Permettete che rievochi, a me e a voi, il mio primo incontro con Paolo Segneri. Avevo tra i quattordici e i quindici anni, e studiavo nel Venerabile Seminario Abbaziale di Nonantola, frequentando la quarta ginnasiale. Mi venne fra le mani il volume Esempi di bello scrivere in prosa ed in poesia di Luigi Fornaciari, notissimo in quel tempo. M'imbattei nell'esordio celeberrimo della predica sul Paradiso del Segneri, predica X del Quaresimale. Ne rimasi entusiasta e la lessi e rilessi varie volte.
Qualche giorno dopo, in classe, nei minuti d'intervallo tra le lezioni di italiano e di greco, cercando di superare il vociare dei compagni, montai su un banco ed incominciai a gridare: " Al cielo, al cielo, fedeli miei divotissimi, al cielo, al cielo. Evvi alcuno tra voi, il qual sia vago di ascendere a tanta gloria? Che più curarci di questa valle di pianto? " (intanto si era fatto un silenzio sovrano). " Qui dovunque ci rivolgiamo, non udiam altro che singhiozzi, che strida; non vediam altro che malvagità, che miserie. Si duole il ricco del povero, il povero del ricco, il servo del padrone, il padrone del servo; [...] ".
In quel momento s'aperse la porta dell'aula, e comparve, signorile, cinquantenne, col volto dotto e sereno, il professore di greco. Tutti ritornarono ai loro posti, io discesi dal pulpito e tacqui, in attesa di qualche tempesta. Invece, sommessa, chiara, ben pronunciata, s'udì la voce del mons., cav. grand'ufficiale, canonico, professore Augusto Corradi: " [...] e niun vive pienamente contento della sua sorte. È bella Rachele, verissimo; ma si afflìgge di non esser feconda siccome è Lia. È feconda Lia, ma si accuora di non essere bella com'è Rachele. Possiede Naman copiose ricchezze; ma che gli vagliono, se schifosa lebbra il ricuopre? È potente Augusto, ma non ha successione: è temuto Tiberio, ma non ha amici ". Percorso il breve tratto tra i banchi, salì sulla cattedra antica, sedette e continuava: " E neppur quel poco di bene che in terra godesi, si può possedere con pace. Insidiano alla potenza de' principi i ribelli con le armi; alla quiete de' favoriti i cortigiani con le persecuzioni; E continuò, a memoria, senza errare una sillaba, fino alla fine dell'esordio sul Paradiso: " Attendete, e vedrete quant'io promettami non dalla forza del dire, ma dalla grandezza dell'argomento ".(1) Poi, a noi attoniti, esaltò il Segneri, il suo stile, la sua oratoria vigorosa, la sua efficacia eloquentissima; parlò della sua vita, del suo tempo, dei suoi studi, delle sue opere, e per un'ora intera, lasciato da parte il greco, udimmo l'apologia del Segneri, altrettanto perfetta che improvvisata.
Mons. Augusto Corradi era di una cultura formidabile: all'Università di Bologna Giovanni Pascoli gli aveva detto: " Se tu non avessi quest'abito " (e accennò all'abito ecclesiastico) " mi potresti succedere alla cattedra ".
Questo fu il mio primo incontro col Segneri. Veniamo ora al tema del mio intervento: Paolo Segneri, il grande apologeta. Io lo chiamo grande apologeta, perché, mi sembra, egli lo è sempre: non soltanto, come nell' Incredulo senza scusa - opera certamente e direttamente in difesa della fede - ma anche in tutte le altre opere. La ragione è questa: Paolo Segneri, di qualsiasi argomento scriva, è apologeta in quanto la sua stessa scrittura è talmente chiara, evidente, efficace, che non solo difende ciò che scrive, ma lo rende accettabile per la luce, spesso abbagliante, con cui si esprime. Nell'introduzione di quella mirabile opera, IlCristiano istruito nella sua legge, miniera d'oro teologico e morale, dice, acutamente, che vi sono due modi di risvegliare chi dorme, ossia due modi di fare apologetica:
[...] due maniere vi sono, se ben si guarda, a destar chi dorme. Una è lo strepito, che è la maniera tenuta da i Camerieri già di Oloferne, quando essi credendolo addormentato nel padiglione, mentre era morto, gli stavano sulla soglia eccitando ad arte un'insolito romorio. Ante ingressum cubiculi perstrepentes, excitandi gratia, inqitietudinem arte moliebantur, ut non ab exultantibus, sed a sonantibus Holofernes evigilaret [Iudith 14, 9]. L'altra maniera da destare chi dorme (migliore forse dello strepito) è il lume, il quale, se ci entri in camera vivo vivo, con una somma soavità ci risveglia. Questa fu la maniera, che tenne l'Angelo a trar dal sonno San Pietro nella prigione: colmargliela di una luce inaspettatissima, è [sic] così obbligarlo a destarsi.(2)
Ora il Segneri, in ogni sua opera, anche in quella mirabile opera di meditazioni quotidiane su un testo biblico, La manna dall'anima, è facilmente illuminante nel modo in cui insieme propone e difende la verità che dice: la illumina con tale chiarezza, che non la si può contraddire, arte somma degli apologeti. Ma altrettanto grande apologeta è quando batte colpi forti per fare accettare verità difficili e contrastate. Non dimentica, anche in questi casi, il fulgore che illumina le menti.
Desidero presentare, brevemente, tre esempi. Il primo riguarda il discorso In onore insieme e in difeso de ' venerabili ordini religiosi; il secondo, In onore della Cattedra di S. Pietro, (ambedue nel volume dei Panegirici}; il terzo si trova nel celebre Quaresimale, predica XX (nel giovedì dopo la terza domenica).(3)
Non sono riuscito a scoprire la ragione per cui pronuncia, a Piacenza, nobilissima città allora sotto il dominio dei Farnese, il polemico discorso in onore e difesa degli Ordini religiosi. Una ragione senza dubbio ci fu. Nell'esordio, dopo aver dimostrato, con testi evangelici, che su Gesù c'era una corrente a lui favorevolissima e un'altra altrettanto contraria nella stima e valutazione, procedeva a dire che tale doppia e contraddittoria opinione si è ripetuta nei seguaci di Gesù, nei Santi, e non fa meraviglia che si ripeta negli Ordini religiosi, che fra tutti i Cristiani, sono coloro che maggiormente sono impegnati nella imitazione di Cristo. " Hanno essi [i Religiosi] dentro lor genere assai di grande, e perciò non è punto strano, che si com'hebbero sempre di sommi amici, i quali gli difesero a spada tratta, così havesser semper [sic] di sommi persecutori, che gl'impugnarono a battaglia finita ". E prosegue: " Che dissi, riavessero? Non è gran fatto che questa istessa mattina, nella quale io qui vengo a trattar di loro, sia necessitato trattarne in un Uditorio, ripartito ancor esso in due gran fazioni, l'una verso lor favorevole, l'altra avversa ".
" Con tuttociò " prosegue " non crediate ch'io sbigottisca. Perciocché, si come da' favorevoli mi prometto cortese audienza, così dagli avversi, di cui potrei più temere, spero anche bene [...] ". E perché? " [...] non potendo io persuadermi che non sien tali, più per sinistra immaginazion d'intelletto, che per contumace malizia di volontà ". E conclude: " Siavi dunque in grado di porgermi tutti orecchie, che vi avvedrete non voler io, se non quello ch'è di ragione ".(4)
Più avanti, da gran maestro sicuro del successo della causa, aggiunge: " Anzi perché più possiate di me fidarvi, mirate a che voglio giugnere. Voglio io stamane fin giugnere a discoprirvi un avvedimento scaltrissimo di quell'arte, che anch'io professo. Soglionsi gli Oratori comunemente procacciar la benevolenza, e lusingar la credulità di chi gli ode, con dissimulare per via di occulti artifici ciò ch'eglin'hanno o di speciale affezione, o di privata utilità nella causa, e con ispacciarsì tutti carità, tutti zelo. Ma lungi lungi da me precetti mal confacevoli a un cuor leale ". E proclama: " lo mi dichiaro apertissimamente sì che ognun sappialo, di voler trattare una causa in cui son tutto passione, tutto interesse. Provar vi voglio, che a qual si sia Religioso portar conviensi un'altissima riverenza ".(5)
Mette sull'attenti gli uditori: " Però guardatevi di non prestar niuna fede, se non a quello, ch'io farò vedervi con gli occhi, e toccar con mano. Non havete a tenere in pregio veruno il peso della mia autorità, ma solamente il valor delle mie ragioni. Questo vi richieggo io ben sì, che s'elleno ben mirate vi appagheranno, non vogliate pure star fissi a prezzarle meno, perch'elle vengon di bocca d'un Religioso, che se le udiste dalla lingua di un Laico ".(6)
Il corpus della dimostrazione subito s'indirizza verso il passato. Premesso che egli, padre Segneri, presuppone che i suoi uditori siano Cattolici veri, tali cioè che godono di tutto ciò che esalta la santa Chiesa (altrimenti non dovrebbero odiare nessuno quanto i Religiosi), incomincia ad elencare le nazioni europee, tutte evangelizzate da Religiosi (e riferisce i nomi), e i popoli lontani del Nord, del Giappone e della Cina. Poi afferma: degli otto grandi Dottori della Chiesa (quattro della Chiesa orientale greca e quattro di quella occidentale latina), ben sei sono Religiosi. I più grandi teologi sono Religiosi; gli interpreti della Sacra Scrittura, i maestri di vita spirituale, gli oppositori agli errori sono tutti Religiosi; anzi, tutti gli Ordini sono sorti per opporsi a eresie, scismi, errori, che travagliavano la Chiesa. I Religiosi hanno fatto onore ai privilegi di cui sono stati onorati dalla Santa Sede; i quindici Cardinali onorati come Santi, tranne quattro, sono tutti Religiosi. Tra i Sommi Pontefici, almeno cinquanta sono Religiosi insigni per santità e opere a difesa della Chiesa e dei popoli (cosa che non si può affermare di rutti i Pontefici non appartenenti a Istituti religiosi). A questo punto raccoglie una tacita obbiezione: gli oppositori degli Ordini religiosi non hanno nulla da dire, anzi onorano i Religiosi antichi; sono i moderni, gli attuali, degni di biasimo, perché o scandalosi o inutili. Non seguirò il Segneri nella risposta; la sua dialettica rincorre l'obbiezione, la scopre nelle sue radici, la mostra o insussistente o troppo generalizzata o contraddittoria. Il suo trionfo è pieno.
Passiamo all'altro discorso, in cui fa l'apologia del Papato. Fu detto a Bologna, la cui cattedrale è dedicata a S. Pietro, ma non è l'elogio direttamente di S. Pietro, è un discorso In onore della cattedra di S. Pietro, che è quanto dire in onore dell'insegnamento magisteriale e dell'insegnamento pastorale del Sommo Pontefice. Più precisamente ancora, vuole essere l'elogio dell'autorità del Pontefice, quando parla e decide di qualsiasi problema spirituale o temporale, come è testimoniato, dice Segneri, dalla storia di ormai sedici secoli. La sopravvivenza di questa cattedra, o trono, non è artificio o opera umana: tutti gli altri troni sono caduti o cadono in rovina; solo questo ha resistito e resisterà perché sostenuto da sapienza celeste: perciò " per pagare oggi un tributo di giusto ossequio, non ad un Pietro solo, ma a tutti quei, che sono a lui succeduti in tal principato, mi è caduto nell'animo di mostrarvi con chiare pruove, che il Trono del Vaticano è il Trono di Dio fra gli huomini: ch'è quanto dire è quel Trono, benché terreno, dove in persona degli huomini siede Dio ".(7)
E così continua: questa verità è " necessarissima " ai fedeli perché " presso alcuno talora più sono in credito le frenesie di un Filosofo delirante, o le temerità di un Teologo licenzioso, che gli Oracoli usciti di quella bocca, per cui la Verità favella a' mortali ". Inoltre, afferma, non gli sarà difficile dare piena verità ed autorità a persone così alte: " Perché se mai si potè parlare de' Pontefici con franchezza, questo certamente credo essere il tempo vero, quando né ciò che di loro lode si dica, può recar taccia di adulazione affettata (mercé l'aperta bontà di quel ch'oggi regna) né ciò che debba per avventura toccarsi di loro nota, può dar suspicione di satira irriverente ".(8)
Certo, a inoltrarsi nella storia di tanti Papi ci si dovrà incontrare con persone tutt'altro che degne; Segneri affronta apertamente questa forte difficoltà quando dice: " Una sola cosa io non voglio dissimulare, perché vediate con quanto rara sincerità vi ragiono. Ed è che talora nel Vaticano han seduto alcune persone, non solamente difettose, ma empie: persone avare, ambiziose, impudiche, vendicative, Signor sì ".(9)
La conoscenza storica del Segneri in questo panegirico è vastissima; conosce tutto dei singoli Papi: conosce i venti Papi che più che assunti al Pontificato vi furono trascinati; e ne fa i nomi in nota. Conosce i trenta antipapi, e come furono largamente trattati dai Pontefici, una volta pentiti; come sono stati solleciti di eretici e avversari otto Pontefici orientali (Giovanni V, Conone, San Sergio I, Giovanni VII, Sisimio, Costantino, San Gregorio, San Zaccaria), che eletti per opera di Imperatori o di Esarchi per rendere soggetta la Chiesa latina a quella greca, seppero opporre fortemente l'onore di Dio a quello della Patria; la vicenda di papa Vigilio, narrata con un racconto efficacissimo dimostra la protezione di Dio sui Papi in maniera prodigiosa.
È comprensibile che il Segneri, per stendere un panegirico come questo, pieno di fonti storiche, ricercate, sottoposte a critiche, coordinate e rese comprensibili agli uditori, esigesse di averne l'invito e l'incarico un anno prima, Ma dove l'arte, la scienza, il genio e l'originalità del Segneri appare somma è, mi sembra, nel terzo discorso citato, e si trova come ho detto, nel Quaresimale, predica XX. Il grande oratore si propone di difendere tutta la fede cristiana da tutti gli errori e da tutti gli avversari; e fissa la verità fondamentale che distingue il Cristianesimo dall'Ebraismo, dall'Islamismo, dagli increduli di ogni tipo e di ogni ideologia. Tale verità è la divinità di Gesù Cristo: dimostrata questa, è confutata sostanzialmente ogni altra religione che la nega o non l'ammette, ogni ragione o sofisma intellettuale che ne dubita; è dimostrato vero il culto cristiano, la Chiesa cattolica, i suoi dogmi, la legge morale che propone, la sua autorità, infallibile in materia di fede e di morale, la persistenza indistruttibile della Chiesa nel mondo.
La verità della divinità di Gesù Cristo la dimostra non per via di fede al Vangelo o per via di somme autorità umane, come i grandi teologi e filosofi cristiani che l'hanno fermamente creduta, ma solo in forza del raziocinio: tutti devono concedere, in virtù della sola luce dell'intelligenza, questa proposizione, che Gesù di Nazareth è Dio, non solo uomo, ma Dio, non un essere divino, ma Dio, l'unico vero Dio, il creatore del cielo e della terra. Il Segneri espone il suo assunto in maniera paradossale: o Gesù è l'uomo più perduto, perverso del mondo, oppure è Dio. Le sue parole sono bellissime:
Prima però che noi venghiamo in questo modo alle prese, come dichiarati nemici,(10) io voglio chiedervi in grazia una proposizione, ma così ragionevole e così giusta, che se voi negherete di darmela per amore, io mi dichiaro ch'espugnerolla per forza. E qual è ella? Ascoltate. Che quel Gesù venerato da noi cristiani non sia stato l'uomo il più perduto, il più perfido, il più nefando, che abbia sostenuto la terra. Mi concedete voi ciò? Certa cosa è che neppure i suoi malevoli stessi ne sentono sì empiamente; [...]. Ma io non richieggo tanto da voi. Mi basta, che solamente mi concediate, ch'egli non fosse l'uom più scellerato del mondo. Mel concedete? Orsù dunque, guardate che n'inferisco. Adunque egli è Dio: adunque vera è la sua fede: adunque vera è la sua legge: adunque tutti o maomettani, o idolatri, o ebrei, o novatori, piegate le ginocchie, chinate il capo, e adoratelo tutti; perché mentre un Dio solo dee darsi al mondo, come da principio dicemmo,(11) Cristo è un tal Dio.(12)
Il Segneri coglie subito il segreto pensiero degli uditori:
Piano un poco, piano, direte, che questo sembra un voler cantare il trionfo innanzi alla zuffa, non che prima della vittoria. E qual conseguenza più stravagante di questa? Cristo non è l'uom più scellerato del mondo, adunque egli è Dio. Non si da forse mezzo tra una somma bontà e una somma malizia; tra una somma perfezione e una somma malvagità? Si da mezzo, ma non in Cristo; e perché s'io dimostro tal verità, guadagno la causa, ascoltatemi attentamente, che udirete forse argomento di sommo peso.(13)
Io non voglio togliervi la sorpresa che avrete nel leggere l'argomentazione e tutto il seguito del bellissimo discorso: è vero che la lettura non è sufficiente a tutti a mostrare in pieno la varietà, i toni, le ironie, le scene quasi drammatiche dell'oratore; la predica è un genere letterario non indirizzato prima di tutto all'occhio, ma, come avverte sapientemente il Segneri stesso nelle ultime righe di prefazione, è ordinato all'udito. Ma aggiunge: " Non tengo io dunque per regola così certa, come par forse ad alcuni, che ciò ch'è grato ad udire, non sia grato a leggere. Basta che chi legge figurisi di non leggere, ma di udire ".(14)
Abbandonati questi capolavori, passerei all'opera più ampiamente e direttamente apologetica del Segneri: L'incredulo senza scusa. Ma non vorrei che si dimenticasse un'altra predica apologetica, forse di amara attualità per certi politici amministratori dello Stato: è la XXXIII (nel venerdì dopo la domenica di Passione), che egli stesso così compendia: " A confusione di quegli iniqui politici che a' dì nostri pervertono tante menti si fa vedere che non è mai utile quello che non è onesto: onde nessuno si dia follemente a credere che per essere felice giovi esser empio ".(15)
L'opera in cui Paolo Segneri appare grande e forte apologeta è senza dubbio L'incredulo senza scusa. Come sottotitolo, e come spiegazione del titolo, l'autore aggiunge: Dove si dimostra Che non può non conoscere quale sia la vera Religione, chi vuoi conoscerla. Dedicata al Serenissimo Principe Gian Castone de' Medici, l'opera è divisa in due parti, cioè:
per non tralasciare veruna difficultà, che qual Piazza nimica, rimasta alle spalle, porga a' Miscredenti occasion di fortificarvisi a loro danno; noi ci faremo da capo, con provar ciò, che sarebbe noto da i termini (come sono i primi principi) se i termini si apprendessero con chiarezza, ed è, che v'è un Dio, unico, universale, Prima Cagione di tutto l'esser Creato. Appresso noi mostreremo, che di tal'esser Creato ha Dio Provvidenza: ma che speciale egli l'ha ancora dell'Huomo, la cui Anima faremo poi veder di proposito che è immortale. E quindi conchiuderemo la prima parte dell'Opera col dedurre, che dunque su la Terra vi sia qualche Religione, e Religion vera, sotto cui conviene arrolarsi. Nella seconda parte ci avanzeremo a manifestare, che questa Religion vera, altra non può essere al certo, che la Cattolica: il che perché meglio apparisca, non faremo altro, che metterla al paragone con quelle Religioni, che a lei fan guerra.(16)
Segneri svolge tutto con estrema chiarezza. Con quale stile? " Ho desiderato ", dice, " di formare lo stile, ove mi riesca, più tosto culto, che nò; perciocché io non ho capito mai che la ruggine giovi all'armi. Che se ne' Fulmini temiamo ancora del Lampo, chi riputerà che certa energia di dire sia nelle cause meno opportuna a far colpo, perché lo fa balenando? ".(17) " Infin l'armonia del numero io loderei, dove ella somigliasse il batter de' Fabbri, musica insieme, e lavoro ".(18)
Forse questa è la ragione principale per cui il Carducci stimava moltissimo il Segneri, e spesso portava sulla cattedra l' Incredulo senza scusa o la Manna, e ne leggeva lunghi tratti, commentando ed entusiasmandosi.(19)
Innumerevoli sarebbero le riflessioni da farsi, passo passo, su quanto il Segneri magistralmente espone nei 33 capitoli della prima parte e nei 29 della seconda. Ho accennato sopra al fatto che l'apologetica è scienza, ma anche arte. L'apologeta oltre che presentare filosoficamente o, se si vuole, scientificamente le sue argomentazioni, può talvolta con artificio intelligente prendere l'avversario in una rete da cui non può districarsi. Segneri usa questa tecnica con quegli ateisti, induriti e ciechi, che non temono di affermare che Dio non è se non " una Chimera ", " un'Ombra vana ", " un mero sogno ".(20) E prosegue bellamente con una pagina che va ponderata attentamente:
Ma adagio un poco: che qui è dove voglio io cavare la Talpa, se mi riesce, malgrado suo di sotterra a mirar la luce, con valermi di questo dilemma acuto. Voi dite, che Dio non v'è. Non est Deus. Ora bene. Giacché non v'è, è possibile almeno che egli vi sia, o non è possibile? Non è gran fatto che a prima giunta voi mi concediate la sua possibilità: da che ad alcuni darebbe lieve noia il sapere che Dio sia possibile, purché si assicurassero che egli non fosse in atto. Ma piano, piano, che a risponder così, voi restate di subito nella rete, mentre non vedete fra voi, che alla prima Cagion di tutte le cose non si può concedere mai la possibilità, senza insieme concederle l'esistenza. Il Sole, i Mari, i Monti, l'Huomo vivente, e tutte le altre Creature, possono essere quando ancor di fatto non sono. Ma Dio non può. Se è possibile, egli è parimente in atto. Conciossiaché fìngete che egli possa essere, ma non sia. Adunque vi ha una Cagione che può produrlo: non sapendo la mente nostra né pure apprendere, che parto alcuno possa uscir mai da i cupi Abissi del Nulla, ed uscirne di virtù propria. Se n'esce, conviene che vi sia di necessità chi nel tragga mora, comunicandogli quella esistenza, di cui qualsivoglia effetto, ìnfino a tanto che è meramente possibile, non è per anche arrivato a pigliar possesso. Questa Cagione adunque, in vigor dì cui sarebbe possibile, che Dìo, dal non essere attualmente, passasse all'essere; questa Cagion, dico, sarebbe in sé più perfetta, che non sarebbe il termine prodotto da lei con sì grande azione, mentre non solo lo agguaglierebbe in tutte le prerogative di potenza, di sapienza, di scienza, di bontà, e di altre tali, che a lui donasse in produrlo, ma di più lo precederebbe, per quella priorità almeno, che appellasi di natura, se non per quella di tempo: e però questa Cagione medesima sarebbe Dio prima dell'effetto prodotto. Ella conterrebbe nel seno suo la sorgente di tutto l'essere, avanti di trasferirla nel seno altrui: e così ella più veramente sarebbe la Cagion prima. Mirate dunque, come con illazione necessarissima si deduce, che se si da per possibile il primo Essere, non può all'ora stessa non darsi per esistente. Qui l'Ateista indurato non può fare altro, che ritrattarsi, e dire che egli errò nel concedere Dio possibile. Dovea dire anzi, che egli è impossibile affatto, e così finire ogni lite. Ma ecco lo sventurato in peggior viluppo. Perché io dunque mi rimarrò dalF argomentare più oltra contro di lui, per lasciare a lui la fatica non poco grave, di provare sì bell'assunto. Io per me so, che secondo i Filosofi, possibile è tutto ciò, che se si riducesse all'atto, non recherebbe veruno inconveniente con esso sé. Dica dunqu'egli, quale inconveniente con esso sé può recare la convenienza medesima, la pura perfezione, la pura probità, il puro essere in atto, che è quanto intendiamo noi, nominando Dio? Troppo in questa battaglia mostrerei nondimeno di haver timore, se io volessi meramente schifarla, quasi da un'alto colle, e non attaccarla. Argomento dunque così. Tutte le creature stan situate, quasi fra due estremi contrarj, tra l'essere, e il non essere. E però, partecipando anche tutte dell'uno e dell'altro estremo, in parte sono ricche, in parte son povere, che è quanto dire, portano ad ogni loro bene congiunta la imperfezione. Ora io qui chieggovi. Perché son'esse imperfette? Perché loro manchi un bene fantastico, favoloso, impossibile, di cui niuno potrebbe divenir vago senza follia? No certamente: mentre il mancare di qualsisia bene falso, non debbe ascriversi a povertà, ma a ventura. Adunque non è impossibile il bene, che loro manca. Ma il bene, che loro manca, è un bene infinito, potendosi tosto dire quel bene che hanno, ma non potendosi mai finire di dire quel che non hanno. Dunque un bene infinito non è impossibile. E tale è Dio. [...] Su, sia così: non sia possibile Dio. Miriamo un poco quali inconvenienti ad un tratto ne seguiranno. Tutti gl'immaginabili di ogni guisa, sian fisici, sian morali: i fisici, mancando il primo Principio; i morali, mancando l'ultimo Fine.(21)
Nel capitolo IX della prima parte risponde a chi attribuisce erroneamente il nome di Natura alla natura naturata (alle realtà naturali), e il nome di natura naturans alla stupenda opera operatrice delle cose naturali, nome che equivale a quello di Dio. E, per rendere evidente l'opera della natura naturans, ci invita in una pagina di grande bravura dì letterato, di filosofo e di botanico a prendere in mano una rosa, a osservarla e riflettervi:
Pigliate in mano una Rosa, e dimandate costoro se sanno dirvi chi le lavorò sì gentilmente quel manto, cui cede lo Scarlatto ancora Reale, e chi segue già, da tanti Anni che il Mondo dura, a lavorargliene ogni Primavera un novello? La Terra è cieca, e non s'intende di colori, di vistosità, di vaghezza, di proporzioni: cieche sono le spine, onde pullula si bel fiore, cieche le radiche, ciechi i rami: cieche son le rugiade ch'ella ha per latte: e cieco il Sole, che le apre sul mattino la boccia su cui pompeggia, e che glie l'aduggia alla sera, per figurare, a quanti vogliano attendervi de' Mortali, la vanità delle loro ambite bellezze. Magna admonitione hominum, quae spectatissime florent, citissime arescere [Plin., I, 21, e. I]. Conviene pur adunque trovare a Parto sì vago una Madre più bella, che non è la Terra, le spine, le radiche, i rami, l'umore, il Sole, e gl'influssi che piovono dalle Stelle. Convien trovare chi mai fu, che vi seppe dispor sì bene il vermiglio di quella porpora, diminuendolo a poco a poco dalle foglie più intrinseche alle più estrinseche, senza svario. Convien trovare chi v'innestò sì profondamente l'odore, che esse diffondono con pari soavità da qualunque lato. Conviene trovare chi vi dispose quelle venette che vi scorrono dentro, e insieme vi ripartiscono l'alimento per tante vie, quante la Notomia loro propìa ne ha già scoperte. Convien trovare chi collocò tutte quelle foglie a suo luogo, chi le torse con tanto garbo, chi le agguagliò con tanta misura, chi le attendò con tanta maestria; chi vestì ciascuna dì un doppio velo, finissimo più che il bisso; chi le coperse come di una lanugine dilicata, quasi a testificarne la giovinezza; e chi finalmente vi compilò tanto di stupori in un guardo, che la vita di un'huomo sarebbe corta, se gli dovesse trascorrere ad uno ad uno. Tutto questo dovea di necessità essere artificio di una Cagion sapientissima [S. Th., 1.2 qu. I ar. 2 in c.], la quale sì valesse della materia variamente disposta, della terra, delle spine, delle radici, de' rami, delle rugiade, del caler solare, e degli altri influssi, come lo Scultore sì vale del marmo, degli scarpelli, delle seste, e dì ogni suo ferro, a perfezionare il disegno di quella Statua, che egli divisò nella mente: onde vano è per questo Vocabolo di Natura, nel caso nostro, intendere altro che Dio, primo Autore delle opere naturali.(22)
Devo finire, e termino con una confessione: se le mie parole hanno trascurato e posto sotto silenzio difetti e manchevolezze del nostro Se-gneri, esagerazioni di stile, invettive feroci contro seguaci di altre religioni e culti, tratti di dottrina severa oggi sorpassati o che si devono addolcire e intendere meglio, il Segneri emerge nonostante tutto come un gigante del suo tempo, e maestro di eloquenza efficace anche per noi. Le sue opere, ristampate e tradotte perfino in arabo, sono palesi valori da non dimenticare.
ARMANDO GUIDETTI S.I.
Casa dei Gesuiti, San Fedele, Milano
NOTE
1 - Quaresimale del Padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù, Torino, Marietti, 1850, pp. 101-02.
2 - Il Cristiano instruito nella sua legge. Ragionamenti morali dati in luce da Paolo Segneri della Compagnia di Gesù, Parte I, In Bologna, Per Giulio 3 Borzaghi, MDCLXXXX, p. n.n.
3 - Secondo il compendio di detta predica, ecco cosa si propone Segneri: " Per riportare una compendiosa vittoria di tutti insieme i nemici di nostra fede, si sforzano, quanti sono, a dover concedere, in virtù del puro lume medesimo naturale, questa proposizione, che Cristo è Dio " (Quaresimale, cit, p. 455).
4 - Panegirico IX, La causa de Religiosi al foro de ' Laici, Panegirico in onore insieme e in difesa de ' venerabili ordini regolari detto in Piacenza, in Panegirici di Paolo Segneri della Compagnia di Gesù In questa nuova impressione accresciuti, in Firenze, per Piero Matini, MDCLXXXIV, pp. 269-70.
5 - Ibidem, p. 270.
6 - Ibidem, pp. 210-71.
7 - Panegirico XVII, Il Trono di Dio fra gli huomini collocato nel Vaticano. Panegirico In onore della Cattedra di San Pietro detto in Bologna, in Panegirici, cit., p. 540.
8 - Ibidem, pp. 540-41.
9 - Ibidem, p. 553.
10 - Aveva detto m precedenza: " Figuratevi dunque di sostenere per questa volta le parti degli avversar] " (Quaresimale, cit, p. 209).
11 - L'oratore lo aveva dimostrato brevemente nell'esordio: cfr. ibidem, p. 208. Ibidem,
12 - p. 209.
13 - Ibidem.
14 - Ibidem, p. 6.
15 - Per il compendio, cfr. ibidem, p. 456; la predica XXXIII si trova alle pp. 351-62.
16 -L 'incredulo senza scusa. Opera di Paolo Segneri della Compagnia di Gie-sù Dove si dimostra Che non può non conoscere quale sia la vera Religione, chi vuoi conoscerla, In Firenze, Nella Stamperia di S.A.S., MDCLXXXX, pp. 4-5.
17 - Ibidem, p. 10. Ibidem.
18 - Ibidem
19 - Cfr. Nicola Risi, II principe dell'eloquenza sacra in Italia, Padre Paolo Segneri. Note biografiche a ricordo del terzo centenario della nascita, 1624-1694, Bologna, Stamperia de' Sordomuti, 1924, p. 108.
20 - Paolo Segneri, L 'incredulo senza scusa, cit, pp. 109-10.
21 - Ibidem, pp. 106-09.
22 Ibidem, pp. 51-52. |