La chiesa occupava il lato nord ovest del bivio tra Via Montenero e Via Montesanto, dove è stato recentemente costruito un residence; la prima testimonianza della sua esistenza è nella carta del 1558 di H. von Shoel.
Aveva una sola navata molto stretta ed era conosciuta come la Galera per la sua forma di piccola nave; doveva essere priva di abside come sembra dedursi dalla carta catastale trovata da V. Cerri negli archivi della Collegiata di San Giovanni.
‘E stata sotto il patronato della Confraternita del Carmine, almeno dalla metà del Seicento.
La chiesa di S. Biagio aggregata parimenti alla nostra Confraternita et hoggi jus patronato, anticamente la possedevano li R. Canonici e come ha hauto principio non si trova memoria alcuna . (Libro De Memorie de oblighi et legati pii 1648 foglio 52)
A San Biagio, ancora circondata da un bosco, è riferita la visita di una nobildonna fiorentina a caccia nelle foreste di Nettuno, nel sedicesimo secolo. Al tempo, la chiesa di Santa Maria del Quarto era solo un piccolo sacello e l'abbazia di San Nicola era troppo vicina al paese per corrispondere al racconto. ...levatici a grandissima ora, per una piacevole strada chiusa da due verdissime siepi ci diportamo intorno alla quale infiniti e diversissimi uccelletti andavano svolazzando, dé quali io viddi ammazzare buon numero con due balestre che mio consorte e un altro, andandomi poco davanti di picciol passo, non invano adoperavano. Così per quella amenissima contrada arivamo a una chiesetta nel mezzo d'un
bosco riposta. Donde, udito il divino offizio col medesimo piacer che nell'andare avemo, ce ne tornamo alle nostre case.
Dopo la demolizione, avvenuta nella seconda metà dell'Ottocento, il terreno fu venduto alla famiglia del canonico Andrea Lotti che vi costruì un villino. L'artistico cancello del giardino era quello del mercato che si teneva sotto le mura di Nettuno ed è stato riutilizzato nella costruzione che ha preso il posto del villino.
La pala dell'altare fu trasportata nella Collegiata di San Giovanni e collocata nell'atrio della sacrestia, dove è ancora conservata sotto le spoglie della rappresentazione del martirio di San Bartolomeo, e per questo considerata proveniente dalla chiesa di San Francesco, in origine dedicata a questo apostolo; San Biagio e San Bartolomeo hanno subito lo stesso supplizio dello scorticamento, dramma rappresentato nella tela. La presenza nel dipinto di una mitra vescovile non lascia dubbi sull'identità del Santo.
L'opera, con alcuni caratteri stilistici vicini al barocco romano, può essere attribuita al pittore Pier Francesco Mola (Coldrerio1612–Roma 1666), la cui presenza a Nettuno è documentata almeno in due periodi. Il primo antecedente al 1650, quando con il suo amico Simonelli percorreva a caccia le foreste del territorio, ed il secondo negli anni compresi tra il 1652 ed il 1654, quando affrescava il palazzo di Camillo Pamphilj. La scena del martirio è vicina alla rappresentazione del S. Eustachio nel salone nobile di questo palazzo, dove, tra l'altro, si ritrova lo stesso gesto disperato e retorico delle braccia allargate.
La devozione per San Biagio è rimasta viva tra i nettunesi che il 2 febbraio, festa del Santo, continuano a partecipare nella Collegiata alla cerimonia dell'unzione della gola con l'olio benedetto.
Durante la demolizione della chiesa è riemerso il passato che, per secoli, aveva reso sacra l'area. La chiesa, la cui struttura doveva risalire al XVI secolo, era innestata su un più antico oratorio cristiano, il cui pavimento era più basso di 170 cm . Tra i due pavimenti l'archeologo R. Lanciani ha testimoniato la presenza di “singolarissimi” affreschi(1):
…la scena più conservata rappresenta David in atto di lanciare il sasso con la fionda; mentre Golia, prima anche di essere colpito, giace disteso a terra con un largo squarcio fra le ciglia. Il gigante, con esagerazione propria dei pittori parietari del sec. XIII, ha statura quattro volte maggiore di quella dell'avversario. Ambedue son rivestite di cotta a maglia, con cappuccio acuminato a difesa del capo.
L'oratorio era racchiuso tra le pareti di un sepolcro dell'età imperiale, con il pavimento, in fine mosaico monocromo, a m. 2,07 sotto quello dell'oratorio stesso. Dal pavimento dell'oratorio fu recuperato molto lastrame di marmi colorati, ornati architettonici, pezzi di sarcofagi e di iscrizioni. Nello scavo del sepolcreto furono trovate alcune sepolture, chiuse da tegole e disposte su tre ordini sovrapposti. Le tombe erano state già aperte, ma vi si rinvennero lo stesso alcuni vasi e delle monete, oltre a dodici fibule militari con impresse teste di guerrieri, a tre lapidi ed un cippo.
L'iscrizione di maggiore interesse, incisa con lettere minute in un marmo di notevole spessore, ricordava L. Veratio Afro, questore di Anzio (2)
Frammenti architettonici e di statue, tra i quali parte di una mano di dimensioni colossali, sono indizio di un monumento collegato al sepolcreto.
La carta topografica di Innocenzo Mattei del 1674, dove è indicato un fanu S. Blasj, testimonia anche l'esistenza in età romana di un bosco sacro che doveva occupare tutto il pianoro che a nord ovest di Nettuno degrada sull'arcaica via di comunicazione con i Colli Albani, corrispondente all'attuale Via Romana.
La sacralità del luogo fu ereditata ed accolta dal cristianesimo, e nel fanum (3) che dalle ultime pendici del pianoro dominava la via antica fu eretto l'oratorio dedicato a San Biagio.
Dopo la caduta dell'impero romano i tempietti ed monumenti funerari dell'intorno furono abbattuti ed utilizzati come cave di materiale edilizio per la Nettuno medievale; i marmi meno pregiati furono trasformati in calce. “I Marmi” e “Le Calcare” sono ancora oggi i nomi di due località della zona, ricordo della secolare attività distruttiva.
(1) Luigi Tomassetti nella sua opera sulla Campagna Romana segnala una descrizione di Giovanni Battista De Rossi relativa agli scavi di un sepolcro romano e di una chiesa cristiana presso Nettuno che non sono riuscito a reperire, e che dovrebbe corrispondere a questo oratorio.
(2) Le iscrizioni sono state descritte e commentate da Mariano Armellini in Cronichetta Mensuale 1877 pag. 187-191
(3) Fanum è un nome latino di non agevole traduzione; letteralmente indica un luogo sacro all'aperto, in un bosco, comprendente un tempietto celebrativo, spesso di tipo funerario. La sacralità nasceva non tanto dall'edificio, ma dall'insieme che componeva il fanum.
Il termine si distacca tanto da templum quanto da aedes o delubrum , termini adoperati per edifici destinati ad un culto pubblico e statale, ma specialmente da monumentum , che è il vero e proprio edificio sepolcrale, e del quale rimane a Nettuno uno splendido esempio nella Torre del Monumento .
La differenza tra fanum e monumentum era anche nelle regole imposte per la loro elevazione. Nella costruzione del monumentum era fissata una spesa massima; il superamento comportava una tassa pari alla cifra eccedente. |