In età romana il territorio di Nettuno faceva parte di quello di Antium.
La posizione favorevole, su un’alta costa di pietra arenaria, il macco, da
cui dominava il mare, e soprattutto la presenza di un porto, avevano
determiato il fiorente sviluppo di Antium, che, già nella fase preromana,
era divenuta uno dei centri più potenti della costa laziale. Punto di
partenza e di arrivo di importanti traffici marittimi, Antium rappresentava,
inoltre, il collegamento delle città dell’entroterra laziale con il mare,
fondamentale sia per lo svolgimento delle attività commerciali che per
la transumanza, che dall’Appennino scendeva verso la costa.
Pianta dell’Anzio preromana, attribuita a Luigi Tomassetti. |
ANTIUM
L’antica città di Antium fu fondata probabilmente tra il X e l’VIII
secolo a.C. Tradizioni leggendarie fanno risalire le sue origini a personaggi
mitici (Anteo, figlio di Ulisse e Circe, o Ascanio, mitico fondatore
della città di Albalonga).
Importanti dati archeologici confermano la presenza nella zona di
insediamenti di età protostorica, quando la popolazione viveva in piccoli
villaggi stanziati sulle varie alture presenti nel territorio anziate.
Tra il IX e il VII secolo a.C. tutte queste comunità si riunirono sul colle
delle Vignacce, tra tutti il meglio difendibile per le sue caratteristiche
naturali, dando vita così ad un oppidum, munito di fortificazioni ad
aggere, costituite da un terrapieno rinforzato da un muro in opera quadrata
di tufo e completato da un fossato.
Anzio: immagini di resti della Villa Imperiale. |
Are marmoree, indicate come provenienti
da un tempio dedicato al dio Nettuno.
Anzio; il faro costruito sui resti della Villa Imperiale.
|
Da questo semplice centro protourbano si sviluppò la città vera e
propria, con acropoli sul colle delle Vignacce e caratterizzata dalla
presenza di un porto, il Caenon, l’ubicazione del quale è ancora oggi
argomento di discussione tra gli studiosi. Secondo una delle ipotesi il Caenon era collocato nell’odierna Nettuno, città confinante con Anzio,
in corrispondenza della foce del fiume Loracina (attuale Loricina) o nel
sito oggi occupato dal borgo medievale, dove forse era anche un tempio
dedicato al dio del mare, che in seguito, intorno al X secolo d.C.
circa, diede il nome a tutto l’abitato. Questa tesi si basa innanzi tutto
sull’interpretazione delle fonti letterarie, dalle quali si apprende che il
nome Caenon designava non solo il porto degli Anziati, ma un oppidum vero e proprio, dipendente da Antium, ma da esso distinto e collocato
nelle sue immediate vicinanze, probabilmente nel sito di
Nettuno; inoltre si basa sulla presenza nel territorio di Nettuno del
fiume Loricina (allora di portata ben maggiore dell’esile corso attuale)
e, paradossalmente, sul significato del nome stesso del porto, Caenon,
cioè fangoso, ad indicare un semplice “ricovero per navi”, poco profondo
e di natura addirittura paludosa. L’altra ipotesi colloca il Caenon nei pressi dell’attuale Capo d’Anzio, nel sito poi occupato dal porto
neroniano. Questa tesi si basa sull’opportunità della scelta del luogo
più adatto per ospitare un porto, confermata dalle successive localizzazioni
(il porto neroniano prima, il porto moderno poi, nel XVIII secolo).
La felice posizione di Antium, collocata allo sbocco di importanti
strade e situata sul mare, in prossimità di una rada di facile approdo,
favorì la crescita della città che divenne sempre più ricca e potente,
anche grazie agli intensi scambi commerciali, resi possibili dalla presenza
del porto. Quest’ultimo infatti era uno dei maggiori punti di
forza degli Anziati, che potevano contare su una potente flotta navale,
temuta in tutto il Mediterraneo per le frequenti azioni di pirateria
e rappresentava inoltre lo sbocco a mare di città dell’entroterra laziale,
come Praeneste e Velitrae.
Sistema viario anziate
in età romana.
Anzio; resti della Villa Imperiale.
|
Verso la fine del VI secolo a.C., dunque, Antium era considerata una
delle più importanti città del Lazio e le sue navi percorrevano tutte le
rotte commerciali allora conosciute. Nel I trattato stipulato tra Roma
e Cartagine, nel 509 a.C., Antium compare nella lista delle città alleate
di Roma; ciò dimostra che allora essa era soggetta alla potenza romana,
ma già tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., dovette essere
conquistata dai Volsci, divenendone così uno dei capisaldi nel Latium
vetus. Anche in questa fase, comunque, Antium mantenne, in parte, il
suo carattere di città marinara, pur essendo quello volsco un popolo
di origine pastorale e montanara. La direzione delle attività marittime,
infatti, fu probabilmente affidata a famiglie autoctone di ceppo
latino. Numerosi furono gli scontri fra Volsci e Latini nel corso del V
secolo a.C. per il dominio sul territorio laziale. In aiuto dei Latini
intervenne Roma, che vedeva nella potenza volsca una minaccia per
la sua stessa sopravvivenza e in Antium una rivale nel dominio costiero
e marittimo. Nel 468 a.C. la città fu presa dai Romani, che, a quanto
dicono le fonti, vi dedussero una prima colonia.
Ma già nel 461 a.C. i Volsci si ribellarono di nuovo a Roma. Le guerre
che ne seguirono continuarono per quasi tutto il IV secolo a.C. fino
alla vittoria definitiva dei Romani, nel corso della guerra Latina, nel
338 a.C. Il console C. Menio sconfisse i Volsci presso il fiume Astura e
riuscì ad espugnare Antium; le navi degli anziati furono distrutte e i
loro rostri furono portati a Roma nel Foro e qui infissi nella fronte
della tribuna pubblica, che proprio da questo singolare ornamento
prese il nome di rostra. Si procedette alla deduzione di una colonia
romana che mantenne il nome di Antium; gli Anziati superstiti ottennero
il diritto di cittadinanza, ma la città, pur mantenendo una certa
importanza, proprio per la sua collaudata esperienza cantieristica e
navale, fu privata del suo porto.
Roma volle così eliminare una volta per tutte il pericolo rappresentato
dalla tenace Antium e dai suoi temibili pirati.
In seguito, con l’aumentare del numero degli abitanti, la città, che
aveva occupato in un primo momento lo stesso sito dell’Antium latino-
volsca, si estese fuori della cerchia primitiva, ad occidente fino
all’odierna Tor S. Lorenzo e ad oriente fino ad Astura, su tutto il territorio
ora occupato dalle due città di Anzio e Nettuno.
Negli ultimi secoli della Repubblica, poi, Antium assunse sempre
più il carattere di luogo di villeggiatura, destinato allo svago e al riposo
dei nobili romani, che ne apprezzavano la mitezza del clima, la bellezza
e la salubrità dell’aria. A partire dalla fine del II secolo a.C., il
litorale da Tor S. Lorenzo a Torre Astura, si popolò di splendide ville;
il possedere una villa in Antium divenne ben presto una moda. Anche
Cicerone fu tra coloro che scelsero il mare anziate e si fece costruire in Antium una lussuosa villa con annessa biblioteca; e ugualmente fecero
Attico, Mecenate, Lucullo, Bruto e Cassio. Gli stessi imperatori, in
particolare Augusto, Tiberio, Caligola, Nerone, Domiziano ed
Adriano, scelsero Antium come luogo di ozio e vi edificarono ville e
sontuosi edifici.
Soprattutto sotto Caligola e Nerone, che qui ebbero i loro natali, la
città ricevette grande impulso; e conobbe il suo massimo splendore
proprio con Nerone, che nel 60 d.C. vi dedusse una colonia di veterani,
probabilmente nei pressi dell’attuale Capo d’Anzio, e vi fece
costruire templi, circhi, impianti termali, una superba villa e un grande
porto, rendendola una delle città più celebri dell’epoca. La tradizione
letteraria e i resti archeologici documentano la ricchezza
dell’Antium imperiale, che dovette restare tale almeno fino al IV secolo
d.C.
Il complesso di punta Astura
con il porto e la villa marittima. |
Moneta di Nerone con rappresentazione
della flotta e del dio Nettuno. |
L’ arrivo dei Goti nel Lazio, all’inizio del VI secolo, e in seguito le
incursioni saracene, segnarono la decadenza della città, che venne saccheggiata
e distrutta. Gli Anziati sopravvissuti alle invasioni barbariche
si fortificarono nella zona meglio difendibile del territorio, a
Nettuno, dove oggi sorge il borgo medievale, attorno al tempio del
dio del mare, dando vita ad un nuovo centro, che sostituì l’antica Antium anche nel nome. Il nuovo agglomerato mantenne tuttavia
anche il possesso del vasto territorio dell’Antium romana, dall’attuale
Lavinio ad Astura. A partire probabilmente dal VII secolo, il nome della città, erede della potente Antium, fu Neptunus, in onore del dio
del mare.
Comunque, il primo documento che attesta il nome di castrum Neptuni è firmato da uno dei conti di Tuscolo e si data tra X e
XII secolo d.C. È chiaro, dunque, che, a partire dall’età romana Anzio
e Nettuno costituirono un unico centro, denominato dapprima Antium, e successivamente, dopo le invasioni barbariche del VI-VIII
secolo, Neptunus. Quest’ultima continuò la storia di Antium, dalla sua
caduta fino al XIX secolo, quando, dopo la costruzione del porto innocenziano
nel XVIII secolo, la moderna Anzio fu costituita in Comune
autonomo (1857-1858).
ASTURA
Foce del fiume Astura.
M. T. Cicerone.
|
Nelle immediate vicinanze di Antium, sorgeva Astura, presso il
fiume omonimo. Nata come scalo portuale dell’antica Satricum, cui era
collegata dal fiume stesso, Astura dovette avere, proprio per la sua
ubicazione, grande importanza commerciale; non è escluso che in età arcaica, vi sorgesse un centro abitato. Servio, infatti, la definisce oppidum e la Tabula Peutingeriana vi colloca un villaggio, che costituiva
anche una stazione della via Severiana, la strada che correva lungo la
costa; Plinio invece parla di Astura solo come flumen et insula e
Strabone la ricorda come punto di approdo costiero e come statio delle
navi anziati dopo la distruzione, nel 338 a.C., del porto Caenon ad
opera dei Romani. Che si possa parlare o no di abitato, la cosa certa è
che la località era collegata alla costa anziate per mezzo di un percorso
viario che congiungeva le numerose ville costiere e marittime che
popolavano il litorale.
A partire dall’età romana Astura rappresentò il prolungamento e il
confine ad oriente della colonia di Antium e per la sua amenità fu, alpari di Antium, un luogo molto amato dai nobili romani, che la scelsero
per costruirvi le loro ville d’otium. Lo stesso Cicerone ve ne possedeva
una; sappiamo da Plutarco che nel 43 a.C., quando gli fu annunciato
il decreto di proscrizione, si rifugiò qui con il fratello Quinto e
s’imbarcò poi per raggiungere Bruto in Macedonia, ma si fermò a
Formia dove venne ucciso. Anche in epoca imperiale Astura fu molto
frequentata. Svetonio racconta come il luogo fosse stato fatale ad
Augusto, che qui contrasse la malattia che lo condusse alla morte; lo
stesso destino toccò anche a Tiberio, che, resosi conto del suo male,
abbandonò in fretta il luogo per morire poco tempo dopo a Capo
Miseno. Da Plinio apprendiamo che anche Caligola amava recarsi ad
Astura e che quando s’imbarcò da qui per recarsi ad Antium, una
remora, un piccolo pesce ritenuto di cattivo augurio, si attaccò al timone
della sua nave; questo fu considerato sicuro presagio della sua
prossima morte, che infatti avvenne dopo breve tempo a Roma. Il
luogo fu probabilmente abbandonato tra il VI e il VII secolo, in seguito
alle invasioni barbariche.
La zona è interessante soprattutto per i numerosi resti delle ville
costruite in età romana.
LE VILLE ROMANE SULLA COSTA TRA NETTUNO
E TORRE ASTURA
I resti delle ville che in età romana popolavano il tratto di costa tra
Anzio e Torre Astura costituiscono la testimonianza più interessante
che il territorio ci offre. Si tratta per la maggior parte dei casi di villae
maritimae, cioè di ville con peschiera, il cui sviluppo nel mondo romano
si inserisce all’interno della diffusione delle cosiddette ville
d’otium, che ha inizio nel II secolo a.C. A partire da questo momento,
infatti, la villa suburbana venne concepita dai Romani non più solamente
come centro di produzione agricola, come era stato fino ad
allora, ma come luogo di riposo e di piacere per l’aristocrazia romana.
Astura; due immagini del ponte romano. |
Il castello di Astura;
occupa la parte più esterna della peschiera romana.
|
Le ville divennero così molto spesso dei veri e propri complessi residenziali di lusso, con parchi e giardini, all’interno dei quali si trovavano
tempietti, edicole, edifici per spettacoli, triclini estivi, fontane,
ninfei e ambienti termali, il tutto finalizzato al piacere e al divertimento
del proprietario e dei suoi ospiti. Di carattere preminentemente
residenziale, esse erano però nella maggior parte dei casi legate anche
ad attività di tipo industriale, come la lavorazione dell’argilla o l’allevamento
e stabulazione del pesce. Le prime ville marittime sorsero a
partire dal I secolo a.C., quando tra i nobili romani si diffuse l’uso di
tenere, entro grandi peschiere appositamente costruite, allevamenti di
fauna ittica. Fu così che, tra I secolo a.C. e I secolo d.C., il possedere
una villa con peschiere divenne non solo una moda, ma ben presto
anche un simbolo di ricchezza e di prestigio personale. Si trattava
nella maggior parte dei casi di impianti grandiosi e costosissimi, spesso
costruiti direttamente sulla costa e destinati all’allevamento di pesci
d’acqua salata, tra cui anche specie ittiche rarissime. I pesci d’acqua dolce venivano ormai disdegnati come adatti unicamente alle tavole
dei poveri, mentre quelli di mare non potevano mancare nei pranzi di
una certa importanza. In età imperiale la passione per la piscicoltura
si diffuse ulteriormente.
Le ville più importanti, con le loro peschiere, divennero proprietà
dell’imperatore e di membri della famiglia imperiale. La piscicoltura,
oltre ad essere un hobby molto costoso, spesso poteva rivelarsi anche
un investimento oculato per i proprietari. Gli autori latini ci informano
su come dovessero essere costruite le peschiere (in latino piscinae)
e quali fossero gli accorgimenti tecnici per far sì che l’allevamento ittico
fosse redditizio. Infatti spesso queste piscinae erano veri e propri
impianti di tipo industriale e costituivano, dunque, un’importante
fonte di guadagno per il proprietario.
La peschiera di Torre Astura, ad
esempio, con la sua vasta estensione e la sua struttura complessa,
sembra avesse tale destinazione. Sappiamo che esistevano vasche
diverse adatte ai vari tipi di pesce: poco profonde e sabbiose per pesci
piatti, come la sogliola e il rombo; più profonde e con qualche scoglio
per le murene. Si consigliavano, in particolare, le specie più rare e perciò
più redditizie, mentre si escludevano quelle ritenute inadatte alla
vita in cattività. Se il fondo era ricco di limo l’allevamento poteva
estendersi anche ai molluschi: murici, pettini, ostriche. A seconda dei
pesci che vi si dovevano allevare inoltre le vasche variavano anche per
forma e dimensione.
Astura;
zona centrale della peschiera. |
Litorale di Astura;
resti di una villa romana. |
Le ville di Nettuno
Sono documentati resti di peschiere che indicano la presenza di
almeno tre ville marittime sul litorale di Nettuno. Purtroppo sono
oggi scomparse, distrutte con la costruzione delle dighe costiere intorno
al 1960, e nello lo scavo del bacino di ponente del porto turistico di
intorno al 1983. Ne conosciamo la struttura grazie alla documentazione
grafica di uno studioso, Luigi Jacono, che descrisse e rilevò tutte e
tre le peschiere nei primi anni del XX secolo, quando esse erano ancora
visibili.
Posizione delle ville romane tra Nettuno ed Astura. |
Le ville di Astura
Astura; resti della Villa Imperiale.
|
La fascia costiera situata ad ovest del fiume Astura si presenta
popolata da numerosi resti di ville di età romana, alcune delle quali
corredate da peschiere; essa si trova all’interno del poligono militare
del C.E.A. (Centro Esperienza Artiglieria), condizione che ha favorito
la conservazione delle strutture antiche, proteggendo la zona dalla
pressione edilizia e da altri interventi che potevano risultare dannosi.
Sono state individuate sette ville, delle quali ancora poco si conosce
riguardo alla parte collocata nell’entroterra, la cosiddetta pars rustica. È probabile che resti di strutture ad esse attribuibili giacciano sotto le
dune costiere e la pineta retrostante.
La villa marittima di Torre Astura
All’estremità meridionale della punta di Astura sono visibili i resti
di una grandiosa villa marittima. Essa è stata attribuita, soprattutto
fino al XIX secolo, a Cicerone, sulla base di alcune sue lettere che provano
l’esistenza di una sua villa ad Astura, ma l’identificazione è da
ritenersi poco probabile ed anzi forse da escludere.
La villa marittima si articola in due sezioni distinte: una collocata
sulla terraferma, oggi completamente ricoperta da dune e pressoché
irriconoscibile ed una situata su un’isola artificiale, circondata su tre
lati da una grande peschiera. Il settore residenziale insulare è collegato
alla terraferma per mezzo di un ponte che serviva anche da acquedotto
per il trasporto di acqua dolce alla peschiera, necessaria per
mitigare la salinità dell’acqua e, dunque, garantire la sopravvivenza
della fauna ittica.
Pianta della peschiera
di Astura. |
La peschiera di Astura
secondo un rilievo ottocentesco. |
La peschiera ha forma quadrangolare e presenta nella zona centrale
un recinto, diviso in tre sezioni: quelle laterali, delle quali quella
orientale risulta insabbiata, hanno scompartimenti a losanghe; la
mediana doveva invece essere costituita da strette vasche. Aperture
nei muri delle vasche collegavano tra loro le tre sezioni, favorendo il
movimento dei pesci e la circolazione dell’acqua all’interno dei bacini.
La maggior parte della peschiera consiste in un grande specchio d’acqua,
privo di suddivisioni interne. Sul lato rivolto a mare, essa presenta
un avancorpo aggettante su cui oggi sorge la Torre di Astura.
Arcata del ponte che univa la villa marittima
di Astura alla terraferma
|
Esso è costituito da vasche rettangolari ed è attraversato da un
canale, che mette in collegamento la peschiera con il mare, attraverso
il quale i pesci venivano catturati e immessi nelle vasche rettangolari.
L’acqua del mare entrava nella piscina anche attraverso molteplici
aperture ricavate nella diga perimetrale, mentre l’acqua dolce, trasportata
dal ponte-acquedotto, veniva distribuita nelle varie sezioni
della peschiera attraverso un sistema di canali e cisterne. Il perimetro
del grande bacino centrale della peschiera, è sottolineato da 22 vasche
rettangolari, situate a ridosso della parete interna della diga di protezione.
Le dimensioni notevoli della peschiera suggeriscono una probabile
connessione ad un’attività di tipo industriale.
L’analisi delle strutture della parte residenziale insulare della villa
ancora oggi visibili, indica che essa fu costruita tra gli ultimi anni
della Repubblica ed i primi dell’Impero. Nel I secolo d.C., in una fase
successiva, la villa fu dotata di un porto, caratterizzato da due poderosi moli curvilinei, radicati alla parte insulare di essa. Oltre all’aggiunta
del porto in età imperiale, interventi di ampliamento, effettuati
probabilmente intorno al 100 d.C. e poi in età tardo antica, riguardarono
il settore residenziale insulare, che si estese cancellando parte
della peschiera.
La villa marittima di Banca
Pianta della peschiera
di Casa Banca.
|
La villa che sorgeva sul tratto di costa situato a circa 1,6 km a nordovest
dell’attuale zona di Torre Astura, oggi è quasi interamente
inghiottita dalle dune costiere. I resti più importanti e significativi
sono quelli della peschiera della villa scavata in un banco roccioso
gradualmente eroso ed insabbiato. La struttura ha pianta rettangolare
con un muro al suo interno che la divide in due vasche uguali, circondate
ai lati da banchine; è protetta da un molo, il cui lato occidentale
per un breve tratto prosegue verso terra dove poi scompare sotto la
sabbia. Una piccola apertura nel muro di separazione delle due
vasche permetteva la necessaria circolazione dell’acqua all’interno
della peschiera; la vasca più a sud conserva al centro parte di un
muro.
La cosiddetta “Casa Banca”, costruzione moderna che ha dato il
nome alla località, è impiantata su due ambienti antichi, coperti con
volte a botte e utilizzati come cantina. La villa è stata datata all’età augustea (27 a.C.-14 d.C.).
La villa marittima di Saracca
Resti della peschiera semicircolare della Saracca.
Pianta della peschiera semicircolare.
La peschiera in un rilievo del Settecento
|
La villa e la peschiera in località Saracca sono situate a circa 2 km a
nord-ovest da Torre Astura. La maggior parte della villa è nascosta
dalle dune costiere da cui emergono solo alcuni muri. La peschiera,
fondata su un banco roccioso, particolarmente adatto all’allevamento
ittico, risulta totalmente insabbiata nella zona più vicina alla riva; ha
forma semicircolare ed è protetta da una diga perimetrale. Al centro
di quest’ultima si sviluppa un canale proteso verso il mare aperto,
esterno alla peschiera; all’interno vi sono due vasche minori: una
ovale ed una rettangolare. In queste due vasche erano sistemate delle
apparecchiature particolari, utilizzate sia per la cattura del pesce che
entrava nel canale, sia per impedire l’uscita verso il mare aperto del
pesce allevato nella peschiera. L’interno della peschiera consta di tre
file concentriche di vasche rettangolari e, forse, di un grande bacino
centrale, privo di vasche minori. In corrispondenza del canale è presente
un bacino a forma di esagono, la cui funzione principale era
quella di imprigionare i pesci attraverso delle reti qui appositamente
sistemate. La vasca esagonale e il canale funzionavano, dunque, come
degli excipula, cioè dei recipienti destinati alla cattura del pesce ed
inoltre garantivano il reflusso dell’acqua stagnante all’interno della
peschiera, aspetto fondamentale sia per l’igiene che per il pesce stabulato
Nell’interno del molo è ricavata la conduttura dell’acqua dolce: si
tratta di un canale che permetteva di provvedere all’attenuazione del
grado di salinità all’interno delle vasche. Le condizioni attuali in cui si
trova la peschiera sono molto differenti da quelle dell’epoca in cui venne costruita. Infatti essa, oltre ad essere in parte insabbiata, risulta
appena affiorante dal mare, a causa dell’aumento del livello marino
rispetto all’età romana.
Per quanto riguarda la villa, i resti visibili sono scarsi; in corrispondenza
della zone centrale della peschiera, si conservano due ambienti
entrambi coperti con volta a botte e quasi totalmente interrati: uno
dei due, la cosiddetta “Chiesola”, presenta una bella volta a botte
decorata da cassettoni di stucco bianco (se ne conservano settantadue),
delimitati all’esterno da una cornice ornata con un kyma lesbico,
all’interno da una cornice ad ovoli e dentelli e recanti al centro rappresentazioni
di motivi floreali.
In base alla tecnica utilizzata nella costruzione dei muri gli studiosi
hanno datato la villa all’età augustea; alla stessa epoca risale la
peschiera. Interventi successivi sono testimoniati dall’uso di tecniche
edilizie differenti rispetto a quella della fase originaria, riscontrabili in
alcune strutture pertinenti all’intero complesso, che dunque dovette
avere una vita piuttosto lunga.
Le Grottacce, villa costiera
Si tratta di una grande villa costiera di cui si conservano tre gruppi
di resti.
A) Resti di un edificio attribuibile alla prima età imperiale, con
muri di terrazzamento in cementizio, alcuni dei quali rivestiti in opera
reticolata. B) Ambienti termali situati lungo la scarpata della spiaggia; si tratta
di due muri, il primo costruito in opera reticolata e databile al I
secolo a.C., il secondo in laterizio, entrambi pertinenti ad un ambiente
absidato, che doveva essere riscaldato, come dimostra la presenza
di suspensurae e tubuli. Nel muro di opera reticolata è presente una
nicchia, successivamente chiusa. Si conservano inoltre altri muri in
laterizio ed un prefurnio.
C) Resti relativi probabilmente ad un edificio di tipo industriale,
come dimostrerebbe la presenza di una serie di scarichi di fornace,
situati a breve distanza dal complesso. Dell’edificio si conservano un
tratto di muro con cortina in reticolato e una serie di pilastri; si tratta
probabilmente di un essiccatoio.
Queste strutture testimoniano dunque che la villa doveva essere
collegata ad un vero e proprio settore industriale, connesso con la
lavorazione dell’argilla.
Le descrizioni della villa fatte in passato da vari studiosi, che
segnalavano ambienti con le pareti intonacate e dipinte e un pavimento
in mosaico geometrico bianco e nero, indicano che essa doveva
essere particolarmente lussuosa.
Villa delle Grottacce,
il prefurnio. |
Villa delle Grottacce;
la zona industriale. |
Il sistema viario e la «Torre del Monumento»
Per il territorio anziate in età antica è attestata l’esistenza di almeno
tre assi stradali principali: il percorso Antium-Satricum; la strada
costiera Hostis-Lavinium-Antium-Terracina e la via Lanuvium-Antium.
Di questi tre solo il percorso Lanuvium-Antium è oggi ancora individuabile
perché parzialmente conservato nel territorio di Nettuno.
A questi andrebbero aggiunte la cosiddetta via Mactorina che da
Praeneste e Velitrae raggiungeva Antium e la cosiddetta via Antiatina.
Resti della Via Lanuvina nel territorio di Nettuno.
|
La via Lanuvium-Antium
Nel Febbraio del 2002, in località La Campana, si è iniziato a riportare
alla luce un tratto di strada romana con andamento parallelo
all’odierna via Selciatella, identificato, dallo studioso G. M. De Rossi,
con il percorso stradale che da Lanuvio giungeva al litorale di Anzio.
Tale strada costituiva, in età romana, uno degli assi principali del
complesso sistema viario che collegava la zona costiera gravitante
intorno ad Anzio con le città dell’interno.
I resti ancora visibili sono databili al II-I sec. a.C. e a tale epoca ci
riconducono anche gli autori antichi che attestano l’esistenza di un
tramite diretto tra Lanuvium e Antium in uso già dal I sec. a.C., anche
se la creazione del percorso risale ad un’età più antica, forse all’VIII
secolo a.C. Il percorso, che aveva andamento N-S, faceva parte di un
sistema viario legato all’Appia, la regina viarum, e costituiva inoltre il
più diretto tramite con i Colli Albani. La via partiva da Lanuvio e
giunta nel territorio di Nettuno proseguiva poi verso la località La
Campana e quindi verso il fosso dell’Armellino; attraversava poi la
zona dei Cioccati e dopo il piccolo ponte sul torrente Pocacqua (località
Tinozzi), presentava una biforcazione: il ramo principale proseguiva
verso Anzio; il ramo secondario, che costituiva una diramazione
verso SE, proseguiva lungo l’odierna via di San Giacomo, continuava
lungo l’attuale via Romana e giungeva, infine, al litorale di
Nettuno. Questo tratto finale della via è indicato in alcuni documenti
del 1500 col nome di “strada romana”, denominazione che conserva
ancora oggi (attuale via Romana a Nettuno). Inoltre una seconda via,
probabilmente, si distaccava dalla direttrice principale proveniente da
Lanuvio, a circa 2 km prima di Torre del Monumento e si dirigeva
direttamente a Nettuno.
Sappiamo da fonti locali che doveva essere ben più ampio il tratto
di strada conservato a Nettuno, rispetto a quello che possiamo vedere
oggi. In un documento di archivio del 1845 è registrata, infatti, la
distruzione di alcuni tratti di essa. Al momento del ritrovamento effettuato
nel 2002 la strada si presentava ricoperta da terriccio e sterpaglia,
ma ben conservata, con una larghezza di circa m. 4 per una lunghezza
di m. 300.
L’antica strada romana visibile a Nettuno, era nota già nel XVII e
XVIII secolo, soprattutto grazie all’ottimo stato di conservazione in cui
si presentava; e l’interesse crebbe nel XIX secolo, quando la via cominciò ad essere studiata soprattutto da topografi.
Tecnica costruttiva di una strada romana. |
«La Torre del Monumento»
Torre del Monumento
Torre del Monumento
nel Novecento.
Georg Keil.
Torre del Monumento,
F. Volpi, 1726.
|
I resti di questo sepolcro monumentale noto come «Torre del
Monumento» o «Torraccio» sono ancora oggi visibili a circa 5 km a
nord del centro di Nettuno, in contrada Cadolino, sul lato settentrionale
della Via del Pino, circa 700 m. dall’incrocio di questa con Via
dell’Alberone, lungo quella che in età antica costituiva, probabilmente,
una diramazione della direttrice viaria che collegava Antium e Lanuvium.
Il monumento funerario ha suscitato l’interesse di molti studiosi
che lo hanno descritto e in alcuni casi anche disegnato. Si presenta
quasi nello stesso stato di conservazione da loro tramandatoci: è composto
da un dado di base di circa m. 6 di lato su cui poggia un corpo
cilindrico ad elementi sovrapposti; è privo della sommità e la sua
altezza è di circa m. 7. AG. Giovannoni si devono un’accurata descrizione e una ricostruzione grafica secondo cui il monumento, a tre piani, è
inseribile nella tipologia dei sepolcri di età romana ad elementi
sovrapposti, detti anche a edicola a più piani.
Esso è costituito da un basamento quadrato cui segue un corpo
tronco conico su cui poggia un elemento cilindrico decorato con semicolonne,
coronato in cima da una cuspide. Sul lato occidentale, a circa
m. 2,50 di altezza esisteva l’incasso che ospitava la tabella con l’iscrizione.
Il monumento inizialmente è stato datato all’età giulio-claudia (27
a.C.- 68 d.C.) per le caratteristiche architettoniche ed edilizie, ma, successivamente,
la fine del I secolo d.C. è stata ritenuta la datazione più
attendibile. Infatti, la particolare tecnica muraria utilizzata nel dado di
base del monumento è impiegata in costruzioni di Pompei successive
al terremoto del 62 d.C.
Il monumento appartiene al folto gruppo di sepolcri a edicola a più
piani, caratterizzati da un alto zoccolo coronato da un’edicola, molto
diffusi nel mondo romano a partire dal II sec. a.C., e derivanti da precedenti
ellenistici. All’interno di questa tipologia, poi, le varianti possono
essere molteplici, soprattutto nella realizzazione dell’edicola che
ha la funzione di baldacchino, in genere destinato ad accogliere l’immagine
del proprietario della tomba. Fin dall’inizio questi sepolcri
presentano una decorazione architettonica molto varia e ricca, con
fregi, capitelli figurati.
In conclusione, il monumento di Nettuno è inseribile nella variante
a tre piani con edicola a tholos probabilmente con decorazioni di
vario genere o anche ritratti del defunto, inseriti tra una colonna e l’altra.
Torre del Monumento vista da Y. Orer. |
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