L'attenzione che fra Orsenigo prodigava con i tanti che in città pativano la fame non gli faceva però dimenticare il rispetto per i beni altrui, come mostra il gustoso episodio (241) di quando l'informarono che ad un fruttaiolo, che da Piazza Montanara stava venendo all'Isola col suo carretto, erano cadute varie ceste d'uva, sulle quali era subito piombata una frotta di poveracci per impadronirsi di qualche grappolo, senza curarsi delle urla disperate del proprietario. In un lampo fra Orsenigo si precipitò sul luogo e, afferrata una pertica, la roteò minaccioso sui ladruncoli, che ritennero prudente non misurarsi con quell'omone dai muscoli d'acciaio.
Un altro episodio in cui risultò preziosa l'erculea corporatura di fra Orsenigo fu quello che così narra Petrai (242): "Una volta, un confratello restò chiuso in uno stanzino dal quale non sapeva più come uscire. L'Orsenigo si appoggiò con le spalle alla porta - una porta a muro - puntò i piedi e dette una stratta. Il muro cedette: la porta si scardinò e il varco fu aperto".
Ovviamente non era solo la forza fisica a rendere popolare fra Orsenigo. La gente accorreva da lui anche per averne consiglio e conforto spirituale. Englefield (243) non solo attesta di persone devote che andavano a chiedergli preghiere nella convinzione che erano più efficaci di quelle di altri, ma si sofferma a raccontare come perfino i suoi Superiori gli sottoponessero le situazioni più spinose per avere ispirazione su come risolverle.
Secondo Englefield e secondo quanto, con ancor più dettagli, narra Benassedo, il problema più grosso che fra Orsenigo riuscì a risolvere per i suoi Superiori fu quello del riacquisto dell'Ospedale dell'Isola Tiberina, unico modo di sottrarsi alla pesante ingerenza pubblica e di dare di nuovo in proprietà alla Curia Generalizia la sede che aveva avuto per tre secoli. L'edificio, in forza della legislazione eversiva del 1866, estesa a Roma nel 1873, era stato dichiarato proprietà demaniale il 10 luglio 1875 dalla Giunta Liquidatrice dell'Asse Ecclesiastico, che lo cedette al Municipio di Roma affinché lo utilizzasse come Ospedale Pubblico; il Municipio ne prese possesso l'8 febbraio 1878, ma consentì ai frati di rimanervi a lavorare come dipendenti, giuridicamente considerati non più come religiosi ma come appartenenti ad una semplice associazione laica di infermieri; dopo la presa di possesso l'Ospedale fu gestito per cinque anni direttamente dal Municipio, poi passò il 31 dicembre 1883 alla Commissione degli Ospedali di Roma, la quale venne nel 1891 surrogata dal Regio Commissario Augusto Silvestrelli, che dopo circa sette mesi vendette l'edificio ai Fatebenefratelli (244).
In data 17 marzo 1892 fu stipulato l'atto notarile di vendita, il cui contenuto è stato oggetto di ampio commento in un recente bel volume sull'Isola Tiberina (245) curato dall'Associazione "Amici dell'Ospedale Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina di Roma". In tale commento non si fa però alcun cenno al ruolo di fra Orsenigo nella vicenda, né si riferisce il dettaglio, abbastanza significativo, che costui firmò come testimone l'atto notarile, essendo individuato con la qualifica di chirurgo dentista.
Anche padre Gabriele Russotto (246), nel commentare l'acquisto del 1892, l'unico che fu possibile effettuare dei ben 46 Ospedali che erano stati confiscati in Italia ai Fatebenefratelli, ne attribuisce il merito unicamente al Beato Bernardo Maria Silvestrelli (247), considerato il secondo Fondatore dei Passionisti e che era stato gran amico di fra Alfieri negli anni che furono entrambi Superiori Generali; egli era fratello del Commissario Silvestrelli ed avrebbe interceduto con lui perché ponesse in vendita l'Ospedale Tiberino.
In realtà, anche Benassedo menziona l'intervento del Beato Silvestrelli nell'indurre suo fratello Augusto a favorire i Fatebenefratelli, ma l'anima di tutta la vicenda fu per lui fra Orsenigo, che si avvalse di un avvocato suo amico. Le affermazioni di Benassedo e di Englefield trovano piena conferma nell'Elenco de' Religiosi dell'Ordine Ospitaliero di S. Giovanni di Dio della Provincia Romana dal 1830 al 1878, conservato nell'Archivio Generalizio, poiché nella casella di fra Orsenigo si legge la significativa annotazione che egli "fu il principale che propugnò per l'acquisto della Casa Generalizia del Calibita".
Benassedo così descrive il ruolo prioritario svolto da fra Orsenigo in questa vicenda (248): "Accadeva talvolta che il Generale dei Fatebenefratelli non sapesse come trarsi d'imbarazzo da certe difficoltà che sorgevano qua e là nella sua Famiglia Religiosa. Capitava allora improvvisamente il Generale nel Gabinetto di Dentisteria di Fra Orsenigo e così dicevagli: Battistino, mi capita questo e questo. Dimmi un po' come pensi tu che converrebbe fare. E Fra Orsenigo, senza scomporsi e, continuando magari nell'opera sua di estirpare denti, rispondeva con tutta flemma: presto fatto, Padre Reverendissimo, si fa così e così, e tutto è accomodato per bene. Sembrava questo a prima vista un suggerimento avventato e incompetentissimo; ma poi si scorgeva che era assai illuminato e saggio. Dove ancora meglio si ammirò la celeste sapienza del buon Fra Orsenigo fu nell'importantissimo e provvidenzialissimo recupero che fecero i Fate Bene Fratelli nell'Isola Tiberina, Casa Generalizia del loro Ordine in Roma. Questo grandioso stabile era stato incamerato dal Regio Governo Italiano in esecuzione delle sue leggi eversive. Veniva amministrato dalla Regia Commissione Ospedaliera di Roma, la quale vi aveva lasciati, a titolo provvisorio, i Religiosi dell'Ordine dei Fatebenefratelli per la gestione del grandioso ospedale: ma con tali restrizioni e con tali legami, che vi rendevano difficile e precaria la loro permanenza. Medici e personali massonici facevano di tutto per stancarli e costringerli ad andarsene. Di ciò erano preoccupatissimi i Superiori dell'Ordine. Iddio ispirò allora il P. Generale Gasser (249) di ricorrere per consiglio a Fra Orsenigo e gli tenne parola delle difficoltà e dei pericoli che l'Ordine attraversava in quel momento. E l'umile Frate rispose: non c'è altra via per uscirne che quella di comperare lo stabile".
Interrompiamo a questo punto il racconto di Benassedo, secondo il quale fra Gasser, dopo aver ascoltato la proposta di fra Orsenigo, acconsentì che venisse approfondita. Secondo l'Englefield (250) la reazione iniziale di fra Gasser fu invece di totale rigetto: gli rise in faccia, sembrandogli un'ipotesi assolutamente irrealizzabile, sia perché la Curia Generalizia non disponeva di fondi adeguati, sia perché sembrava inverosimile che l'Ospedale potesse essere messo in vendita. Nonostante il padre Generale avesse gelato l'entusiasmo di fra Orsenigo, dicendogli apertamente che non aveva tempo da perdere con simili assurdità, costui continuò a rifletterci nella preghiera, umilmente chiedendo al Signore di fargli capire se era stato il demonio a suggerirgli quella pazza idea. Dopo un certo tempo tornò da fra Gasser, dicendogli che si sentiva certo che non era stato il demonio ad ispirarlo. A questo punto il padre Generale acconsentì di starlo a sentire, pur ripetendogli le medesime obiezioni, che qui riportiamo, preferendo però utilizzare di nuovo la narrazione di Benassedo, riprendendola da dove l'avevamo interrotta: "Ma come fare? osservò il Generale. Ci vuole un gran capitale che la Casa non ha disponibile; e ci sono inoltre difficoltà grandissime e da parte del Governo e da parte dei medici massoni che spadroneggiano nel nostro Ospedale, perché farebbero di tutto per mandare ogni cosa in aria. Non importa, replicò Fra Giovanni Battista Orsenigo; è volere di Dio che la cosa avvenga? Coll'aiuto suo, ci riusciremo, nonostante tutte le contrarietà. Lasci fare a me, padre Reverendissimo.
Che fa allora il povero Frate laico?…egli da tempo conosceva certo avvocato Carlo Scotti, lodigiano, ma dimorante in Roma (251). Con lui aveva una certa intimità e poteva contare su di lui perché, sebbene fosse liberale e fors'anche massone, egli aveva però molte aderenze ed influenze in Roma, e gli era deferente e fedele. Gli apre dunque l'animo suo e gli racconta le difficoltà nelle quali si dibattono i religiosi Fatebenefratelli. L'avvocato, che doveva precisamente a fra Orsenigo la sua elezione a Consigliere Provinciale di Roma pel mandamento di Valmontone (252), gli si profferisce volentieri di aiutarlo, e gli dice: senti, caro Orsenigo, la Commissione Ospitaliera di Roma si trova in cattive acque per le malversazioni avvenute nell'Ospedale di Santo Spirito. Con 300.000 lire, voi potete comperare l'Isola Tiberina in blocco, tutti gli accessori compresi. Bisogna far presto e agire in segreto, perché non vengano ostacoli dai medici massoni del vostro Ospedale. Mi hai compreso? Conta pure su di me e vado a parlarne tosto al Commendator Silvestrelli, Presidente della Commissione degli Ospedali di Roma. Va bene, rispose il Frate, ed anch'io corro subito ad informare ed sollecitare il mio Padre Generale.
Comunicata la proposta al Padre Generale Gasser, questi raduna subito il Capitolo per deliberare in proposito, ma sorgono opposizioni e proteste, da parte specialmente del Procuratore Padre De Giovanni (253), e non approda a verun risultato. Urgendo però decidersi o per l'immediata accettazione, o per la reiezione della proposta dell'avvocato Scotti, il Generale Gasser torna ancora a consultare Fra Orsenigo, e gli domanda a bruciapelo: e come fare a procurare, quasi su due piedi, trecentomila lire? Nella cassa dell'Ordine non si trova una sì vistosa somma! Niente paura, Padre Reverendissimo! Lei spedisca un telegramma d'urgenza ai Padri Provinciali di Spagna, di Francia, di Baviera e d'Austria-Ungheria, nei quali brevemente accennate che si tratta dell'acquisto della Casa Madre dell'Ordine, domanda il loro concorso e si fa dire su quale contributo si possa fare assegnamento, occorrendo immediatamente 300.000 lire. Ben fatto, risponde il Generale, e subito manda analoghi telegrammi ai riferito Padri Provinciali esteri. Mirabile cosa! Prima di sera pervenivano le risposte favorevoli da parte dei nominati Provinciali esteri. Quel di Spagna dava 60.000 lire: 100.000 ne dava quello di Francia; 100.000 ne metteva a disposizione quello di Baviera; 50.000 quello d'Austria-Ungheria. Il capitale c'era dunque ed il suggerimento di Fra Orsenigo era stato provvidenzialissimo. Padre Gasser comunica la cosa all'Orsenigo e gli mette in mano la somma da passare all'avvocato Scotti per procedere ipso facto ai preliminari del contratto. Chiacchierone com'era, quella volta l'Orsenigo sa tacere e in poche ore l'affare è stipulato. Nel frattempo giungono dall'estero le somme inviate dai Padri Provinciali, e a tambur battente si conclude e si effettua la compra dell'Isola Tiberina. Il Commendator Silvestrelli, fratello del Generale dei Padri Camilliani (254) aveva di buon grado dato, nella sua qualità di Presidente del Consiglio Ospitaliero di Roma, la propria adesione alla conclusione dell'importantissimo affare".
Come spesso accade nel dattiloscritto del Benassedo, il racconto ci fa conoscere episodi assolutamente inediti ma, essendo frutto di ricordi lontani, appare impreciso in alcune qualifiche e cifre. Nelle note in calce è stata già evidenziato l'inesattezza sul Procuratore e sui Camilliani, ma va rettificata anche la cifra d'acquisto, che dal testo del contratto risulta essere di 400.000 lire, prezzo del tutto adeguato al valore dell'immobile, poiché restò esclusa dalla vendita la Tenuta del Cavaliere, bene dotale che aveva per secoli assicurata la gestione dell'Ospedale, il quale al momento che fu indemaniato era stato valutato oltre un milione di lire a motivo di tale estesissima tenuta (255).
Probabilmente le 300.000 lire menzionate da Benassedo erano semplicemente la caparra cercata su due piedi da Augusto Silvestrelli, chiamato a sanare d'urgenza il grosso scoperto dell'Ospedale Santo Spirito ed a salvare dalla bancarotta la rete ospedaliera pubblica di Roma. Alle 400.000 lire enunciate nel contratto andarono inoltre ad aggiungersi, come precisa Benassedo (256), altre 40.000 lire in balzelli, per un importo di 10.000 lire in Comune e di 30.000 lire in Prefettura.
Da un punto di vista legale, le leggi eversive italiane proibivano all'Ordine, in quanto Ente Ecclesiastico, di acquisire immobili, perciò il contratto fu firmato a nome personale da tre confratelli, fra Emanuele, fra Lazzaro e fra Arbogasto, menzionati con i loro rispettivi nomi civili: il medico Federico Leitner, ed i sacerdoti Alessandro Eugenio Berthelin e Pietro Celestino Menétré. Erano tutti e tre stranieri, sia come ulteriore misura cautelare nei confronti del Governo italiano, sia come forma di esprimere gratitudine alle Province estere che avevano prontamente offerto il loro contributo economico. Per inciso, la prontezza della loro risposta dipese dal fatto che l'argomento era stato ampiamente affrontato nell'ultimo Capitolo Generale.
Fin dal primo dei Capitoli Generali, celebrato nel 1587, la loro sede era stata sempre l'Ospedale dell'Isola Tiberina, ma la confisca dell'edificio nel 1878 rese impossibile utilizzare i tradizionali locali e pertanto il Capitolo del 1887 fu dovuto convocare a Venezia per poter ospitare in tutta libertà nell'Ospedale di S. Maria dell'Orto, inaugurato nel 1884 e di proprietà dell'Ordine, l'assemblea dei 27 rappresentanti dei Fatebenefratelli di tutto il mondo.
Sfogliando gli Atti del Capitolo Generale del 1887 (257), svoltosi dal 14 al 19 giugno, risulta che fin dalla prima seduta il Superiore della Provincia Romana, fra Michele Paragallo, espose "la convenienza che si stabilisse in Roma una casa internazionale, per premunirsi di un locale nel caso che si venisse costretti ad abbandonare la Casa Generalizia del Calibita". La proposta fu assecondata "da quasi tutti i vocali". L'argomento fu ripreso nella seduta del 18 giugno e "tutti annuirono alla proposta di comperarsi una casa in Roma, senza farvi innovazioni, tenendola nel caso che i Religiosi non potessero più rimanere nella Casa Generalizia del Calibita".
Se per cinque anni non si dette seguito concreto a tale proposta, fu sia perché non capitò un'occasione adatta, sia soprattutto perché già dal 1885 si era preso a lavorare sull'ipotesi di fondare un Ospedale a Nettuno, distante solo una sessantina di chilometri da Roma e che quindi, nella malaugurata ipotesi d'un esodo forzato dall'Isola Tiberina, avrebbe potuto facilmente divenire la nuova sede della Curia Generalizia. Quando fra Orsenigo suggerì di consultare le varie Province, lo fece perché consapevole della proposta approvata dal Capitolo Generale del 1887 e che finalmente la Provvidenza permetteva di concretizzare nel migliore dei modi, ossia non comprando in città un edificio qualsiasi o riservandosi un'ala dell'erigendo Ospedale di Nettuno, ma ritornando proprietari della storica sede dove in quel quinquennio, pur tra mille angherie, aveva continuato ad essere alloggiata la Curia Generalizia (258).
L'acquisto dell'Ospedale Tiberino non bloccò comunque il progetto di Nettuno, in quanto rientrava nella strategia elaborata da fra Alfieri per superare la micidiale prova della legislazione eversiva varata dal Governo Italiano contro tutti gli Istituti Ecclesiastici. Fra Alfieri, che fu l'artefice della rinascita dell'Ordine nella penisola iberica, aveva studiato a fondo le ragioni che avevano provocato l'estinzione delle tre fiorenti Province spagnole: il primo colpo era stato dato dalla soppressione degli Istituti Religiosi decretata nell'effimera dominazione napoleonica, quando le Comunità furono obbligate a disperdersi, però, col ritorno al vecchio regime, i frati erano stati poi autorizzati e rientrare nei loro Conventi; quando nel 1835 il Governo, che in quel momento era d'ispirazione massonica, decretò di nuovo la soppressione, i frati si dispersero, ma conservando la speranza che dopo qualche tempo sarebbe stato possibile anche questa volta ricostituire le Comunità; invece gli anni passarono senza che la legislazione cambiasse ed i frati andarono uno dopo l'altro morendo mentre si trovavano ancora dispersi.
La conclusione che fra Alfieri trasse dall'esperienza spagnola fu che l'unico modo di evitare l'estinzione in Italia era di mantenere unite le Comunità e di continuare tutti insieme ad assistere gli infermi, anche se come semplici salariati dei nuovi amministratori laici, nominati dalla Autorità Civili per gestire gli ospedali confiscati ai Fatebenefratelli. Chiaramente tale soluzione rendeva ardua la vita della Comunità, ma era vista come una tappa provvisoria che permettesse di sopravvivere fino al momento di poter organizzare in proprio una qualche nuova attività assistenziale, senza più la pesante dipendenza da amministratori pubblici che spesso erano accesi anticlericali. Quando dunque il Parlamento Italiano approvò la legge eversiva del 1866, fra Alfieri supplicò i Confratelli di restare negli ospedali e di stipulare dei rapporti di lavoro con le rispettive Autorità Municipali, il che fu possibile in varie città e per periodi discretamente lunghi (259); a Roma fino al 1882 nell'Ospedale San Giacomo, fino al 1891 nell'Ospedale di San Gallicano e fino al 1892 nell'Isola Tiberina, ricomprata in tale anno; a Benevento fino al 1896; a Civitavecchia fino al 1893; a Corneto fino al 1917; a Firenze fino al 1910; a Foggia fino al 1896; a Jesi fino al 1905; a Milano fino al 1885; a Napoli fino al 1890; a Narni fino al 1896; a Rieti fino al 1905; a Salerno fino al 1872; a Sant'Agata fino al 1896; a Tivoli fino al 1923; a Velletri fino al 1903; a Venezia fino al 1902; a Verona fino al 1914; ed a Perugia addirittura fino ad oggi.
Il caso di Perugia si spiega con i buoni rapporti sempre esistiti con le Autorità Civili, tanto che l'iniziale Convenzione firmata con la Congregazione Comunale di Carità il primo gennaio 1873 non ha mai avuto bisogno d'essere modificata (260). Nelle altre città si arrivò invece prima o poi al punto di rottura perché le Autorità Civili erano spesso massoniche o quanto meno ostili ai religiosi. Si ricordi che a quei tempi per far carriera nell'amministrazione pubblica occorreva mostrarsi anticlericali, tanto che il citato Regio Commissario Silvestrelli ostentò d'aver rotto ogni ponte col fratello passionista...anche se poi risulta, come s'è visto, che segretamente continuava ad ascoltarlo; ma la segretezza di tale relazione fu tale che i biografi del Beato, non avendo letto Russotto, non l'hanno ancora scoperta!
Quei decenni di precaria e faticosa sopravvivenza di un certo numero di Comunità permisero comunque ai Fatebenefratelli d'avere il tempo d'aprire nuovi Ospedali di loro proprietà, uno dei quali fu quello di Nettuno di cui, ancora una volta, portò il merito fra Orsenigo.
L'iniziativa partì da un insigne nettunese, don Temistocle Signori, che per quarant'anni fu canonico della Collegiata di San Giovanni (261), nonché arciprete parroco di Nettuno dal 1882 al 1919. Persona di grande iniziativa e profonda cultura, fu lui nel 1882 ad invitare a Nettuno i Passionisti, cui affidò il Santuario della Madonna delle Grazie, e fu lui nel 1899 a fondare la Cassa Rurale di Nettuno "San Isidoro Agricola". Nel 1880 ricevette l'incarico, sostanzialmente onorifico, di Presidente della Congregazione Comunale di Carità, però l'anno dopo, con lettera del 25 settembre 1881, il Municipio gli affidò la gestione del Venerabile Ospedale dei Poveri ed egli tentò d'esimersene, ma l'avvocato Calcedonio Soffredini intervenne presso la Curia Vescovile di Albano affinché lo convincessero ad accettare ed egli obbedì ad una lettera speditagli in tal senso dal vescovo ausiliare monsignor Giuseppe Ingami il 29 ottobre 1881 (262).
Questo Ospedale dei Poveri, inizialmente dipendente dal vescovo e nel 1870, dopo la presa di Roma, consegnato alla Congregazione Comunale di Carità, era praticamente inagibile, come appare dalla descrizione datane dall'avvocato Carlo Scotti (263): "esistevano soltanto quattro letti sgangherati, a pagliericcio, in un paio di camere di una vecchia casupola posta nell'interno dell'abitato di Nettuno, e tolta la volenterosa assistenza dei medici condotti, tutto il resto mancava sotto ogni punto di vista, e non soltanto da quello dell'igiene, sicché non vi era ammalato che volesse godere di simile ospitalità". Fu questa situazione disastrosa che indusse don Signori a carezzare il progetto di affidarlo ai Fatebenefratelli e di aiutarli a costruirne quanto prima uno più dignitoso. Pertanto in data 30 settembre 1885 egli, firmandosi con la qualifica di Presidente della Congregazione di Carità, indirizzò al suo vescovo, il cardinale teatino Raffaele Monaco La Valletta (264), la seguente petizione:
"Eminenza, allo scopo di migliorare le condizioni e l'andamento del nostro venerabile Ospedale de' poveri e procurare agl'infermi una più sollecita assistenza curativa e religiosa, questa Congregazione di Carità nominata dal Municipio è venuta nella determinazione d'invitare alla direzione del detto Luogo Pio il benemerito Istituto de' Fate-bene-Fratelli, che tanto plauso meritatamente riscuote da ogni persona di senno per il nobilissimo ufficio, cui si è consacrato.
I Religiosi del prefato Istituto potrebbero sul momento occupare l'Ospedale esistente adattato per loro uso, ed in seguito colla contribuzione del Municipio e di persone benefattrici erigerne altro in posizione migliore, e più confacente alla cura de' poveri infermi.
Col venire i medesimi in possesso del Luogo Pio si toglierebbe ancora l'inconveniente rimarcato dall'Eminenza Vostra nella Sacra Visita di quest'anno, che cioè le donne abbiano a passare per la sala degli uomini, stante che i Religiosi prendono la cura de' soli uomini, lasciando che per le donne si provveda altrimenti, obbligandosi essi a mantenere due o tre letti fuori dell'Ospedale.
Prima peraltro di entrare in trattative formali col Reverendissimo Padre Giovanni Maria Alfieri, Generale dell'Istituto, la Congregazione da me rappresentata porge umili istanze all'Eminenza Vostra perché si degni presentare il suo consenso, e permettere che il sullodato Istituto possa avere anche in Nettuno una casa religiosa, e regolarsi secondo le norme proprie, e coi soliti privilegi di parrocchialità (265) per i suoi malati.
Ripromettendomi con fiducia l'implorato consenso, La prego perché voglia farne spedire analogo Decreto dalla nostra Curia, corredato della sua Benedizione, e di qualche parola di conforto a' Religiosi perché si accingano a questa nuova impresa di carità verso Dio ed il prossimo.
Prostrato al bacio della Sacra Porpora imploro a nome di tutti la Pastorale Benedizione".
Ovviamente informato dell'iniziativa, fra Alfieri inviò anche lui, in data primo ottobre 1885, questo breve messaggio al vescovo di Albano: "Prima che noi veniamo a stringere col Comune di Nettuno alcun patto all'oggetto di venire all'esecuzione del nostro Istituto, è troppo giusto che imploriamo il di Lei attento beneplacito per essere assicurati di quella protezione, ed esenzione, e di quei privilegi che ovunque la Santa Sede ci accorda ne' suoi Stati sia per riguardo all'Ordinariato, come pei rapporti col Parroco. Noi dunque umilmente imploriamo di conoscere la di Lei volontà, protestandole fin d'ora il sommo piacere che proviamo coll'esser toccati ancora di quell'amorevole protezione che come Vicario ci accordava in Roma: e in attesa di un riscontro, a nome di tutti le bacio la Sacra Porpora".
Già il due ottobre il cardinale dette il suo assenso con rescritto apposto in calce alle due suddette petizioni, che furono entrambe poi consegnate a fra Alfieri (266). Su quella di don Signori il vescovo scrisse: "Sono contentissimo, che i fatebenefratelli prendano ad aiutare il piccolo ospedale di Nettuno: sta alla prudenza del loro padre priore generale e del signor arciprete determinare il modo, dopo di che la curia vescovile farà gli atti necessari". Poiché entrambe le petizioni erano state date a fra Alfieri, che evidentemente non aveva ancora avuto modo d'informarne l'arciprete, questi in una successiva lettera inviata al vescovo il 16 ottobre 1885 manifesta, tra altre cose, il desiderio d'aver un riscontro, dicendogli che "riguardo all'affare dei Fate bene Fratelli, se non un decreto, attendo almeno dall'Eminenza Vostra qualche documento che riesca di soddisfazione": al che il vescovo, con lettera del 27 ottobre 1883 gli risponde che "aveva manifestato al Padre Generale dei Fate bene Fratelli il suo gradimento che l'Ospedale di Nettuno fosse affidato ai suoi correligiosi" (267) .
Se a livello della Curia Diocesana il progetto ricevette un'approvazione praticamente istantanea, lunghissimo fu invece l'iter burocratico per ottenere il consenso delle Autorità Civili, per cui fra Alfieri pensò bene d'incaricarne fra Orsenigo, non solo perché aveva amicizie dappertutto, ma anche perché fu deciso di utilizzare proprio per la costruzione dell'Ospedale di Nettuno quello speciale deposito per nuove fondazioni istituito il 6 aprile 1885 e nel quale fra Orsenigo faceva confluire tutte "le spontanee offerte in riconoscenza delle sue odontalgiche prestazioni" (268); non solo tale deposito, grazie allo zelo di fra Orsenigo, divenne la principale fonte di finanziamento del progetto di Nettuno, ma costui si rivelò come il più entusiasta sostenitore dell'iniziativa e fu pertanto meritatamente prescelto anche come prestanome legale per l'acquisto del terreno, la firma delle convenzioni ed il rilascio delle licenze d'esercizio.
Nonostante la buona volontà di fra Orsenigo, passarono quattro anni prima di riuscire a formulare un accordo definitivo con le Autorità Civili. Dagli Atti di Consiglio del Definitorio Generale dei Fatebenefratelli sappiamo che nel dicembre 1887 la pratica era ancora all'esame della Prefettura e si suggeriva a fra Orsenigo di procedere con cautela e sempre d'intesa col Cardinale Protettore (269); nell'agosto 1888 il Definitorio prendeva in esame il testo di convenzione presentato dal sig. De Andrea, uno dei membri della Congregazione di Carità di Nettuno, e suggeriva a fra Orsenigo di concordare alcune modifiche (270); nel febbraio 1889 si concordavano istruzioni per fra Orsenigo affinché definisse l'acquisto a Nettuno di un lotto edificabile (271).
Finalmente il 28 aprile 1889 fu raggiunto l'accordo e provvisoriamente sottoscritta una scrittura privata, in attesa di stipulare la definitiva convenzione non appena il Comune e la Congregazione avessero ottenuto l'autorizzazione necessaria dalle competenti autorità tutorie, il che avvenne nella seduta del 21 maggio 1889 della Deputazione Provinciale di Roma, che approvò e rese esecutive sia la delibera comunale del primo maggio 1889 che aveva ratificato la convenzione stipulata dal Sindaco di Nettuno Stefano Grappelli, sia la delibera del 25 aprile 1889 della Commissione Amministratrice della Congregazione di Carità di Nettuno che aveva ratificato la convenzione stipulata dall'arciprete Signori (272).
Si giunse così all'atto burocratico finale, quando in data 11 giugno 1889 dinanzi al notaio nettunese Luigi De Luca venne firmata la convenzione ufficiale tra Comune, Congregazione di Carità e fra Orsenigo per la costruzione di un ospedale a Nettuno.
241 - Cf. CECCARIUS [Giuseppe CECCARELLI], "Fra Orsenigo
cit.", p. 98.
242 - Cf. G. PETRAI, "Santo sganassone
cit.", p. 226.
243 - Cf. J. A. ENGLEFIELD, APP, pp. 4-8.
244 - Cf. Egilberto MARTIRE, "L'Isola della Salute. Dal tempio romano di Esculapio all'Ospedale di S. Giovanni di Dio", Tip. "Unione Arti Grafiche", Città di Castello 1934, pp. 72-76.
245 - Cf.. Dario MANFELLOTTO - Marco FABELLO - Marino NONIS, "L'Ospedale Tiberino", in AA. VV. "L'Isola della Salute
cit.", pp. 234-236.
246 - Cf. G. RUSSOTTO, "San Giovanni
cit.", vol. I, p. 167-168. Egli cita come fonte Egilberto MARTIRE ("L'Isola
cit."), ma come ipotesi su chi favorì la vendita, invece di riportare quella di MARTIRE (che a p. 76 scrive: "ci piace credere - come fu asserito da più parti - che a determinare il provvedimento cooperassero i ministri Nicotera, De Rudinì, Baccelli"), cita quanto riferitogli da "qualche confratello anziano contemporaneo", secondo cui il merito andava al Beato Silvestrelli, che sarebbe stato sensibilizzato in merito da Alfieri.
247 - Nato a Roma il 7 novembre 1831 e morto il 9 dicembre 1911, fu proclamato Beato il 16 ottobre 1988. Fu Superiore Generale dei Passionisti dal 1878 al 1888 e dal 1893 al 1907. Quanto ai suoi rapporti con Alfieri, va comunque precisato che questi morì nel 1888 e dunque non poté avere parte attiva nelle vicende del 1892, anche se probabilmente riuscì utile il ricordo dell'amicizia esistita.
248 - Cf. P. BENASSEDO, APP, pp. 467-471. Cf. anche Giuseppe MAGLIOZZI, "Grazie a fra Orsenigo l'Isola tornò ai frati", in "Vita Ospedaliera", a. LIX, n. 9, settembre 2004, p. 15.
249 - Il tirolese fra Cassiano Maria Gasser era succeduto a fra Alfieri, di cui il 17 giugno 1887 era stato nominato Vicario Generale con diritto di successione per cui, morto Alfieri il 3 agosto 1888, era divenuto Superiore Generale e fu poi riconfermato nell'incarico dai Capitoli Generali del 1893, del 1899 e del 1905, finché lo colse la morte il 17 aprile 1910.
250 - Cf. J. A. ENGLEFIELD, APP, p.8. Cf. anche G. MAGLIOZZI, "L'ammiratore
cit.", in "Il Melograno", pp. 5-6.
251 - Aveva casa non troppo lontano dall'Isola, al n. 25 di Via Poli, poco prima Piazza San Silvestro. Cf. G. MAGLIOZZI, "A servizio dei feriti in guerra", in "Il Melograno", a. III, n. 18, 15 agosto 2001, p. 2.
252 - L'avv. Carlo Scotti, nato a Lodi il 20 maggio 1863, dopo la laurea in Legge conseguita a Pavia nel luglio 1884 si trasferì a Roma, dove morì il 13 aprile 1940; oltre che Consigliere Provinciale di Roma, fu Presidente della Congregazione di Carità di Roma e nell'aprile 1934 fu nominato senatore nella categoria 21, ossia dei contribuenti per almeno tremila lire d'imposte dirette (cf. Emilio GENTILE e Emilia CAMPOCHIARO, Repertorio biografico dei Senatori dell'Italia fascista", pp. 2207-2208). Fu avvocato di fiducia dei Fatebenefratelli, patrocinando nel Tribunale Civile varie cause in difesa dei diritti dell'Ospedale di Nettuno, per cui nel 1921 i frati gli concessero in gratitudine l'aggregazione spirituale all'Ordine (cf. "Status Provinciae Romanae cit.", p. 36; cf. anche AGF, "Registro Comunicazioni Spirituali e Aggregazioni 1850-1937", aggregazione n. 1806 del 30 maggio 1921).
253 - Il Procuratore è il rappresentante dell'Ordine presso la Santa Sede, per cui di norma risiede a Roma, se non addirittura nella Città del Vaticano, dove dal 1874 i Fatebenefratelli gestiscono una Farmacia per conto del Governo Vaticano. Si noti però che fra Pietro Maria De Giovanni fu Procuratore per 12 anni, ma solo a partire dal capitolo Generale del 1899; nel 1892 aveva unicamente l'incarico di Provinciale della Provincia Romana. Nato a Benevento da famiglia nobile il 29 ottobre 1842, era stato accolto nella Comunità dell'Isola Tiberina il 29 aprile 1876, emettendovi i Voti Semplici il 1° luglio 1877 ed i Solenni il 2 agosto 1880 e morendovi in fama di santità il 12 febbraio 1913. Cf. Camillo VIGLIONE, "Un grande ospedaliero - P. Pietro Maria De Giovanni", in "Vita Ospedaliera", a. X, n. 4, luglio agosto 1955, p. 109; n. 6, novembre-dicembre 1955, pp. 175-177; a. XI, n. 2, marzo-aprile 1956, p. 50; n. 4, luglio agosto 1956, p. 118.
254 - Chiaramente citati per svista, invece dei Passionisti.
255 - Quando il pomeriggio del 20 marzo 1892 fra Alfieri convocò la Comunità Tiberina per informarla dell'avvenuto acquisto, ci tenne a precisare che ora occorreva essere prudentissimi nella gestione, poiché l'Ospedale non aveva più dote e quindi non godeva"di niun altra rendita fuorché le diarie e le Messe". Cf. AGF, "Congregazioni del Convento S. Giovanni Calibita. Roma. 1876-1912".
256 - Cf. P. BENASSEDO, APP, p. 469.
257 - Cf. G. RUSSOTTO, "San Giovanni
cit.", vol. I, p. 380.
258 - Pare logico pensare che quando nel 1893 fu possibile tornare a celebrare il Capitolo Generale nella tradizionale sede dell'Isola Tiberina, il già ricordato episodio della foto ricordo scattata il 24 aprile volle essere un modo d'esprimere gratitudine a fra Orsenigo per aver fornito l'irripetibile occasione di ricomprare l'Ospedale.
259 - Cf. a riguardo in AGF il dattiloscritto di fra Abondio Roesner "Gli Ospedali dell'Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio. Notizie storiche. Dall'inizio dell'Ordine al Capitolo Generale. Anno Domini 1947".
260 - Cf. Jaroslav NEMEC, "I Fatebenefratelli a Perugia", Centro Studi San Giovanni di Dio, Roma 1984, pp. 110-114.
261 - Cf. Archivio Diocesano di Albano (d'ora in poi ADA), faldone Nettuno, fasc. 2, lettera n. 15.
262 - Questi dati si desumono dalla lettera inviata da Signori al suo vescovo il 16 ottobre 1885. Cf. ADA, faldone Nettuno, fasc. 2, lettera n. 92.
263 - Cf. AGF Nettuno, cartella "Cause Giudiziarie", fasc. 3, Avv. Carlo Scotti, "Comparsa Conclusionale del 28 febbraio 1911", p. 15.
264 - Nato a L'Aquila nel 1827 e morto ad Agerola (Salerno) nel 1896, era vescovo di Albano dal 1883. Creato cardinale dal Beato Pio IX nel 1868 e suo Vicario Generale il 22 aprile 1876, a motivo di tale incarico era stato dall'aprile 1876 al marzo 1884 il Cardinale Protettore dei Fatebenefratelli, che quindi conosceva bene.
265 - San Pio V con la Bolla "Salvatoris" dell'8 agosto 1571 concesse ai Fatebenefratelli il privilegio che il loro binomio Convento-Ospedale sia considerato una quasi parrocchia, per cui nell'ambito dei ricoverati e del personale i loro cappellani possano somministrare i Sacramenti ed officiare funerali senza doverne dar conto al parroco della zona. Cf. F. M. RISI, "Bollario
cit.", p. 37, § 8.
266 - Cf. AGF Nettuno, "Posizione dei Documenti ed altro sulla istallazione dell'Ospedale e Casa di Salute di libera proprietà dell'Istituto di Nettuno dal 1885", lettere 1 e 2.
267 - Cf. ADA, faldone Nettuno, fasc. 2, lettera n. 92.
268 - Cf. AGF Nettuno, cartella "Affari Giudiziari", fasc. n. 3, rendiconti su carta bollata dei due Depositi gestiti da fra Cortiglioni ed alimentati con le offerte raccolte da fra Orsenigo.
269 - Cf. AGF, "Verbali del Definitorio Generale dal 1877 al 1896", seduta del 28 dicembre 1887. In quel momento il Cardinale Protettore dei Fatebenefratelli era Lucido Maria Parocchi, in automatica conseguenza del suo incarico come Vicario Generale del Papa dal marzo 1884 alla fine del 1899; passerà poi vescovo di Albano ed a motivo di tale nuovo incarico sarà proprio lui a benedire nel 1890 la prima pietra dell'Ospedale di Nettuno; egli era nato a Mantova nel 1833 e morirà a Roma nel 1903.
270 - Idem, seduta del primo agosto 1888.
271 - Idem, seduta del 2 febbraio 1889.
272 - Cf. AGF Nettuno, cartella "Cause Giudiziarie", fasc. 3, Avv. Carlo Scotti, "Comparsa Conclusionale del 28 febbraio 1911", pp. 4-5. |