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NETTUNO
LA SUA STORIA

 

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IL COSTUME POPOLARE

Vincenzo Monti

 

La celebrata bellezza delle antiche donne di Nettuno ha sempre trovato nel costume popolare il più degno ornamento. In esso si è riassunta la storia bimillenaria del paese: i pesanti ori dei Volsci, la porpora dei Romani, il copricapo dei Saraceni, la grave compostezza imposta dallo Stato della Chiesa si sono fusi in un insieme armonico dal quale traspare l’orgoglio di una comunità aristocratica, mai del tutto piegata e sottomessa al lavoro campestre o marinaro.


L. Markaert: Costume di Nettuno 1847.

 

Allo storico tedesco Ferdinando Gregorovius che nel 1854 le vide in un giorno di festa, tra i fumi dei petardi, le Nettunesi poterono così apparire come un’assemblea di dee nell’Olimpo.

Io le ha viste infatti passeggiare per le piazze del loro paese in rovina con l’incedere maestoso delle romane e di quelle certo non meno belle: parecchie con un profilo greco nobilissimo, tutte con capelli corvini ed occhi scintillanti, atti a soggiogare il cuore più duro.

Tanta grazia e bellezza era accompagnata da non minori virtù muliebri. Bartolomeo Soffredini nel 1771 così parlava delle donne di Nettuno.

Le donne sono la maggior parte di bella carnagione, di ottimo colorito, e sono lodate di essere estremamente laboriose, ubbidienti, e soggette ai loro mariti e di allevare i figli in una attenzione affatto singolare.

L’isolamento secolare del paese, favorito dalle sue impenetrabili foreste e dalle Paludi Pontine, ha permesso all’abito femminile la conservazione del suo carattere originario, pur nelle trasformazioni subite.


S. Valeri: Donna di Nettuno, sec XX.

 

L’abito appare ancora oggi dominato da un “sapore” saraceno; gli elementi villici o marinari dei costumi della Campagna Romana, della Ciociaria e dei paesi rivieraschi limitrofi sono quasi del tutto estranei al costume, che appare anche inadatto a saltarelli e tarantelle.

Malgrado questo un gruppo di Nettunesi, si aggiudicarono il primo premio al Festival dei Balli Folcloristici tenuto a Londra nel 1931. Le cronache internazionali hanno descritto il compiacimento del pubblico londinese mentre i ballerini vincenti sfilavano a Reagent’s Park.

Sorpresa e scandalo aveva invece suscitato l’abito nel Giubileo del 1575, quando gli uomini e le donne si erano recati pellegrini a Roma. La corta gonna che non copriva gli stivaletti, il corpetto stretto che lasciava esplodere il seno, il turbante moresco, furono giudicati barbari ed osceni, e tali da rendere necessario l’intervento di Gregorio XII per ordinare l’allungamento della gonna. Per superare le resistenze delle Nettunesi il Papa fu costretto a contribuire alle spese tramite la Reverenda Camera Apostolica.

Al tempo il costume, di scarlatto molto vivo e di finissima lana, si componeva di un abito senza maniche, che, dalle spalle, scendeva poco sotto il ginocchio; era aperto sul petto e stretto ai fianchi con una cintura, dalla quale pendevano piccoli sonagli d’argento. La cintura stringeva la gonna formando pieghe naturali, le cui estremità erano limitate da una trina tessuta con fili d’oro e d’argento. Sopra la veste si indossava un corpetto a vita, anch’esso scollato e chiuso sotto il seno con una fascia arabescata; il corpetto, al pari della sottana, era decorato con una trina alle sue estremità. La corta veste lasciava vedere gli stivaletti alla moresca. Il capo era coperto da un drappo variopinto avvolto a turbante; i capelli erano lasciati scendere sulle spalle, ed intrecciati con nastri colorati. Gli ornamenti, orecchini, collane ed altro erano in stile orientale.


N. Barabas: Costume di Nettuno 1835.

 

La prima perdita degli elementi caratteristici dell’abito antico fu quella del turbante. Le larghe fasce non più annodate sul capo furono intrecciate ai capelli e lasciate pendere sui lati della testa, sulla quale fu posta la cartonella ciociaria e campana. I capelli, portati lisci e divisi in mezzo al capo, in epoca tarda senza trecce nella parte posteriore, erano trattenuti da un nastro verde per le ragazze, rosso per le maritate e nero per le vedove. Nei giorni di festa i capelli erano sciolti, intrecciati dai nastri colorati e lasciati ricadere sulle spalle.

La condizione civile era anche indicata nel drappo che copriva il petto: per le donne maritate vi erano ricamate due ordini di trine, uno solo per le zitelle. La cintura con i piccoli sonagli d’argento fu semplificata dopo l’intervento di Gregorio XIII e la nuova veste, senza maniche, tutta intera dalle spalle sino ai piedi, fu tagliata alla vita e naturalmente adattata sopra i fianchi dai quali ricadeva “ con sfarzo e ricchezza di pieghe”.

L’allungamento dell’abito rese anche inutili gli stivaletti che furono sostituiti da pianelle ricoperte di panno rosso e di pelle argentate, “ad uso dei sandali pontificali”.

Dalla prima metà dell’Ottocento, in coincidenza di un rinnovato interesse verso i costumi popolari, inizia per l’abito nettunese la produzione di un impressionante numero di stampe ed acquerelli, spesso di gran pregio, che ne estenderà la conoscenza in tutta Europa.

Alle rappresentazioni dei vari pittori si devono aggiungere le testimonianze degli scrittori che scendevano in Italia per ammirare Roma e la Campagna Romana. Efficace è la descrizione del costume delle donne di Nettuno lasciataci dal Gregorovius nel suo peregrinare nel Lazio.


G. Brovelli Soffredini:
Donna in costume Nettunese,
sec XX.

Anonimo:
Donna di Nettuno
sec XIX.

 

E’ assai strano che, persino i più piccoli paesi, in Italia si differenzino tanto l’uno dall’altro sia nel costume che nel carattere e nel modo di vestire, come delle piccole repubbliche. Così ogni cittadina sia sui monti che lungi il mare, forma un popolo a se. Per formarsi un idea precisa del pittoresco costume nazionale di questi nettunesi bisogna assistere ad una delle loro feste religiose, perché nei giorni feriali ci accorgiamo solo di particolari dettagli come un bellissimo modo di dividere la chioma a metà del capo, attorcigliando i capelli lungo la testa, senza farne una treccia ma annodandoli con nastri, verdi le ragazze, rossi le donne e neri le vedove, di modo che uno sa sempre come distinguere le zitelle dalle maritate. Il costume consiste in un fazzoletto a strisce d’oro e d’argento rigido e piegato verso l’interno che ricopre il capo oltre il profilo, in un abito lungo rosso scuro, di seta o di velluto, ricamato agli orli in argento e oro che scende solenne ricoperto da una giacchetta dello stesso rosso con le falde delle maniche orlate di broccato. L’insieme di gioielli, anelli d’oro, orecchini,coralli e bracciali completa il bell’abbigliamento. Talvolta il colore delle vesti è verde marino, blu violetto, oppure tutto nero o turchino e pare che questo costume principesco induca ad un fiero e nobile portamento, in verità ho visto queste povere nettunesi attraversare solennemente la loro città logora dalle intemperie, con la maestà delle romane e non meno belle di esse; molte avevano il più nobile profilo greco, capelli nerissimi ed occhi scintillanti, un quadro d’insieme squisito che avrebbe toccato il più duro dei cuori. Dopo gli scoppi dei mortaretti che si sparsero sopra le antiche mura come ghirlanda, e tra i colpi di cannone, vedendo, attraverso una nuvola di fumo, queste nobili figure di donne nelle loro vesti rosse ricamate d’oro, scintillanti, si aveva l’impressione di trovarsi al cospetto di tutte le divinità dell’Olimpo.


Anonimo:
Costume di Nettuno sec XIX.

 

 

Le parti del costume

Turbante
Il turbante, il primitivo copricapo, è documentato per la prima volta nella storia cittadina dal poeta modenese Alessandro Tassoni, che agli inizi del 1600, in due brevi versi, descrive gli elementi caratteristici dell’abito: il rosso della gonna ed il copricapo a forma di turbante.
Lo stesso costume ha ispirato Pier Francesco Mola che nel 1652 affrescava il palazzo Pamphilj di Nettuno. In un riquadro sottostante una lunetta del salone nobile, una giovane donna, in abito rosso e con il turbante, osserva compiaciuta lo svolgersi della vita di corte, mentre un giovane, anch’esso con turbante la invita a distogliere lo sguardo dal salone.
Il turbante originario si è evoluto poi in due fasce di pannolino, avvolte intorno alla testa e raccolte sulla sommità con un doppio fiocco con i capi lasciati pendere ai lati del collo.
La successiva introduzione del mantile è stata la causa di una viversa sistemazione delle fasce; non furono più avvolte, ma lasciate ricadere sui lati della testa. In epoca più recente furono prima raccolte ai lati della testa e poi cucite sotto il mantile.


G. Brovelli Soffredini:
Donna di Nettuno con turbante.

 

 

Mantile
Il mantile è il copricapo di molti costumi tradizionali femminili; è costituito da un telo ricamato, ornato di trine, di pizzi e di frange, e fissato ai capelli con un grosso spillo. Il nome proviene dal latino classico”mantele”, col significato di salvietta, asciugamano, e si è conservato con qualche variante in molte comunità centro – meridionali. Spesso veniva reso rigido con amidature o con l’inserimento di un cartone tra le piegature; prendeva allora anche il nome di teso, di cartonella o di tegola.
A Nettuno il mantile, chiamato anche mantricella, cartonella, o tegola, è prevalentemente rigido, posto in posizione asimmetrica sul capo: la metà posteriore è più lunga di quella anteriore. Talvolta si trasformava in un semplice tovagliolo, più o meno morbido, e più o meno ampio; le sue due parti sono fermate sul capo da nastri cuciti sulla stoffa e legati ai capelli. Sotto la parte anteriore, nella sua metà, è fissato un fiocco rosso con le due estremità appena visibili nei lati: sono il ricordo delle manticelle, le larghe fasce che non più avvolte sulla testa erano state lasciate scendere quasi sulle spalle.
Oltre che come copricapo era usato per nascondere i documenti di famiglia: nella particolare piegatura dell’asciugamano si formava infatti una sacca, nella quale finivano non di rado anche le lettere segrete delle giovani nettunesi.
Il mantile è largamente presente nella tradizione popolare romana e ciociara, oltre che campana; è possibile che la sua introduzione a Nettuno possa essere legata ad immigrazioni stagionali delle popolazioni della valle del Sacco ed alle pressioni campane legate alla costruzione del Porto Innocenziano di Anzio, che dal 1700 richiamò molte famiglie di pescatori di Gaeta e di Formia.


Mantile (tegola).

 

 

Guarnaccia
E’ la lunga veste priva di maniche ed aperta sul petto che, stretta ai fianchi, scende sino ai piedi arricchita da numerose pieghe.
Il lembo della gonna è oggi orlato da una fascia bianca o argentata che ha sostituito una trinatura dorata. Questa, a un tempo a più giri e con complessi intrecci, si è gradualmente semplificata, mentre sottolinea ancora la scollatura.
I lati della veste, aperti dalle spalle sino sotto la vita, erano stretti in parte da un laccio rosso, passante in alcuni fori per permettere un facile adattamento alle variazioni dei fianchi: un vestito era un bene prezioso che doveva durare una vita per passare poi di madre in figlia.
La parte superiore era foderata con una tela; nell’interno della gonna erano fissate due file di nastri, utilizzati per la sua conservazione: le pieghe venivano sovrapposte una sull’altra e legate con i nastri. Un altro nastro interno permetteva di stringere la veste sulla vita.
La primitiva veste corta non doveva differire dall’attuale; il peso maggiore delle trinature rende ragione del deciso giudizio dato sulla derivazione orientale dell’abito. Il tessuto era di lana finissima e per questo molto costoso.
Il colore rosso è variato nel tempo dai toni più cupi dello scarlatto a quelli più brillanti del carminio; era questo il colore dell’abito della sposa e delle maritate. Al colore verde per la veste delle fanciulle si affiancava il viola che Bartolomeo Soffredini lega al “corruccio”.
I tre colori sono ben documentati nelle diverse raffigurazioni, doveè invece totalmente assente il colore nero, attribuito all’abito delle vedove da tardi scrittori locali. La veste insieme al corpetto era la parte più costosa dell’abito; conservata con estrema cura, piegata a ventaglio, passava di madre in figlia come patrimonio familiare; anche per questo il colore nero, se presente, doveva essere limitato a rari casi di ritintura. Il segno della vedovanza era più probabilmente segnato da un solo nastro nero che si intrecciava ai capelli.


Guarnaccia
(veste priva di maniche).

Veste retro.

 

 

Corpetto
Il termine corpetto indica la parte superiore dell’abito femminile, aderente al busto e spesso senza maniche; nel costume nettunese era a vita, molto stretto e tenuto aperto sul davanti.
Le maniche aderenti avevano un’apertura che veniva chiusa con bottoni, dal polso sino al gomito; queste insieme alle tre spaccature poste nella parte posteriore erano dilatate da trinature e merletti.
Nel tempo, l’originario aderentissimo corpetto, stretto al corpo da un sottile laccio interno che girava intorno alla vita, nascosto dalla cintura della veste, si è trasformato in un giacchino più o meno largo, talvolta in giacca, sempre comunque aperto e privo di chiusura. La minore aderenza delle maniche ne rese inutile le aperture che erano indispensabili per poterlo indossare; fu introdotto un largo polsino, arricchito da motivi geometrici o da racemi. La trinatura degli spacchi posteriori si limitò a sottolinearne il contorno e fu abbandonato il complesso arabesco dorato o argentato che si dilatava da essi. La stessa semplificazione avvenne per l’arabesco che contornava il collo del corsetto e che contribuiva in modo decisivo al sapore orientale dell’abito.
Diversamente dalla veste, per il corpetto non si sono avuti colori diversi dal rosso, malgrado la contraria testimonianza di qualche stampa, libera elaborazione di lavori precedenti.


Corpetto (giacchino avanti).

Corpetto (giacchino retro).

 

 

Calzature
L’uso dei borsacchini, gli stivali alla moresca dell’abito antico è ricordato solo da G. Brovelli Soffredini, il più tardo degli scrittori locali che certamente non poteva averne diretta conoscenza.
Il Piazza parla di sandali pontificali per il nuovo abito e Bartolomeo Soffredini di pianelle, o zoccoli di sugaro alti quattro deti e tutti piani ricoperti con panno rosso e pelli inargentate. Un disegno ottocentesco conferma questa descrizione.
Nella maggior parte delle stampe sono presenti basse pianelle di raso rosso, verde o azzurro, spesso trasformate in semplici ciabatte, talvolta con una orlatura trinata in oro o con un fiocco. Non mancano scarpe eleganti, marrone chiaro o azzurre, con tacco basso e chiuse da una fibbia.Dal novecento le scarpe sono bianche, aperte, e con un cinturino sul dorso del piede, con un comodo tacco, largo e basso.


Pianella.

 

 

Nastri e Coccarde
In origine la vita era stretta da un mezzo nastro arricchito da un fiocco che lasciava scendere i suoi lunghi capi a sinistra del corpo, appena nascosto dal corpetto. Aveva la funzione prevalente di nascondere il laccio che stringeva il corpetto intorno alla vita; il suo colore celeste è stato sostituito in epoca successiva dal colore bianco. Per simmetria una coccarda con larghe fasce era fissata sul lato destro della veste, al disotto del corpetto. Dopo l’abbandono del nastro in funzione di cintura questo fu trasformato in due fiocchi - coccarde dai lunghi estremi, posti nel petto in posizione asimmetrica. La coccarda sinistra al di sotto del corsaletto, la destra al di sopra. Il loro colore azzurroè attualmente bianco.

Nastri - fiocchi per capelli e vestito.

 

 

Antricella
Il nome antricella per la cintura, che stringeva alla vita la veste per esaltarne le pieghe e dare forma al corpo, è ricordato dal solo Giuseppe Brovelli Soffredini che la descrive nel primo costume ornata da numerosi campanellini d’argento. La vita è stretta nella maggior parte delle stampe ottocentesche dal nastro azzurro.
Talvolta per motivi di simmetria un ampio giro del nastro veniva lasciato cadere sul lato destro. Il nastro era sostituito raramente da una bassa cintura
dorata con semplici motivi geometrici; in seguito la vita fu stretta da semplici lacci, interni alla veste.

 

Pettorina
La pettorina era comunemente un pezzo triangolare di drappo che veniva posto sul petto, sotto il busto, per coprire la parte lasciata nuda dall’allacciatura: per l’assenza del busto, nel costume nettunese la pettorina ha assunto una forma rettangolare; era piuttosto ampia e veniva indossata sotto la scollatura della veste, quasi a suo completamento.
Il drappo era ricamato in oro nel modo più vario, con arabeschi, righe, e decorato ad una estremità con una trina d’oro o d’argento. Il ricamo tendeva a ripetere il motivo a trine del mantile.
Il solo Ademollo attribuisce al loro numero lo stesso significato che aveva nel copricapo: ”due file di trine d’oro e d’argento per le maritate, una sola per le zitelle”.
La pettorina era in genere appuntata sotto la veste, talvolta era sostenuta da larghe strisce girate intorno al collo e ricamate in oro. ‘E documentato il colore blu sulla veste rossa, verde in qualche caso, e rosso sulla veste violetta.


Pettorina.

 

 

Camiciola
La camiciola a Nettuno era costituita da una semplice fascia bianca di cotone priva di maniche, orlata di merletto che scendeva dal collo a proteggere la parte più delicata del seno, e per questo chiamata“capezzo”. La camiciola rimaneva in genere totalmente nascosta dalla veste e dal corpetto, come testimoniato in gran parte delle stampe ottocentesche; in epoca tarda è stata modificata con una stretta apertura anteriore e contornata da una merlettatura bianca o tenuemente colorata. La completa protezione del seno ha portato al graduale abbandono della pettorina.


Camiciola con merletto.

 

 

Sottogonne
Sotto l’abito venivano indossate due sottogonne; una inferiore “a pelle”, bianca, molto fine, in cotone o in lino, con ricamo nell’orlo; un’altra in lana, pesante, invernale, di color rosso, che contribuiva a dare corpo all’abito.

 

Monili
La diversificazione dei costumi era legata anche alla ricchezza ed al numero dei monili dai quali traspariva lo stato sociale ed economico della famiglia.
Comune era l’uso di una collana di perle, ad uno o più fili, sostituite spesso da filari di perle parigine e di perle romane che imitavano quelle naturali, o da scaramazze, perle vere ma di forma irregolare; non mancavano le collane di corallo.
Gli orecchini che inglobavano talvolta una perla erano molto appariscenti, simili a quelli in uso nelle altre parti del Lazio. Le loro dimensioni si sono gradualmente ridotte.
Un tratto di eleganza cittadina era conferito dai guanti di filo bianco, e da un ventaglio di piume, anch’esso bianco, che le nettunesi tenevano in mano con distratta noncuranza, vezzo comune alle donne di Frascati.


Orecchini di corallo.


Collana di corallo.

 


 

 

 


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