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NETTUNO
LA SUA STORIA

 

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IL GUERRIERO DI ASTURA
Una tomba di Età Eneolitica nel Poligono Militare
di Torre Astura

Francesco di Mario e Agnese Livia Fischetti

 


La sepoltura di forma ovoidale
m.1,70 x 0,85
del guerriero di Astura.


Schema della sepoltura eneolitica rinvenuta in Astura.

L’area di Torre Astura, che si sviluppa all'interno del territorio comunale di Nettuno per circa 8 chilometri lungo la costa tirrenica sino al fiume Astura (limite tra la Provincia di Roma e quella di Latina), è oggi compresa all'interno dell'Ufficio Tecnico Territoriale Armamenti Terrestri del Ministero della Difesa, noto anche come Poligono Militare di Nettuno.
L’area si presenta pianeggiante, ricoperta da vegetazione mediterranea e con boschi di cerri, farnetti, roverelle, aceri, oltre a ampie pinete piantate dall’uomo in passato. La parte prossima al mare è bassa e sabbiosa e mantiene quasi inalterato il suo aspetto naturale originario, con dune ricche di vegetazione mediterranea.
Il Poligono Militare, anche per aver fortemente limitato l’accesso all’area, ha salvaguardato e garantito protezione a questo tratto di costa, lasciandolo nel suo stato ambientale naturale: esso rappresenta ormai uno dei pochissimi tratti del litorale laziale rimasto pressoché intatto.
L’area era in origine parte del territorio di Anzio, il cui confine meridionale, secondo il Lugli, era, in età romana costituito dal fiume Astura (fino alla località Guarda Passo nella tenuta di Campomorto) e comprendeva le selve di Nettuno e di Padiglione.
Con la perdita di potere e la decadenza di Anzio ebbe inizio un graduale processo di spostamento della popolazione verso l’attuale territorio di Nettuno. Questo fenomeno, iniziato già sotto il papato di Zaccaria (741-752) in seguito alla fondazione di una domusculta e all’abbandono del porto Neroniano, si rafforza nel corso del tempo. A testimonianza di ciò, è un atto di permuta di terreni stipulato nel 1426
tra gli Orsini e i Colonna, in cui sono citati il dominio di Nettuno e di Astura, i cui confini indicano una continuità nella delimitazione del territorio.
Nettuno era ormai divenuta una importante città, sostituendo Anzio anche grazie alla sua posizione topografica maggiormente difendibile.
All’estremità meridionale dell’area, nei pressi della foce del fiume Astura, fu costruita successivamente, e al di sopra di ampie strutture di epoca romana, la torre costiera da cui deriva il nome con cui è oggi conosciuta tutta la zona. Pur non essendo stato rinvenuto alcun documento utile a determinarne l’origine, è certa la sua appartenenza a Leone Frangipane dal 1193 e la sua importanza nel medioevo, tanto da essere considerata come la prima guardia di Roma e essere inserita nello stemma di famiglia. In essa fu tenuto prigioniero Corradino di Svevia dopo la battaglia di Tagliacozzo e prima di essere consegnato a Carlo D'Angiò. Dopo alterne vicende la proprietà passò dai Frangipane agli Orsini e quindi ai Colonna, come riscontrabile nel già citato documento del 1426, e sotto questi ultimi iniziò un lento processo di decadimento.

Vasi del corredo tombale.

 


Molte sono le fonti antiche che citano l’intera zona e il suo utilizzo in epoca romana: Cicerone, Livio, Plinio, Svetonio. Essi descrivono l’area e ne parlano come luogo di soggiorno estivo, o come scalo, sia marittimo che terrestre. Livio, in particolare, racconta dell’antica città di Astura e dell’omonimo fiume, narrando dell’importante battaglia ivi svoltasi nel 338 a.C. e combattuta dall’esercito romano, guidato dai consoli L. Furio Camillo e C. Maenio, contro Latini e Volsci.
Strabone riferisce dell’esistenza alla foce dell’Astura di una città e di un approdo naturale, e ne sottolinea l’importanza precisando che per chi navigava verso sud si trattava dell’ultimo luogo di attracco possibile sino a quello del Circeo, essendo il tratto di costa intermedio totalmente esposto al vento di S.O.
Plinio narra che Caligola da qui si imbarcò per Anzio e, ad infausto presagio, una remora (pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia Echeneida.) si attaccò al timone della nave. Qualche tempo dopo l’imperatore, giunto a Roma, venne ucciso. Anche per Ottaviano l’area fu luogo di sventura: come tramanda Svetonio, qui contrasse la malattia che lo portò alla morte. Stessa sorte toccò a Tiberio.
Le ultime notizie su Astura in età romana risalgono agli imperatori Settimio Severo e Caracalla. Successivamente, le invasioni barbariche provocarono il suo abbandono e la conseguente decadenza, dovuta anche ad impaludamenti e alla derivante diffusione della malaria.
Nell’area sono state svolte diverse ricerche archeologiche, soprattutto ricognizioni di superficie. Indagini furono effettuate anche da Antonio Nibby, che individuò come importante l’area della torre e, al di sotto di essa, i resti di una villa repubblicana da lui attribuita a Cicerone, e successivamente divenuta di proprietà imperiale.
E’ infatti riconoscibile un nucleo originario e più antico in opus reticulatum, e un successivo ampliamento in laterizi.
Secondo l’Asbhy, invece, i ruderi su cui insiste la costruzione medievale, e ora parzialmente sommersi dal mare, non facevano parte delle proprietà di Cicerone, che pure aveva una villa in questi luoghi.
Proprio nell’amata villa di Astura, come Cicerone stesso la definisce nelle sue lettere ad Attico, egli vide morire la figlia Tullia, tanto che nacque la leggenda, infondata, che essa fosse stata sepolta nel monumento sepolcrale conosciuto anche come Torraccio (o Torre) del Monumento; egli, inoltre, trovò rifugio in questa sua proprietà, in cui si recò con il fratello Quinto, quando gli venne annunciato il decreto di proscrizione.
Numerosi resti di strutture pertinenti a diverse ville costiere e marittime databili tra la fine dell’età repubblicana e gli inizi di quella imperiale sono state individuate in tutta l’area, e i resti archeologici più antichi sinora rinvenuti non andavano oltre l’età del Ferro, con scarsissime testimonianze precedenti.
In questo ambito si colloca l’importante ritrovamento di una sepoltura eneolitica, che ha sicuramente contribuito ad integrare la situazione nota di utilizzo antropico dell’area, fornendo nuovi interessantissimi, quanto rari, dati, ed aprendo inaspettate prospettive di ricerca.
Sinora, infatti, almeno a quanto risulta, non erano mai stati individuati nell’area di Torre Astura resti archeologici appartenenti al periodo preistorico dell’eneolitico (età del Rame), mentre erano già noti in altre aree del Lazio meridionale, a sud del Tevere, dove sono già conosciuti e attestati insediamenti e necropoli di questo periodo, molti dei quali appartenenti alle cosiddette facies di Rinaldone o di Gaudo.
La scoperta, databile intorno alla metà del terzo millennio a.C., ha, quindi, un notevole valore e non solo perché attesta per la prima volta la presenza di una probabile necropoli eneolitica lungo la costa di Nettuno.
La sepoltura rinvenuta, infatti, non sembra essere isolata.


Due lame di pugnale
in selce del corredo tombale.


Cuspide di freccia
in selce
facente parte del corredo tombale.

Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito di un intervento d’urgenza, effettuato congiuntamente dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, e ha portato al recupero di importanti e rari materiali archeologici prima della loro definitiva perdita. Infatti la sepoltura, posta presso l’attuale battigia, era in corso di erosione e distruzione, invasa, durante l’alta marea, dal mare, il cui moto ondoso aveva già causato danni, asportando e cancellando definitivamente tutta l’originale porzione superiore della sepoltura, che si presentava al momento dell’intervento parzialmente ricoperta da una coltre di sabbia di recentissima formazione. Tale azione distruttrice è probabilmente da attribuire anche alle mareggiate invernali di questi ultimi anni.
In tutto il suolo di riempimento presente al momento dell’intervento, sono stati rinvenuti, accanto ai reperti antichi, materiali e proiettili “moderni”, che erano stati trascinati dal mare e deposti anche all’interno del vasellame rinvenuto.
Lo scavo è stato effettuato con attenti criteri stratigrafici, e ha rappresentato una vera sorpresa: solo durante l’intervento, quando sono cominciati ad emergere i vasi del corredo tombale, ci si è resi conto dell’importanza della scoperta.
La sepoltura era costituita da una tomba a fossa di forma ovaloide (per quanto è stato possibile accertare nonostante i pesanti fenomeni di erosione marina), approssimativamente lunga m. 1,70 e larga m. 0,85, scavata nell’argilla.
Al suo interno, direttamente deposto sul sottostante banco naturale di argilla, è stato rinvenuto lo scheletro di un adulto, deposto supino, con arti inferiori distesi e superiori flessi sul ventre.
L’inumato era orientato in senso est-ovest, con cranio rivolto a nord, sebbene non sia possibile stabilire se la rotazione della testa sia avvenuta in seguito al processo di disgregazione dei legamenti (rotazione tafonomica), o spostato da ingressione marina, oppure se facesse parte di un prestabilito rituale inumatorio, che prevedeva il direzionamento volontario dello sguardo verso un luogo ritenuto sacro.
Molte delle ossa, infatti, non si trovavano più nella loro posizione originale, presumibilmente spostate dallo sciabordio delle onde.
Lo scheletro, come anche gli oggetti di corredo, erano totalmente immersi in acqua marina, che ha gravemente contribuito alla disgregazione dei resti ossei, che altrimenti, sarebbero presumibilmente stati rinvenuti in un migliore stato di conservazione.
Il corredo è composto da 6 vasi (parzialmente ricoperti da incrostazioni causate dal loro continuo “contatto” con l’acqua di mare), probabilmente attribuibili alla facies di Gaudo, una cuspide di freccia in selce, due lame di pugnale in selce.
Il vasellame era disposto attorno al corpo, con sommità rivolta verso l’alto e leggera inclinazione dei pezzi, facendo supporre che si sia mantenuta la loro disposizione originale.
Posizionato presso i piedi era un vaso a fiasco, con corpo globulare schiacciato e collo troncoconico, monoansato, di impasto bruno depurato, con accurata levigatura della superficie .
Sul lato destro erano due tazze carenate (una in prossimità del cranio), ad alto collo distinto, monoansate. L’una d’impasto di colore rossastro, decorata con motivi lineari incisi sull’orlo e alla base del collo con motivo impresso a spina di pesce; l’altra ad impasto nero, con superficie accurata e lucidata.
Tre vasi monoansati carenati erano presso il lato sinistro, di cui uno, frammentato, nelle vicinanze della testa, uno all’altezza del bacino ed il terzo delle gambe. Si tratta di due tazze a collo distinto, d’impasto di colore scuro, con superficie accurata e lucidata (essendo ricoperti di incrostazioni non è ancora possibile una visione completa delle superfici esterne) e di un frammento di vaso monoansato, d’impasto di colore scuro, anch’esso caratterizzato dalla presenza di diffuse incrostazione che, al momento, ne impediscono una completa lettura.
All’interno e al di sotto del vaso carenato monoansato posto sul fianco sinistro presso il bacino, sono state rinvenute due lame di pugnale in selce, una lunga circa 14 cm., l’altra, più piccola, lunga circa 11 cm., con tallone distinto. Al di sopra dello scheletro era invece posta una punta di freccia di selce.


Il guerriero di Astura.

 


OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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