il contesto politico e sociale delle costruzioni
Con la caduta dell'impero romano il territorio dell'antica Anzio fu progressivamente isolato da Roma e dalle altre città dell'entroterra, anche per l'estendersi delle foreste e delle Paludi Pontine. Il castello di Nettuno, unico centro di raccolta delle popolazioni sparse nel vasto intorno, ebbe per questo sempre il carattere di un avamposto difensivo; così nel 1854 era ancora possibile a Ferdinando Gregorovius scrivere che con Nettuno cessava la civiltà su questa parte della costa laziale.
Sino alla metà del 1600 le uniche opere civili di rilievo della città sono state le sue mura e la rocca di Nicola Orsini (1372).
La trasformazione in palazzo di un villino del cardinale Bartolomeo Cesi, ad opera della famiglia Pamphilj, chiude nel 1650 l'elenco delle strutture civili degne di nota. Il breve fervore edilizio di questo secolo era stato aperto, negli stessi anni, dal cardinale Costaguti con la costruzione di Villa Bell'Aspetto sulla collina prospiciente il mare tra Anzio e Nettuno.
Il Palazzo Camerale e quello della famiglia Segneri, non hanno alcun pregio architettonico e si distinguono solo per la relativa grandezza.
Nessuno dei feudatari di Nettuno vi ha abitato con continuità, e la loro attenzione è stata rivolta quasi esclusivamente al sistema difensivo, limitando all'indispensabile gli interventi sulle loro residenze e sugli edifici pubblici.
Anche ai Principi Colonna, nei tempestosi anni del loro dominio su Nettuno, per la quale mostrarono grande attenzione (1427-1594), si deve solo la cura ed il potenziamento delle mura perimetrali.
Nei successivi 237 anni del diretto dominio della Chiesa, un sistema di gestione basato su affitti novennali determinò un prelievo di risorse da rapina e quasi nulla fu investito nel bene pubblico.
Iniziò nel 1594 papa Clemente VIII, con l'atto di acquisto del territorio, sottraendo alla comunità 700 rubbia di bosco, e si terminò nel 1867 con la pretesa di far gravare sui soli cittadini il restauro delle mura castellane.
Nulla è pervenuto o è stato fatto costruire dai principi Borghese che acquistarono il territorio di Nettuno nel 1831 per interessamento di papa Gregorio XVI, e che diversamente dagli altri Signori stabilirono una loro dimora nella villa Costaguti.
Una economia di semplice sopravvivenza basata sullo sfruttamento delle foreste e sull'allevamento brado, un'agricoltura varia, ma in larga parte ad esclusivo uso familiare, l'inesistenza di attività commerciali ed artigianali non hanno permesso il formarsi di un ceto borghese che potesse supplire all'indifferenza dei Principi feudatari. Le uniche due famiglie illustri della storia cittadina furono quelle dei Segneri e dei Soffredini; la prima appare nel Cinquecento al seguito dei principi Colonna; la seconda nella metà del Seicento al servizio dei principi Pamphilj. Negli anni del dominio diretto della Chiesa i membri di queste famiglie guidarono, spesso con grande coraggio, l'opposizione cittadina contro i soprusi della Camera Apostolica e dei suoi affittuari.
Alcune iscrizione seicentesche conservate nelle chiese di San Francesco e di Santa Maria del Quarto, permettono di ampliare l'elenco delle famiglie che riuscirono a sollevarsi dall'anonimato; la famiglia Trippa , distinta per il fervore religioso; quella dei Sacchi legata al pittore Andrea tramite l'adozione che ne fece il pittore nettunese Benedetto Sacchi; la famiglia De Baptistis della quale è conservato in via del Baluardo il portale dell'abitazione costruita dal notaio Giuseppe. Dal finire dell'Ottocento e sino al 1952 si distinse la sola famiglia Brovelli, la più ricca di Nettuno per aver ereditato i beni dei Soffredini (1886).
le memorie perdute
Questo contesto politico, sociale, economico e culturale di Nettuno, uniforme nei secoli, ha condizionato le strutture delle sue chiese, erette con materiali poveri, sempre modeste ed essenziali, prive di marmi ed ornamenti, costruite per le strette necessità dei conventi, delle confraternite e della scarsa popolazione, talvolta semplici ingrandimenti delle cappelline che avevano sostituito le edicole pagane nei bivi di campagna. Anche per questo, molte sono state prima dimenticate, poi mandate in rovina ed infine abbattute senza esitazioni. Gli scrittori locali non hanno ritenuto di lasciarne descrizioni; maggiore attenzione hanno avute per esse gli storici e gli archeologi che visitarono Nettuno quando ancora non erano state distrutte. Si deve, ad esempio, alla sensibilità di Luigi Tomassetti il ricordo degli affreschi di una cappellina sulla via di Santa Maria, ignorata da tutti ed abbattuta con indifferenza.
La scarsa attenzione per le chiese cittadine può essere anche valutata dal modo con il quale si è provveduto ai restauri della Collegiata di San Giovanni e della Chiesa di San Francesco.
La Collegiata fu costruita nel 1748 dall'architetto Carlo Marchionni con povertà di materiali, ma con purezza di linee e di decorazioni; gli interventi successivi, compresi i restauri del 1867, tutti volti ad un arricchimento decorativo, non modificarono la luminosità, l'essenzialità dell'interno e la coerenza con i caratteri architettonici e stilistici del Settecento. Nei restauri del 1965 le pareti furono coperte da marmi policromi, articolati in complessi disegni; la discutibile operazione diventa inaccettabile se si considera la falsità del tutto: si tratta infatti, per la gran parte, non di preziosi marmi, ma di lastre di cemento marmorizzate.
Sconfortanti gli interventi su San Francesco, la più antica delle chiese sopravvissute, che la tradizione vuole fondata dal Santo d'Assisi, ma la cui attuale struttura sembra potersi datare al 1400. Nei restauri del 1843, forse voluti dalla famiglia Borghese, si distrussero le lapidi pavimentali, malgrado lo sdegno e l'opposizione di Calcedonio Soffredini che attesta la loro appartenenza a famiglie del XV secolo.
Le lapidi non piacevano a certo principe e furono infrante, disperse e il pavimento distrutto.
Nei successivi interventi del 1989 furono scavate le tombe che erano rimaste integre sotto il nuovo pavimento, e tutto fu gettato in una discarica dalla quale privati cittadini hanno potuto recuperare del materiale bronzeo devozionale, oggi conservato nell'antiquarium comunale.
I resti romani venuti alla luce, e sui quali si sapeva poggiare la chiesa, sono stati resi visibili attraverso aperture del pavimento; ma nulla è stato dato sapere sulle modalità di scavo, sui ritrovamenti, sul tipo e sull'orientamento delle murature. L'indagine era attesa per definire la datazione delle strutture e stabilire la loro appartenenza ad un tempio che una tradizione locale vuole essere quello della Fortuna, ad una villa che si affacciava sulla vicina Via Severiana o più semplicemente all'estensione del grande e signorile complesso che occupava l'area della fortezza del Sangallo.
Anche per la mancata conservazione e descrizione di quelle di Santa Maria Assunta, le più antiche iscrizioni lapidarie religiose di Nettuno, tutte presenti in San Francesco ed in Santa Maria del Quarto, risalgono oggi solo al 1600. |