La sepoltura di forma ovoidale
m.1,70 x 0,85
del guerriero di Astura.
Schema della sepoltura eneolitica rinvenuta in Astura.
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L’area di Torre Astura, che si sviluppa all'interno del territorio
comunale di Nettuno per circa 8 chilometri lungo la costa tirrenica
sino al fiume Astura (limite tra la Provincia di Roma e quella di
Latina), è oggi compresa all'interno dell'Ufficio Tecnico Territoriale
Armamenti Terrestri del Ministero della Difesa, noto anche come
Poligono Militare di Nettuno.
L’area si presenta pianeggiante, ricoperta da vegetazione mediterranea
e con boschi di cerri, farnetti, roverelle, aceri, oltre a ampie pinete
piantate dall’uomo in passato. La parte prossima al mare è bassa e
sabbiosa e mantiene quasi inalterato il suo aspetto naturale originario,
con dune ricche di vegetazione mediterranea.
Il Poligono Militare, anche per aver fortemente limitato l’accesso
all’area, ha salvaguardato e garantito protezione a questo tratto di
costa, lasciandolo nel suo stato ambientale naturale: esso rappresenta
ormai uno dei pochissimi tratti del litorale laziale rimasto pressoché
intatto.
L’area era in origine parte del territorio di Anzio, il cui confine
meridionale, secondo il Lugli, era, in età romana costituito dal fiume
Astura (fino alla località Guarda Passo nella tenuta di Campomorto) e
comprendeva le selve di Nettuno e di Padiglione.
Con la perdita di potere e la decadenza di Anzio ebbe inizio un graduale
processo di spostamento della popolazione verso l’attuale territorio
di Nettuno. Questo fenomeno, iniziato già sotto il papato di
Zaccaria (741-752) in seguito alla fondazione di una domusculta e
all’abbandono del porto Neroniano, si rafforza nel corso del tempo. A
testimonianza di ciò, è un atto di permuta di terreni stipulato nel 1426
tra gli Orsini e i Colonna, in cui sono citati il dominio di Nettuno e di
Astura, i cui confini indicano una continuità nella delimitazione del
territorio.
Nettuno era ormai divenuta una importante città, sostituendo
Anzio anche grazie alla sua posizione topografica maggiormente
difendibile.
All’estremità meridionale dell’area, nei pressi della foce del fiume
Astura, fu costruita successivamente, e al di sopra di ampie strutture
di epoca romana, la torre costiera da cui deriva il nome con cui è oggi
conosciuta tutta la zona. Pur non essendo stato rinvenuto alcun documento
utile a determinarne l’origine, è certa la sua appartenenza a
Leone Frangipane dal 1193 e la sua importanza nel medioevo, tanto
da essere considerata come la prima guardia di Roma e essere inserita
nello stemma di famiglia. In essa fu tenuto prigioniero Corradino
di Svevia dopo la battaglia di Tagliacozzo e prima di essere consegnato
a Carlo D'Angiò. Dopo alterne vicende la proprietà passò dai
Frangipane agli Orsini e quindi ai Colonna, come riscontrabile nel già citato documento del 1426, e sotto questi ultimi iniziò un lento processo
di decadimento.
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Vasi del corredo tombale. |
Molte sono le fonti antiche che citano l’intera zona e il suo utilizzo
in epoca romana: Cicerone, Livio, Plinio, Svetonio. Essi descrivono
l’area e ne parlano come luogo di soggiorno estivo, o come scalo, sia
marittimo che terrestre. Livio, in particolare, racconta dell’antica città
di Astura e dell’omonimo fiume, narrando dell’importante battaglia
ivi svoltasi nel 338 a.C. e combattuta dall’esercito romano, guidato dai
consoli L. Furio Camillo e C. Maenio, contro Latini e Volsci.
Strabone
riferisce dell’esistenza alla foce dell’Astura di una città e di un approdo
naturale, e ne sottolinea l’importanza precisando che per chi navigava
verso sud si trattava dell’ultimo luogo di attracco possibile sino
a quello del Circeo, essendo il tratto di costa intermedio totalmente
esposto al vento di S.O.
Plinio narra che Caligola da qui si imbarcò per Anzio e, ad infausto
presagio, una remora (pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia
Echeneida.) si attaccò al timone della nave. Qualche tempo dopo l’imperatore,
giunto a Roma, venne ucciso. Anche per Ottaviano l’area fu
luogo di sventura: come tramanda Svetonio, qui contrasse la malattia
che lo portò alla morte. Stessa sorte toccò a Tiberio.
Le ultime notizie su Astura in età romana risalgono agli imperatori
Settimio Severo e Caracalla. Successivamente, le invasioni barbariche
provocarono il suo abbandono e la conseguente decadenza, dovuta
anche ad impaludamenti e alla derivante diffusione della malaria.
Nell’area sono state svolte diverse ricerche archeologiche, soprattutto
ricognizioni di superficie. Indagini furono effettuate anche da
Antonio Nibby, che individuò come importante l’area della torre e, al
di sotto di essa, i resti di una villa repubblicana da lui attribuita a
Cicerone, e successivamente divenuta di proprietà imperiale.
E’ infatti
riconoscibile un nucleo originario e più antico in opus reticulatum, e
un successivo ampliamento in laterizi.
Secondo l’Asbhy, invece, i ruderi su cui insiste la costruzione
medievale, e ora parzialmente sommersi dal mare, non facevano parte
delle proprietà di Cicerone, che pure aveva una villa in questi luoghi.
Proprio nell’amata villa di Astura, come Cicerone stesso la definisce
nelle sue lettere ad Attico, egli vide morire la figlia Tullia, tanto che
nacque la leggenda, infondata, che essa fosse stata sepolta nel monumento
sepolcrale conosciuto anche come Torraccio (o Torre) del
Monumento; egli, inoltre, trovò rifugio in questa sua proprietà, in cui
si recò con il fratello Quinto, quando gli venne annunciato il decreto
di proscrizione.
Numerosi resti di strutture pertinenti a diverse ville costiere e
marittime databili tra la fine dell’età repubblicana e gli inizi di quella
imperiale sono state individuate in tutta l’area, e i resti archeologici
più antichi sinora rinvenuti non andavano oltre l’età del Ferro, con
scarsissime testimonianze precedenti.
In questo ambito si colloca l’importante ritrovamento di una
sepoltura eneolitica, che ha sicuramente contribuito ad integrare la
situazione nota di utilizzo antropico dell’area, fornendo nuovi interessantissimi, quanto rari, dati, ed aprendo inaspettate prospettive
di ricerca.
Sinora, infatti, almeno a quanto risulta, non erano mai stati individuati
nell’area di Torre Astura resti archeologici appartenenti al periodo
preistorico dell’eneolitico (età del Rame), mentre erano già noti in
altre aree del Lazio meridionale, a sud del Tevere, dove sono già conosciuti
e attestati insediamenti e necropoli di questo periodo, molti dei
quali appartenenti alle cosiddette facies di Rinaldone o di Gaudo.
La
scoperta, databile intorno alla metà del terzo millennio a.C., ha, quindi,
un notevole valore e non solo perché attesta per la prima volta la
presenza di una probabile necropoli eneolitica lungo la costa di
Nettuno.
La sepoltura rinvenuta, infatti, non sembra essere isolata.
Due lame di pugnale
in selce del corredo tombale.
Cuspide di freccia
in selce
facente parte del corredo tombale.
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Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito di un intervento d’urgenza,
effettuato congiuntamente dal Comando Carabinieri per la Tutela del
Patrimonio Culturale e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Lazio, e ha portato al recupero di importanti e rari materiali archeologici
prima della loro definitiva perdita. Infatti la sepoltura, posta presso
l’attuale battigia, era in corso di erosione e distruzione, invasa,
durante l’alta marea, dal mare, il cui moto ondoso aveva già causato
danni, asportando e cancellando definitivamente tutta l’originale porzione
superiore della sepoltura, che si presentava al momento dell’intervento
parzialmente ricoperta da una coltre di sabbia di recentissima
formazione. Tale azione distruttrice è probabilmente da attribuire
anche alle mareggiate invernali di questi ultimi anni.
In tutto il suolo di riempimento presente al momento dell’intervento,
sono stati rinvenuti, accanto ai reperti antichi, materiali e proiettili “moderni”, che erano stati trascinati dal mare e deposti anche all’interno
del vasellame rinvenuto.
Lo scavo è stato effettuato con attenti criteri stratigrafici, e ha rappresentato
una vera sorpresa: solo durante l’intervento, quando sono
cominciati ad emergere i vasi del corredo tombale, ci si è resi conto
dell’importanza della scoperta.
La sepoltura era costituita da una tomba a fossa di forma ovaloide
(per quanto è stato possibile accertare nonostante i pesanti fenomeni
di erosione marina), approssimativamente lunga m. 1,70 e larga m.
0,85, scavata nell’argilla.
Al suo interno, direttamente deposto sul sottostante banco naturale
di argilla, è stato rinvenuto lo scheletro di un adulto, deposto supino,
con arti inferiori distesi e superiori flessi sul ventre.
L’inumato era orientato in senso est-ovest, con cranio rivolto a
nord, sebbene non sia possibile stabilire se la rotazione della testa sia
avvenuta in seguito al processo di disgregazione dei legamenti (rotazione
tafonomica), o spostato da ingressione marina, oppure se facesse
parte di un prestabilito rituale inumatorio, che prevedeva il direzionamento
volontario dello sguardo verso un luogo ritenuto sacro.
Molte delle ossa, infatti, non si trovavano più nella loro posizione originale,
presumibilmente spostate dallo sciabordio delle onde.
Lo
scheletro, come anche gli oggetti di corredo, erano totalmente immersi
in acqua marina, che ha gravemente contribuito alla disgregazione dei resti ossei, che altrimenti, sarebbero presumibilmente stati rinvenuti
in un migliore stato di conservazione.
Il corredo è composto da 6 vasi (parzialmente ricoperti da incrostazioni
causate dal loro continuo “contatto” con l’acqua di mare), probabilmente
attribuibili alla facies di Gaudo, una cuspide di freccia in
selce, due lame di pugnale in selce.
Il vasellame era disposto attorno
al corpo, con sommità rivolta verso l’alto e leggera inclinazione dei pezzi, facendo supporre che si sia mantenuta la loro disposizione originale.
Posizionato presso i piedi era un vaso a fiasco, con corpo globulare
schiacciato e collo troncoconico, monoansato, di impasto bruno depurato,
con accurata levigatura della superficie .
Sul lato destro erano due tazze carenate (una in prossimità del cranio),
ad alto collo distinto, monoansate. L’una d’impasto di colore rossastro,
decorata con motivi lineari incisi sull’orlo e alla base del collo
con motivo impresso a spina di pesce; l’altra ad impasto nero, con
superficie accurata e lucidata.
Tre vasi monoansati carenati erano presso il lato sinistro, di cui
uno, frammentato, nelle vicinanze della testa, uno all’altezza del bacino
ed il terzo delle gambe. Si tratta di due tazze a collo distinto, d’impasto
di colore scuro, con superficie accurata e lucidata (essendo ricoperti
di incrostazioni non è ancora possibile una visione completa
delle superfici esterne) e di un frammento di vaso monoansato, d’impasto
di colore scuro, anch’esso caratterizzato dalla presenza di diffuse
incrostazione che, al momento, ne impediscono una completa lettura.
All’interno e al di sotto del vaso carenato monoansato posto sul
fianco sinistro presso il bacino, sono state rinvenute due lame di
pugnale in selce, una lunga circa 14 cm., l’altra, più piccola, lunga
circa 11 cm., con tallone distinto. Al di sopra dello scheletro era invece
posta una punta di freccia di selce.
Il guerriero di Astura. |
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