I
Un funestissimo annunzio son qui a recarvi, o miei reveriti Uditori: e vi confesso che non senza una estrema difficultà mi ci sono addotto, troppo pesandomi di avervi a contristar sì altamente fin dalla prima mattina ch'io vegga voi, o che voi conosciate me. Solo in pensare a quello che dir vi devo, sento agghiacciarmisi per grand'orrore le vene. Ma che gioverebbe il tacere? il dissimular che varrebbe? ve lo dirò. Tutti quanti qui siamo, o giovani, o vecchi, o padroni, o servi, o nobili, o popolari, tutti dobbiamo finalmente morire. Statutum est hominibus semel mori [Paolo, Eb., 9, 27], Oimè, che veggo? non è tra voi chi si riscuota ad avviso sì formidabile? nessuno cambiasi di colore? nessun si muta di volto? Anzi già mi accorgo benissimo che in cuor vostro voi cominciate alquanto a rider di me, come di colui che qui vengo a spacciar per nuovo un avviso sì ricantato. E chi è, mi dite, il quale oggi mai non sappia che tutti abbiamo a morire? Quis est homo, qui vivet, et non videbit mortem [Sal, 88, 49]? Questo sempre ascoltiamo da tanti pergami, questo sempre leggiamo su tante tombe, questo sempre ci gridano, benché muti, tanti cadaveri: lo sappiamo. Voi lo sapete? Com'è possibile? Dite.
Così si apre la prima predica del Quaresimale.(1) Facciamo un balzo a parte finale della predica conclusiva del Quaresimale:
eccoci qui, Signori miei, giunti al termine, io della mia fatica in discorrere, voi della vostra noia in udire. [...] Pur troppo ho io desiderato servirvi come avrebbono meritato e un Uditorio così saggio, e un Uficio così sublime, e non meno ancora un affetto così benevolo da voi concordemente mostrato alla mia persona. Ma che? Rare volte le forze corrispondono a' desiderii. [...] Io per farvi desistere dal peccato ho procurato di usare, in presso a quaranta prediche, tutte le arti che son potute sovvenirmi al pensiero. Ora vi ho ammoniti con le ragioni, ora consigliati con le autorità, ora confortati con gli esempi, or atterriti con le minacce, or allettati con le promesse, ed ora ancor supplicati, genuflesso a' pie vostri, con gli scongiuri. [...] Mi giova credere che in questa chiesa non ci sien peccatori, o se pur ci sono, ci sieno già penitenti, e non più ostinati.(2)
Tra i due brani citati s'interpone un percorso a senso unico, irreversibile. L'ordine delle prediche non può essere invertito, e non, o non solo, in ragione degli argomenti trattati, del passo evangelico commentato; ma in ragione del fatto che il tempo interno del Quaresimale è trascorso, ha lasciato traccia sui personaggi, il Predicatore e gli Uditori, e sul loro rapporto.
Notiamo in particolare alcuni aspetti oppositivi. Subito il contrasto tra esplicite indicazioni d'inizio e di fine: " fin dalla prima mattina ch'io vegga voi, o che voi conosciate me "; " giunti al termine, io della mia fatica in discorrere, voi della vostra noia in udire ". Poi, che il Predicatore, inizialmente sconosciuto, riesce alla fine individuato per gli Uditori in conseguenza del suo vario agire: " Ora vi ho ammoniti con le ragioni, ora consigliati con le autorità, ora confortati con gli esempi, or atterriti con le minacce, or allettati con le promesse, ed ora ancor supplicati, genuflesso a' pie vostri, con gli scongiuri ". Mentre, a sua volta, l'Uditorio si è mutato agli occhi del Predicatore. All'inizio è visto come una massa pervicacemente e quasi bestialmente peccatrice: " voi non ostante sì gran motivo di ravvedervi [il pensiero della morte], avete atteso più tosto a prevaricare: non vergognandovi, quasi dissi, di far come tante pecore, ingorde, indisciplinate, le quali allora si aiutano più che possono a darsi bel tempo, crapolando per ogni piaggia, carolando per ogni prato, quando antiveggono che già sovrasta la procella ".(3) Alla fine come un insieme di persone redente o almeno in via di redenzione: " Mi giova credere che in questa chiesa non ci sien peccatori, o se pur ci sono, ci sieno già penitenti, e non più ostinati ". E ancora che tra l'Uditorio e il Predicatore si è stabilito un rapporto determinato: " un affetto così benevolo da voi concordemente mostrato alla mia persona ".
La scena del Quaresimale ha come altri attori non occasionali i personaggi del Paradiso: Angeli, Santi, la Vergine, e soprattutto Dio, specialmente nella persona del Figlio. Eccoli nella prima predica:
Angeli che sedete custodi a lato di questi a me sì onorevoli Ascoltatori; Santi che giacete sepolti sotto gli altari di questa a voi sì maestosa Basilica, voi da quest'ora io supplichevole invoco per ogni volta ch'io monterò in questo pergamo, affinchè vogliate alle mie parole impetrare quel peso e quella possanza che non possono avere dalla mia lingua. E tu principalmente, o gran Vergine, che della divina parola puoi nominarti con verità genitrice: tu che di lei sitibonda, la concepisti per gran ventura nel seno; tu che di lei feconda, la partoristi per comun benefizio alla luce; e tu che di nascosta ch'ella era ed impercettibile, la rendesti nota e trattabile ancora a' sensi, tu fa che io sappia maneggiarla ogni dì con tal riverenza [...].(4)
Al termine della predica l'azione si volge verso un Cristo presente: " Lasciate ch'io corra a' piedi di questo Cristo, e che qui mi sfoghi "; e segue una tirata che incomincia " Giesù mio caro ".(5)
Torniamo ora alla predica conclusiva del Quaresimale, e precisamente al suo paragrafo finale. Dopo aver detto ch'egli non crede che vi siano peccatori fra i suoi Uditori, il Predicatore volge il discorso a Cristo: " a voi tocca, amatissimo Redentore, di stendere su i lor colli le vostre braccia, e qual amoroso Padre accogliere pietosamente i figliuoli ravvisti, strignerli al vostro seno, accostarli alla vostra faccia, ammetterli al vostro bacio [...] ".(6)
Il testo impone dunque una scenografia ben precisa; nella solennità della "maestosa Basilica" tre ordini di personaggi: gli Uditori, Dio con la corte celeste, e il Predicatore, che è in una posizione mediana, che si rivolge agli uni e agli altri. Una posizione che con significativa corrispondenza è subito fissata nel primo paragrafo della predica iniziale, quando il Predicatore si presenta in qualità di " banditore divino ",(7) e ribadita per l'ultima volta nella parte conclusiva della predica finale, quando egli parla dei discorsi da lui rivolti agli Uditori come discorsi nei quali Cristo ha impartito loro i suoi insegnamenti " per bocca di un suo vil servo ".(8)
Ho parlato di scena, di attori, di azione, di personaggi. Non a caso ho fatto ricorso a un ambito terminologico teatrale; né vi ho fatto ricorso come a mera fonte di metafore. Vi ho fatto ricorso per annunciare l'ipotesi interpretativa che ora dichiaro. L'ipotesi è che il Quaresimale, nel suo complesso, quale testo unitario risultante dalla successione delle prediche, abbia una struttura di tipo drammatico. Alla quale struttura corrisponde, m varie maniere, l'organizzazione e la natura delle subordinate unità testuali (a incominciare dalle maggiori, ossia le singole prediche), e molti atteggiamenti e caratteri del discorso.
II.
Prima ancora di tentare una verifica, che qui riuscirà necessariamente sommaria, dell'ipotesi, conviene circoscriverla con qualche precisione e insieme indicare per essa taluni presupposti.
Innanzi tutto sia chiaro che l'ipotesi verte sulla qualità del Quaresimale come testo scritto, non sui modi della predicazione di Segneri. Che quella predicazione avesse carattere teatrale, anche nel senso generico del termine, sappiamo per certo; del resto, il carattere teatrale della predicazione secentesca è attestato da numerose fonti, ed è un luogo comune della storiografia, sul quale non interessa ora insistere. Riconnettere quel carattere, per un verso, in una prospettiva ristretta, a moduli del teatro religioso, e, per un altro verso, in una prospettiva di grande ampiezza, all'indole teatrale della vita sociale secentesca, appare legittimo.
Importa qui anche ricordare la relazione tra mondo oratorio e mondo del teatro. Per ciò che concerne l’actio, tale relazione è attestata fin dall'antichità classica: non solo affermando la comune appartenenza dell’actio agli attori e agli oratori (Cicerone, De or., III, 56, 214; Quintiliano, Inst. or., XI, 3, 4), ma anche il reversibile rapporto di magistero e discepolato tra gli uni e gli altri (Quintiliano, inst. or., XI, 3, 7 ricorda che Demostene " aput Andronicum hypocriten studuit ", e Valerio Massimo, Fact et dici, mem., VIII, 10, 2 che gli attori Esopo e Roscio andavano ad assistere alle orazioni legali di Quinto Ortensie " ut foro petitos gestus in scaenam referrent "). Ma la relazione tra oratoria e teatro è stata posta - e con speciale riferimento al XVII secolo - in termini ben più radicali. Nella Prefazione al suo volume Eroi e oratori. Retorica e drammaturgia secentesche,(9) che raccoglie saggi in cui ottica e strumenti retorici sono adibiti a interpretare opere del teatro classico francese e del teatro gesuitico, Marc Fumaroli vede la retorica " in un rapporto di totale omologia con l'arte drammatica ".
Dagli elementi appena richiamati appare come l'ipotesi che sopra ho avanzata circa la struttura del Quaresimale non ripugni ai dati storici. Ossia, per dirla in modo diretto, come essa sia a pieno compatibile con la mente, con la formazione e con l'esperienza di Segneri, uomo del Seicento, gesuita e predicatore.
Esistono però elementi che in maniera più stringente, più individuale, autorizzano, in via per così dire preliminare, ossia anteriormente alla conferma che può offrire una estesa ricognizione nel testo del Quaresimale, la formulazione dell'ipotesi.
Nel 1679, nel medesimo anno in cui si pubblicava a stampa il Quaresimale segneriano, usciva a Lisbona il primo volume dei Sermòes del gesuita Antonio Vieira, uno dei più grandi predicatori del Seicento, oltre che uno dei massimi prosatori portoghesi. Nato una quindicina d'anni prima e morto tre anni dopo Segneri, Vieira (Lisbona 1608 - Bahia 1697), è nella sostanza suo contemporaneo; e per altezza d'intelletto e pregi di predicatore ben degno di essere evocato come termine di riferimento o di raffronto per posizioni. Non sarà forse fuor di luogo ricordare che Vieira intrattenne, a partire dal 1669, rapporti personali e fitta corrispondenza epistolare con Cosimo III de' Medici, estimatore e collezionatore dei suoi sermoni; che dal 1669 al 1675 soggiornò a Roma, ove fu predicatore dì Cristina di Svezia; che predicò in italiano e che sue prediche furono tradotte in italiano.(10)
Nel presentare quel primo volume dei suoi Sermoes al Lettore, Vieira spiegava che per ordine del suo re, Pietro II, e del Generale della Compagnia, Giovan Paolo Oliva (Genova 1600 - Roma 1681, Generale dei Gesuiti dal 1664; come superiore dei novizi ebbe sotto di sé Segneri), incominciava con esso a cavare dal sepolcro quei suoi scarabocchi che, privi della voce che li animava, ancorché resuscitati, erano cadaveri." (11)Lasciava intendere insomma che solo per obbedienza si sottoponeva a un compito che non gli era grato, perché contrastante con la visione della predicazione come oralità, come parola pronunciata e destinata a un uditorio. Ribadiva così autorevolmente un motivo di origine paolina (Rm., 10, 14 e sgg.: Fides ex auditu) ben vivo negli ambienti gesuitici del Seicento.
Preoccupazione analoga - con un'accentuazione, forse, più retorico-letteraria - manifestava Segneri nel discorso rivolto al Lettore, premesso al suo Quaresimale. Con un esito però diverso da quello di Vieira: " Non tengo [...] per regola così certa, come par forse ad alcuni, che ciò ch'è grato ad udire non sia grato a leggere ". A sostegno della sua posizione argomentava per analogia: "Non legge l'occhio tutto dì con diletto ciò che si rappresenta su tante scene, o scurrili, o satiriche, o maestose? E pure non son opere quelle, di lor primaria intenzione, ordinate a leggersi; son ordinate ad udirsi ". E concludeva, in relazione tanto alle opere teatrali che al suo Quaresimale: " Basta che chi legge figurisi, non di leggere, ma di udire ".
Questo passo della citatissima introduzione al Quaresimale è stato trascurato. Eppure appare importante per diversi motivi. Per l'inscrizione della predica nell'area medesima dei testi destinati al teatro. Per l'indicazione di un modo di lettura, che fa trasparire anche il modo di concepire - ideare, comporre - il testo da parte dell'autore, ove si abbia presente che le prediche segneriane non nascono come trascrizioni di parole pronunciate, ma nascono come testi scritti destinati a essere detti: " io non ho mai predicato a braccia, sempre ho dette Prediche composte, e il comporle mi han portato comunemente da un mese l'una", dichiara Segneri al Granduca di Toscana.(12)
Se il passo della Premessa al Quaresimale è significativo dell'impostazione teatrale della predica in termini generali, un altro passo di Segneri fissa una precisa equivalenza tra figure retoriche e artifici e movimentazioni teatrali. Nella Dichiarazione dell'Opera a chiunque legge anteposta a Il Cristiano istruito nella sua legge (1686), l'autore avverte che " non si è potuto in questi Ragionamenti scuotere l'Uditorio con figure, con interrogazioni, con ironie, con reticenze, e con altre simili mutazioni di scene, e quasi di personaggio, abili da se stesse a tenerlo desto, come si fa nelle prediche di eloquenza ". Il testo delle " prediche di eloquenza " è dunque atteggiato mediante certi strumenti retorici come una rappresentazione teatrale. Di complessità drammaturgica tale, a giudizio di Segneri, da pretendere un esecutore all'altezza d'inscenarla. Prosegue infatti il passo citato: " atteso che per le Prediche si richiede un talento proporzionato, qual non può presupporsi in qualunque paroco, che s'inclini a valersi de' miei Sudori ".(13)
III.
1. Volgiamoci ora nuovamente al testo del Quaresimale per verificare e determinare concretamente l'ipotesi interpretativa avanzata. In maniera schematica e a soli fini strumentali - per articolare il discorso intorno a pochi punti - enuncio alcune condizioni essenziali per un testo drammatico:
a) i personaggi sono legati da un rapporto dialogico: ossia parlano, ascoltano, riparlano;
b) attraverso parole e azioni i personaggi appalesano i loro caratteri;
c) attraverso parole e azioni dei personaggi la situazione data si modifica. Vediamo come in rapporto ai tre ordini di personaggi per così dire permanenti indicati nel Quaresimale (Predicatore, Uditorio, Dio) si attuano le condizioni sopra enunciate.
2. Incomincerò dall'ultima di esse. Del modificarsi della situazione ho già riportato i termini estremi, iniziale e finale: Uditori come peccatori tanto incalliti e incoscienti da avere perfino perduta la consapevolezza di vivere nel peccato; Uditori ridotti a pentiti o a penitenti. Seguire la dinamica del processo che conduce dall'uno all'altro di quei termini vorrebbe dire seguire la dinamica, soggetta a oscillazioni e andirivieni, del rapporto, qual è rappresentato nel testo del Quaresimale, tra azione persuasiva del Predicatore e resistenze dell'Uditorio. Ciò che qui non è possibile né necessario. Si può invece notare che vi sono punti di snodo di tale dinamica, nei quali sono esplicitamente rilevati gli acquisti fatti dal Predicatore e quelli ch'egli giudica ancora da farsi. Ne porto due esempi.
Nel principio della predica undicesima il Predicatore si pone la domanda se gli Uditori, in occasione della sua predicazione, abbiano fatto la pace con Dio, e si risponde:
S'io pongo mente alla frequenza, al fervore, alla compunzione vedutasi questi giorni ne' più di voi, mi giova credere facilmente che sì; ma perché sempre si ritrovano alcuni più contumaci i quali trascurano così opportune occasioni di rappacificarsi con Dio, dicendo che avran tempo a ciò fare quando morranno, m'impone Cristo questa mattina ch'io dicavi apertamente che v'ingannate, e che se voi non vorrete la pace con esso lui, or ch'egli la chiede a voi, non la vorrà né men egli con esso voi, allorché voi la domanderete a lui.(14)
Se qui è in questione la renitenza di una limitata fascia del pubblico (" alcuni più contumaci ") alla conversione, altrove, più avanti nel Quaresimale, sono in questione la solidità e la durevolezza della conversione, data per conseguita, della gran parte del pubblico:
Io so che in questo sacratissimo tempo quaresimale non è gran fatto che i più di voi, o per l'esortazioni gagliarde ch'hanno sentite, o per gli esempi giovevoli ch'hanno scorti, vadano già di mano in mano campando dal naufragio infaustissimo del peccato. Contuttociò credete voi ch'io però mi fidi di voi, almen pienamente? Non già, non già. Più tosto io temo che voi tra poco mirando questo peccato medesimo con altr'occhio non immitiate (ahi troppo incauti) coloro i quali appena usciti ignudi da' gorghi, ov'erano assorti, si mettono su le spiagge a raccor gli avanzi delle lor lacere vele, ed a racconciarli, per fidar di nuovo la vita ad un elemento di cui ben sanno, per così fresca esperienza, l'infedeltà. Vengo qui però questa volta per esortarvi a voler chiudere tutte quelle finestre le quali guardano il mare. Parliamo fùor di metafore. Vengo per esortarvi a tenervi lungi da tutte quelle occasioni le quali possono facilmente allettarvi alle antiche colpe; perché fin tanto che ve ne resti pur una, questa è bastante a farvi cader di nuovo, di nuovo perdervi, di nuovo prevaricare.(15)
3. Passiamo alla prima condizione, concernente il dialogo tra i personaggi e le modalità della sua attuazione.
Il problema di parlare in persona propria ad altri ovviamente non si pone per il Predicatore: egli istituzionalmente è detentore della parola rivolta ad ascoltatori. Se ritorniamo al brano iniziale del Quaresimale vediamo, però, che immediatamente s'instaura un regime dialogico tra lui e l'Uditorio (" E chi è, mi dite, il quale oggi mai non sappia che tutti abbiamo a morire? "), un regime stabilito mediante un artificio retoricamente codificato: la sermocinatio dialogica. Attraverso di essa principalmente l'Uditorio interloquisce nel Quaresimale. Significativo non è il suo impiego; è la frequenza con cui viene impiegata, e l'ampiezza del testo che investe. Essa garantisce una insistente ed estesa presenza della voce dell'Uditorio.
Tale voce è a volte introdotta da quella del Predicatore, come nel caso seguente: " Veggo che non vi potete più contenere d'una gagliarda opposizione, la quale vorreste addurmi. Parlate dunque animosamente, sfogatevi. O Padre (voi mi direte) se fosse vera la dottrina da voi predicata finora, poveri noi! ne seguirebbe che noi dovessimo vivere in un assiduo sgomento, ed in una angosciosa sollecitudine. Perocché (sentiteci bene) se noi sapessimo per appunto [...] ".(16) Altre volte sorge senza preannuncio in replica a una domanda del Predicatore, come nell'esordio puramente dialogico e vivacissimo della seconda parte della predica quinta:
Orsù, ditemi ora un poco alla buona, Signori miei, non vi pare una bella favola quella che abbiam raccontata questa mattina? O Padre, e che inaspettata interrogazione è cotesta che voi ci fate? Parlate voi da scherzo o da senno? S'io parlo da senno? così voleste voi dirmelo. Non vi vergognate no: confessate schiettamente; non è stata una bella favola questa dianzi? dite su, non è stata una bella favola? Favola? ma voi ci volete far incollerir daddovero. Come favola? come favola? Noi la teniamo per istoria evangelica, per verità eterna, e se voi ci aveste aggiunta, che non sappiamo, qualche tintura del vostro, tal sia di voi. Certo è che noi non teniamo per favola doverci essere il Giudizio universale del Mondo, lo crediamo per fede. Sì eh? oh quanto felice nuova sarebbe questa, se fosse vera. Perché, a dirla sinceramente, io credeva che, se non tutti, almeno molti di voi, lo teneste per favola, come lo tiene la maggior parte degli uomini. Ma non de' cristiani. De' cristiani dich'io. Ma non de' cattolici. De' cattolici dico, Signori sì.(17)
Ma anche attraverso altri artifici retorici s'introduce la presenza dialogica dell'Uditorio. Abbastanza spesso attraverso la refutatio o la concessio del Predicatore, in forme che prevedano o presuppongano la voce degli ascoltatori: " Che mi state dunque a dir voi: Se quel rimorso ch'io sentirò negli estremi sarà sì grave, farà che ancora più facilmente io convertami? Falso, falso: farà che più facilmente vi disperiate ";(18) " Ma su, sia così come voi desiderereste. Diamo che a casa vostra nulla debba arrecare di pregiudizio l'inimicizia divina. Diamo che co' malvagi conquistameli voi la dobbiate eternare. Diamo che le dobbiate accrescere credito, aggiugnere autorità, acquistare aderenze ".(19)
4. Vediamo ora in che maniere Dio entra nel regime dialogico del Quaresimale.
In qualità di locutore, innanzi tutto attraverso le citazioni bibliche, specificamente nei ricorrenti casi in cui Segneri ne indica in forma esplicita l'emittente in Dio e i destinatari negli Uditori e in sé stesso, attualizzando così la comunicazione. Sia che nomini l'intermediario della parola divina: " quelle sì belle parole ch'egli [Dio] già ci disse per bocca di Geremia. Le volete sapere? uditele, uditele, che sono veramente divine: Ecce ego fìngo contro vos malum [Ger., 18, 11] ".(20) Sia che non nomini l'intermediario e introduca assolutamente la parola divina: " Com'egli [Dio] si è protestato che sue saranno le nostre offese, così dall'altra parte si è dichiarato che si riserbino a lui le nostre vendette: Mihi vindictam, et ego retribuan [Paolo, Eh., 10, 30] ".(21)
Ma poi anche attraverso discorsi diretti di ampia estensione composti da Segneri interpretando e dilatando passi biblici. Ad esempio, proponendo una spiegazione " scelta " e " spiritosa " del versetto dei Salmi, 58, 7, Convertentur ad vesperam, et famem patientur ut canes, stabilita l'equivalenza tra il convenirsi alla morte e il serbare a Dio gli avanzi, inventa questa intemerata divina:
Sì? Dice Dio al peccatore: Hai trattato da cane me? Bene, bene. E io tratterò da cane te. Converteris ad vesperam. Verrà la sera, verrà quell'estrema angustia, verrà quell'estrema agonia. Ti vedrò inchiodato dal male sopra il tuo letto, come un cane legato alla catena, ti sentirò mandare latrati altissimi, dimandandomi aiuto, strepitare, schiamazzare, > Che credi però tu? Ch'io ti debba dar quegli aiuti a cui nessun ostinato cuore resiste? quegli aiuti più penetranti? quegli aiuti più poderosi? Questo saria darti il meglio. Non gli aspettare. Ti darò quegli aiuti che , puramente si chiamano sufficienti, cioè quegli aiuti co' quali è vero che potresti assolutamente risorgere dalla colpa, ma essendo tanto mal avvezzo, ma essendo tanto mal abituato, non ne risorgerai. Questi aspettati: il peggio, il peggio. Hai trattato da cane me, e io tratterò da cane te. Converteris ad vesperam, et famem patieris ut canis.(22)
Dove è da notare non solo, com'è ovvio, l'amplificazione, ma l'attualizzazione dialogica, in vista di un " tu " destinatario, del passo biblico (Convertentur ad vesperam, et famem patientur ut canes / Converteris ad vesperam, et famem patieris ut canis).
Divenendo a sua volta destinatario del discorso, Dio riceve sovente allocuzioni del Predicatore secondo modalità conformi a quelle viste nella prima e nell'ultima predica. Per esempio, nella seconda predica il Predicatore si rivolge a Dio così: " Perdonatemi dunque, o Signor mio caro, ch'io questa volta sono costretto a farvi un torto infinito da questo luogo [...] ";(23) nella terza si rivolge a Dio per ben due volte: " Povero mio Redentore! Perché starvi tanto a stancare con questa gente, intimando, raccomandando, pregando che per amor vostro perdonino a' lor nemici [...] ", e " Io, Signore, per quell'uficio che indegnamente sostengo su questo luogo, a nome di questo popolo vi dichiaro [...] ";(24) e così via.
Nell'ultima delle allocuzioni a Dio del Predicatore riferite, egli parla per conto degli Uditori (" a nome di questo popolo vi dichiaro "). Ma Dio è destinatario anche di allocuzioni dirette degli Uditori suggerite loro dal Predicatore, come quella che incomincia " Dite pur a Dio francamente: Deus meus in te confido, non erubescam [Sal., 24, 2]. Di che, Signor mio caro, ho da vergognarmi? Confido in voi. Mi beffin altri, mi spregino, mi scherniscano; bastami piacere a voi solo [...] ";(25) o quell'altra che incomincia " Alzerai le mani alle stelle per tenerezza, gemerai, piangerai, ed O benedetto Dio, griderai, benedetto Dio, ch'io non mi lasciai trasportar da quel furor pazzo che sì m'istigava ad offendervi! [,..]".(26)
Se Dio è il principale destinatario dei discorsi del Predicatore e degli Uditori, non resta isolato il caso esemplificato in riferimento alla prima predica in cui il Predicatore si rivolge ad altri componenti della corte celeste. Eccolo, per esempio, rivolgersi agli Angeli nella quinta predica: " Su date fiato alle vostre trombe, o voi Angeli destinati per banditori del giorno orrendo, e dimostrate a' protervi s'io dica il vero ";(27) come nella sedicesima: " O Angeli delle stelle, voi dite, voi, che gran male sia quello, che tanta parte di gente oggidì non cura. E non fuste voi quegli che apriste già le cateratte del Ciclo, affine di scaricare un diluvio sopra la terra? ".(28)
5. Passando alla manifestazione dei caratteri, bastino in riguardo a Dio e all'Uditorio poche osservazioni intese non tanto a descrivere quei caratteri (per il che occorrerebbe troppo lungo esame), quanto ad accertare che essi si manifestano e a indicare in quali modi si manifestano.
Un Dio cortese, benevolo, paziente, ma pure giudice temibile, geloso del proprio onore, capace di prendersi vendetta, viene fuori dalla sua voce e dai suoi comportamenti biblicamente attestati, interpretati dal Predicatore in forma esplicita quali tratti dell'atteggiamento divino. A volte lapidariamente: " È Dio clemente, ma egli è parimente giusto: Dulcis et rectus Dominus [Sal, 24, 8] ".(29) Altre volte attraverso discorsi ampi e circostanziati:
Uno de' maggiori argomenti che forse abbiamo della misericordia immensa di Dio sono a mio credere le minacce orrendissime con le quali egli è stato sempre solito di tonare sopra de' peccatori. E che altro mai ha preteso egli con esse, se non dare agio a' peccatori medesimi di salvarsi? Non ha volontà di ferire chi molto prima si stanca nel minacciare. [...] niun gastigo quasi leggiamo aver esso mandato al mondo innanzi di minacciarlo, non solo in genere, ma ancora in particolare. Tanto che questa una fu delle principali cagioni per cui spedì varii profeti al suo popolo in varii tempi. Sentite. Volle dinunziare al suo popolo l'universale saccheggiamento de' beni; e che fece? Fece andare per la città Isaia tutto ignudo de' vestimenti. Volle dinunziare al suo popolo la cattività lagrimosa delle famiglie; e che fece? Fece andare per la città Geremia tutto carico di catene. [.,.] E nella stessa maniera ha poi seguitato a predire diversi flagelli in diverse forme. Il che non è altro che un intimare a' popoli che si guardino, che piangano le lor colpe, che riformino la lor vita, che fuggano dalla faccia del suo furore [...]. E pure ch'il penserebbe? Non potè Dio conseguir con tante proteste che gli uomini gli credessero. Onde quanto più egli stancavasi in minacciare che Malos male perdei [Mt., 21, 41], tanto più essi attendevano ad oltraggiarlo [...].(30)
L'Uditorio è un soggetto collettivo: manifesta il suo carattere come tale, oppure per sue parti: aspetti del suo carattere risultano da suoi discorsi, come da suoi atteggiamenti riflessi nel discorso del Predicatore. Manifestazioni di carattere dell'Uditorio quale soggetto collettivo sono continue nel Quaresimale, a incominciare da quella che si legge nel citato esordio della prima predica. Parti dell'Uditorio con specifici tratti di carattere vengono individuate secondo criteri variabili a seconda delle occorrenze. Così una volta può essere impiegato un criterio dettato da un determinato abito peccaminoso (la tendenza alla mormorazione): " Bella gloria invero è la vostra, o Mormoratori, mentre così francamente ve la sapete voi prendere contro d'uno il quale è lontano [...] ";(31) altra volta un criterio che fa riferimento all'acume intellettuale-. " Odo alcuni di voi, i quali come più acuti d'intendimento, così mi dicono [...] ";(32) altra volta ancora criteri legati a sesso, età, classe sociale, professione o mestiere: " Sapreste dirmi per avventura Uditori, qual sia la tribolazione maggior di tutte? S'io lo chieggo a questi più vecchi, mi risponderan senza dubbio, ch'ella è la morte; sì come quei che se la sentono importunamente picchiare già da alcun anno all'uscio di casa, e non sanno ornai come farsi a mandarla in pace. Se a questi signori cavalieri, mi diranno che è '1 disonore. Se a queste signore dame, mi diran ch'è la gelosia. Se a questi miserabili artisti, mi replicheranno ch'è l'essere tutto dì fraudato da' gentiluomini crudelmente delle dovute mercedi: se a' cortigiani, l'emulazione: se a' famigli, la servitù [...] ".(33)
Incidentalmente vale la pena di rilevare che l'ultimo brano propone una casistica etico-psicologica che è uno degli indizi dell'attenzione di Segneri al secondo libro della Retorica aristotelica.(34) E dunque di una sua lettura di quell'opera tutt'altro che concentrata esclusivamente sulla parte relativa all'elocuzione; una lettura in maniera significativa differente da altre letture secentesche della Retorica.
6. Intorno alle manifestazioni del carattere del Predicatore, protagonista del Quaresimale e perno del circolo dialogico in esso instaurato, converrà fare un discorso un poco più ampio, quantunque incentrato su pochi dati fondamentali e confortato da una esemplificazione limitata.
Nel non troppo benevolo articolo dedicato a Segneri nel Dizionario estetico, Niccolo Tommaseo commentando il passo del paragrafo iniziale della prima predica del Quaresimale, nel quale il Predicatore dichiara " mi era qual banditore divino fin qui condotto, per nebbie, per pioggie, per venti, per pantani, per nevi, per torrenti, per ghiacci ", giudica che in esso, rispetto alla parte antecedente, non solo " cresce l'affettazione rettorica ", ma che questa " diventa quasi menzogna in bocca d'un uomo italiano ".(35) Ora del passo si potrebbe tentare anche una difesa, per così dire, psicologico-realistica, supponendo che in esso Segneri trasferisse, compendiasse, e magari un poco amplificasse, disagi di viaggio incontrati durante le sue missioni rurali (attestati dalle sue lettere). Ma è più adeguato un altro tipo di considerazione. Ai realistici rilievi di Tommaseo va opposta l'osservazione che il passo riferito fa corpo unico con ciò che immediatamente segue, " alleggerendomi ogni travaglio con dire: Non può far che qualche anima io non guadagni ", e che l'insieme vale a delineare subito agli Uditori un aspetto fondamentale del carattere del personaggio che a loro si presenta: l'aspetto di predicatore apostolico, di zelante missionario.(36) Qui non è questione della persona biografica di Paolo Segneri, ma del carattere (ethos) dell'oratore, non come dato presupposto all'orazione, ma come prodotto dell'orazione; di quel carattere che arreca quasi la prova più forte al discorso. Che è purissima dottrina aristotelica.(37)
Nel corso del Quaresimale tale aspetto è insistentemente esibito e riaffermato in maniera esplicita: per esempio, con dichiarazioni di fedeltà alla parola di Dio, o di rifiuto a lusingare gli ascoltatori, attenuando la severità dell'atteggiamento; ovvero in maniera implicita, ossia per il contenuto del messaggio (di salvazione, di dannazione), e per l'intonazione (d'autorevolezza suprema) con cui viene espresso.
Né mancano gli atteggiamenti più strettamente profetici. Sparsi nel Quaresimale, si manifestano compattamente nella predica quindicesima, nella quale Segneri predicatore, per volontà del Signore, prende le vesti di Giona, annunciando, come Giona fece a Ninive, l'incombere del furore divino alla città in cui si trova a predicare. Ricostruito abilmente secondo modelli veterotestamentari, il profetismo di Segneri trova limiti invalicabile nelle condizioni di fatto e nella qualità dell'Uditorio. È un profetismo, per così dire, dimidiato: pieno di empito retorico, magari anche sincero; ma privo di sostanza storico-politica e di rispondenza adeguata negli ascoltatori. Qui non può non venire alla mente, per paragone, il diverso profetismo di Antonio Vieira, ispirato e visionario, vissuto al prezzo di una compromissione personale (Vieira fu processato e condannato dal Santo Uffìzio, 1665-1667); nutrito della precisa e convinta aspettazione del Quinto impero giudaico-cristiano-lusitano. Quello di Vieira è, però, un profetismo radicato in una storia e in una psicologia nazionale che avevano conosciuto le Trovas del Bandarra, che si alimentavano del mito Sebastiani sta, che vivevano l'ebbrezza della restaurazione di una dinastia portoghese, e di un espansionismo oltremarino di proporzioni gigantesche. Il saldo radicamento storico-psicologico di quel profetismo è provato dalla sua vitale permanenza, sia pure con svolgimento di forme, fino a Novecento inoltrato: fino, per citare un nome emblematico, a Fernando Pessoa.
Il Predicatore è pure il vir christianus dicendi peritus, imbevuto dei precetti e degli esempi della retorica classica. Di qui un imponente armamentario argomentativo, ostentato anche nelle articolazioni del discorso (per esempio, cita l'autorità di san Tommaso in merito a un problema, " Ora io discorro così. Quanto alla prima cagione [...]. Che se miriamo alla seconda cagione [...] ");(38) e nelle scelte lessicali: cerca la " ragione ", " suppone ", porta " prove ", " argomenta ", " dimostra ", " inferisce ", fa " induzioni ", " deduce ", " concede ", " nega ", denuncia " paralogismi ", propone " soluzioni ", " conchiude ", " perora ".
Dire della vocazione e della competenza retorica di Segneri, e soprattutto delle forme in cui esse si esprimono, richiederebbe un discorso a parte, da rinviare ad altra occasione. Qui preme rilevare un solo punto, per le implicazioni d'ordine generale che comporta. Sulla scena del Quaresimale, a coinvolgere e a dilettare gli Uditori, al di là di tutte le altre più circoscritte soluzioni retoriche, non solo vengono evocate rappresentazioni vivissime, storiche, sacre, fantastiche, costruite secondo una raffinata applicazione della tecnica del " predicar a los ojos " (per usare una formula frequente nella predicazione controriformistica spagnola); ma vengono anche istituite delle situazioni retoriche fittizie. Mi spiego con qualche esempio.
Nel primo paragrafo della predica undicesima si legge: " perché non crediate ch'io questa volta pretenda forse convincervi con le grida, statemi anzi ad udire con attenzione, perché ho risoluto di tenervi qui non a predica, ma a consulta. Io voglio metter in campo sì gran trattato qual'è questo della vostra conversione, ed esaminarlo con ordine assai distinto. Se vi parrà di operare prudentemente con differirla, come forse voi disegnate, fino agli estremi della vita vostra, io non vi voglio punto forzare ad accelerarla".(39) È creata qui la situazione dell'orazione deliberativa (" non a predica, ma a consulta ").
Nella predica diciassettesima, sull'ingratitudine, dopo aver richiamato esempi biblici, il Predicatore prosegue: " Ma io voglio arrecarvi un altro successo non tanto noto, e quasi che voi segghiate qui come Giudici in tribunale, per dar sentenza, io voglio prender le parti di Accusatore, e condurvi innanzi un Imperador per Reo. Date voi frattanto udienza all'accusa "; racconta un episodio d'ingratitudine da parte dell'imperatore Basilio; e conclude: " Ecco il fatto. Su ditemi, qual sentimento a voi pare di concepirne [...]. Se aveste il Reo qui dinanzi, che supplizio voi gli dareste? ".(40) Gli Uditori trasformati in Giudici di tribunale, il Predicatore in Accusatore, un Reo su cui sentenziare: ecco creata la situazione dell'orazione giudiziaria.
Il momento della commutazione della situazione retorica forse ancora più immediatamente si lascia cogliere in un paragrafo della predica quindicesima: il Predicatore premette " Finora voi siete stati, come Uditori, ad attendere, non è vero? Ora vi vorrei come Giudici a sentenziare. Ma contentatevi di voler prima ascoltar un successo illustre "; racconta il " successo ", e conclude: " Ora che avete, o Signori, udito il successo, contentatevi un poco di sentenziare ".(41) È palese qui la conversione dalla situazione dell'orazione epidittica (" come Uditori, ad attendere ") alla situazione dell'oratoria giudiziale (" come Giudici a sentenziare ").
In questi e in casi analoghi siamo di fronte a un gioco illusionistico, nel quale la situazione retorica reale viene fittiziamente sostituita da un'altra. Questo gioco ha un fondamento storico-istituzionale nella difficile collocazione dell'oratoria sacra nello schema tripartito dell'oratoria classica in giudiziale, deliberativa ed epidittica. Tra le due oratorie, sacra e profana, c'è una tensione secolare, che non è risolta dalla tendenza cinquecentesca a unificare i tre tipi di orazioni nell'oratoria epidittica, e a questa ridurre pure l'oratoria sacra.(42) In particolare sono nei fatti irresolubili i problemi della fisionomia istituzionale dei partecipanti alla situazione della predicazione sacra, ove si vogliano seguire i parametri della retorica classica. I ruoli del Predicatore, degli Uditori, di Dio non sono determinabili con costanza a norma della retorica classica: gli Uditori sono giudici dell'oratore, nella condizione epidittica, ma anche suoi accusati; egli è loro accusatore, ma anche loro difensore davanti a Dio, e davanti a Dio si fa anch'egli accusato; Dio è giudice, ma anche oggetto della lode.
Questo statuto retoricamente ambiguo dell'oratoria sacra, congiunto con il classicismo gesuitico e con la passione retorica di Segneri, porta a stabilire all'interno della predica segneriana situazioni classicamente atteggiate sotto il profilo retorico, ma prodotte attraverso una dinamica illusionistica. Che è il rovescio barocco del classicismo di Segneri.
Nei casi richiamati, come anche in altri che non si possono qui ricordare, insieme con gli Uditori, cambia fisionomia il Predicatore. Ma occorre dire più generalmente che l'ethos del Predicatore appare proteiforme, capace di continui cambiamenti, eseguiti talvolta con ritmo incalzante. Esemplare il paragrafo finale della predica quattordicesima, nel quale in rapida successione, con passaggi repentini, egli da aspro inquisitore dei suoi uditori si trasforma in peccatore che si confessa ai piedi di Dio, in anima tremebonda al pensiero dell'inferno cui s'immagina destinata, in supplice della pietà divina, in esortatore degli ascoltatori alla penitenza, in predicatore esausto, in detestatore dei peccatori ostinati:
Che mi rimarrà dunque a fare questa mattina, se non che versare due torrenti di lagrime inconsolabili su tante anime, le quali veggonsi innanzi l'inferno aperto, né però ritirano il piede, ma vanno audaci a lanciarsi tra le sue fiamme? Ah no, fermate infelici, fermate un poco, e prima di spiccare in quel baratro un sì gran salto, lasciate ch'io vi addimandi con le parole pur dell'istesso Isaia Quis ex vobis poterti habitare cum ardoribus sempiternis? Quis ex vobis poterit habitare cum ordoribus sempiternis [Is., 33, 14]? Perdonami popol mio. Tu non ti hai questa volta a partir di qui, se non avrai sodisfatto prima al quesito ch'io ti propongo: Quis ex vobis poterit habitare cum ardoribus sempiternis? Che dici, o donna si delicata in accarezzar le tue carni? poteris habitare cum ardoribus sempiternis? Tu non puoi ora sofferire una punta d'ago il qual t'insanguini leggiermente la pelle nel maneggiarlo. Che ti par dunque? Potrai tu resistere a quelle orrende mannaie, dalle quali dovrai sentirti smembrare, disossare, tritare con eterna carnificina? Che dici, o uomo sì diligente in procacciarti i tuoi comodi? poteris habitare cum ardoribus sempiternis? Tu non puoi ora patire il puzzo di un povero, il qual ti offenda leggiermente le nari in avvicinartisi. Che ti par dunque? Potrai tu reggere a quelle fetide fogne, dalle quali dovrai sentirti appestare, soffogare, aggravare d'eterna ambascia? E tu che dici, o sacerdote sì trascurato in adempire i tuoi debiti? poteris habitare cum ardoribus sempiternis? Tu non puoi stare per Io spazio di un'ora a uficiare in quel coro della tua chiesa modestamente, senza vagare con gli occhi, senza scomporti ne' piedi, senza dar frattanto alla lingua ogni libertà ne' cicalamenti. Che ti par dunque? Potrai tu stare per tutti i secoli eterni, non dirò assiso sopra un bel seggio di noce, ma ben sì stretto sopra eculei di ferro, sopra letti di fuoco, a sentirti urlare i demonii intorno agli orecchi? Che dici ingordo? che dici linguacciuto? che dici libidinoso? che dici giovane sì sfrenato in cavarti ogni tuo capriccio? Poteris habitare cum ardoribus sempiternis? Ah Quis ex vobis poterti, quis? Quantunque, che sto a dire io degli altri sì lungamente? Perdonatemi. Di me, di me devo io dire, di me miserabile, religioso bensì non posso negarlo, perch'io n'ho l'abito, ma nel resto sì ìmmortificato, sì impaziente, sì vano, e sì poco disposto a far quella vera penitenza ch'io dovrei per li miei peccati. S'io non so stare ora a piangerli qualche spazio di tempo divotamente ai piedi del mio Signore, e se tanto amo i miei proprii comodi, e se tanto curo ancor io la mia propria stima, come potrò dipoi stare, meschino me, a' pie di Lucifero per tutta un'eternità? giacché i pie di Lucifero sono il luogo destinato ai simili a me, cioè a coloro che avendo professato di rendere buoni gli altri, e però avendo ricevuto a questo fine da Dio tanti lumi, tante notizie, tanti favori, non hanno poi corrisposto con le opere alle parole. Ah pietà, Signore, pietà, che non è tra noi chi si prometta di poter mai patir tanto. Abbiamo peccato, lo conosciamo, lo confessiamo. Peccavimus, impie egimus, inique gessimus in omnibus justitiis tuis [Bar., 2, 12]. E però né meno siamo arditi di chiedervi che lasciate di gastigarci. Gastigateci pure, che il meritiamo, gastigateci pure: Redde retributionem superbis [Sal., 93, 2]; ma solamente siate contento per vostra immensa bontà di non ci sentenziare all'inferno. O inferno! o inferno! Questo solo è col suo nome bastevole a farci tutta colmar la mente di orrore, questo è quello, o mio Dio, che vi supplichiamo, non per li meriti nostri, ma per quei de' vostri sudori, ma per quelli del vostro sangue, di non incorrere. Corripe nos Domine, verumtainen in judicio, et non in furore tuo [Ger., 10, 24]. Eccoci pronti in questa vita a pagare tutto quel più di supplizio che piace a voi! Qui affliggeteci, qui puniteci, qui batteteci: Hic ure, hic seca, ut in aeternum parcas. Mandateci povertà, ut in aeternum parcas; mandateci ignominie, ut in aeternum parcas; mandateci infirmità, ut in aeternum parcas; mandateci quanti mali volete al mondo, purché ci risparmiate gli eterni, ut in aeternum parcas, ut in aeternum parcas. E noi trattante che faremo, o Cristiani, per meritare da questo Principe offeso sì rara grazia? Non accade stancarsi, vel dirò subito. Penitenza richiedesi, penitenza. Metter freno a' giucchi, por termine alle lascivie, deporre a pie di un legittimo sacerdote le nostre colpe, cancellarle con lagrime, compensarle con digiuni, redimerle con limosine: questo basta. Ve però chi mi nieghi di ciò eseguire, v'è chi ricusi, v'è chi ripugni? Su, non si faccia. Mi basterà di voltarmi al Cielo, e di dirgli d'aver io già sodisfatto alle parti mie. Che posso io più? A me non resta più sapere, onde muovervi maggiormente. Ho consumato ogni fiato, ho spesa ogni forza, e già mi sento tutto stillarmisi in gran sudore la vita. Se però qui rimane ancor peccatore, che qual frenetico sia risoluto perire; su, gli sia fatta la grazia, perisca pure: Intereat in seculum seculi [Sal, 91,8]; lasci cadersi sempre in più reprobo senso, come a lui piace, si lasci ridere, insolentire, imperversare, gioire fino alla morte: e se allor egli verrà per sorte a conoscere l'error fatto, non gli suffraghi. Gridi allora a te l'infelice, e tu Cielo adirato non gli rispondere; ti chiegga tempo, e tu duro non gliene dare; ti chiegga compassione, e tu sordo non gliene concedere. Hai tu forse bisogno per popolarti di andar perduto dietro a certe anime di te nulla curanti? Lasciale pure, lasciale andare in malora, com'esse meritano, che non sono degne di te: In tempore furoris lui abutere eis [Ger., 18, 23]. E se pur tu hai voglia grande di spargere le tue grazie, mira più tosto con volto amico tanti altri de' miei divoti Uditori, che a te si volgono, e ti domandano perdonanza e pietà de' loro peccati. Fa che in essi cresca qual mare la contrizione, la qual comincia impetuosa a sgorgare già da' lor occhi, esaudisci i lor prieghi, accetta le loro suppliche. E così fa con altro esempio palese che veramente tu hai riposto nelle mani degli uomini e l'acqua e '1 fuoco: Appositi tibi aquam et ìgnem [Eccll, 15, 17]. Che resta dunque se non che ognuno si appigli a ciò ch'egli vuole? Ad quod volueris porriges dexteram. O pianger per breve tempo coi Penitenti: ecco l'acqua. O arder per tutti i secoli coi Dannati: ecco il fuoco.(43)
Virtuosistico pezzo teatrale, che richiede per l'esecuzione grande capacità nell'actio. Ma che nell'insieme del Quaresimale non è più che un episodio minimo dell'esibizione drammatica del carattere del Predicatore come di un carattere dalle inesauribili risorse di metamorfosi. Un carattere dotato di un dinamismo metamorfico e teatrale che possiede una indiscutibile carica barocca. La quale va tuttavia circoscritta entro i termini che le si addicono.
Daniello Bartoli, deplorando, nel capo V della Parte Prima dell' Eternità Consigliera (1653), " i pulpiti fatti scene, le chiese teatri, e la predicazione commedia ",(44) ripeteva in forma concisa una diffusa constatazione o lamentela. E offre a noi un troppo generico riferimento per situare la posizione di Segneri, in merito soprattutto al carattere del Predicatore.
Assai più pertinenti indicazioni vengono dal paragrafo IX del sermone della Sessagesima del 1655, recitato sul tema Semen est verbum Dei da Antonio Vieira nella Cappella Reale di Lisbona. Il sermone ha per oggetto l'arte del predicare, e per l'argomento e per il valore programmatico fu da Vieira, quando col primo volume dette l'avvio alla raccolta dei suoi Sermoes, messo in posizione iniziale, come prologo degli altri (" em primeiro lugar, como pròlogo dos demais ").(45)
Nel paragrafo IX del sermone è affrontato il problema della teatralizzazione della predicazione. Vieira incomincia dicendo che le commedie sono passate dai teatri ai pulpiti: vi sono uditori che vengono alla predica come alla commedia; e vi sono predicatori che vengono al pulpito come commedianti. Ma poi si corregge: è poco dire le prediche commedie, perché molte di esse sono farse. A volte sale sul pulpito un predicatore vestito in abito di mortificazione e di penitenza, il momento è grave, c'è aria di compunzione, silenzio e attesa: si aspetta, in quel luogo, con quell'abito, che egli sia tromba del Cielo, che dica parole che siano raggi per i cuori, che, come un Elia, con la voce, con il gesto, con le azioni, riduca in polvere e in cenere i vizi. E invece ecco uscir di bocca a quell'uomo, in quell'abito, una voce tutta affettata e galante, che leggiadramente prende a dare in sottigliezze e vanità, a lusingare precipizi, a liquefare cristalli, a tramortire gelsomini, a infiorettare primavere, e altre mille indegnità come queste. Il discorso di Vieira, qui giunto, prosegue testualmente: " Non è questo farsa più degna di riso, se non fosse tanto da piangere? Nella commedia il re veste come re, e parla come re; il lacchè veste come lacchè, e parla come lacchè; il villano veste come villano, e parla come villano; ma un predicatore, vestire come religioso, e parlare come... non voglio dirlo per riverenza al luogo. Dal momento che il pulpito è teatro, e la predica commedia, almeno non interpreteremo bene il personaggio? Non si addiranno le parole al vestito e all'ufficio? ".(46)
L'obbiezione di Vieira si svolge secondo due linee diverse. Una linea religiosa: il predicatore che si comporta come quello descritto tradisce la sua missione, è moralmente indecoroso. Una linea di teoria retorica e di poetica teatrale: quel predicatore non osserva il decorum retorico-teatrale, parla un linguaggio che non si conviene all'abito, all'ufficio del carattere che impersona. La soluzione non viene indicata nel rifiuto della teatralità; ma nell'esigenza di far bene il personaggio. Un bene che è insieme morale e retorico-teatrale.
Nei termini di questa soluzione collocherei l' ethos del Predicatore come Segneri lo disegna e lo fa vivere nel Quaresimale. Un ethos che ha sì inesauribili risorse di metamorfosi, ma entro un ambito non illimitato: un ambito che esclude il farsesco, il buffonesco, il volgare, il ridicolo, tutto ciò che può ledere la dignità dell'oratore sacro. Per il quale Segneri pretendeva da parte degli uditori non solo " attenzione ", ma anche " riverenza ", dovendosi riconoscere nel suo ministero Iddio e nella sua voce l'autorità del Giudice.(47)
Le osservazioni fatte da ultimo credo che possano giovare a intendere il senso e la portata della riforma segneriana dell'oratoria sacra. Se da un punto di vista letterario una formula come quella di " classicismo barocco " può essere sufficientemente approssimata, non deve essere dimenticata, nel caso specifico, la motivazione etico-religiosa di quel " classicismo barocco ".
DAVIDE CONRIERI
Scuola Normale Superiore di Pisa
NOTE
1 - Predica I, i, pp. 1-2. Il Quaresimale è qui citato dalla princeps, Quaresimale di Paolo Segneri della Compagnia di Giesù dedicato al Serenissimo Cosimo III Granduca di Toscana, In Firenze, Per lacopo Sabatini, MDCLXXIX, con indicazione dei numeri della predica, dei paragrafi e delle pagine.
2 - Predica XXXVIII, VII-IX pp. 707-11 passim.
3 – Predica I, I, pp. 2-3.
4 – Predica I, I, p. 3.
5 - Predica I, XII-XIII, p. 18.
6 - Predica XXXVIII, IX, p. 711
7 – Predica I, i, p. 2.
8 - Predica XXXVIII, VII, p. 707.
9 - Marc Fumaroli, Eroi e oratori. Retorica e drammaturgia secentesche, Bologna, II Mulino, I990,p. 17.
10 - Tra le edizioni di prediche italiane: Sermone delle stimmate di S. Francesco del P. Antonio Vieira della Compagnia di Giesù detto nell'Archicon-fraternita dette Stimmate di Roma Dedicato alla medesima Archiconjfaternita dal Sig. Marchese Gio. Battista Strozzi, Roma, Varese, 1672; Sermoni detti da Gian Paolo Oliva e da Antonio Vieira della Compagnia di Giesù nella Solennità del B. Stanislao, Roma, Varese, 1675. Traduzione precoce di sue prediche (dall'infida edizione spagnola) fu fatta da Bartolomeo Santinelli: Prediche varie del Padre Antonio Vieira della Compagnia di Giesù, Roma, Hercole, 1668; altrimenti sicura e ampia la traduzione dal portoghese, eseguita - sull'edizione curata dall'autore - dal gesuita Annibale Adami: Prediche del P. Antonio Vieira della Compagnia di Giesù, Roma, Giuseppe Corvo, 1683, IIa parte, Venezia, Pezzana, 1687.
11 - Cfr. Sermoens do P. Antonio Vieira, da Companhia de lesu, Pregador de Sua Alteza. Primeira Parte. Dedicada ao Principe, N. S., Lisboa, Joào da Costa, 1679, premessa al Leitor (" coirlo a tirar da sepultura estes meus borròes, que sem a voz que os animava, ainda resuscitados sào cadaveres ", pp. n.n.).
12 - Lettere inedite di Paolo Segneri al Granduca Cosimo Ili tratte dagli autografi, a cura di Silvio Giannini, Firenze, Le Monnier, 1857, lettera n. 225 (Firenze, 6 febbraio 1692, p. 184).
13 - Cfr. Paolo Segneri, Opere, Venezia, Baglioni, 1712, vol. III, pp. n.n.
14 – Predica XI, I, pp. 182-83.
15 - Predica XVI, I, pp. 275-76.
16 - Predica XXI, VI, p. 379, incipit della II" parte.
17 - Predica V, IX, pp. 85-86.
18 - Predica XXIV, VII, p. 439.
19 - Predica XIII, v, p. 224.
20 - Predica XXVII, VII, p. 491
21 - Predica III, IV, p. 42.
22 - Predica XI, VIII, p. 197.
23 - Predica II, I, p. 20.
24 - Predica III, VIII, p. 49 e xi, p. 54.
25 - Predica VIII, VI, pp. 139-40.
26 - Predica XXIV, VI, p. 438.
27 - Predica V, I, p. 72.
28 - Predica XVI, VII, p. 291
29 - Predica VI, V, p. 103.
30 - Predica XV, II, pp. 257-58.
31 - Predica XIX, II, p. 330.
32 - Predica XXIII, XI, p. 420.
33 - Predica XXVII, XI, pp. 495-96.
34 - Cfr. in particolare: II, 5, 1382a, 20 e sgg., sul timore; 10 e 11, 1387b, 21 e sgg., sull'invidia e sull'emulazione; 13, 1389b, 13 e sgg., per i vecchi.
35 - Niccolo Tommaseo, Dizionario estetico, Milano, Reina, 1852, p. 339
36 - Per una commossa esaltazione dei " magnanimi Missionari " anche secenteschi, cfr. la predica XX, vi, pp. 354-55.
37 - Retorica, I,2, 1356a,4-13.
38 Predica IX, XI, pp. 159-60.
39 - Predica XI, I, p. 183.
40 - Predica XVII, v, p. 300.
41 - Predica XV, IX, pp. 271, 273.
42 - Cfr. Lina Bolzoni, Oratoria e prediche, in AA.VV. Letteratura italiana, vol. III, Le forme del testo, tomo II, La prosa, Torino, Einaudi, 1984, pp. 1057 e sgg.
43 - Predica XIV, X, pp. 252-53. Noto incidentalmente che anche in questo brano, come in tanti altri del Quaresimale, avviene quell’attualizzazione dialogica del testo biblico in funzione dell'uditorio che ho sopra segnalato. Così corripe nos corrisponde al biblico corripe me; intereat al biblico intereant; appositi al biblico adposuit. Il mutamento della seconda parte di Eccli. 15, 17, " adposuit tibi aquam et ignem, ad quod voles porrige manum tuam ", in " Ad quod volueris porriges dexteram " è probabilmente prodotto da interferenza mnemonica di un altro luogo biblico, Gb. 14, 15:" vocabis et ego respondebo tibi, operi manuum tuarum porriges dexteram".
44 - Daniello Bartoli, Opere, Venezia, Niccolo Pezzana, 1716, 3 tomi, tomo II, p. 214.
45 - Il sermone ebbe un'autonoma edizione in italiano nel 1668: Maravigliosa predica per fare veri predicatori del P. Antonio Vieira [per errore: VVIEIRA] della Compagnia di Giesù. Sopra le parole di S. Luca a gl'otto Semen est verbum Dei. D'onde avvenghi che predicandosi tanto, e da tanti nel tempo di Quaresima, si vede così poco frutto, in Napoli, per Luc'Antonio di Fusco, 1668; fu poi compreso nel I voi. (1683) delle Prediche di Vieira tradotte da Adami sopra citato.
46 " Nào è isto farsa mais digna de riso, senào fora tanto para chorar? Na comédìa o rei veste como rei, e fala como rei: o lacaio veste como lacaio, e fala como lacaio: o rustico veste como rustico, e fala como rustico: mas urn pregador, vestir como religioso, e falar como: nào quero dizer por reverenda do lugar. Jà que o pùlpito è teatro, e o sermào comédia, se quer, nào faremos bem a figura? Nào dirao as palavras com o vestido e com o officio? " (Sermoens, cit, coli. 76-77).
47 Paolo Segneri, Il Cristiano istruito, Ragionamento primo, Sopra la necessità di udire la Parola di Dio, capo XXI, in Opere, cit., vol. III, p. 8. |