Palazzo Orsini
Il palazzo degli Orsini, nell’interno del borgo medievale, è stato per
cinquecento anni la sede del potere feudale e civile di Nettuno.
Fu costruito sul finire del 1300 come rocca cittadina da Nicola
Orsini sul gradino di 7 metri che divideva l’abitato antico in due parti.
In tempi successivi è venuto in possesso dei Principi Colonna e della
Camera Apostolica: per questo è anche conosciuto come Palazzo
Colonna o Palazzo Camerale.
Palazzo Orsini.
Prospetto su Piazza Marconi. |
L’iscrizione accanto all’ingresso di Piazza Marconi ricorda la
sua erezione, e va letta come: ROCCA DELL’ECCELLENTISSIMO
SIGNORE NICOLA / ORSINI DI NOLA / PALADINO IN TUSCIA / CONTE DI
SOLETO / SIGNORE DEL CASTELLO DI NETTUNO. Nello stemma sottostante
sono composti i quattro simboli araldici ai quali aveva diritto
Nicola Orsini.
L’iscrizione accanto all’ingresso
di Piazza Marconi,
stemma famiglia Orsini. |
L’altro stemma, alto sulla stessa facciata, risale al tempo del dominio
dei Colonna e testimonia il potenziamento delle fortificazioni cittadine
da parte di Marcantonio Colonna, lo sfruttamento della solfatara
di Tor Caldara e, probabilmente, l’ampliamento e la trasformazione
della primitiva rocca.
La struttura compatta del palazzo è articolata solo nella parete
nord, dove due grandi arcate, ciascuna alleggerita da una bifora centrale,
sono limitate da due torri laterali. Questo profilo monumentaleè oggi scarsamente visibile per la chiusura prospettica, causata dall’elevazione
delle case addossate alle mura perimetrali dell’abitato
antico. All’incontro delle due arcate era murata in origine l’iscrizione
di Nicola Orsini.
L’ingresso originario doveva avvenire da Piazza Colonna, in corrispondenza
del grande finestrone bugnato, tramite una scala lignea
amovibile.
Palazzo Orsini.
Prospetto su Piazza Colonna. |
Nell’interno, da un lungo androne voltato si accede ad unica scala
che serve le due ali del palazzo: la zona di rappresentanza, segnata
dalla presenza di un ampio salone, e la zona domestica.
L’edificio, suddiviso in appartamenti, è oggi di proprietà privata.
Al tempo del dominio della Camera Apostolica deve invece risalire
la costruzione e la sistemazione del Palazzo Camerale Nuovo che
prospetta su Piazza Mazzini, collegato all’edificio vecchio con un arco
su Vicolo Colonna.
Villa Costaguti
Conosciuta anche come Villa Borghese dal nome degli ultimi proprietari,
domina con il suo ampio parco l’altura costiera tra Anzio e
Nettuno.
La villa tra la vegetazione mediterranea. |
Fu costruita nel 1647 dal cardinale Vincenzo Costaguti, ed è rimasta
proprietà di questa famiglia sino al 1818, quando fu venduta dal
marchese Luigi Costaguti al duca Giovanni Torlonia.
Nel 1832 i fratelli Carlo ed Alessandro Torlonia la rivendettero al
principe Francesco Borghese, i cui eredi conservano ancora la proprietà
della Villa e la parte centrale del parco.
Il cortile interno della villa. |
Tutto il complesso, oggi diviso tra quattro proprietari, è stato
dichiarato nel 1955 monumento nazionale. Nel parco, insieme all’originaria
lecceta, con sughere ed altre piante della macchia mediterranea,
sono presenti diverse varietà di pini, di palme e di altre specie
esotiche. Una porzione del parco è dominata dal Castelletto, costruzione
novecentesca, articolata su due piani, che imita i caratteri di un
edificio militare antico.
Vegetazione esotica nel Parco. |
L’impianto originario della villa era limitato al corpo centrale e ad
un cortile nel retro, mosso da un porticato a colonne, poi inglobato
negli ampliamenti successivi. Al principe Marcantonio Borghese,
figlio di Francesco, si deve l’aspetto attuale, ingentilito dal prolungamento
delle due ali laterali.
Sul piano terra di rappresentanza si articolano un primo piano di
mezzanini, il piano nobile, un secondo piano ed un altro piano di
mezzanini. L’interno è privo di decorazioni; parte degli arredi provengono
dal palazzo del Viceré di Napoli.
Palazzo Pamphilj
Il palazzo fu costruito dal principe romano Camillo Pamphilj, nipote
di Innocenzo X, nella metà del Seicento. Per la costruzione era stata
acquistata, abbattuta o forse pesantemente trasformata, una villetta di
Giovanni Federico Cesi, III duca di Acquasparta, costruita da un suo zio
cardinale, che a sua volta aveva abbattuto tre vecchie case che si affacciavano
sul mare, all’estremità meridionale di Piazza Colonna. Estinta la famiglia Pamphilj nel 1760, tutti i loro beni passarono alla
casa dei Principi Doria di Genova, che nel 1834 cedettero in permuta il
palazzo al principe Francesco Borghese. La famiglia Borghese donò
infine nel 1988 alla Curia di Albano parte del piano terra e tutto il piano
nobile, nei quali dal 1854 al 1985 avevano svolto la loro opera di maestre
le suore Figlie della Croce. Il resto del palazzo, dopo essere stato
suddiviso in appartamenti, era già stato venduto a privati nel 1959.
Palazzo Pamphilj. Facciata. |
La struttura, costruita sulla scarpata che giunge a lambire la riva
del mare, si eleva per tre piani su Piazza Colonna e per cinque dalla
parte di mare. ‘E possibile attribuire l’impianto progettuale al gesuita
Benedetto Molli, che per il principe Camillo Pamphilj costruirà pochi
anni dopo il palazzo di Valmontone. Significativi interventi in corso
d’opera furono effettuati dagli architetti Giambattista Mola e
Francesco Buratti.
Le decorazioni degli interni furono affidate al pittore Pier
Francesco Mola (Coldrerio 1612 – Roma 1666). Dopo i danni subiti dal
palazzo per gli avvenimenti che travolsero Nettuno nella seconda
guerra mondiale, del ciclo originario permangono tredici affreschi:
uno nel piano terra e dodici nel primo piano.
Palazzo Pamphilj. Allegoria della Pace. |
L’affresco del piano terra è la Visione di Mosè; l’opera coglie il
momento in cui il Signore appare a Mosè e gli ordina di levarsi i sandali,
perché il luogo in cui si trova è terra sacra.
Nella Galleria del piano superiore rimango otto dei venti affreschi
ricordati dalle fonti storiche. Nella volta si conservano due medaglioni,
l’uno ovale e l’altro ottagonale, con le figure allegoriche della Pace
e della Sapienza, cui si alternano due quadri rettangolari, raffiguranti
dei putti che reggono dei rami di olivo e delle colombe.
All’interno di
tre lunette della volta sono rappresentate delle scene di genere: una
coppia di giovani con il capo fasciato da turbanti che si affacciano da
un parapetto sul quale è posato un vaso di fiori; un ragazzo che addita
ad un uomo dall’espressione malinconica qualcosa che avviene
sullo sfondo, oltre un portico; due colombe che sostano su un davanzale,
cui fanno sfondo alberi ed uccelli in volo.
Un affresco di maggiori
dimensioni domina una parete del lato minore della galleria: rappresenta
Sant’Eustachio mentre si dispera per la perdita dei due figli,
rapiti da un lupo e da un leone.
La parete opposta è occupata da un
grande bassorilievo con ghirlande di fiori e frutta, che contorna lo
stemma di Innocenzo XII: ricorda il viaggio di questo papa a Nettuno
nel 1697 ed il suo soggiorno nel palazzo.
Negli ambienti che si aprono sul salone restano altri quattro affreschi
rappresentanti: l’episodio della distruzione del volsco porto Cenone da
parte dei Romani, la Visione di Giacobbe, l’episodio biblico di Lot e le figlie,
ed il Sogno di San Giuseppe.
Palazzo Segneri
Il Palazzo si apre nell’omonima piazza, sul limite occidentale del
borgo medievale, ed invade con la sua struttura il cammino di ronda sulle mura castellane. La sua facciata, compatta e sobria è caratterizzata
da un portale sormontato da un balcone e limitato da due paracarri,
ricavati da colonne antiche. Più articolato è il prospetto esterno
alle mura che presenta un’intelaiatura con parastate a tutta altezza, e
fasce di marcapiano.
Palazzo Segneri.
Portale d’ingresso |
Ingresso di Casa Segneri.
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Due diverse iscrizioni, l’una accanto al portale del palazzo e l’altra,
più antica, incassata sopra il modesto ingresso di una casa vicina,
ricordano ambedue la nascita di Paolo Segneri. In realtà il palazzo
deve essere stato costruito solo dopo la nascita dell’oratore (1624): è
presente in un disegno di G. B. Cingolani (1689), mentre non compare
in una pianta della città conservata alla Royal Library di Windsor,
sicuramente antecedente al 1648.
Il palazzo dei Segneri, come la piazza antistante passò, dopo l’estinzione
del loro ramo nettunese, alla famiglia Soffredini. Una piccola
iscrizione ricorda ancora l’originaria proprietà privata della piazza, al
tempo nota come Piazza del Gelso. Oggi il palazzo è diviso in appartamenti
e non conserva al suo interno nulla di artistico.
Palazzo Municipale
L’edificio, a pianta quadrata, presenta una combinazione di elementi
e stili diversi, dove su un impianto di tipo rinascimentale sono
dominanti quelli di una fortificazione con torre merlata che richiama
il carattere medievale della città. La costruzione, progettata dall’ingegnere
Pietro Talenti nell’aprile del 1908, fu portata a termine nel maggio
del 1911; articolata su tre livelli, presenta nelle quattro facciate lo
stesso prospetto ed una rigorosa ripetizione dei particolari architettonici,
sbilanciati a favore della zona alta, dove l’apparato decorativo è
più ricco.
Il Palazzo Municipale. |
La maggiore importanza di due delle facciate è sottolineata da due
portici d’ingresso, che introducono uno agli uffici pubblici e l’altro
alla sala consiliare, dai sovrastanti balconcini e dai frontoni terminali.
Nelle fronti dell’ultimo piano lo stemma della monarchia sabauda è
alternato a quello di Roma, (la lupa con i gemelli), e di Nettuno (il dio
del mare), ciascuno contornato da un ramo di lauro e di farnia, rappresentanti
delle specie arboree che caratterizzavano il territorio. Nel
sovrastante coronamento sono inseriti dei medaglioni con elementi
floreali e con i simboli dei feudatari di Nettuno, come la rosa degli
Orsini e la colonna della famiglia Colonna. Nell’atrio è presente il“Monumento alla Famiglia”, opera lignea di Alvaro Tosti, collocata nel
2000 in occasione dell’Anno della Famiglia, ed un’artistica targa di
bronzo di T. Tamagnini con il proclama della vittoria nella seconda
guerra mondiale. Nel primo piano sono presenti opere novecentesche
dei pittori Giuseppe Brovelli Soffredini e Lamberto Ciavatta.
Forte Sangallo
Costruito da Antonio da Sangallo il Vecchio per papa Alessandro
VI, tra il 1501 ed il 1502, il forte coglie nelle sue strutture l’evoluzione
delle armi da fuoco, che iniziano a diventare più leggere e con maggiore
capacità di fuoco, rappresentando uno dei primi esempi di fortezza
con quattro bastioni angolari.
Forte Sangallo prospetto del lato mare. |
La struttura inferiore è formata da un basamento naturale di pietra
arenaria (macco), rivestito da una fodera muraria, ed isolato con lo
scavo su tre lati di un fossato. Le mura rettilinee superiori hanno uno
spessore di circa cinque metri con rivestimento di mattoni.
Il mastio
di forma quadrata è collocato nel mezzo del fronte mare.
L’acceso al forte avviene dalla strada per mezzo di un ponte levatoio,
impostato su tre arcate che scavalcano il fossato; in origine l’ingresso
era sul fronte mare con una scala amovibile. Il piazzale interno sul
quale si apre l’ingresso al mastio è caratterizzato da due loggiati che si
sviluppano simmetricamente su due lati, ciascuno articolato in sei arcate.
Nel lato nord della coorte una scalea conduce al livello delle marciaronde,
dominate da una torretta cilindrica, coperta da un cupolino, che
un tempo serviva all’avvistamento delle imbarcazioni nemiche.
Una serie di stemmi riassumono una parte delle vicende edilizie
del forte.
Il grande stemma papale in travertino in una parete laterale
del mastio ed altri piccoli sugli architravi delle finestre e delle porte
interne ricordano la costruzione voluta da papa Alessandro VI,
Borgia.
La loro parziale abrasione è opera della famiglia Colonna,
quando dopo la morte del papa rientrarono in possesso del loro feudo
di Nettuno dal quale erano stati usurpati dalla famiglia Borgia.
Stemma di Alessandro VI Borgia
committente dell’opera. |
Importanti lavori di restauro furono compiuti sotto il pontificato di
Paolo V Borghese (1601-1621), il cui stemma è posto sul parapetto
nord del forte. Lo stemma sottostante bipartito dei Barberini –
Colonna testimonia i lavori di riparazione eseguiti sotto il pontificato
di Urbano VIII Barberini (1623-1644).
Nel pontificato di Alessandro
VII Chigi venne realizzata una merlatura a coda di rondine lungo il
parapetto della parete est, oggi dominata dal suo stemma.
La trasformazione più significativa del forte è avvenuta negli anni
venti del Novecento, quando l’architetto Carlo Busiri Vici lo adattò a
lussuosa residenza per il barone Alberto Fassini Camossi.
La corte
interna fu abbassata di circa un metro; il fossato, ripristinato nella sua
antica quota, fu abbellito con vegetazione di tipo marino.
Il mastio
venne regolarizzato, completando il secondo piano che fu concluso
con un coronamento in tufo. Fu demolita la vecchia scala esterna che
dalla spiaggia saliva all’ingresso originario del forte; venne invece
ripristinato il ponte levatoio sull’ingresso dalla strada.
La torretta del
bastione sud est fu trasformata in un confortevole appartamentino.
Le ali ad arcate del cortile furono adibite a funzioni diverse. Il porticato
di sinistra fu lasciato aperto e vi fu allestita una piccola galleria
museale; alla sua estremità un ambiente chiuso fu trasformato in cappella.
L’ala opposta fu trasformata in salone di ricevimento; al disopra
furono ricavati gli alloggi per la servitù.
Interno del Forte Sangallo. |
Negli anni settanta del Novecento la fortezza venne in proprietà
della società cinematografica Dear Film che intraprese lavori per la
sua trasformazione in albergo. L’interno del mastio fu articolato in
mini appartamenti; il bastione est fu forato per l’inserimento di un
ascensore; nel cortile interno fu scavata una piscina.
La distruttiva operazione fu interrotta dal Comune di Nettuno che
dopo l’acquisizione del forte nel 1990 intraprese ampi lavori di restauro,
finalizzati ad un uso polivalente dell’edificio.
La Chiesa Collegiata
Foto notturna della Collegiata di San Giovanni. |
La chiesa, dedicata ai Santi Giovanni Battista ed Evangelista, è stata
realizzata nel 1748 dall’architetto Carlo Marchionni; il progetto originario,
risalente al 1738, ha subito delle modifiche in corso d’opera per
limitarne i costi.
Chiesa Collegiata.
Progetto di C. Marchionni |
Ha preso il posto della medievale chiesa di Santa Maria Assunta,
che a sua volta aveva sostituito una più antica chiesa paleocristiana
eretta, per tradizione, nell’area di un tempio pagano, dedicato al dio
Nettuno.
L’interno è a navata unica, coperta da una volta a botte lunettata,
decorata con stucchi ed illuminata da ampi finestroni. Lungo le pareti
sono disposte due cappelle per lato, coperte da volte a padiglione.
Completano la navata un fonte battesimale ed una cappella centrale,
ricavata in epoca moderna dalla riduzione di un ambiente di servizio.
Nei restauri generali effettuati nel 1867 la volta della navata, sino
allora semplicemente imbiancata, fu decorata dal pittore Andrea
Monti di Genzano.
Tra il 1962 ed il 1965 la chiesa è stata sottoposta ad un profondo
restauro che ne ha in parte alterato l’aspetto interno.
La vecchia cantoria,
sovrastante l’ingresso, è stata demolita e sostituita con una più
ampia struttura; la conca absidale ed il vano del fonte battesimale sono
stati decorati con lastre di cemento marmorizzate; le pareti, arricchite
nel fregio da bassorilievi, sono state rivestite con marmi colorati.
Nella chiesa sono conservate sei pale d’altare; quella dell’altare
maggiore, raffigurante la Madonna Assunta fra i Santi Giovanni Battista
ed Evangelista, datata 1739, è firmata dal pittore viterbese Vincenzo
Strigelli (1713-1769). Altra opera firmata è la Madonna del Rosario di
Geremia Rovari nella cappella del Sacramento.
Pala centrale dell’altar maggiore,
raffigurante la
Madonna Assunta
fra i Santi Giovanni Battista
ed Evangelista. |
La tela della cappella
attigua con la Vergine Immacolata ed i Santi Vincenzo Ferreri e Luigi
Gonzaga è attribuita al pittore lucchese Pompeo Batoni (1708-1788).
La
pala dell’altare con l’Arcangelo San Michele è una libera copia del
dipinto eseguito intorno al 1635 da Guido Reni per la Chiesa dei
Cappuccini di Roma. Nella cappella della famiglia Soffredini, l’altare,
realizzato come il pavimento con marmi romani antichi, è sovrastato
da un Gesù Crocefisso con Maddalena, di autore ignoto.
Nel vano d’ingresso
della sacrestia è conservato il Martirio di San Biagio, proveniente dall’omonima
chiesina campestre, distrutta nel 1860; l’opera è attribuibile a
Pier Francesco Mola (1612-1666) o alla sua scuola. Nella cappella centrale è stato ricostruito l’altare, in parte quattrocentesco, dell’Oratorio
del Carmine che sino al 1936 occupava una parte dell’attuale Piazza S.
Giovanni.
Chiesa di San Francesco
La chiesa occupa parte dell’area di un edificio di età romana, che
doveva aprirsi sulla vicina Via Severiana; un tempo limitava a ponente
il borgo fuori le mura. Era in origine intitolata a San Bartolomeo
Apostolo, ma a partire dal XIII secolo assunse anche il nome di San
Francesco, al quale la chiesa era stata donata durante una sosta a
Nettuno di un suo viaggio a Gaeta.
Chiesa di San Francesco. |
Nel terreno adiacente oltre al convento
dei frati francescani vi fu il primo cimitero cittadino, spostato
durante la peste del 1656 accanto alla chiesina di San Nicola, oggi non
più esistente.
L’edificio ha subito nel corso dei secoli molteplici interventi e nulla
rimane del suo impianto architettonico medievale.
Sino alla metà del
Seicento aveva due navate, e nel suo pavimento erano incastrate alcune
lastre sepolcrali con i nomi dei cittadini nettunesi, che nel 1494 avevano
preso parte alla battaglia di Campomorto contro Alfonso d’Aragona.
Nel 1660 la chiesa si presentava a tre navate e con otto altari secondari,
sei laterali e due centrali. Nel 1871 l’antico pavimento venne
distrutto e sostituito con uno in marmo; due anni dopo il padre guardiano
Luigi Mirabelli commissionava nuovi lavori tra cui, come ricorda
l’iscrizione collocata sul portale d’ingresso, l’erezione dell’attuale
facciata; durante questo intervento gli altari laterali furono ridotti a
quattro.
Tra il finire del Novecento e l’inizio di questo nuovo secolo,
oltre ad interventi nella pavimentazione, al restauro del tabernacolo e
al consolidamento del campanile, sono stati eliminati gli altari laterali.
Nell’interno della chiesa sono conservate alcune antiche iscrizioni,
in genere seicentesche, che testimoniano l’attenzione dei nettunesi
verso questa loro chiesa; la più antica ricorda una donazione, con
obbligo di messe, fatta da Francesco Trippa.
Un lascito testamentario
di Giacomo Sacchi, richiamato in un’iscrizione del 1608, rende in
parte ragione della presenza sull’altare maggiore della pala del pittore
Andrea Sacchi (1599-1661), adottato dal nettunese Domenico
Sacchi, a sua volta con probabili rapporti di parentela con Giacomo.
Chiesa di San Francesco, Sant’Antonio Abate |
La tela raffigura la Madonna di Loreto fra i Santi Bartolomeo, Giuseppe,
Francesco e Rocco. Nella parete interna della facciata, a destra e sinistra
del portale d’ingresso, sono conservati due affreschi quattrocenteschi:
un Sant’Antonio Abate benedicente, da ricondurre alla cerchia del
Maestro Caldora, ed una Madonna con Bambino fra due Angeli, da attribuire
a Maestro Petrus. La grande tempera che domina la parete destra,
raffigurante la Battaglia di Lepanto, è opera del nettunese Giuseppe Brovelli
Soffredini (1863-1936). Al primo decennio dello stesso secolo si possono
invece datare gli affreschi della parete opposta che decoravano la
cappella del Sacro Cuore con il Cristo Pastore nella lunetta, la Veronica
e Santa Chiara ai lati dell’altare, oggi non più esistente.
Tempera raffigurante “La Battaglia di Lepanto”
di Giuseppe Brovelli Soffredini. |
Chiesa di Santa Maria del Quarto
La chiesa, sulla via che permetteva di raggiungere il feudo di
Campomorto, ha sostituito nei primi decenni del Seicento un più
modesto sacello, la cui esistenza è documentata almeno dal secolo
precedente.
Chiesa di Santa Maria del Quarto. |
Alla costruzione della nuova chiesa contribuirono con le loro offerte
i nettunesi ed il vescovo di Albano, ma la proprietà rimase assegnata
alla sola curia di Albano; curatori dell’opera furono i nettunesi
Leonardo Trippa e Ferdinando De Baptistis. Una cappella della chiesa
fu edificata a spese del solo Leonardo Trippa. Un anno dopo l’inizio
dei lavori il Comune di Nettuno deliberò di costruirvi accanto un
convento, e mise a disposizione la somma di 1500 scudi.
La nuova
opera fu affidata a Francesco Segneri e a Niello della Corte che comprarono
il terreno a loro spese. Il complesso fu terminato alla fine del
1621 e papa Gregorio XV venne a benedirlo.
Stemma di Nettuno nel timpano
di Santa Maria del Quarto. |
Nel 1627 fu necessario
intervenire sulla chiesa con importanti opere di restauro. Francesco
Segneri e suo fratello riedificarono l’abside.
Il convento dopo essere stato abitato per un certo tempo fu abbandonato
verso il 1660.
La chiesa non ebbe sorte migliore: nel 1762,
quando era ormai in completa rovina, il vescovo di Albano l’affidò al
Capitolo di San Giovanni, ma l’edificio rimase chiuso al culto sino al
1855, quando dopo un completo restauro il Comune di Nettuno lo trasformò
in chiesa cimiteriale.
La chiesa, a navata unica, è oggi tenuta in uno stato decoroso, ed
oltre ad alcune iscrizioni risalenti tempo della sua erezione, tra le
quali la lapide sepolcrale della famiglia Segneri, non conserva cose
degne di nota.
Nei restauri iniziati nel 2001 e conclusi il 22 marzo 2002 con la ricostruzione
dell’altare è riapparso l’affresco, ormai quasi illeggibile, del
primitivo sacello.
L’elegante facciata, disegnata dall’architetto Carlo Fontana, risale al
1700: è caratterizzata da quattro parastate lisce che la spartiscono verticalmente.
Al centro si apre un portale in marmo in stile barocco con
volute laterali e timpano spezzato, sormontato da un cartiglio sul
quale si eleva una croce. Al centro del timpano superiore vi è lo stemma
di Nettuno fatto apporre nel 1916 dal Comune.
Santuario di Santa Maria delle Grazie e di Santa Maria Goretti
Il santuario che occupa le prime pendici dell’altura che limita a
levante la foce del fiume Loricina è il risultato di complesse vicende
edilizie, che, da una modesta chiesina, hanno impegnato i Padri
Passionisti per quasi tutto il Novecento.
L’antica chiesina dell’Annunziata, fine ‘800. |
La chiesina era quella cinquecentesca dell’Annunziata che per
prima ha accolto la statua lignea della Madonna delle Grazie, conosciuta
un tempo come Madonna di San Rocco, dalla confraternita
che aveva nella chiesa la sua sede.
Dopo essere stata ceduta in uso perpetuo ai Padri Passionisti nel 1889, fu abbattuta come pericolante
nel 1909.
Nello stesso anno iniziarono i lavori di costruzione della nuova
chiesa che, aperta al pubblico nel 1914, fu consacrata solennemente
nell’Ottobre del 1931. In stile eclettico, aveva tre navate con 12 archi
che poggiavano sopra fasci di pilastri, e sei cappelle laterali.
Chiesa di San Rocco, anni trenta. |
Il presbiterio
era separato dal corpo delle tre navate da una balaustra in
marmo.
La statua della Madonna, insieme a quelle di San Sebastiano
e di San Rocco, che ne avevano accompagnato la venuta a Nettuno,
furono collocate dietro l’altare maggiore in tre nicchie ricavate da un
muro, davanti al quale fu posto un trittico di legno in stile gotico,
dipinto a finto mosaico.
Il campanile, ancora esistente, è una struttura
in stile romanico di m. 32 di altezza, in mattoni e cortina, a ripiani,
cornicioni ed ornamenti di travertino.
Sotto la spinta del culto crescente per Santa Maria Goretti, i Padri
Passionisti deliberarono l’ampliamento e la trasformazione della chiesa
in un santuario.
Il progetto dell’architetto Donato Sardone comprendeva
la costruzione di una cappella per la Santa, il completamento
della facciata con un portico, la sistemazione del piazzale davanti la
chiesa e la costruzione di una casa per le suore addette al santuario.
Il
vecchio trittico in legno dell’altare maggiore fu sostituito da un trono
in marmo dove la statua della Madonna fu inserita senza il talamo di
mogano e senza gli accessori devozionali; le statue di San Rocco e di
San Sebastiano, furono collocate nelle due nicchie degli altari laterali,
a destra e a sinistra dell’altare maggiore.
L’abside fu rivestito di un
mosaico vetroso; nel catino absidale furono inseriti tre medaglioni nei
quali due angeli affiancavano l’Agnus Dei.
Dieci anni dopo la conclusione dei lavori di questo santuario, la cui
inaugurazione avvenne il 2 Ottobre 1960, fu deliberato l’abbattimento
e la costruzione di un nuovo corpo centrale; oltre al campanile ed alla cappella di Santa Maria Goretti, fu conservata la sola facciata, elevata
di alcuni metri.
Rilevanti cambiamenti architettonici ed artistici, sia nella basilica che
nella cripta di Santa Maria Goretti, sono stati effettuati nel quadriennio
che va dal 2002 al 2006; tra questi la realizzazione del nuovo altare e la
pavimentazione della basilica, opera dell’architetto Paola Jecco.
L’attuale chiesa di N. S. delle Grazie. |
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