Spesso l'immagine dei grandi religiosi del passato (in particolare di quelli vissuti in un'età come quella barocca, dominata dal gusto della spettacolarità e delle grandiose apparenze) è affidata, più che ai documenti o ai fatti reali di una vita, a quanto ci hanno tramandato i biografi, appassionati e non sempre imparziali costruttori di personaggi, a volte di veri e propri miti. Miti che si sono continuati nel tempo, con l'intervento di altri biografi, non meno imparziali e non meno segnati dalle loro epoche e dalle loro personali visioni culturali.
Studiare le biografie di un personaggio significa fare la storia di un'immagine nei secoli e confrontarsi con i diversi modi di interpretare e di utilizzare tale personaggio, la sua vita, le sue opere. Ma significa anche compiere un primo passo per cogliere la complessità del personaggio stesso, al di là delle incrostazioni che la sua " fortuna " gli ha attribuito nel tempo.
Un'operazione di tal genere credo sia più che mai necessaria nei confronti di Paolo Segneri: l'immagine che di lui abbiamo è infatti ancora oggi sostanzialmente fondata sulla biografia, per così dire, ufficiale che ci lasciò manoscritta il suo confratello Giuseppe Massei poco prima di morire, nel 1698.(1)
Il Breve ragguaglio detta vita del venerabile servo di Dio, il padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù descritto dal padre Giuseppe Massei della medesima Compagnia, che fa pubblicato da Monti e Pazzoni nel primo volume dell'opera omnia segneriana (Parma, 1701),(2) è il punto di partenza della lunga storia culturale del mito di Paolo Segneri. L'immagine del popolare missionario gesuita, con i suoi inconfondibili tratti ascetico-penitenziali, si diffuse di lì, spesso convivendo con le numerose ristampe dell' opera omnia ;(3) ma non di rado vivendo anche autonomamente,(4) e costituì il riferimento fondamentale per altri ritratti segneriani che fiorirono un po' in ogni secolo, come semplici sintesi o come impegnativi rifacimenti.
È una storia interessante quella delle biografie di Paolo Segneri, una storia anche di censure e di casi straordinari, che val la pena di seguire nei dettagli sin dalle sue origini.
Quasi a preannunciare il destino di eccezionale e insieme complessa fortuna editoriale delle opere segneriane nei secoli, il Breve ragguaglio della vita del padre Paolo Segneri del Massei venne alla luce al centro di una serie di " miracolosi " avvenimenti capitati all'editore Paolo Monti di Parma.(5)
L'intraprendente editore, il 21 ottobre 1699, aveva ottenuto da Innocenzo XII (papa Pignatelli) il privilegio esclusivo di stampare l' opera omnia di Paolo Segneri, che, morto da cinque anni, non aveva ancora avuto un'edizione unica della sua vastissima produzione.(6)
A sostenere l'impresa editoriale di Paolo Monti (che si giovò della collaborazione dello stampatore Alberto Pazzoni) fa con ogni probabilità lo stesso cardinal Giovanni Francesco Albani che firmava il " breve " pontificio del prezioso privilegio: a lui, anzi, era stato originariamente dedicato il corpus segneriano previsto in due grossi volumi in folio.(7) Poi - racconta il Monti - l'opera era come lievitata sotto i torchi e, pur essendo composta col carattere piccolo, era stato necessario dividere entrambi i tomi in due parti, ottenendo ben quattro volumi, cioè il doppio di quanto concesso dal privilegio.(8)
Ma un caso ancor più straordinario accompagnò la stampa dell' opera omnia del Segneri, coinvolgendo anche il Breve ragguaglio. Come ancora ci informa la nota dello " stampatore a chi legge ", mentre già si era a buon punto con l'edizione (il secondo, il terzo ed il quarto volume portano la data del 1700), un improvviso " accidente " fermò " per un poco le copie, che da ogni parte eran richieste con fretta ".(9) Ed ecco che nel dicembre del 1700 quel cardinale Albani che proteggeva l'impresa crebbe " a segno di non poter in terra crescer di più ": fu infatti " coronato Pontefice " col nome di Clemente XI.(10) E l'" umilissimo divotissimo et obbedientissimo servo " Paolo Monti potè così uscire l'anno dopo fregiando la sua opera con tanto di stemma pontifìcio, seguito da quattro fogli di lodi del " Beatissimo padre " che gli aveva permesso di far " risorgere dalle sue stampe il padre Paolo Segneri ".(11)
Agli straordinari " accidenti " che accompagnarono l'impresa editoriale di Paolo Monti non fu estraneo il Breve ragguaglio della vita del padre Paolo Segneri, la cui pubblicazione fu addirittura determinata da un intervento dallo stesso Clemente XI. È questo un fatto di cui l'editore non ci informa; a riguardo del quale, anzi, prudentemente, cerca di depistarci con il racconto di un altro strano caso occorsogli: si era " raccomandato " per un " elogio dell'Autore da accompagnare un ritratto ", ma quel " breve ragguaglio " della vita di Segneri, " cercandosene per comporlo i fatti ", vide " delusa quell'arte con cui egli [il Segneri] vivendo li nascondeva ", perché ne uscirono tanti " da formarne una vita ben competente ". Insomma, anche la Vita di Segneri aveva avuto una lievitazione analoga a quella dei suoi scritti, era diventata quasi una nuova opera, e il Monti ne aveva ottenuto il privilegio di stampa dal duca Francesco Farnese di Parma (estensione del privilegio del 13 ottobre 1699 per l' opera omnia segneriana),(12) nonché la specifica autorizzazione dallo stesso generale dei Gesuiti, padre Tirso Gonzàlez, datata 8 marzo 1701.(l3)
In realtà, ben diversa è la storia di questo Breve Ragguaglio , che era già pronto per le stampe tre anni innanzi, nel 1698, ma che aveva subito il veto proprio da parte della Compagnia di Gesù. A rivelarci questo retroscena è lo stesso manoscritto del padre Massei conservato nell'Archivio storico dei Gesuiti di Roma. La bella grafia con cui è scritto indica che probabilmente si trattava di una copia da consegnarsi ai revisori per l'autorizzazione della stampa (autorizzazione che doveva poi essere firmata dal Padre generale), ma una nota posta su un foglio aggiunto in data 7 settembre 1698 e siglata dal segretario della Compagnia di Gesù, Giacomo Willi, contiene un preciso divieto:
Ex omnium Patrum Assistentium sententia, liber iste, de vita et virtutibus P. Pauli Segneri, hoc tempore, propter graves causas, nec Revisoribus censendus offerri, nec imprimi potest, sed dìfferri debet, donec aliter Deo placitum fuerit. (14)
Il Breve Ragguaglio della vita di Paolo Segneri, dunque, ben al di là della straordinaria storia di autogenesi che gli attribuiva l'editore Paolo Monti, era invece stato segnato nel suo nascere da una brutta vicenda di censura interna, con un intervento degli stessi confratelli del Segneri, assistenti del Padre generale. E per mandare alle stampe quell'opera fu addirittura necessario l'intervento di Clemente XI: questo ci rivela un'altra nota dello stesso foglio allegato al manoscritto, dove una mano anonima ha appuntato:
Anno 1701: a persuasione del Sommo Pontefice Clemente Undecimo questa vita fu data alle stampe in Parma con tutte le opere del P. Paolo Segneri dedicate allo stesso Pontefice;
nota che corrisponde a quanto di fatto, abbiamo visto, avvenne con l'edizione dell' opera omnia segneriana del Monti.
Già in altra sede ho affrontato la questione della censura del Breve Ragguaglio e non è stato difficile concludere che la ragione principale del divieto (la più decisiva delle " gravi cause " cui accennava la nota del Willi) dovette essere l'ostilità esplicitamente manifestata dal Segneri nei confronti del generale Tirso Gonzàlez sulla materia del probabile.(15) Ritornare ancora su tale questione può essere utile per approfondire ulteriormente, in prospettiva di uno studio delle biografie del Segneri, un aspetto poco noto ma pure importante del personaggio.
Infatti, diversamente da quanto ci ha sempre prospettato tutta una tradizione agiografica quasi esclusivamente eroico-penitenziale (che fa capo proprio al Ragguaglio di padre Massei), Paolo Segneri ebbe un notevole interesse per le questioni teologiche e morali riguardanti il concreto esercizio della pietà e della vita dei religiosi.
Già nel 1680 aveva attaccato la dottrina quietista ed i sostenitori di Miguel de Molinos (tra i quali inizialmente vi fu lo stesso papa Odescalchi, Innocenzo XI) con un libro di straordinario equilibrismo teologico - ma anche di radicale fermezza ideologica - La concordia tra la fatica e la quiete .(16)
Né si era lasciato intimidire dalla perentoria condanna dell'Indice, ma aveva continuato a combattere i molinisti, sostenendo l'importanza della meditazione razionale e l'impegno della volontà operativa. Forte del sostegno di alcuni illustri Gesuiti (il vecchio Daniello Bartoli, lo stesso generale della Compagnia, Gian Paolo Oliva, e i confratelli Giovanni Antonio Caprini, Giuseppe Agnelli e quel Martin de Esparza Artieda che a suo tempo aveva approvato la Guìa espiritual del Molinos ), nel 1681 pubblicò la Lettera di risposta al signor Ignazio Bartalini sopra l'eccezioni che da un difensore dei moderni quietisti a chi ha impugnate le loro leggi in orare, e quando questo scritto fu condannato dal Sant'Ufficio, nel 1682 fece stampare a Venezia, sotto il nome di Francesco Pace, il Fascetto di vari dubbi intorno all'orazione detta di pura fede , seguito, nel 1683, dai Sette principi su cui si fonda la nuova orazione di quiete . La sua battaglia contro il " quietismo " continuò fino al rovinoso declino del Molinos stesso, alla proibizione della sua Guìa (1685), alla condanna di sessantotto sue proposizioni e alla sua solenne abiura e incarcerazione, avvenute nel 1687, anno in cui l'Inquisizione liberò finalmente dal veto la Concordia tra la fatica e la quiete .(17)
Agli inizi degli anni Novanta, poi, il Segneri fu tra i più decisi av-versari del " probabiliorismo " di padre Tirso Gonzàlez, il predicatore e teologo spagnolo voluto Generale della Compagnia di Gesù dall'austero papa Odescalchi, Innocenzo XI (che ne aveva indicato esplicitamente il nome alla XIII Congregazione generale del 1687), affinché combattesse il " lassismo " conseguente alla dottrina del " probabile ".(18) E le polemiche del focoso Generale spagnolo, già missionario rurale come il Segneri,(19) furono ben presto dirette contro i suoi stessi Gesuiti, tra i comprensibili disagi di tutti i confratelli, in particolare dei padri assistenti e dei teologi. Tanto che, in occasione dell'edizione del Tractatus succinctus de recto usu opinionum probabilium, che il Gonzàlez fece uscire a Dillingen nell'agosto-settembre 1691, la Curia romana della Compagnia, con in testa gli assistenti del Generale, arrivò al punto di chiedere l'intervento censorio dello stesso Innocenzo XII (papa Pignatelli, da poco salito al solio di Pietro, nel luglio del '91).(20)
Questo Pontefice, che conduceva le sue battaglie di moralizzazione del clero con maggior diplomazia di papa Odescalchi, non doveva avere molta simpatia per il rigorismo del Gonzàlez, del quale non poteva inoltre apprezzare i cordiali rapporti intrattenuti col Fenelon.(21) Fu proprio Innocenzo XII a chiamare a Roma il Segneri nel febbraio del 1692, perché predicasse la Quaresima nel Palazzo apostolico, e a Roma lo trattenne come teologo e consigliere spirituale.
Forte di questa prestigiosa posizione, nonché della sua indiscussa autorevolezza all'interno dell'Ordine, Paolo Segneri si sentì allora di intervenire contro il suo superiore, prima a voce e poi con una lettera consegnata a mano l'8 giugno 1692, dove, con umile deferenza ma col severo piglio dell'ammonitore, chiedeva un profondo mutamento della sua politica interna per evitare lo scandalo di una lite tra il Generale e i suoi " figliuoli ", né perdeva occasione per contestare ancora una volta le tesi del " probabiliorismo ".(22) A questo " folio " il Segneri fece poi seguire altre tre Lettere sulla materia del probabile, che testimoniano l'energia della sua battaglia, condotta peraltro negli ultimi anni di vita.(23) Neppure in seguito si appianarono i contrasti fra i Gesuiti e Tirso Gonzàlez, il quale, pur tra mille intoppi, riuscì a pubblicare nel 1694 - proprio l'anno in cui morì il Segneri - il suo libro contro il " probabilismo " (sostituendolo per buona parte col testo del Fundamentum Theologiae Moralis che aveva scritto vent'anni prima e ammorbidendo alcune sue posizioni), ma incontrò una continua opposizione ai vertici della Compagnia, tanto che la sua morte (1705), a detta di William Bangert, " giunse a sollevare gli animi da un pesante fardello ".(24)
In tale contesto di tensioni c'era ben motivo che la biografia di uno dei maggiori avversari interni del Gonzàlez trovasse un ostacolo alla sua pubblicazione. E, anche se non abbiamo per ora documenti espliciti in merito, non è improbabile che proprio il Generale dei Gesuiti spingesse i/suoi assistenti a bloccare quella che era stata concepita come una vera e propria agiografia di Paolo Segneri (e forse il buon padre Massei puntava addirittura a farne una prima raccolta documentaristica per un futuro processo di beatificazione che, di fatto, poi non ebbe mai luogo).(25)
Ma chi era questo padre Massei che aveva avuto l'incarico di scrivere la biografia del famoso confratello e che non potè vedere la stampa della sua fatica poiché morì nello stesso anno (1698) in cui " ex sententia Patrum Assistentium " il Breve Ragguaglio fu congelato?
Sul gesuita Giuseppe Massei non esistono studi specifici, né tanto-meno monografie. Le poche notizie che ho potuto raccogliere da alcuni documenti dell'Archivio storico della Compagnia di Gesù e da un volume di " Analecta Collegii Graecorum " (Massei fu superiore di questo Collegio, in Roma) non ci presentano un personaggio di particolare spicco intellettuale. Nato a Lucca nel 1626, si formò nel Collegio romano e fu poi a Terni, ad Ancona, a Firenze, a Perugia, insegnando grammatica, filosofia, teologìa dogmatica e morale, prima di rientrare a Roma come lettore di teologia morale (1667-1672). Dal 1672 al 1677 fu rettore del Collegio greco di S. Atanasio, quindi padre spirituale nel Collegio tedesco e, dal 1684, rettore del Collegio di Macerata. II suo necrologio lo ricorda come buon maestro e tenero superiore, paterno ed equilibrato nei giudizi, devotissimo allo Spirito Santo e con una speciale venerazione per i santi e i martiri della Compagnia.(26)
Giuseppe Massei non era nuovo a fatiche di carattere agiografico.Prima di quella del Segneri, aveva scritto una biografìa di Francesco Saverio ed una del teologo spagnolo Francesco Suarez. La Vita di San Francesco Saverio (1681) era stata ricavata, per esplicita dichiarazione dell'autore, dal primo tomo dell' Asia di Daniello Bartoli e da altre parti della sua monumentale Istoria della Compagnia di Gesù : incastrando come " gemma nel piombo " le notizie del grande Bartoli, il Massei aveva voluto compiere un'opera divulgatrice, " scrivere, o per dir meglio, raccorre una vita del santo, piena, succinta e usuale per ogni sorta di persone, rappresentando con tutte le sue parti un gigante in piccola tela ".(27) E ad una sorta di uso vulgato era destinata anche la Vita del venerabil servo di Dio ed esimio teologo p. Francesco Suarez (1687), nella quale, oltre alla celebrazione dell'alto magistero svolto tra Spagna e Portogallo e delle battaglie in difesa della Chiesa contro Giacomo Stuart d'Inghilterra, trovava peraltro spazio una discreta serie di miracoli, raccontati con le opportune cautele.(28)
Se per la vita di San Francesco Saverio si era servito del Bartoli e per quella del padre Suarez denunciava nella prefazione una cospicua serie di biografi " suoi famigliari ",(29) per la vita del Segneri il Massei poteva trovare una traccia nella Lettera al padre Rettore del Collegio di Firenze dal padre Giovanni Pietro Pinamonti sopra le virtù del padre Paolo Segneri .(30).
Questa Lettera era uno dei primi e più autorevoli documenti sulla vita del Segneri, redatto in Roma il 19 dicembre 1694 (ma 18, vedi Zanardi nota 62) - cioè solo dieci giorni dopo la sua morte - dal suo più fedele confratello. Giovanni Pietro Pinamonti aveva accompagnato il Segneri per ben ventisei anni di predicazione rurale, era stato suo confessore e consigliere spirituale, aveva collaborato alla redazione di quasi tutte le sue opere durante i riposi invernali nel Collegio fiorentino, aveva continuato le missioni rurali per tutto il tempo in cui Segneri era stato alla corte di Innocenze XII e, dopo averlo probabilmente assistito nell'estrema malattia, se ne era tornato alla sue fatiche missionarie, morendo proprio durante una di queste, nei pressi di Orta.(31)
Scrivendo al Rettore del Collegio di Firenze la breve " memoria " destinata al granduca Cosimo III, dopo un ricordo commosso del compagno appena scomparso (" Nella gran perdita che ho fatto in questi giorni per la morte del padre Paolo Segneri, può credere Vostra Reverenza che io non ho maggior consolazione che la memoria viva delle sue virtù "), il padre Pinamonti fa scorrere i fatti salienti di quella grande avventura che fu la vita di Paolo Segneri.
Ne nasce un profilo essenziale e misurato, un ritratto umanissimo, che comincia dalla ricostruzione dei fatidici esercizi spirituali di Perugia (quando Cristo strinse col Segneri il patto di " amarsi sempre " e gli indicò i fondamenti della sua vocazione religiosa: povertà, ritiramento, orazione, penitenza, esame), per poi passare alle terribili penitenze, affrontate secondo l'ideale di S. Gerolamo (" il libro e il sasso "),(32) e alle varie pratiche di flagellazione, in cui è evidente il coinvolgimento dello stesso Pinamonti, tanto è vivo il ricordo di certi supplizi (i cilici meticolosamente descritti, lo smagliarino a spilli, i tuffi nei roveti o nella neve, il camminare scalzo sui sassi acuminati). Quindi sono descritte le virtù del Segneri, dalla " purità angelica " a quella " singolare umiltà " che rendeva ancor più grande la sua gloria ed il successo tra le folle acclamanti dei fedeli, così numerose da creare problemi di ordine pubblico (ma, probabilmente, le autorità paventavano anche il rischio di sommosse popolari).(33)
E, proprio a questo punto - siamo ormai nella parte conclusiva della Lettera , davanti ai grandi successi del Segneri, miracoloso " facitore di paci " - il Pinamonti ci propone alcune sue attente riflessioni. Egli, che era stato " lungamente spettatore di queste cose ", si era fatto un'idea precisa della " virtù grande del padre Paolo ", non già basata su una sorta di soprannaturale o taumaturgico potere, bensì sulla sua profonda esperienza della vita e del cuore degli uomini: " egli era uomo di tanto sapere, di tanto credito, di tanta esperienza in varii maneggi " che " non solo con la stima della sua persona, ma anche con partiti opportuni aggiustava differenze lungamente tentate invano da altri ".(34)
La grandezza di Paolo Segneri, dunque, per Pinamonti consisteva nella sua particolare umiltà, cioè nella sua intensissima partecipazione alle miserie della terra, nella conoscenza del mondo. E con l'esaltazione di questa " mondanità " emergevano anche i tratti peculiari di un asceta che odiava i digiuni e non disdegnava il cibo (anzi, ne prendeva in abbondanza, " essendo di robusta complessione e di gran calore e facendo viaggi e predicando per due o anche tre ore al giorno "),(35) né temeva di cadere in discredito confessando ad alcune dame genovesi la sua riconoscenza per i " trattamenti signorili " ricevuti durante una missione: egli peraltro " era rimasto sommamente obbligato alla bontà d'uno di quei cavalieri il quale ne' caldi eccessivi di quella stagione l'aveva provveduto abbondantemente di neve ".(36)
Sulle tracce di questa grande, umanissima " umiltà ", Pinamonti affronta infine il nodo cruciale della taumaturgia e della santità di Paolo Segneri valutando se " potessero essere vere alcune di quelle meraviglie che raccontano di lui ". (37) Ma la straordinaria prudenza con cui parla dei miracoli del " padre santo " (come lo chiamavano le folle che già si contendevano le sue reliquie), sortisce ad uno straordinario effetto verità: se da una parte, infatti, era la " fede grande " della gente a muovere la misericordia del Signore, dall'altra era davvero impossibile negare la realtà di certi fatti di fronte a tante concordi testimonianze:
I popoli aveano in lui una fede così grande, che non par da dubitarsi che il Signore non concorresse con essa a qualche effetto straordinario. E mentre in luoghi così diversi e cosi distanti s'accordavano le genti a riferire simili grazie, non pare possibile che tutte si accordassero, senza ' sapere l'una dell'altra, in una cosa falsa.(38)
C'era, in questa Lettera di Giovanni Pietro Pinamonti, una trama più che adeguata perché il padre Massei - che pure non aveva frequentato a lungo il Segneri e che forse lo aveva appena conosciuto - potesse muoversi a comporre una vera e propria agiografia. Non era difficile fabbricare un santo, dilatando le linee di quella " breve notizia ", arricchendola di dati e di fatti, superando quella rispettosa prudenza con prove testimoniali più consistenti e puntuali, non certo impossibili a reperirsi dietro una vita ormai diventata leggenda tanto tra gli umili popolani quanto tra i grandi.
Occorreva però costruire qualcosa di meraviglioso, in uno stile ben più alto rispetto ai toni dimessi di Pinamonti, secondo una materia tutta prestigiosa, dove anche l'umiltà, la più " segnalata " delle virtù segne-riane, risultasse qualcosa di grandioso, di mirabile, di straordinario, di " non-umile ", insomma. Un progetto che già di per sé si poneva al di fuori dei criteri di cautela che la Compagnia si era data per l'elogio dei suoi figli defunti, conformemente ai decreti un tempo emanati dalla sacra congregazione dell'Inquisizione e da Urbano VIII.(39)
Ciò che colpisce subito leggendo il manoscritto di Giuseppe Massei - anche per l'evidente contrasto con la Lettera del Pinamonti che pure rimane il modello di riferimento citato in più passi - è la narrazione alta, magniloquente, barocca, che ben si addice ad una Vita tutta spettacolare e " grande ".
Grande è l'infanzia di Paolo Segneri (capp. I-II), in una famiglia nobilissima, numerosissima, religiosissima, culla naturale della sua precoce ansia di combattere il demonio e i peccatori tramite la predicazione, passione che egli fin da bambino esercitava con i suoi amici, piccoli uditori tenuti spesso desti a suon di ceffoni. Grande la sua adolescenza (capp. III-VI): entrò nel noviziato nella festa di San Francesco Saverio, un anno prima del tempo prescritto e dopo un lungo conflitto con il padre. E grandi i suoi maestri, da Giovanni Paolo Oliva, a Vincenzo Carafa, a Sforza Pallavicino: tutti entusiasti dello zelo di questo giovinetto e sicuri che sarebbe stato il tanto atteso riformatore dell'eloquenza sacra.
Ma anche il " golfo dei suoi studi " è " trascorso " con grande fervore (capp. VI-VII): oltre alla Sacra Scrittura e ai Santi Padri, ci sono Famiano Strada (di cui tradusse la II deca del De bello belgico , per rassodare la sua lingua toscana) e le Orazioni di Cicerone, studiate " a fin d'apprendere i modi più forti da convincere l'intelletti e da muovere le volontà applicando al sacro gli argomenti profani di quel gran maestro dell'eloquenza ".(40) È un impegno talmente intenso che la testa s'infiacchisce e le " moleste flussioni " gl'indeboliscono l'udito: ma anche la sordità è accolta da questo uomo di Dio " per suo spiritual profitto ", cioè per " renderlo tutto a Lui, e lasciare le vanità per aderire alla verità".(41)
Miracolosi appaiono poi i fatti capitati al Segneri negli esercizi spirituali del 1660 (cap. VIII), quando " si sentì accendere il cuore da un ardente desiderio di sacrificarsi tutto al suo Signore, e parvegli di udire come in modo sensibile la dolcissima voce di Lui che gli diceva: - Voglio che noi ci amiamo insieme ".(42) Di qui comincia la sua vocazione missionaria (cap. IX-X), ma, anziché le Indie d'Oriente insistentemente richieste sognando il martirio tra gli infedeli, è spedito in " terre o castelli fuori delle città " dell'Italia, dalla Toscana in su, " a muover guerra campale all'Inferno " e a " seguitare le riverite vestigia " ancora di grandi e santi predicatori, Antonio da Padova, Vincenzo Ferreri, Bernardino da Siena.(43)
A questo punto il Massei si distende a descrivere meticolosamente (capp. Xl-XXIX) il " metodo che dal padre si praticava " nelle sacre missioni: tempi, percorsi, pratiche varie di devozione, processioni, preghiere e canti, flagellazioni, roghi di carte da gioco, confessioni e comunioni generali, prediche con clamorosi espedienti teatrali (l'uso del teschio, del cappio al collo, del crocefisso, delle spine, e l'esibizione delle sue carni flagellate e sanguinanti) e infine i successi, con le pubbliche acclamazioni a Dio e alla penitenza, le solenni maledizioni dei peccatori, e le paci, che interrompevano antichi rancori e faide familiari inarrestabili per la giustizia civile. Per quasi venti capitoli Massei ci fa vivere dentro questa apoteosi generale del " padre santo ", tra le suggestioni delle folle, di cui ci da cifre impressionanti (fino a 70.000 persone), e incredibili conversioni di ladri, meretrici, ebrei, ma anche di " cavalieri principali " con " più di quaranta bravi ",(44) " abati mitrati "(45) e monache dal l'" anima perduta".(46) Quindi, dal capitolo XXX in poi, Massei ci introduce, circospetto quanto deciso (" per non togliere a Dio la gloria, e per non negargli la gratitudine da Lui meritata ") in quegli " avvenimenti che possono parer superiori all'ordine della natura ".(47)
Si apre a questo punto una fantasmagorica rassegna di miracoli, tutti registrati con dati e nominativi precisi di medici, sacerdoti, rettori, vescovi e alte personalità, " testimoni sommamente degni di fede, i quali han deposto le cose con lor giuramento nelle mani anche autorevoli di publico notaro ".(48)
Folle che escono miracolosamente salve da naufragi (49) o illese sotto crolli di muri;(50) vino che si moltiplica nelle botti;(51) tempeste sedate(52) e piogge miracolose;(53) guarigioni istantanee di cecità,(54) di " furiose schiranzie", (55)di "focose risipile ", (56)di apoplessie, (57) di "atroci sciatiche "(58) ed emicranie;(59) gambe che si riattaccano,(60) e dita che riprendono a funzionare(61) per l'intercessione del " padre santo ", il quale ora è visto " attorniato d'ogni intorno da una gran copia di splendori celesti ",(62) ora con " la faccia tutta luminosa " mentre celebra la messa,(63) ora, nel fervore di una predica, col volto " molto risplendente e che gli uscivano dappertutto raggi di luce ".(64) Più innanzi, infine, si attesta il suo spirito profetico, non solo nel predire la morte,(65) ma anche in una materia delicata come le future elezioni dei Pontefici.(66)
L'impeto agiografico del Massei è così forte da mettere addirittura in ombra l'importante e immensa produzione letteraria di Paolo Segneri (rapidamente sbrigata in un capitoletto riassuntivo, il XXXVII, e poi richiamata saltuariamente nella seconda parte della Vita ) e da farlo tacere del tutto sulle sue battaglie teologiche. Ma a questo silenzio concorrono ovviamente anche motivi di prudenza e di politica interna della Compagnia di Gesù: parlare delle posizioni probabiliste del Segneri significa richiamare, oltre allo spiacevole contrasto con il generale Tirso Gonzàlez, l'annosa e allora ancora viva tensione creatasi all'interno dell'Ordine in conseguenza del rigorismo probabilioristico di quel superiore.
Per questo il Massei glissa rapidamente sui contenuti degli scritti segneriani e quando arriva a parlare del suo incarico di predicatore e teologo nel palazzo apostolico romano - è questo il momento in cui il Segneri rivolge i suoi energici richiami a Tirso Gonzàlez - non fa che ribadire il disagio del vecchio missionario rurale costretto a predicare in queir " augusto teatro" ed insiste sulla sua tristezza ("sospirava di continuo alle sue amate missioni ", " scrisse a un suo confidente che dopo di esser stato rimosso dalle missioni non aveva mai goduto neppure una giornata di allegrezza "),(67) fino ad attribuirvi quasi la causa della sua mortale malattia:
Parte la poca contentezza d'animo, parte questa nuova forma di vita senza quell'agitazione di corpo che aveva per tanti anni costumato nelle missioni, gli apportarono in lunghezza di tempo una grave infermità, che pian piano il condusse agli estremi e gli tolse affatto la vita.(68)
Le pagine successive s'impennano di nuovo per un epico racconto della morte di padre Segneri, anch'esso tutto intessuto di frasi celebri (" Abyssus abyssum invocat: abyssus miseriae invocat abyssum misericordiae ")(69) e di gesti grandiosi in cui si realizza la pratica della buona morte tante volte insegnata; quindi il Ragguaglio può riaprirsi ad una seconda lunga parte, di carattere squisitamente edificante, per " apportare a comun profitto qualche residuo delle insigni virtù " di " questo gran servo del Signore ".(70)
E per altri ventisei capitoli (XLVII-LXXII) Massei ci parla - ancora tra una selva di fatti, testimonianze e documenti - della " fervorosa carità " del Segneri, della sua " fiducia in Dio ", dell'" esercizio dell'orazione ", del " magnanimo disprezzo delle cose mondane " (nelle grandi città " non voleva vedere le curiosità più celebri ": un antibarocco per la " santa avarizia " dell'amor di Dio nel secolo delle stravaganze),(71) dell'umiltà, della " libertà di cuore ", del " proprio disprezzo " e delle " penitenze ", insistentemente cercate tra le più inusitate e dolorose: il cilicio con ben tremilaottocento punte, la cera bollente sul corpo, la sospensione alla trave.
Ed è proprio all'insegna della sofferenza e del sangue che si chiude la biografia di Massei, convinto che il tesoro più grande che i lettori debbono raccogliere dalla vita del " venerabile padre Paolo Segneri " (che, nel capitolo finale, egli vede ormai nella " gloria del cielo applaudito da eserciti di anime per suo mezzo salvate ")(72) sia essenzialmente questo insegnamento di penitenza dei peccati e di mortificazione della carne, fondamenti di tanti successi che sarebbero rimasti nascosti se solo fosse dipeso dalla volontà del Segneri, secondo quella massima di San Gregorio che ammonisce ad " occultarsi sempre agli occhi degli uomini ", perché " depredar! desiderai qui thesaurum publice portat in via ".(73)
Il mito di Paolo Segneri, della sua eroica e umile santità, viene dunque costruito da Massei entro una formula ben precisa. Come un esempio di mortificazione della carne e di infuocata passione religiosa, che deve dire ad altri " servi di Dio ", Gesuiti e no, che si può diventare santi anche senza le croci delle Indie d'Oriente, consumandosi in un martirio tutto nostrano attraverso le terre desolate d'Italia.
Là dove non giunge la giustizia terrena, può arrivare inesorabile la voce di Dio portata dal santo missionario, che si frusta a sangue, piange baciando le piaghe del crocefisso, e, brandendo il teschio, implora conversione, pentimento, pace: pace e ordine sociale, pace e concordia civile, pace e ubbidienza alle leggi di Dio e a quelle degli uomini.
In questa Vita di Paolo Segneri non vi è nulla di politicamente inquietante. Tutto è terribile e insieme confortante, per la violenza dei gesti, per il sangue vivo che continuamente sgorga dalle piaghe del missionario e inonda le pagine, più forte e persuasivo delle stesse parole: è con la retorica del sangue che il predicatore annuncia l'amore e i castighi divini, è col suo sangue che impone le " paci meravigliose ", come quando - per citare uno dei tanti esempi - a un " maligno " che diceva di " non bramare veruna soddisfazzione, fuorché lavarsi le mani nel sangue del suo nemico ", " Orsù, disse il padre Segneri, giacché tu vuoi lavarti le mani nel sangue del tuo nemico, lavali pur le mani nel mio sangue [,..] che io non lascerò mai di versarlo fino a tanto che tu ne sii sazio ".(74)
Conversione e perdono sono quasi imposti con violenza, una violenza che Giuseppe Massei ha certamente mutuato dai più importami scritti del missionario gesuita. L'infuocata aggressività verbale di certe prediche del Quaresimale , o dell''Incredulo senza scusa, o del Cristiano istruito nella sua legge (un capolavoro nel suo genere, anche per la presenza di quegli exempla morali così ossessionati dall'idea del peccato e dell'assoluta necessità di convertirsi e perdonare)(75) sembra prender corpo nel personaggio Segneri, incarnazione viva dei contenuti morali di quegli scritti dei quali, peraltro, in questo Breve Ragguaglio non v'è quasi traccia.
È infatti evidentissimo lo scarso interesse di Giuseppe Massei per gli scritti segneriani, e a leggere questa Vita sembra quasi che il grande missionario non si sia mai dedicato a quelle opere che occuparono i quattro volumi in folio dell'edizione di Parma del 1701, dai quali sarebbe discesa, nel corso dei secoli e con centinaia di stampe di vario genere, quella quasi incontrollabile fortuna del Segneri scrittore sacro.(76) Né, tantomeno, c'è nel Ragguaglio una qualche attenzione per il suo non irrilevante impegno poi cinico-dottrinale: in un unico passo Massei ricorda la polemica antiquielista legata alla Concordia tra la fatica e la quiete , ma lo fa senza entrare nel merito del problema teologico e solo per evidenziare ancora una volta la grande umiltà del Segneri, che non si lasciò tentare dall'orgoglio allorché, " scoperto il serpe che stava nascosto Ira' fiori ", fu tolta la censura indebitamente posta e quel libro " fu restituito al publico con molta sua gloria ".(77)
Che ne fu, nel corso dei secoli, del personaggio segneriano costruito da Massei? Che ne fu di questa perfetta immagine di santo, che - una volta liberata dal divieto imposto dalla Compagnia di Gesù - venne addirittura potenziata, proprio nel settore dei miracoli, con interpola-zioni e puntuali attestazioni giurate?(78)
Nel Settecento spiccano due biografie di Paolo Segneri e ci incuriosiscono perché, scritte entrambe in un forbitissimo latino da un maestro e da un suo allievo, propongono due immagini diverse, per non dire opposte, del grande missionario gesuita.
La prima è contenuta nel De vita et sancta conversatione septem venerabilium patrum e Societate Iesu del gesuita pesarese Giuseppe Maria Mazzolari (1712-1786).(79) Si tratta di un'elegante sintesi della biografia del Massei, che è seguita in tutte le sue fasi salienti - quindi anche nella descrizione dei fatti meravigliosi, i miracoli (con un'opportuna scelta esemplare) - ma con un non innocuo taglio nella patte in cui il Breve Ragguaglio insisteva sulle sofferenze patite nella vita romana: Mazzolari, dopo aver sottolineato che Paolo Segneri soddisfece " egregiamente e pienamente, secondo la sua singolare dottrina ", ai nuovi incarichi affidatigli dal Papa (" quibus muneribus egregie pro sua singulari doctrina cumulateque satisfecit "),(80) attribuisce la malattia e la morte del missionario ad una sorta di esaurimento naturale delle sue forze, consumate da una vita troppo intensa:
Sed iam nomini tot laboribus perfuncto, ac paene confecto [così comincia il racconto della morte del Segneri nel cap. XIX] aeterna requies debebatur. Et sane gravi incommodo tentari coepit, quo admonitus mortem sibi in foribus adesse cognovit.(81)
Quindi, dopo aver raccontato - sempre sulla scia del Ragguaglio di Massei - i gesti e le frasi della " placidissima " morte del Segneri, nonché lo straordinario e qualificato concorso di grandi alle sue esequie e la commozione dello stesso Innocenzo XII (" aegre admodum eius mortem tulit, et virum sanctum atque angelum semel, iterum, tertio decessisse pronuntiavit "),(82) Mazzolari dedica un capitolo alla dottrina e agli scritti segneriani.
Oltre alla smisurata produzione letteraria, quasi incredibile in un uomo distratto da tante e tanto grandi preoccupazioni spirituali (" ut mirum sit, hominem tot tantisque pro salute animarum distractum occupationibus, tam multa tamque accurate et eleganter scribere potuisse "),(83) il biografo esalta la superiorità dello stile segneriano, che, come una spada, non meno ferisce di punta di quanto col suo fulgore costringa i nemici a stringere gli occhi:
Eius operimi stilus maxime probatur a doctis, et facile propter insignem quandam perspicuitatem et numerum dignoscitur: quem quidem minime negligendum duxit, cum diceret, gladium non minus acie ferire, quam fulgore suo hostium oculos perstringere. (84)
Proprio da analoghi rilievi stilistici si muove l'altra biografìa latina scritta sul finire del Settecento da un erudito che fu in gioventù allievo di Mazzolari nel Collegio di Roma e che, legatesi al circolo culturale del Bottari, assunse posizioni di rigorismo etico filogiansenistico che lo resero inviso ai Gesuiti. Si tratta di monsignor Angelo Fabroni (85) che, rientrato nella sua terra toscana dopo l'intensa avventura culturale romana, sotto la protezione del neogranduca lorenese Pietro Leopoldo e del suo successore Ferdinando III, dedicò la sua preparazione umanistica ed enciclopedica alla guida dello Studio di Pisa, al Giornale de' Letterati , che diresse dal '71 al '96, e alla compilazione di opere erudite, tra cui spiccano le vite dei grandi Medici, da Cosimo, a Lorenzo, a Leone X e, soprattutto, ad una ponderosa raccolta in venti libri di elogi di uomini illustri.(86)
Il XV volume delle sue Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt , uscito a Pisa nel 1792, si apre con il profilo di Paullus Segnerius , personaggio che ha peraltro avuto un notevole spicco nella stessa introduzione del volume quale campione dello stile oratorio e della pura lingua italiana nel solco della nostra migliore tradizione, latina (Cicerone) e toscana (Boccaccio).(87) E in tale dirczione fondamentalmente accademico-letteraria sembra orientarsi questo medaglione segneriano.
Dopo un primo sintetico profilo dell'infanzia e della giovinezza ricavato dal Massei con estrema parsimonia (nessun cedimento ad aneddoti e tantomeno a miracoli), il Fabroni rileva subito di Paolo Segneri l'eccellenza dei suoi risultati stilistici, retorici e linguistici, nonostante i condizionamenti del depravato gusto barocco del suo secolo.
Non c'era nessun oratore sacro che si potesse imitare in quel tempo: tutti si erano allontanati dalla retta via, non approvando più nulla che non fosse " turgidum et inflatum ".(88) Ma il Segneri, prudentemente allettando le menti secondo i gusti moderni con uno stile " grande, copiosum, splendidum, admirabile, sensus et dolores habens et conspersum quasi verborum sententiarumque floribus ",(89) seppe ricondurre la sacra oratoria a quelle virtù sue proprie che erano state dimenticate, quasi come riportando alla loro dimora degli uomini erranti:
Paullatim enim errantes homines quasi domum deducendi erant, invitandique iis orationis virtutibus, quae non longissime ab imperitorum intelligentia sensuque disjunctae essent.(90)
Perciò, non bisogna essere troppo severi con Segneri. " Si aliquando peccavi! " (ripete Fabroni), fu " sui saeculi caussa " ed i vizi del suo stile possono esser colti soltanto da coloro che sono estremamente raffinati (" qui teretes aures, oculosque acres et acutos habent ").(91) E, del resto, per quanto riguarda l'eleganza e la pulitezza dell'orazione, non solo Segneri era " in verborum splendore elegans, sed in compositione aptus et numerosus, et facultate copiosus, eaque erat cum summo ingenio, tum exercitationibus maximis consecutus ",(92) e sapeva vedere acutamente, dividere in modo adeguato, né dimenticava quasi nulla che fosse opportuno per confermare o per respingere. E benché, anche in questa sua straordinaria abilità, peccasse nel contaminare eccessivamente il sacro con il profano, se avesse fatto un uso più parco degli esempi pagani a favore dell'autorità dei sacri scrittori, sarebbe stato il migliore non solo tra gli oratori italiani, ma anche tra gli stranieri, pur non avendo splendore nella voce né eleganza nei movimenti.(93)
Dopo una precisa critica sull'" immaturità " e sugli eccessi di certi Panegirici sacri (" non omnes tamen eandem maturitatem habent [...] desiderat enim maturitatem aetatis, quae juvenilem quamdam dicendi impunitatem et licenliam reprimat, el quasi extra ripas diffluentem coerceal "), sempre ricondotti però ai vizi del secolo,(94) Fabroni ricorda la previsione del cardinale Sforza Pallavicino (" hunc fore sacrae eloquentiae inslauralorem [...] ac per eum tandem piane depulsam fuisse a suggestibus barbariem ") (95) e la vede pienamente realizzata nel Quaresimale , che diventò la " regola " per gli oratori sacri: " Tum fuit regula, ad quam eorum dirigerentur orationes, qui vellent eleganter, ornate et cum dignitale divinas exponere senlenlias ".(96)
Ma la cosa ancor più straordinaria, nell'oratoria segneriana, fu la capacità di imitare pienamente la missione degli apostoli, sostenendo per ventisette anni le fatiche della predicazione rurale e parlando sempre " populariter ", senza però cadere mai nella sciatteria (" Etsi autem in his concionibus populariter loquabatur [ sic ], nemo tamen erat vel eruditissimus, qui eum non libentissime audiret, admiraretur etiam ").(97) Né questo fervido impegno missionario gli impedì di attendere alla composizione di quelle opere morali " quae omnem bene et christiane vivendi rationem continerent ".
Parte di qui l'elogio del Cristiano instruìto nella sua legge , che evidentemente Fabroni - sempre molto attento agli aspetti stilistici - preferiva allo stesso Quaresimale per la perfetta eleganza della sua lingua toscana, ma anche per la completezza dell'analisi morale. Le lodi dello stile s'intrecciano con quelle contenutistiche:
Quam Etnisca, quam piane, quam ornate, quam ad id, quodcumque agit, apte congruenterque dicit! Quanta copia optimorum praeceptorum, earumque rerum omnium, quae majores nostri religione tuta nobis et sancta esse voluerunt! Nullam vitae partem reliquit, quam non sapientissimis consiliis moderaretur, nullam virtutem, quam non confirmaret, nullum aegri et labentis animi vitium, quod non sanaret; (98)
e ci troviamo per la prima volta davanti ad una vera e propria valutazione critica degli scritti segneriani (dei quali, diversamente dal suo maestro di Retorica e dallo stesso Massei, Fabroni sembra qui proporre una scelta antologica). Ma, dopo un ultimo importante rilievo accademico-letterario circa la partecipazione di Segneri all'Accademia della Crusca (le sue parole " omnia propria, mollia et piena urbanitatis atque leporis ", e l'incondizionata stima del Redi, lo fecero arruolare tra gli estensori del Vocabolario),(99) Fabroni attua un'improvvisa svolta su un argomento assolutamente estraneo alle Vite segneriane del Massei e del Mazzolati, allorché passa a considerare l'impegno di Segneri nelle battaglie teologiche.
A questo punto il discorso si fa estremamente interessante e merita di esser seguito passo per passo.
Fabroni inizia quasi in sordina ricordando che, fra le opere che Segneri compose " ad pietatem in Deum ac Sanctos fovendam ", non si possono passare sotto silenzio quelle contro l'ateismo, definito non solo teologicamente, " teterrimum male ", ma anche politicamente - con una puntuale citazione ciceroniana - " reipublicae pestis " e " struma civitatum ",(100) in relazione al pericolo incombente sulle istituzioni pubbliche (siamo, si ricordi, alla fine del Settecento e nella Toscana moderatamente riformista dei Lorena). Il riferimento letterario è indubbiamente all' Incredulo senza scusa (" Collegit itaque multa, ex quibus confìcitur nullam esse posse tantae impietatis stultitiaeque excusationem [...] "), del quale vengono sottolineate - in contrapposizione con il metodo moderno basato su prove quasi " matematiche " - le argomentazioni " modo probabili " che Segneri sostenne con la solita eleganza oratoria (" [...] suoque more tractu orationis eleganti et aequabili illa perpolivit ").(101)
E un primo annuncio del modo di far teologia di Segneri, con qualche immediata scusante: " si quid deest Segneri operi, non minus illud suspicere debemus, et amare quidem cogimur hominem, qui omnia sua studia omnesque vitae actiones ad hominum utilitatem et salutem contulit ".(102) Dopo di che Fabroni ricorda la sua " inexhausta cupiditas " di percorrere campagne e città " ut agrestioribus lunien divinorum praeceptorum consiliorumque porrigeret atque tenderei ",(103) per sottolineare a buon diritto la sofferenza provocata dall'improvvisa interruzione di quella vita, allorché fu chiamato a predicare a Roma, nel Palazzo pontificio:
Quare non potuit non dolere vehementer se Praepositorum suorum et Summi Pontificis Innocentii XII iussis coactum esse novum amplecti vitae genus, cum mandatum illi fuisset munus sacras habendi conciones in ipso Sacello Pontificio .(104)
Eppure anche questo faticoso incarico produsse splendide prediche e uno straordinario successo, che tuttavia Segneri non volle sfruttare utilitaristicamente, consapevole che gli onori e le dignità bramati dagli uomini sono cose "plena fiutilitatis summaeque levitatis ": egli si curava soltanto di servire la cristiana repubblica e sembrava aver intrapreso una perpetua guerra con se stesso, quale " domitor eximius cupiditatum omnium et implacabilis vitiorum castigator ".(105)
Proprio entro tale ufficio di implacabile moralista Fabroni colloca l'amore di Segneri per i suoi confratelli, esercitato con tanto zelo da farlo cadere nella colpa o nel sospetto di eccessiva indulgenza anche a riguardo di palesi errori:
Magnum quoque in eo apparebat studiimi suorum Jesuitarum, atque utinam ut culpam, sic suspicionem nimiae in eos indulgentiae vitare potuisset .(106)
È qualcosa di cui Fabroni ha già fatto cenno scrivendo la Vita del cardinale Enrico Noris (dove è emersa per la prima volta questa inedita immagine di un Segneri polemista e teologo, peraltro legato al cardinale Francesco Albani),(107) ma che qui è rilevato quasi come un atto d'accusa: come allora contro Noris, tacciato di giansenismo per la sua Historia pelagiana , invidiosi detrattori si appoggiarono all'oratoria di Segneri, così adesso i suoi " praepositi " (cioè, forse, gli stessi assistenti del generale Tirso Gonzàlez) ottennero che difendesse con argomentazioni di straordinaria sottigliezza le tesi del " probabilismo ":
Obtimierunt etiam Praepositi illius, ut subtiliter nimis defenderet sententiam illam, cui Theologi probabilismi nomen imposuerunt, propterea quia id rectum et honestum esse putatur, cuius probabilis ratio reddi possit. (108)
È cioè evidentissima la tesi di Fabroni: Segneri fu uno strumento nelle mani di quei superiori gesuiti che difendevano il " probabilismo " contro la linea morale di padre Tirso Gonzàlez. L'intransigente Generale riteneva - e legittimamente, secondo Fabroni, almeno a quanto si intuisce dal tono qui usato - che si prestasse ad un certo " rilassamento della legge divina " quel genere di probabilità di cui si può rendere una ragione che abbia abbondante sicurezza, ma nei confronti della quale ci possano essere argomenti contrari ugualmente sicuri. Perciò si era battuto con fermezza per il " probabiliorismo ", trasformando il governo della Compagnia in una continua battaglia rigoristica contro i suoi stessi Gesuiti, per togliere quella che egli riteneva - e a buon diritto, sembra sottolineare Fabroni - una " macchia " per tutto l'Ordine:
[...] et quod probabilismi patrocinium non parum offensionis habere intellexit Tyrsus Gonzalesius, nihil non egit toto ilio tempore, quo sedit ad Societatis Jesu gubernacula, ut ex illo ordine hanc maculam tolleret. (109)
Né mancarono teologi di gran fama a sostenere le ragioni di Gonzàlez e ad opporsi all'epistola con cui Segneri aveva esposto al Generale la sua opinione (anzi, l'" altrui ", " alienam ", soggiunge Fabroni con un tocco di malizia) sul probabile. Tali teologi, tra i quali Fabroni cita Pietro Bellarmino,(110) ritenevano con argomenti di gran peso che non una capziosa probabilità, ma una verità certa dovesse essere assunta come norma morale:
[...] quod maxime salutis communis interesse putarunt, omnium humanarum actionum. summam cautionem, atque imam provisionem esse, ut certa sint praecepta, quae non captiosa probabilitate, sed ventate ipsa percutiant animos .(111)
Ma, proprio nel bel mezzo del racconto di questo scontro teologico, Fabroni s'interrompe ed annuncia prima il disagio di Segneri in mezzo a tali tensioni, poi le sue richieste di esonero, infine la sua mortale malattia, a sottolinearne lo stretto collegamento, la conseguenza quasi, con lo sforzo dottrinale di un rude missionario di campagna non avvezzo a vivere nell'" aula ". È un passo lungo e sapientemente articolato, che vale la pena di seguire per esteso:
Sive quod natura non esset factus Segnerius, ut in aula viveret, sive quod non posset diutius sustinere Concionatoris Apostolici, ut loquuntur, munus, etiam atque etiam a Pontifice petiit, ut exolveretur, quod ea condicione obtinuit, ut Theologi munere, quo antea auctus fuerat, saltem fungeretur in iis excutiendis quaestionibus, quae afferuntur ad Romanum Poenitentium forum, quaeque ad criminum expiationem pertinent. Aegre illi morem gessit, cum hoc unum se cupere dixisset, ut remotus ab oculis nominimi atque vulgi sermonibus mortem in solitudine praestolaretur. Coeperat enim afflictari valetudinis incommodis (112)
A qualcosa di simile aveva già alluso Giuseppe Massei, sottolineando nel Breve Ragguaglio la malinconia e il difficoltoso adattamento del missionario rurale alla vita sedentaria della curia pontificia; e Mazzolari l'aveva corretto, parlando di un naturale esaurimento psicofisico come causa della morte.
Ma qui l'erudito Fabroni, attento com'è agli aspetti non solo stilistico-letterari, ma anche propriamente ideologici di Paolo Segneri, ci dice che fu l' aula (ovvero la corte come luogo della pura dottrina) ad uccidere un predicatore straordinariamente abile a raggiungere il cuore dei suoi uditori - fossero essi umili popolani o personaggi altolocati - ma poco abituato a sostenere battaglie intellettuali, anche perché obiettivamente privo degli strumenti adeguati ad un tale arduo compito.
" Instaurator sacrae eloquentiae " e " concionator " veramente apostolico, fu dunque il Paullus Segnerius di Fabroni, ma non teologo e men che meno intellettuale autonomamente capace di sottili schermaglie dottrinali: una condizione questa che lo aveva appunto esposto alla strumentalizzazione dei " praepositi " della sua Compagnia.
Così, negli anni della rivoluzione e del crollo dell' ancien règime (e con un fondo di antigesuitismo che non gli era mai venuto meno, proprio in nome della sua prospettiva ideologica di cattolicesimo moderato-illumistico)(113) si esprimeva sulla vicenda esistenziale di Paolo Segneri il filogiansenista Angelo Fabroni. E la sua biografìa segneriana ritornava curiosamente alle stampe in piena restaurazione, nel 1824, quale introduzione ai tredici volumi della Manna dell'anima pubblicati a Torino dal maggiore editore ottocentesco di Segneri, Giacinto Marietti. (114)
Ma il pur bravissimo anonimo traduttore della Vita del padre Paolo Segneri tratta dal Fabroni si concede più di una libertà.
Quando, dopo aver diffusamente seguito il testo originale per celebrare la "maschia ed elevata facondia"(115) di Segneri, arriva a parlare del suo impegno di predicatore apostolico " nel più luminoso teatro della Cristianità",(116) si arresta all'inizio di quell'importante avventura romana (segnata dal " grave dolore <dì> cangiare il suo metodo di vivere e frenar quello zelo che il portava a percorrere i villaggi e le castella onde porgere al più rozzo popolo e più bisognoso la luce delle eterne verità della Fede"),(117) e taglia drasticamente tutta la lunga ed importante disquisizione sulle battaglie teologiche, né ripropone le sottili insinuazioni del Fabroni circa la strumentalizzazione del grande predicatore da parte dei suoi " praepositi ". E questa Vita del padre Paolo Segneri , che pure assume un così grande spicco ad apertura di una delle prime grandi opere edite da Marietti, va poi a chiudersi - senza raccogliere gli aspetti più stimolanti del profilo di Fabroni - nella celebrazione dell'umiltà dimostrata all'interno del palazzo apostolico (" sfuggiva studiatamente onori e dignità ") e nella condanna della corte, responsabile però solo in parte della morte del missionario gesuita, spossato' anche dalle estenuanti fatiche di una vita:
Ma già, sia che fatto non si sentisse per vivere alla Corte, sia che per le lunghe fatiche declinar sentisse le forze, più e più volte domandò in grazia al Pontefice che liberare il volesse dal grave incarico. (118)
Il Paullus Segnerius di monsignor Angelo Fabroni godeva dunque di un significativo recupero, ma insieme subiva un'altrettanto significativa censura, e ad opera di uno dei principali responsabili editoriali della fortuna ottocentesca di Paolo Segneri. La direzione ampiamente ecclesiastica e popolare sulla quale Giacinto Marietti intendeva rilanciare la " devozione " segneriana consigliava di non addentrarsi in spinose questioni di Fede (né, tantomeno, di richiamare conflitti interni alla Compagnia di Gesù, ripristinata solo da un decennio), ma di puntare piuttosto sull'accattivante immagine letteraria del grande penitente e dello straordinario predicatore e trascinatore di popolo, che di lì a poco avrebbe avuto divulgazione anche nelle edizioni popolari di Borroni e Scotti e sarebbe stato stampato antologicamente in florilegi o piissimi doni di nozze.(119)
Che è poi l'immagine cui si affida anche un altro biografo segneria-no di pieno Ottocento, Ferdinando Ranalli, nelle Vite di uomini Illustri Romani . La sua Vita di Paolo Segneri fu stampata e ristampata in testa ad una popolare edizione del Quaresimale ed è un elogio tutto articolato tra celebrazione della grande eloquenza del missionario rurale ed esaltazione delle sue eroiche virtù cristiane.(120)
Classicista feroce, antimanzoniano e purista ad oltranza (l'" ultimo dei puristi " fu definito dal De Sanctis e dal Rossi), questo teramese professore di lettere a Pisa e a Firenze, che fu anche storico del Risorgimento e parlamentare della Destra, vede innanzitutto la grandezza di Segneri nella sua battaglia antibarocca: contro quel " secolo stranamente voglioso di fantasie e novità occhibaglianti ", il grande predicatore gesuita, con la sua " semplice, vigorosa, persuasiva eloquenza ", fondò " scuola di verace eloquenza sacra, cui non offendono declamazioni vane e fragorose: né barbarie di voci e di maniere oscure fa oltraggio alla nobile vivezza delle imagini, all'abbondante eleganza delle frasi, al tranquillo e maestoso procedere del discorso, somiglievole a Cicerone".(121)
Diversamente dal Fabroni, però, Ferdinando Ranalli non affronta poi i contenuti delle opere segneriane (di cui fornisce uno scarno elenco in coda al suo profilo), né tantomeno si addentra in questioni di carattere teologico o nelle tensioni interne alla Compagnia di Gesù, limitandosi ad una velenosa frecciata antigesuitica nel momento in cui registra i successi di Segneri nella curia romana: avrebbe potuto aspirare legittimamente al cappello cardinalizio, ma " è da ammirare che in tanta prosperità di fortuna un gesuita mantenesse la stessa temperanza di appetiti, e non cercasse di brigare né per sé né per altri ".(122)
La celebrazione di questo campione dell'oratoria sacra è infatti tutta ricostruita sulla fondamentale traccia del Breve ragguaglio di Massei che Ranalli utilizza succintamente ma fedelmente, addirittura con citazioni letterali in qualche passo (la vocazione alle Indie, il ritratto del defunto), in altri riproponendolo con studiatissime sintesi retoriche. Così ad esempio riassume le fatiche e i travagli del Segneri, acceso dal " mantice dell'ardente suo zelo ":
Lunghi e pericolosi viaggi, sempre a pie' scalzi, su montagne nevose: coprirsi dì una lacera tonaca: albergare quando in un tugurio abbandonato e quando allo scoperto in una campagna, e benché sfinito e mal concio della persona, far per ogni dove sembianze d'ilarità e di letizia, e in ciascuno che lo riguardava infondere affetti dolcissimi di non più provata divozione. (123)
E così registra il crescendo di gioiose esclamazioni del popolo festante che va incontro al " padre santo ":
Ecco, dicevano, il padre santo; l'uomo inviato dal ciclo a disacerbare le nostre afflizioni; a quietare le nostre coscienze, da ignoranti e da tristi tormentate; a sovvenire alle nostre povertà e incessanti miserie; ad attutare odii che ci parevano inestinguibili, perche nudriti da pessimi consigli; infine a rimetter la pace nelle famiglie, l'ordine nella città, la giustizia ne' magistrati, la religione ne' sacerdoti, il timor di Dio in rutti. ' Ecco il consigliatore della gioventù, il confortatore della vecchiezza, il consolatore di vedove e di pupilli, l'universal benefattore. Vero apostolo di carità, vero banditore della divina parola, che incomincia egli a o fare quel che dice; che non ci predica la povertà, tuffato nelle ricchezze; la umiltà, stando in superbia; la parsimonia, sfoggiando in lautezze; la continenza, avvolgendosi in lussurie. Né c'infiamma alla virtù e alla cristiana perfezione con minacce e terrori, con insulti e vessazioni; ma bensì con preghiere e consolazioni, con tolleranza e dottrina. (124)
Così infine riassume le conquiste di Segneri " tanto più gloriose e solenni delle antiche, in quanto che non ricordano battaglie atrocissime, pestilenze orribili, città sforzate ed arse, campagne sozzate di sangue ":
Le sue conquiste furono la pace, la prosperità, la quiete: le sue vittorie, la concordia, la beneficenza, il buon costume: la sua corona, le benedizioni dei popoli. (125)
In tanta infiammata retorica, coerentemente alla radice polemica che ispira questa Vita e che colpisce un po' tutte le istituzioni educative dell'Ottocento, dai precettori " barbari e ignoranti ",(126) ai responsabili della degenerazione dei costumi (gli ecclesiastici, innanzitutto), Ferdinando Ranalli risolve infine il nodo cruciale della morte di Segneri chiamando in causa i " negozi di stato ". Fu insomma la politica ad uccidere Paolo Segneri, esclusivamente " uomo di studi e di chiesa ":
Ma un uomo di studi e di chiesa non è possibile che prenda dimestichezza ed abito a vivere fra negozi di stato. E al Segneri fu cagione di crudele infermità che, logorandolo a poco a poco, il condusse a tale che dal luglio del 1694 la sua guarigione parve disperata. (127)
Più che soffermarci, però, a discutere su questa ulteriore versione delle cause della morte di Segneri (cause che, come si vede, mutano ad ogni stagione e per ogni biografo), giova qui considerare che con la Vita di Paolo Segneri scritta da Ferdinando Ranalli siamo di fronte ad un'autentica consacrazione letteraria del personaggio, secondo una prospettiva ormai tendenziosa e mistificatoria, ben lontana da oggettive volontà di storicizzazione.
Una prospettiva che si estenderà anche nel Novecento, senza rinnovarsi sostanzialmente, chiusa tra la difesa ad oltranza dei portabandiera della letteratura religiosa e gli attacchi ridimensionanti di una linea idealista che ebbe illustri detrattori di Segneri in Croce,(128) innanzitutto, e poi in Somigliano(129) e in Flora(130) (ma ben più feroce, si ricorderà, era stata nel secondo Ottocento, per ragioni anche ideologiche, la critica di Ruggero Bonghi,(131) di Luigi Settembrini(132) e dello stesso De Sanctis).(133)
Sicché, se in un certo senso gli studi sulle opere segneriane (in particolare quelle oratorie, con la preminenza del solito Quaresimale ) hanno pur visto qualche consistente progresso, chi tra gli studiosi di Segneri s'è occupato anche della sua storia umana e della sua personalità, dal Risi,(134) al Minozzi,(135) al Marzot,(136) non hanno fatto che riproporre le notizie della biografia ufficiale di Giuseppe Massei, leggendola a volte senza la necessaria acribia storica e puntando su formule complessivamente ancora accademico-letterarie - "il principe dell'oratoria sacra ", " un classico della Controriforma " - che poco aiutano ad una nuova, più efficace riscoperta del personaggio e della sua autentica umanità (un'umanità che - dobbiamo riconoscerlo alla fine di questo percorso - ci pare fugacemente balenata solo nel primo ritratto che di Segneri fece il suo compagno di vita, Giovanni Pietro Pinamonti).
In tale panorama critico ci pare dunque più che giustificata la protesta che il gesuita Domenico Mondrone ha posto alla base del suo importante profilo letterario segneriano contro la " tenacità, quasi concertata, con cui si deforma la fìsonomia e l'opera " di questo che è " uno degli autori più discussi della nostra letteratura ".(137)
È indiscutibile che Paolo Segneri, per una nuova e più oggettiva valutazione, debba essere " inquadrato - come aggiunge padre Mondrone - nelle condizioni storiche in cui visse ed operò ", superando " certi adombramenti formali, e più di tutto le prevenzioni accumulate su di lui ".(138) A patto però di non ricadere in un'incondizionata celebrazione di parte, in nuove formule (" un maestro di prim'ordine "),(139) o, peggio ancora, in una valutazione delle opere letterarie esclusivamente connessa alla ripristinata santità di una vita che in realtà è ancora tutta fondata sull'antica agiografia del Massei.
Proprio perché - come dice ancora Domenico Mondrone nella nota d'apertura del suo profilo - " se c'è un autore del quale è indispensabile conoscere la vita prima di giudicare l'opera, è proprio il Segneri ",(140) sarebbe quanto mai opportuno avviare una ricostruzione storica della sua esperienza biografica, con ricerche d'archivio e documentazioni che permettano di superare definitivamente ogni tentazione mistificatoria, letteraria o agiografìca che sia.
È una necessità che già Mario Scotti aveva sottolineato quasi trent'anni fa,(141) ma che non ha avuto molto seguito, a parte la scoperta dei Ragionamenti per la missione (una sorta di prontuario per le prediche delle missioni rurali) fatta da Valerio Marucci nell'Archivio centrale dei Gesuiti(142) ed a parte gli ultimi studi del padre Armando Guidetti sul metodo missionario di Paolo Segneri.(143)
Se, come dice Scotti, una " biografia documentata " di Paolo Segneri " rappresenterebbe un contributo anche alla conoscenza della vita religiosa e sociale italiana del Seicento",(144) più specificatamente e più modestamente a me pare che molti nodi dell'opera di questo grande e popolare Gesuita potrebbero esser sciolti a beneficio non solo di una più ampia e precisa valutazione critico-letteraria, ma anche della conoscenza di una complessa personalità di religioso e di uomo.
Conoscenza che sarebbe alla fine di non poca utilità all'immagine della Compagnia di Gesù, che potrebbe indubbiamente trarre vantaggio dalla riscoperta delle tensioni e dei vivaci interessi che s'incentrarono nel tempo sui suoi figli, particolarmente su quelli che - come " il venerabile servo di Dio, padre Paolo Segneri " - furono consegnati alla storia da biografi troppo appassionati.
QUINTO MARINI
Università di Genova
NOTE
1 - Il Breve Ragguaglio della Vita del Venerabil Padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù è contenuto nella prima parte (ff. 2v-l12v) del manoscritto intitolato Breve Ragguaglio della Vita del Venerabil / Pre ' Paolo Segneri d.a Compia di Giesù / descrìtta dal P. Giuseppe Massei d.a med:ma Comp.a / coll'aggiunta dell'Esposizione del Magnificat, che /compose lo stesso P. Segneri, e non potè / terminare, prevenuto dalla morte conservato presso l'Archivio Romano della Compagnia di Gesù (Archivum Romanum Societatis lesu, segnatura: Vitae 114). È stato da me pubblicato in un'edizione critica confrontata con la prima edizione a stampa uscita a Parma, per Alberto Pazzoni e Paolo Monti, nel 1701: Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, a cura di Quinto Marini, Roma, Ugo Magnanti editore, 1995. All'Introduzione e alla Nota al testo di tale edizione rinvio per notizie più dettagliate.
2 - OPERE I DEL PADRE / PAOLO / SEGNERI / DELLA COMPAGNIA / DI GIESU', /Accresciute dall'Esposizione postuma del medesimo /SOPRA IL MAGNIFICAT, /E D'UN/BREVE RAGGUAGLIO DELLA SUA VITA; / DEDICATE / Alla Santità dì Nostro Signore / PAPA / CLEMENTE / UNDECIMO / TOMO PRIMO / PARTE PRIMA / IN PARMA / Per Alberto Pazzoni, e Paolo Monti. /ALL'INSEGNA DELLA FEDE. / MDCCII CON LICENZA DE' SUPERIORI, E PRIVILEGIO (gli altri tre volumi sono datati MDCC), pp. 1-45.
3 - Dopo l'editio princeps del 1701 vi furono numerose edizioni del Breve Ragguaglio del Massei, che seguirono la straordinaria fortuna editoriale delle opere del Segneri. Tale fortuna interessò l'Italia e l'estero (con traduzioni in spagnolo, tedesco, francese, polacco, greco, turco e latino) per tutto il pieno Settecento - il privilegio Monti, che uscì ancora nel 1714 e nel 1720 con importanti edizioni in folio, fu praticamente travolto dal veneziano Baglioni, che stampò l'opera omnia in quattro volumi in 4° con incredibile frequenza (1712, 1716, 1728, 1733, 1741, 1754, 1758, 1766, 1773, 1776) - per riaccendersi nell'Ottocento con edizioni classiche (Marietti, Pomba) e popolari quali quella di Borroni & Scotti. Cfr. Carlos Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, tome VII, Bruxel-les-Paris, Oscar Schepens, Alphonse Picard, 1896, s.v. " Segneri Paolo ", coli. 1081-82.
4 - II Sommervogel (Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, tome V, Bruxel-les-Paris, Oscar Schepens, Alphonse Picard, 1894, s.v. " Massei Giuseppe ", coli. 706-07) elenca un nutrito gruppo di edizioni autonome del Breve Ragguaglio stampate tra il Settecento e l'Ottocento.
5 - Dell'editore Paolo Monti, che lavorò in società con Alberto Pazzoni dal ( 1691 al 1702, non si sa molto. Da ricerche svolte nell'archivio della Biblioteca Palatina di Parma, risulta che, oltre alle Opere del Segneri (1700-1701), stampò col Pazzoni altre opere di materia religiosa, come il Parroco istruito dello stesso Segneri (1692), Origine, progressi e mina del calvinismo in Francia del Frescot (1693), Riflessione sopra la costituzione LXXXIII d'Alessandro VII di G. Giandemaria (1693), e di vario genere, tra le quali l'Endimione del Guidi (1696), un volume di poesie del De Lemene (1698) e le Georgiche (1702). Il Monti - che, come si evince dalla dedica , e dall'introduzione delle opere segneriane, ebbe una funzione di promotore culturale e di editore, oltre che di stampatore - lavorò poi da solo, e col titolo di " Stampatore ducale ", dal 1704 al 1727 (dal 1728 l'attività risulta continuata dagli " Eredi di Paolo Monti "): stampò un altro libro del Segneri, l'Istruzione sopra le conversazioni moderne (1712), ristampò il De Lemene (1711 e 1726) e fece un'edizione del Filicaia (1726, ristampata dagli eredi nel 1733). Qualche cenno su Paolo Monti e Alberto Pazzoni si trova anche nel contributo di Pietro Zorzanello, La stampa nella provincia di Parma e Piacenza, in Tesori delle Biblioteche d'Italia: Emilia e Romagna, Milano, Hoepli, 1932, pp. 533-58.
6 - Cfr. il privilegio di stampa, Innocentius PP. XII ad futuram memoriam, firmato da Io. Franciscus cardinalis Albanus, edito dal Monti nelle pagine introdurtive, non numerate, del tomo I delle Opere di Paolo Segneri, cit, ora ristampato in appendice al volume da me curato Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit., p. 97.
7 - Cfr. Lo stampatore a chi legge, in Opere di Paolo Segneri, tomo I, cit. (pagine non numerate). Ora anche in appendice a Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit, p. 97.
8 - Ibidem.
9 - Ibidem.
10 - Ibidem.
11 - Cfr. dedica Beatissimo Padre in Opere dì Paolo Segneri, tomo I, cit., ristampata in appendicela Giuseppe Maassei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit., p.96.
12 - II privilegio di Francesco Farnese di Parma si estende per tutti i tenitori del ducato " per sex fìituros annos " (cfr. introduzione alle Opere di Paolo Segneri, tomo I, cit., ora anche in appendice a Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit., p. 98).
13 - " Thyrsus Gonzàlez Praepositus Societatis Jesu. Cum Hbrum, cui titulus: Breve ragguaglio della vita del P. Paolo Segneri, a P. Josepho Massei no-strae Societatis Sacerdote conscriptum, aliquot ejusdem Societatis Theologi recognoverint, et in lucem edi posse probaverint, facultatem facimus ut typis mandetur, si iis ad quos pertinet ita videbitur: cujus rei gratia has litteras mami nostra subscriptas et sigillo nostro munitas dedimus. Romae 8 martii 1701. Thyrsus Gonzàlez" ["Tirso Gonzàlez, generale della Compagnia di Gesù. Poiché alcuni teologi della medesima Compagnia hanno esaminato il libro che si intitola Breve ragguaglio della vita del P. Paolo Segneri, scritto dal sacerdote della nostra Compagnia p. Giuseppe Massei, e hanno approvato che si possa pubblicare, noi diamo l'autorizzazione affinchè sia dato alle stampe, se così è parso a coloro che ne hanno il compito: per la quale cosa abbiamo concesso questa lettera sottoscritta di nostra mano e munita del nostro sigillo. Roma, 8 marzo 1701. Tirso Gonzàlez "].
14 - " Secondo il parere di tutti i Padri assistenti, codesto libro della vita e delle virtù del p. Paolo Segneri, in questo tempo, per gravi cause, non può né essere presentato ai Revisori per la censura, né essere stampato, ma deve essere differito, finché a Dio non sarà piaciuto altrimenti ".
15 - Cfr. Introduzione a Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit, pp. 9-16.
16 - Cfr. La controversia quietista in Joseph De Guibert S.I., La spiritualità della Compagnia di Gesù, edizione italiana a cura di Giandomenico Mucci S.I,,Roma, Città Nuova Editrice, 1992, pp. 315-24.
17 - Ho potuto consultare personalmente una copia della Concardia tra la fatica e la quiete nell'orazione del 1680 conservata nella Biblioteca Franzoniana di Genova (segnatura: VIII. D. 178). Essendo priva di frontespizio, m quanto opera censurata dall'Indice, il nome dell'autore e i dati tipografici si possono trovare solo all'interno: al termine della dedica al cardinale Federigo Colonna (" Di Firenze il dì 20 di Aprile 1680. Di V. Em. Umilissimo e Divotìssimo Servo Paolo Segneri ") e nell'ultima pagina del libro:" In Firenze MDCLXXX. Per Ipolito della Nave. Con licenza de' Superiori".
18 - Sulla figura di padre Tirso Gonzàlez e sulla sua opera, anche in relazione alle sue polemiche teologiche, cfr. William V. Bangert S.I., Storia della Compagnia di Gesù, a cura di Mario Colpo S.I., Genova, Marietti, 1990, pp. 296-301.
19 - Nella sua Storia della Compagnia di Gesù l'Astràin introduce la polemica tra Segneri e il suo Generale sottolineando parecchie analogie tra i due personaggi (erano nati nello stesso anno, 1624, avevano entrambi esercitato la predicazione in varie diocesi rurali acquistando fama nella loro patria, erano animati dal medesimo credo apostolico, ecc.), per poi concludere ironicamente: " Parece que debieran entenderse perfectamente estos dos hom-bres, animados del mismo espiritu apostolico y ejercitados como nadie en el ministerio de procurar la salvacion de las almas. Sin embargo, sucedio todo lo contrario " (Historia de la Compania de Jesùs en la Asistencia de Espana, por el P. Antonio Astràin de la misma Compania, tomo VI, Madrid, Administracion de razon y fé, 1920, p. 252).
20 - William V. Bangert S.I., Storia della Compagnia di Gesù, cit., pp. 297-98.
21 - I rapporti tra Tirso Gonzàlez e il Fenelon (che fu condannato da Innocenzo XII nel 1699) sono comprovati anche da documenti epistolari pubblicati da Giuseppe De Luca: Frammenti d'una corrispondenza tra Fenelon e Gonzàlez (1698-1699), in " Rivista di Storia della Chiesa in Italia ", III, 1949, pp. 415-29.
22 - " Non pochi de' gesuiti poi sono pronti a divolgare fra gli esterni, co' quali trattano, i disturbi che abbiamo in casa. Onde in più corti si discorre già apertamente per Roma della discordia la quale è sorta a cagione di questo libro tra vostra paternità e noi suoi figliuoli: chi ama la compagnia, per difendere essa accusa vostra paternità: chi l'odia sostiene vostra paternità per dir male di essa. Ma frattanto più può in tali chiacchiere, se io non erro, scapitare vostra paternità, che la religione: concordando ogni uomo disappassionato in concedere almeno che un nostro generale ha da badare al governo, che è tanto vasto, non alle stampe [,,,]. È vero che il corpo ha da difendere il capo: ma non già, diranno essi, in quel caso ancora nel quale il capo se la pigli di proposito contro il corpo. E che scritture saranno queste! che scandali deplorabili! vedere armare contro il padre i figliuoli! " (Al molto reverendo P. Tirso Gonzales preposito generale della Compagnia di Gesù, in Daniello Bartoli e Paolo Segneri, Prose scelte, a cura di Mario Scotti, Torino, UTET, 1967, pp. 718-19).
23 - Dopo il " folio " dell'8 giugno 1692 Segneri scrive altre tre Lettere sulla materia del probabile, sotto lo pseudonimo di Massimo degli Afflitti, che però saranno edite postume a Colonia, la prima nel 1703, la seconda e la terza nel 1732.
24 - William V. Bangert S.I., Storia della Compagnia di Gesù, cit., p. 301.
25 - Cfr. Index processuum beatificationis et canonizationis, qui in Archivio Secreto Vaticano et in Archivio Sacrae Congregationis prò Causis Sancto-rum asservantur (1588-1982), curavit p. Ivo Beaudoin, o.m.i., tabularius Sacrae Congregationis prò causis Sanctorum (dattiloscritto conservato presso PArchivum Romanum Societatis lesu, segnatura: Hist. Soc. Ili 111).
26 - Notizie sul padre Massei si possono trovare nelPArchivum Romanum Societatis lesu (Romana: Epist. Gener. 1670-1675, Catalogi Triennales 1693-1696, Defuncti 1670-1700, Necrologia 1698-1753), nella citata Bi-bliothèque de la Compagnie de Jésus del Sommervogel (tome V, coli. 706-07) e nel profilo degli " Analecta Collegii Graecorum " curato da Antonis Fyrigos, Il collegio greco di Roma. Ricerche sugli alunni, la direzione, l'attività, Roma, Pontificio collegio di S. Atanasio, 1983, pp. 194-96.
27- Vita di S. Francesco Saverio della Compagnia di Gesù, Apostolo delle Indie, descritta dal padre Giuseppe Massei della medesima Compagnia, in Roma, 1681, alle spese d'Ignazio de' Lazzeri, p. 6 (pp. numerate a matita dell'introduzione A chi legge della copia conservata nella Civica Biblioteca ^ Berio di Genova, segnatura: Be. XVII. B. 259).
28 - Vita del venerabil servo di Dio et esimio teologo padre Francesco Suarez della Compagnia di Gesù, scritta dal padre Giuseppe Massei della medesima Compagnia, Roma, per Domenico Antonio Èrcole, 1687 (un esemplare di questa stampa si trova nella Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, segnatura: E. III. 210).
29 - Ibidem, L'Autore a chi legge, p. IV (pp. non numerate).
30 - A quanto risulta dalla bibliografia del Sommervogel (Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, tome VI, Bruxelles-Paris, Oscar Schepens, Alphonse Picard, 1895, s.v. " Pinamonti Giampietro ", coli. 775-76), la Lettera non ebbe fortuna editoriale, soprattutto in Italia. I passi qui citati sono tratti da un'edizione ottocentesca contenuta nelle Lettere inedite del padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù, raccolte e pubblicate a cura di Giuseppe Boero, Napoli, Nobile, 1848, pp. 7-28 (da me riprodotta in Appendice a Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit, pp. 87-91). La relazione di Pinamonti è ristampata anche nell'edizione delle Lettere inedite di Paolo Segneri al Granduca Cosimo terzo, tratte dagli autografi, a cura di Silvio Giannini, Firenze, Felice Le Monnier, 1857, pp. XXXIX-LX.
31 - Sulla figura e sull'opera del Pinamonti sarebbe utile uno studio specifico, in mancanza del quale si rinvia, oltre all'appena citata bibliografia del Sommervogel, a Joseph De Guibert S.I., La spiritualità della Compagnia di Gesù, cit., p. 326, e alla voce di Giuseppe Mellinato S.I. nel Dictionnai-re de Spiritualité ascétique et mystique, tome XIV, Beauchesne, Paris, 1990, coli. 1763-65.
32 - Lettera al Padre Rettore del Collegio di Firenze dal Padre Giovanni Pietro Pinamonti sopra le virtù del Padre Paolo Segneri, cit., p. 17.
Tracce di tali preoccupazioni si colgono anche da alcune lettere che Segneri invia al granduca Cosimo III dalle missioni genovesi del 1688. Il 29 i aprile, ad es., Segneri scrive: " Dimani, a Dio piacendo, n'andremo a Chiavari per incominciar le fatiche nostre, bramate qui da questi signori all'ultimo segno. Si veggono le difficultà di fare la Missione dentro le mura della città, onde si va pensando a un temperamento ". Più esplicita la paura di insurrezioni o di scontri in un'altra lettera del 29 agosto, allorché al Segneri, ! appena sceso dai paesi montani del Genovesato, viene impedito di predicare a Sampierdarena per " rispetti politici " a riguardo della plebe in fermento: " Per ultimo a Vostra Altezza Serenissima debbo aggiungere come dalle montagne sono calato a rivedere e a ricorrere le riviere, dove il moto seguito fu già sì grande, che questi signori hanno detto essere già superfluo far più missione in San Pier d'Arena. Ma la verità è che i rispetti politici sono quelli che molto più l'hanno frastornata. Par che la plebe, la quale là concorrerebbe ogni giorno dalla città in numero così grande, potrebbe dar qualche soggezione alla nobiltà, o far qualche insulto; e così han giudicato scansarne il rischio. Io nondimeno credo tutto essere opera del demonio, il quale al tempo che la città facea da sé tante divozioni per paura del tre-muoto, si aiutò a fare scorrere qualche voce poco prudente, cioè che la nobiltà faceva il male, e che poi toccava alla plebe di farne la penitenza " (Lettere inedite di Paolo Segneri della Compagnia di Gesù al Granduca Cosimo terzo, cit, pp. 109, 113).
34 - Lettera al Padre Rettore, cit., p. 23. A proposito di Segneri " facitore di paci " o " angelo della pace ", nell'edizione di Lettere inedite di Paolo Segneri della Compagnia di Gesù al Granduca Cosimo terzo, cit., p. LXI, si riporta una curiosa Nota di quello si è operato dal molto reverendo Padre Paolo Segneri Missionario Apostolico con l'assistenza del signor Tenente Colonnello Costa, Governator dell'armi della Banda per S.A.S. [Cosimo III] nell'infrascritte Missioni. Si tratta di un vero e proprio elenco delle paci realizzate da Segneri in diverse missioni, distinte in varie specie (" Nella Missione di Monte Carlo: Paci di sdegni, rancori e risse n° 202; Paci d'omicidii rogate n° 4; Compromessi fatti n° 8; Nella Missione di Monsumano: Paci di sdegni, rancori e risse n° 330; Paci rogate di omicidii n° 7; Compromessi fatti e rogati n° 4; Nella Missione del Borgo: Paci di sdegni, rancori e risse n° 300; Paci d'omicidii rogate n° 14; Compromessi n° 3 [...] ", per un totale di " Paci di rancori, sdegni e risse [...] n° 1060; Paci d'omicidii [...] n° 35; Compromessi [...] n° 17 "). Dell'argomento si è occupato anche Armando Guidetti, Silvestro Landini e Paolo Segneri gesuiti per la pace nella Repubblica di Genova, in Atti del Convegno Internazionale di Studi " I gesuiti fra impegno religioso e potere politico nella Repubblica di Genova ", Genova 2-4 dicembre 1991, a cura di Claudio Paolocci, Genova, Quaderni Franzoniani, 2, V (1992), pp. 41-44.
35 - Lettera al Padre Rettore, cit., p. 25.
36 -Ibidem,. 24.
37 - Ibidem, p. 27.
38 - Ibidem.
39 - A tali decreti, del 1625, 1631 e 1634, si fa riferimento nella Protestatio Auctoris che chiude il manoscritto, nonché in una nuova Protestatio che apre la prima edizione a stampa (cfr. ora in Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit., pp. 72, 98).
40 - Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit, p. 25.
41 - Ibidem, p. 26.
42 - Ibidem.
43 - Ibidem, p. 27
44 – Ibidem, p. 37.
45 - Ibidem.
46 - Ibidem,p.35.
47 - Ibidem, p, 41.
48 - Ibidem.
49 – Ibidem, p,43
50 - Ibidem.
51 - Ibidem, p. 41.
52 - Ibidem, pp. 43-44.
53 - Ibidem, p. 46.
54 Ibidem, p. 44.
55 Ibidem
56 Ibidem,p.45.
57 Ibidem.
58 Ibidem.
59 Ibidem.
60 Ibidem.
61 Ibidem, pp. 45-46,
62 Ibidem,p. 46.
63 Ibidem.
64 Ibidem.
65 Ibidem,p. 47.
66 Ibidem.
67 - Ibidem, pp. 48, 49.
68 - Ibidem, n. 49.
69 - Ibidem, p. 51.
70 - Ibidem,p. 53.
71 - Ibidem, p. 60.
72 - Ibidem,p. 71.
73 - Ibidem: " desidera essere derubato chi porta il suo tesoro pubblicamente per la strada " (San Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli, Omelia 11).
74 - Ibidem, p. 38.
75 - Due raccoltine di tali exempla, che avevano avuto edizione autonoma nell'Ottocento, sono state recentemente pubblicate in Paolo Segneri, Novelle morali eloquentissime, introduzione e note di Quinto Marini, nota biografica di Mario Pois, Roma, Ugo Magnanti editore, 1993.
76 - Un sintetico panorama della fortuna editoriale di Segneri può essere offerto dalle ben quaranta colonne di bibliografia del Sommervogel (Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, cit, coli. 1050-89), peraltro passibili di un'integrazione novecentesca.
77 - Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, cit., p. 55.
78 - Gli interventi operati nel passaggio dal manoscritto del Breve Ragguaglio alla sua prima edizione a stampa furono di tre specie: a) ritocchi tecnici di ridistribuzione dei capitoli e di modeste variazioni testuali e grafico-lessicali; b) aggiornamenti di carattere storico riguardanti fatti accaduti dal 1698, data del ms., al 1701, data della stampa (come, ad es., la rettifica circa il cardinale Francesco Albani che, eletto papa nel dicembre del 1700, diventa nella stampa " Sommo Pontefice Clemente XI "); e) interpolaziene di passi, non numerosi ma abbastanza estesi, e di note in corsivo nei vivagni delle pagine, tutti riguardanti i " miracoli " del Segneri. Questi, in sintesi, i fatti straordinari aggiunti nell'edizione a stampa: cap. XXXIII (= XXXV del ms.), guarigione da febbre terzana con una salvietta appartenuta al Segneri (episodio accaduto cinque anni dopo la sua morte, il 14 settembre 1699); cap. XXXIV (- XXXVI del ms.), le carni del Segneri, lacerate dalla flagellazione, guariscono istantaneamente; stesso cap., il Segneri è visto in preghiera alzarsi " quattro palmi da terra "; cap. XXXV (- XXXVII del ms.), il Segneri smaschera una infanticida che tentava di ingannarlo con una falsa confessione. Per i dettagli delle varianti e delle interpolazio-ni, cfr. comunque Introduzione e Varianti dell 'edizione a stampa del mio Giuseppe Massei S.L, Vita di Paolo Segneri, cit.
79 - Iosephus Marianus Parthenius (pseud. di Giuseppe Maria Mazzolari), De vita et sancta conversatione septem venerabilium patrum e Societate lesu. I'.) P. Paulus Segnerius senior, in losephi Marianì Partheni S.L Commentarii et Elogia [a cura di Giuseppe Boero S.L], Romae, Typis Civilitatis Catholicae, 1855, pp. 11-28. La prefazione " lectori benevolo " (pp. 3-8) del p. Boero ci presenta un ritratto del Mazzolari, " vir graecis latinisque Utteris excultus, praestans philosophus, poeta elegans, disertissimus ora-tor " [" uomo colto sia di latino che di greco, filosofo eccellente, elegante poeta, oratore eloquentissimo "]. Nato a Pesare nel 1712 da famiglia nobile, entra nella Compagnia nel 1733; insegna grammatica, retorica e teologia tra Firenze, Fermo e Roma, finché, nel 1751, si stabilizza nel Collegio romano per un lungo periodo, reggendo, dal 1765, la prefettura delle scuole inferiori. Alla soppressione dei Gesuiti (1773), rifiutata l'ospitalità dei potenti, si rifugia in casa dell'architetto Clemente Orlando, dove vive ritiratissimo in preghiera e studio (" [...] consortium fugio, colloquia vito [...] cubiculo meo clausus aut scribo, aut lego, aut dicto "; " [...] fiiggo la compagnia, evito le conversazioni [...] chiuso nella mia cameretta o scrivo, o leggo, o detto "). La sua morte avviene nella casa professa romana il 13 settembre 1786.
80 - Ibidem, p. 26: " Ai quali incarichi soddisfece egregiamente e pienamente secondo la sua singolare dottrina ".
81 - Ibidem: " Ma ormai, ad un uomo che aveva adempiuto pienamente a tante fatiche e quasi sfinito da quelle, era dovuta l'eterna quiete. E cominciò proprio ad essere toccato da un grave disturbo, ammonito dal quale si rese
conto che la morte gli stava alla porta ".
82 - Ibidem, p. 27: " prese con estrema sofferenza la sua morte ed esclamò una, due, tre volte che era morto un santo e un angelo ".
83 - ibidem: " così da essere straordinario che un uomo distratto da tante e tanto grandi occupazioni per la salvezza delle anime, abbia potuto scrivere tante opere e tanto accuratamente ed elegantemente ".
84 Ibidem: " Lo stile delle sue opere è particolarmente apprezzato dai dotti e si riconosce facilmente per un'insigne limpidezza e per l'armonia: egli ritenne che non lo si dovesse affatto trascurare, poiché diceva che una spada non meno ferisce con la <sua> punta di quanto abbagli gli occhi dei nemici con il suo fulgore ".
85 - Angelo Fabroni, nato da nobile ma non ricca famiglia a Marradi nel 1732, aveva ottenuto un posto di convittore al Collegio " Bandinelli " di Roma riservato ai giovani del Granducato di Toscana. Gli allievi di tale convitto frequentavano le scuole del Collegio romano dei Gesuiti e qui il Fabroni seguì i cinque anni del corso secondario superiore. Nel biennio di Retorica (letteratura latina) 1750-51 e 1751-52 ebbe come insegnante Giuseppe Maria Mazzolari, del quale riportò un ottimo ricordo. Nel 1753 fu introdotto da P.F. Foggini nel circolo di G. Bottari, il facoltoso bibliotecario dei Corsini, attestato su posizioni filogiansenistiche e nettamente contrario ai Gesuiti. Diventato - dopo aver preso i voti - coadiutore del Bottari nel canonicato di S. Maria di Trastevere, collaborò ad un programma di divulgazione e traduzione di fondamentali testi giansenisti francesi, accattivandosi la stima non solo degli intellettuali del circolo, ma anche della famiglia Corsini. Dopo questa importante esperienza romana, Fabroni ritornò nella sua Toscana, al servizio dei Lorena, portandosi addosso quel marchio di fìlogiansenista che non riuscì più ad estinguere, anche se, specialmente negli ultimi decenni della sua vita (morirà a Pisa nel 1803), cercò di minimizzare i suoi giovanili entusiasmi, secondo un riscoperto spiritualismo ascetico che gli faceva porre la fede al di sopra di schieramenti ideologici o visioni dottrinali peculiari. Per questi e per altri aspetti della vita, delle opere e della bibliografia di Angelo Fabroni, rinvio alla recente voce di Ugo Bal-dini in Dizionario biografico degli Italiani, XLIV, Roma, 1994, pp. 2-12.
86 - Tra il 1766 e il 1774 uscirono a Roma i voli. I-IV delle Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculo XVIII floruerunt (ma già dal voi. II erano inclusi personaggi del XVII secolo, come M. Malpighi e nel voi. IV scomparve la dizione " saeculo XVIII "); nel 1775 uscì a Firenze il voi. V, dopo il quale Fabroni cominciò a lavorare ad una nuova edizione dell'opera, modificata e ampliata, che raggiunse venti volumi e che fu intitolata Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt: 18 volumi uscirono a Pisa tra il 1778 e il 1799, il XIX e il XX furono pubblicati postumi, a Lucca, nel 1804 e nel 1805.
87 - Cfr. Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, Auctore Angelo Fabronio Academiae Pisanae curatore, Pisis, MDCCLXXXXII, apud Cajetanum Mugnainium, voi. XV, p. 5: " Multa arripuit, hausit, expressit a Cicerone, imitatus est etiam Boccaccii venustatem [...] " [" Molte cose prese, attinse, ricavò da Cicerone, <e> imitò anche la piacevolezza di Boccaccio "].
88 - Ibidem, p. 10.
89 - Ibidem: " [...] grande, ricco, splendido, ammirabile, che aveva sentimenti e passioni, cosparso quasi dei fiori delle parole e delle sentenze ".
90 - Ibidem, pp. 10-11 : " A poco a poco, infatti, quasi si dovevano condurre a casa degli uomini erranti, e attirarli con quegli allettamenti oratori che non erano lontanissimamente disgiunti dall'intelligenza e dalla sensibilità degli inesperti ".
91 - Ibidem: " [.,.] se talvolta peccò, fu per il gusto del suo tempo. A stento infatti appaiono i vizi quando abbondano i pregi, e come con gli strumenti a corda, se qualcuno stona un po', se ne può accorgere solo un esperto, così quelle pochissime cose che sembrano dette in modo imperfetto dal Segneri, saranno disapprovate soltanto da coloro che hanno fini orecchie ed occhi perspicaci e acuti ".
92 - Ibidem: " fu elegante nello splendore delle parole, ma anche abile ed armonioso nella composizione, e ricco di inventiva, ed aveva raggiunto quelle cose sia per il suo eccezionale ingegno, sia per il grandissimo esercizio ".
93 - Ibidem,pp. 12-13.
94 - Ibidem, p. 13: " non tutte [le orazioni] tuttavia hanno la stessa maturità [...] desidera infatti la maturità dell'età, che freni una certa giovanile impunità e licenza dell'eloquio, che la blocchi quando, per così dire, salta fuori dagli argini ".
95 - Ibidem, p. 14: " [...] disse una volta al sommo pontefice Alessandro VII che costui sarebbe stato il restauratore dell'oratoria sacra e sembrava quasi dolersi di esser nato troppo tardi perché potesse vedere compiuto dall'affettuosissimo discepolo il rimanente cammino e una buona volta completamente espulsa dalle tribune la barbarie ".
96 - Ibidem: " Allora ci fu la regola alla quale informassero le loro orazioni coloro che volevano esporre divine sentenze in modo elegante, ornato e con dignità ".
97 - Ibidem, p. 15: "Ma, anche se in queste prediche parlava popolarmente, non c'era nessuno, anche eruditissimo, che non lo ascoltasse con estremo piacere, e lo ammirasse persino ".
98 - Ibidem, p. 16: " Come parla toscano, chiaro, elegante, e come <si rivolgo in modo opportuno e congruente a qualunque cosa tratti! E che abbondanza di ottimi precetti e di tutte quelle cose che i nostri avi vollero che fossero per noi di sicura e santa fede! Non tralasciò nessuna parte della vita che non fosse moderata da sapientissimi consigli, nessuna virtù, che non rafforzasse, nessun vizio dell'animo malsano ed errante, che non sanasse [...] ".
99 - Ibidem, p. 17 nota 1: " Aliquid et ipse videtur ad Etruscum Lexicon confi-ciendum, ut ex litteris Josephi Segnii ad Redium conjicere potui. Elaboravit praesertim in littera E notans latina nomina dicendique modos, qui Italicis responderent " [" Come ho potuto congetturare dalle lettere di Giuseppe Segni al Redi, sembra che anch'agli avesse collaborato al Vocabolario della lingua toscana. Lavorò soprattutto alla lettera E raccogliendo i nomi latini e i modi di dire che rispondevano a quelli italiani "]. Per un'indagine sul ruolo di Segneri nell'Accademia della Crusca e sul suo lavoro per il Vocabolario, rinvio alla relazione di Stefania Stefanelli, Segneri e il Vocabolario della Crusca.
100 - Ibidem, p. 18: " [...] quod intelligebat, nisi haec reipublicae pestis, ac tamquam struma civitatum comprimeretur, ac si fieri potuisset, runditus deleretur, actum fore non de religione modo, sed etiam de imperiorum incolumitate " [" poiché capiva che, se quel tumore della repubblica, e quasi scrofola delle civiltà, non si fosse repressa o, se si fosse potuto, distrutta dalle fondamenta, si sarebbe trattato dell'incolumità non solo della religione, ma anche degli stati "]. In Cicerone, Sest., 135: " [...] pestem aliquam tamquam strumam civitatis ".
101 - Ibidem: " Raccolse dunque molte argomentazioni dalle quali si conclude che non ci può essere alcuna scusa di una tanto grande empietà e stoltezza 102 e' secon^° 'I suo costume, le rifinì con un tratto elegante ed uniforme ".
102 - Ibidem, p. 19: " Se c'è qualche difetto nell'opera di Segneri, nondimeno dobbiamo apprezzarla, e siamo anzi costretti ad amare un uomo che consacrò tutti i suoi studi e tutte le azioni della sua vita all'utilità e alla salvezza degli uomini ".
103 - Ibidem: " C'era in lui un'inesauribile bramosia di percorrere campagne e città per porgere e spiegare agli uomini meno colti la luce dei precetti e dei consigli divini ".
104 - Ibidem: " Per cui non potè non dolersi fortemente che, per ordine dei suoi superiori e del sommo pontefice Innocenzo XII, fosse stato costretto ad abbracciare un nuovo genere di vita, poiché gli fu affidato il compito di predicare nello stesso palazzo pontificio ".
105 - Ibidem, p. 20: " [...] sembrava avesse intrapreso una perpetua guerra con se stesso, come straordinario domatore di tutte le passioni e implacabile castigatore dei vizi ".
106 - Ibidem: " Grande inoltre appariva in lui l'amore dei suoi Gesuiti e volesse il ciclo che avesse potuto evitare come la colpa, così il sospetto di troppa indulgenza verso di loro ".
107 - < Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt. Volumen VI, Auctore Angelo Fabrom'o, Academiae Pisanae Curatore, Pi-sis MDCCLXXX, s.v. " Henricus Norisius ", p. 63: " Non solum ei disputandum erat cum ipsis Gallis, sed cum quibusdam Cardinalibus, ac prae-sertim Francisco Albanie, qui Segneri aliorumque Jesuitarum impulsu se-veritatem judicii nulla humanitate mitigandam suadebant " (" Non solo egli [Noris] doveva altercare con gli stessi Francesi, ma anche con certi cardinali <romani>, e soprattutto con Francesco Albani, che per la pressione di Segneri e di altri Gesuiti sostenevano che non si dovesse mitigare la severità di giudizio con nessuna benevolenza ").
108 - Vitae Italorum, Volumen XV, cit., pp. 20-21: "I suoi superiori ottennero anche che difendesse con grande sottigliezza quella dottrina a cui i teologi diedero il nome di probabilismo, per il fatto che si ritiene giusto e onesto ciò di cui si possa dare una spiegazione probabile ".
109 - Ibidem, pp. 21-22: " [...] e poiché capi che la difesa del probabilismo non era di poco danno, Tirso Gonzàlez, per tutto il tempo che stette al timone della Compagnia di Gesù, non fece nulla che non fosse diretto a togliere questa macchia da quell'Ordine ".
110 - Ibidem, nota 1, Fabroni ricorda " tra gli altri scritti " in proposito una Risposta alla lettera del P. Paolo Segneri sulla materia del Probabile di Pietro Bellarmino, stampata a Verona nel 1735.
111 - Ibidem: " [...] poiché ritennero che importasse particolarmente alla comune salvezza che ci fosse una garanzia estrema di tutte le azioni dell'uomo e quasi un'unica precauzione, cioè che ci siano dei princìpi certi che tocchino gli animi non con una capziosa probabilità, ma con la stessa verità ".
112 - Ibidem, pp. 22-23: " Sia che Segneri non fosse nato per vivere a palazzo, sia che non potesse più a lungo sostenere - come dicono - l'incarico di predicatore apostolico, chiedeva continuamente al Pontefice di esonerarlo, cosa che ottenne a condizione che mantenesse almeno l'ufficio di teologo al quale era stato prima promosso per esaminare quelle cause che sono Portate al foro romano della Sacra Penitenzieria e che riguardano l'espiazione delle colpe. Egli ubbidì a quello [seti, il Pontefice] contro voglia, dal momento che aveva detto di desiderare una sola cosa, di poter attendere la morte m solitudine, lontano dagli occhi degli uomini e dalle parole della gente. Cominciava infatti ad esser tormentato dai fastidi della salute [...] ".
113 - Nel profilo del Dizionario biografico degli Italiani, cit, Ugo Baldini insiste a sminuire la portata polemica dello scontro tra i Gesuiti e Fabroni, specialmente dopo la sua partenza da Roma. Ma mi pare che proprio questo Paullus Segnerius dimostri la sottile persistenza dell'antigesuitismo fabroniano.
114 - Vita del P. Paolo Segneri tratta dal Fabroni, in La manna dell'anima del P. Paolo Segneri, aggiuntavi il volgarizzamento de ' passi latini, 1824, Torino, presso Giacinto Marietti, librajo in Via di Po, voi. I, pp. lll-xxi.
115 - Ibidem, p. XIII.
116 - Ibidem, p, XVII
117 - Ibidem, p. XVIII.
118 - Ibidem, p. XIX.
119 - Sulla fortuna popolare delle opere di Segneri nell'Ottocento sarebbe interessante indagare. Per il momento mi limito ad osservare nella citata bibliografia di Sommervogel la straordinaria presenza delle edizioni Marietti (una ventina) seguite da quelle della Tipografia Salesiana; ma Segneri entra sia nei " Classici Pomba " che nelle edizioni popolari della tipografia milanese Borroni e Scotti e si stampa in città piccole e grandi di ogni parte d'Italia. Colpisce particolarmente la tendenza a ridurlo e sminuzzarlo in florilegi di prediche o " novelle " tratte dalle opere maggiori (cfr., ad es., le Cinque novelle di P. Segneri tratte da ' suoi Ragionamenti, Bologna, 1870, tirato a 50 esemplari numerati " per le nozze Passano-Canepa " a cura di Francesco Zambrini, o le Due novelle morali eloquentissime di P. Segneri, Bologna, 1872, di soli 20 esemplari che un "affezionato amico" dedica " AI Cavaliere Giovanni Papanti, esimio bibliografo ").
120 - Vita di Paolo Segneri scritta da Ferdinando Ranalli, in Quaresimale del P. Paolo Segneri della Compagnia di Gesù, in Prato, per Ranieri Guasti, 1853 (cito da questa edizione, non avendo potuto rintracciare quella segnalata dal Sommervogel, Bibliotèque de la Compagnie de Jésus, cit., col. 1089, e contenuta in Vite di uomini Illustri Romani dal risorgimento della Letteratura Italiana, scritte da Ferdinando Ranalli, Firenze, presso Pasquale Pagni, 1838. Secondo il Sommervogel [col. 1068], questa vita fu ristampata nel 1841 dal Guasti di Prato).
121 - Ibidem,p. VII.
122 - Ibidem, p. IX.
123 - Ibidem, p. VI.
124 - Ibidem.
125 - Ibidem.
126 - Ibidem, p. III: " [...] il pueril desiderio di apprendere, il quale ordinariamente si spegne o si muta in una invincibile avversione agli studi in mano di que' neri ed accigliati pedanti, che vorrebbero far entrare nella testa dei ragazzi Virgilio e Cicerone a furia di gridori e sferzate. O barbari e ignoranti! ".
127 - Ibidem, p. IX.
128 - Benedetto Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari, Laterza, 1929, pp. 438-39.
129 - Attilio Momigliano, Storia della letteratura italiana, Milano-Messina, Principato, 19628,p.297.
130 - Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, Nuova edizione riveduta e ampliata, Milano, A. Mondadori, 1953, voi. Ili, pp. 369-73.131 Nella sua Lettera nona (Stresa, 27 maggio 1855) il Bonghi, affrontando il " genere
131 - oratorio ", arriva a criticare duramente Segneri accusandolo addirittura di " difetto di sentimento religioso ": " Chi ha la riputazione del più grande, il Segneri, è appunto il più profano. A leggere le sue prediche, io mi fo di lui un concetto come di un uomo a cui il Cristianesimo non paresse altro se non una cosa molto ingegnosa, che si prestasse bene a de' bei partiti di frase, e a degli argomenti arguti prò e contro. Dalle sue opere non avrei mai saputo cavare quello che poi ho sentito e letto: la santità della sua vita e la bontà del suo animo " (cfr. Ruggero Bonghi, Perché la letteratura italiana non siapopolare in Italia, Varese, Sugarco, 1993, p. 119).
132 - Nel cap. LXXI delle sue Lezioni di Letteratura Italiana, dopo una serie di accuse al " gesuitesimo " che " annulla il volere, spegne l'affetto " e forma una " religione di testa, non di cuore ", attribuisce la fama di Segneri alla " canonizzazione " degli Accademici della Crusca, ma, paragonandolo a Massillon, Bourdaloue, Bossuet, conclude che, mentre " nei francesi c'è pensiero proprio, sentimento vero, stile efficace; nel Segneri nessuno affetto, molte citazioni ed uno stile che non è sfrenato ed ampolloso ma artefatto di altro modo, a volte lisciato, a volte fiacco. I Francesi combattevano Calvino, il Segneri esponeva le dottrine ufficiali a Roma " (cfr. Luigi Settembrini, Lezioni di Letteratura Italiana, Firenze, Sansoni, 1964, voi. H, pp. 718-19).
133 - Pesantissima la valutazione letteraria di De Sanctis (Segneri è " stemperato, superficiale, volgare e ciarliere "), ma ancor più pesante è il giudizio morale: " Non mira efficacemente a convenire, a persuadere l'uditorio; non ha fede, né ardore apostolico, né unzione; non ama gli uomini, non lavora alla loro salute e al loro bene. Ha nel cervello una dottrina religiosa e morale d'accatto, ed ereditaria, non conquistata col sudore della sua fronte, una grande erudiziene sacra e profana: ivi niente si muove, tutto è fissato e a posto " (cfr. Francesco De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana, a
cura di Niccolo Gallo, Torino, Einaudi, 1966, voi. II, p. 731).
134 - Nicola Risi, Il principe dell'eloquenza sacra in Italia, Padre Paolo Segneri. Note biografiche a ricordo del terzo centenario della nascita, 1624-1694, Bologna, Stamperia de' Sordomuti, 1924.
135 - Giovanni Minozzi, Paolo Segneri, Amatrice, Tipografia dell'Orfanotrofio, 1949.
136 - Giulio Marzot, Un classico della Controriforma: Paolo Segneri, Palermo, G.B. Palumbo, 1950.
137 - Domenico Mondrone, Paolo Segneri, in Letteratura italiana. I minori, vol. III, Milano Marzorati, 1961.
138 - Ibidem, p. 1760.
139 - Ibidem.
140 - Ibidem,p. 1751 nota 1.
141 - " In realtà, nonostante i contributi particolari, manca una biografìa documentata del Segneri. Pare che attendesse a questo lavoro il gesuita A.M. Casoli, che aveva radunato vasti materiali. Ma, morto il Casoli, nessun altro ha continuato l'impresa" (Daniello Bartoli e Paolo Segneri, Prose scelte, cit., p. 484).
142 - Valerio Marucci, L'autografo di un'opera ignota: le missioni rurali di Paolo Segneri, in " Filologia e critica ", anno IV, fase. I, gennaio-aprile 1979, pp. 73-92.
143 - Armando Guidetti S.I., Il P. Paolo Segneri, in Le Missioni popolari. I grandi gesuiti italiani, Milano, Rusconi, 1988, pp. 104-27.
144 - Daniello Bartoli e Paolo Segneri, Prose scelte, cit., p. 484.
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