribadisce nel Parroco istruito, compito di Dio, non del sacerdote, suo semplice strumento, così come è la voce di Dio che opera la conversione, non la voce dell'uomo.(56) Questo severo richiamo all'umiltà della missione sacerdotale è complementare al sentimento di una profonda e intrinseca debolezza e insufficienza della parola umana quando essa non sia sostenuta dalla grazia, di una sua radicale mancanza di ogni autentico fondamento ontologico, di ogni legame profondo e necessario con una verità ultima e inconfutabile, tanto che il predicatore non dovrà in alcun modo confidare nella forza di essa:

Quantunque sia vostro debito il procurare più che si può quelle doti che vi rendano abile a dir con frutto, contuttociò non avete da collocare in esse una minima confidenza, siccome fanno i dicitori profani, ma l'avete da mettere tutta in Dio, adoperando anche voi le industrie umane bensì fino a segno giusto di eloquenza e di erudiziene, ma solamente quali condizioni da Dio volute al conseguimento del fine, non mai quali cagioni da sé bastevoli a conseguirlo.(57)

Ancora una volta ritorna l'ammonizione contro un'oratoria vana e fine a se stessa, a difesa della quale non può certamente essere addotta l'autorità degli antichi, in quanto i campi d'azione e gli scopi dell'oratoria sacra e di quella profana non potrebbero divergere in modo più netto. Se una lunghissima tradizione retorica ha fatto sì che si potesse riporre una fiducia pressoché assoluta nelle capacità di persuasione possedute dagli strumenti sempre più affinati da essa messi a punto, ciò è dovuto al fatto che la verità di cui occorreva persuadere gli altri era semplicemente una verità contingente e calata nel mondo della storia, una fra le tante verità possibili, parziali e sempre passibili di contraddizione, come ben la poetica e l'estetica del Barocco insegnavano, e non la Verità assoluta e definitiva che la parola divina, attraverso la voce del predicatore, pronuncia una volta per tutte:

II fine de' dicitori profani è persuader cose tutte che non trascendono l'ordine naturale, come sarebbono assolvere un reo da morte o dannarvelo, sedare un tumulto, sborsare un tributo, conchiudere un'alleanza, e però non è da stupire se quelli tanto si fondino su' precetti della loro arte. Il fine dei dicitori sacri, all'incontro, è persuader tutte cose trascendentissime, come sono le massime della fede, non pure incognite ai sensi, ma fin opposte.(58)

Il sacerdote dovrà quindi implorare la grazia divina, affinchè essa, se la predica è una spada temprata dalla perizia retorica, divenga ciò che a questa spada da la forza di colpire:

Conviene che l'industria del sacerdote vi contribuisca dal canto suo sì la scelta delle materie e sì la maniera di esporle, che è la tempera della spada, e conviene che la grazia vi aggiunga la sua virtù, imprimendo altamente nel cuore degli uditori quelle verità che da sé sole non passerebbono punto di là dagli orecchi: e questa è la forza del braccio.(59)

Dio, in questo modo, rende divina la parola umana stessa, riscattandola dalla propria fragilità e donandole un'inimmaginabile forza, capace di fare breccia anche nelle anime più inveterate nel peccato. È come se due predicatori parlassero nello stesso momento, " uno esterno, che parla all'orecchie, e l'altro interno, che parla al cuore. Se Dio non parlasse al cuore, potrebbono bensì gli uomini far remore, ma non potrebbono già far colpo ",(60) e il vuoto " romore " delle parole umane, se non sostenuto dalla grazia, correrebbe inevitabilmente il rischio di ogni altro genere di comunicazione, quello di vedere il proprio autentico senso distorto e frainteso dalle passioni alberganti nell'animo:

Oh, che zeffiro salutevole ch'è la grazia dello Spirito Santo! Essa è che porta a' nostri cuori le parole della predicazione, ed essa è che, purificando i cuori medesimi, fa che le parole tali ricevami quali sono, senza che vengano alterate in noi dagli affetti mal regolati.(61)

È un'insufficienza, quella della parola, che si rivela anche nella costante necessità da parte del predicatore - per poter essere credibile e costituire un esempio di virtù per i fedeli, infervorandoli di passione religiosa - di conformare la propria vita al proprio parlare. In caso contrario sarebbe come se i fatti stessi infirmassero quella dottrina celebrata con le parole, parole che resterebbero solamente tali, prive di ogni carattere di autenticità, di ogni interna luce, parole che altre parole potrebbero contraddire e confutare:

Alle parole v'è replica, v'è risposta, all'esempio non ve n'è niuna, perché le parole, quando sieno ancora fondate in ragioni dotte, pruovano al più che dee farsi ciò che si predica; l'esempio pruova non solo che dee farsi, ma che si può.(62)

Vi è pertanto una tensione continua, che il Segneri non si stanca mai di sottolineare, tra la parola e l'azione, tra la verità, che dev'essere comprovata anche dai fatti, e la retorica, di per sé vana, quando non colpevole e menzognera, tra la teoria che si può acquisire sui libri e il concreto possesso di quelle doti spirituali che si vorrebbero trasmettere agli altri, una tensione che potrà sciogliersi solamente nel momento in cui si realizzerà nel proprio intimo una perfetta e armonica concordia tra una vita e un linguaggio illuminati dalla grazia, comprendendo allora che tutte le formule della retorica, tutti i precetti dell'oratoria sono destinati a vanificarsi, ad annullarsi di fronte alla più umile e alla più semplice delle preghiere:

Perché non puoi tu pregar per quei travviati medesimi, e ottenere da Dio la lor riduzione? Questo è il modo di ridurli più certo, se non è parimente il più meritorio. Perché chi tratta la conversione co' peccatori bene spesso fatica invano, chi la tratta con Dio secondo le leggi debite, l'ottiene sempre.(63)

La parola umana, nel suo vano orgoglio, cede definitivamente il passo a quella divina; quella luce che essa inevitabilmente offuscava è finalmente libera di rifulgere pienamente nel raccoglimento della preghiera.

FULVIO PEVERE
Dott. di Ricerca, Università di Torino

NOTE

1 - Paolo Segneri, Quaresimale, Firenze, Sabatini, 1679, c. 7, n.n.

2 - Daniello Bartoli, Dell'eternità consigliera, parte I, Torino, Marietti, 1835, p. 53.

3 - Ibidem, p. 51.

4 - Paolo Segneri, Quaresimale, cit., c. 8, n.n.

5 - Ibidem, c. 9, n.n.

6 - Ibidem.

7 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte III Firenze, Stamperia di S.A.S., 1686, p. 479.

8 - Ibidem,

9 - L'immagine della predicazione come spada ricorre in vari passi della Bibbia, e in particolare nelle lettere paoline; nel caso specifico, Segneri potrebbe aver pensato a Ebr. 4, 12: " Vivus est enim Dei sermo et efficax et penetrabilior orimi gladio ancipiti ".

10 - Su tale argomento cfr. Gian Mario Anselmi, Per un'archeologia della " Ratio ": dalla "pedagogia " al " governo ", in La " Ratio studiorum ". Modelli culturali e pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, a cura di Gian Paolo Brizzì, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 11-42.

11 - Sulla Bibliotheca selecta del Possevino e sui manuali di retorica in uso nei collegi gesuitici cfr. rispettivamente Albano Biondi, La " Bibliotheca selecta " di Antonio Possevino. Un progetto di egemonia culturale, e Andrea Battistini, / manuali di retorica dei Gesuiti, entrambi in La " Ratio studio-rum ". Modelli culturali e pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, cit., pp. 43-75 e 77-120.

12 - Paolo Segneri, Quaresimale, cit.,c. 10, n.n.

13 - Ibidem.

14 - Ibidem, c. 11, n.n.

15 - Ibidem.

16 - Paolo Segneri, La manna dell'anima, in Opere, tomo I, Venezia, Baglioni, 1773, p. 147.

17 - Paolo Segneri, II parroco istruito, Firenze, Stamperia di S.A.S., 1692, p. 106.

18 - Ibidem.

19 - Ibidem, p. 97.

20 - Ibidem, pp. 108-09.

21 - Ibidem,?. SS.

22 - Ibidem. 116.

23 - Ibidem, p. 93.

24 - Paolo Segneri, Il cristiano instmitó nella sua legge, parte II, cit, p. 25.

25 - Paolo Segneri, Il Parroco istruito, cit., pp. 99-100.

26 - Paolo Segneri, Quaresimale, cit, e. 10, n.n.

27 - II Croce, nella Storia dell'età barocca in Italia, Bari, Laterza, 1929, imputa al Segneri di aver in realtà attuato nel campo dell'oratoria sacra una " restaurazione di superficie, simile a quella onde alla prosa barocca sì sostituiva la prosa di tradizione cinquecentesca" (p. 438). Di Benedetto Croce cfh anche I predicatori italiani del Seicento e il gusto spagnuolo, in Saggi sulla letteratura italiana del Seicento,Bari, Laterza, 1948 (3), pp. 155-81.

28 - Andrea Battistini e Ezio Raimondi, Le figure della retorica, Torino, Einaudi, 1990, p. 175.

29 - Su questo punto cfr. almeno le osservazioni formulate in Ezio Raimondi, Polemica intorno alla prosa barocca, in Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano, Firenze, Olschki, 1961, pp. 175-248.

30 - Non va dimenticato, a questo proposito, che la polemica segneriana si rivolge, oltre che contro la moda del concettismo, anche contro quegli esperimenti di " illusionismo sintattico " prediletti da un certo numero di predicatori, che giungono a stravolgere la struttura grammaticale tradizionale del discorso, analizzati da Giovanni Pozzi, sulla base del Quaresimale dell'Orchi, in Saggio sullo stile dell'oratoria sacra nel Seicento esemplificata sul padre Emmanuele Orchi, Roma, histitutum Historicum ord. fr. min. cap., 1954.

31 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte I, cit, p. 14. La citazione che compare in questo passo è tratta da Ger. 23, 28, che recita letteralmente: " Propheta qui habet somnium narret somnium et qui habet sermonem meum loquatur sermonem meum vere "; con tutta probabilità, il narret della prima parte del versetto originale è stato usato dal Segneri al posto di loquatur per un semplice automatismo mnemonico.

32 - Ibidem.

33 - Daniello Bartoli, Dell'eternità consigliera, parte I, cit., p. 53.

34 - Carlo Casalicchio, L'utile col dolce, Venezia, Baglioni, 1723, p. 13.

35 - Cfr. Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte I, cit, e. 8, n.n.: " Doppio potrà dunque essere l'uso di queste carte, se nulla vagliono. L'uno sarà quando il sacerdote, leggendole da sé prima con attenzione, non si sdegnerà di riempirsi la memoria e la mente di quelle verità che gli somministri il ragionamento a luì grato per poterle poi, quale spugna ben inzuppata, versar con lieve fatica sull'uditorio. E questo primo uso sarà il migliore. L'altro, non affatto disutile, sarà pure quando egli dall'altare legga alcun punto del ragionamento suddetto e lo dilati e lo dichiari e lo renda sempre più intelligibile ai men capaci. Il legger solo dall'altare il discorso, senza spiegarlo, sarebbe dare il pane a quei miserelli, ma darlo intero, con inasprire però sugli occhi le lagrime a chi si lagna che i figliuoletti nelle chiese oggigiorno, se pure han pane, non hanno chi lo sminuzzi. Parvuli petierunt panem, et non erat qui frangerei eis ".

36 - II Bartoli ha buon gioco a esercitare la propria ironia, bonaria solo in apparenza, su questa commistione tra letteratura sacra e profana nella descrizione di quelle prediche " tutte divisate a una medesima foggia, tutte stampate con un medesimo conio ", alla cui composizione attendono oratori che, per pigrizia e mancanza d'ingegno, rubano le descrizioni " da poeti, da romanzi, da discorsi academici, de' quali se ne han su la tavola le cataste; e questi sono i Basilj, i Nazianzeni, i Girolami, i Crisostomi, gli Agostini. Or l'arte e l'ingegno starà in trasformare o almen travestire queste descrizioni, tal che quella che nel poeta è una Venere, diventi nella predica una Maddalena [...]. Apparecchiate le descrizioni, seguirà appresso il trovare un paio d'imprese, o d'emblemi di peregrina invenzione, che spiegandole, aprano all'ingegno campo da pompeggiare e agl'intendenti porgano materia di diletto. E se ben di loro prima origine fossero in fatti d'amore, non per ciò si lascino, che diversamente appropriandole, il cavaliere che levò l'impresa si farà che sia Cristo, e la dama oggetto de' suoi desideri l'anima [...]. Finalmente v'hanno ad essere tre o quattro paradossi, che a prima giunta paiano eresie, ma poi dichiarandosi, a poco a poco si scuoprano esser mister] [...]. Così apparecchiata la materia, ella si ordina, intrecciando l'una cosa con l'altra, perché se la novità cagiona maraviglia, la varietà renda diletto: e se n'esprime ciascuna col più florido e concettoso dir che si possa, a continue metafore trasportate da più lontano che i mondi che sognava Democrito " (Daniello Bartoli, Dell'eternità consigliera, parte I, cit, pp. 69-70).

37 - Carlo Casalicchio, L'utile col dolce, cit., p. 14.

38 - Paolo Segneri, Quaresimale., cit., pp. 250-51.

39 - Circa la propensione del Segneri alla disamina razionale delle verità della fede, che si colloca nel più vasto ambito della tendenza gesuitica a sottoporre al controllo dell'intelletto anche ogni apparente, limitato abbandono all'esercizio della fantasia e della suggestione, cfr. Mario Scotti, Introduzione a Daniello Bartoli e Paolo Segneri, Prose scelte, Torino, UTET, 1967, e Id., Paolo Segneri, in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di Vittore Branca, vol. IV, Torino, UTET, 19862, pp. 153-55. Sempre sull'" intellettualismo " segneriano cfr. ancora Giulio Marzot, Un classico della Controriforma: Paolo Segneri, Palermo, G.B. Palumbo, 1950.

40 - Cfr. Paolo Segneri, La manna dell'anima, cit, p. 5.

41 - Paolo Segneri, Quaresimale, cit., e. 12, n.n.

42 - Ibidem,

43 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte I, cit, e. 13, n.n.

44 - Ibidem.

45 - Ibidem.

46 - Sul rapporto tra retorica e teatro gesuitico cfr. Andrea Battistini, I manuali di retorica dei Gesuiti, cit. Sul teatro dei Gesuiti come strumento pedagogico e come elemento integrante del progetto di egemonia culturale perseguito dall'ordine, inoltre, cfr. almeno Gian Paolo Brizzi, La formazione della classe dirigente nel Sei-Settecento, Bologna, II Mulino, 1976, in par-tic, le pp. 248-52 e la vasta bibliografia citata, oltre a Mare Fumaroli, Le " Crispus " et la " Flavia " du P. Bernardino Stefonio, s.j. Contribution a l'histoire du théàtre au Collegio Romano (1597-1628), in Les Fétes de la Renaissance, tomo III, " Colloque intemational d'études humanistes, Tours, 10-22 Juillet 1972 ", Paris, C.N.R.S., 1975, pp. 505-24, e a Id., Une pedagogie de la Parole: les " Progymnasmata latinitatis " du P. Jacobus Pontanus, in Acta conventus neo-latini amstelodamensis. Proceedings of thè Second International Congress ofNeo-latin Studies. Amsterdam, 19-24 August 1973, Munich, W. Fink, 1979, pp. 410-25. Entrambi i saggi sono stati tradotti in italiano, col titolo Il " Crispus " e la " Flavia " di Bernardino Stefonio e I " Progymnasmata " di Giacomo Fontano, in Marc Furnaroli, Eroi e oratori. Retorica e drammaturgia secentesche, Bologna, II Mulino, 1990, rispettivamente alle pp. 197-232 e 233-47. Fondamentale su questo argomento è infine I Gesuiti e i primardi del teatro barocco in Europa. Atti del XVIÌl Convegno Internazionale organizzato dal Centro Studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale (Roma-Anagni, 26-30 ottobre 1994), a cura di Maria Chiabò e Federico Doglio, Roma, Torre d'Orfeo, 1995.

47 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte I, cit., c. 13, n.n.

48 - Ibidem, cc. 13-14, n.n.

49 - Ibidem, c. 14, n.n.

50 - Cfr. Paolo Segneri, La manna dell'anima, cit, pp. 5-6.

51 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte I, cit., c. 14, n.n.

52 - Paolo Segneri, L'incredulo senza scusa, Venezia, Baglioni, 1690, p. 5.

53 - Ibidem.

54 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito netta sua legge, parte I, cit.,c. 15, n.n.

55 - Cfr. Paolo Segneri, La manna dell'anima, cit., p. 213.

56 - Cfr. Paolo Segneri, II parroco istruito, cit., p. 90.

57 - Ibidem, pp. 117-18.

58 - Ibidem, p. 118.

59 - Ibidem, p. 105.

60 - Paolo Segneri, Il cristiano instruito nella sua legge, parte I, p. 10

61 - Ibidem.

62 - Paolo Segneri, Prediche dette nel Palazzo Apostolico, Venezia, Agnelli, 1694, p. 36.

63 - Paolo Segneri, La manna dell'anima, cit., p. 599.








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