Dopo emessa la Professione Semplice, fra Orsenigo fu lasciato di Comunità all'Isola Tiberina e ben presto la sua attività ospedaliera vi divenne così apprezzata ed insostituibile, che assolutamente mai i Superiori presero in considerazione l'ipotesi di trasferirlo in qualche altra Comunità.
In ossequio a precise direttive canoniche, certamente non gli poterono affidare concrete responsabilità nell'ospedale Tiberino prima di quel 9 agosto 1868 in cui terminò il suo Noviziato, ma è difficile fissare una data esatta per l'inizio del suo prodigarsi non più solo genericamente in campo infermieristico, ma specificamente in quello odontoiatrico. Su questo punto i dattiloscritti di Englefield e di Benassedo restano purtroppo vaghi.
L'Englefield contiene a riguardo un semplice accenno, privo di qualsiasi riferimento cronologico (180): "Un giorno, cercando di cavare un dente, con sua gran sorpresa si accorse che riusciva molto bene, anzi in un modo prodigioso, tanto che si determinò a ripetere la prova ed andandogli sempre bene, capì chiaro che Dio visibilmente lo aiutava". Vien però da pensare che il momento in cui fra Orsenigo scoprì questa sua straordinaria abilità, vada collocato a quand'era ancora in Toscana, poiché lo strumentario esclusivamente dentistico che da Firenze portò a Roma, dimostra quanto ormai abituale fosse già divenuto per lui estrarre denti.
Un po' più dettagliato è il Benassedo (181), che così racconta la definitiva conferma avuta a Pusiano della vocazione dentistica e la profezia del futuro immenso successo: "Nel maggio 1870 io mi trovavo in casa del Parroco di Pusiano. L'Angiolina pochi anni indietro, poiché soffriva di gran dolori di denti, passando un Cappuccino per la cerca, si fece da lui estrarre il dente. L'operazione riuscì però talmente male e le si gonfiò il viso così straordinariamente, che vi si dovettero applicare sei sanguisughe. Ora mentre io mi trovavo presente, venne a dolere ad Angiolina un altro dente. Io mi offersi d'estrarglielo, ma, rammentando la cosa accaduta pochi anni addietro, ella si dimostrava un poco titubante. Allora dissi all'Angiolina: vai in Chiesa da Gesù Sacramentato e dimandagli cosa devi fare. Essa andò subito, ritornò e disse che Gesù le aveva detto di farsi estrarre pure il dente da me, e l'operazione riuscì benissimo. L'Angiolina disse, per rivelazione, che Gesù l'aveva avvertita di applicare un impiastro di farina di lino sulla guancia, che il giorno dopo ella sarebbe completamente guarita. E così fu. Anche alla Teresa estrassi un dente. Dopo aver estratto il dente all'Angiolina, questa disse: verrà un giorno che quasi tutta Roma cercherà di estrarsi i denti da te, e ricordati che in convento avrai molte spine, contraddizioni e dispiaceri; e nel mondo avrai molte rose e sarai molto lodato; ma però tu devi stare sulla strada della giustizia, e dovrai dire sempre: tutto è di Dio, io sono nulla. E quando ti vorranno fare elogi, devi sempre rispondere che tu sei niente ed è tutta opera di Dio. E quando tratterai con donne, sta molto cauto nel parlare, che allora il Signore ti libererà da molte tentazioni. Se sarai poi cauto, specialmente con quelle vivaci, avrai molte tentazioni, e le preverrai con pregare Gesù e Maria ed i Santi onde tu ne sia liberato. Allora tu trionferai da tutte le tentazioni e compirai i disegni di Dio con maggior Sua gloria".
Spigolando nella massa di pubblicazioni uscite su fra Orsenigo, ce n'è una sola, ma fra le più antiche e risalente perciò a tempi in cui ancora vivevano dei testimoni, la quale fornisce date ben concrete sull'inizio della sua attività odontoiatrica all'Isola Tiberina. Si tratta di un articolo che fu pubblicato nel 1919 nella speciale rubrica "In margine" da un giornale milanese (182) e nel quale tra l'altro si legge testualmente: "A Roma dal 1867 cavò denti nei conventi e dal 1870 li cavò pubblicamente".
Risulta pertanto che a Roma l'attività odontoiatrica di fra Orsenigo cominciò già nel 1867 ma, certo a motivo del suo stato di Novizio che non gli consentiva di assumere un impegno ufficiale di lavoro in Ospedale, fu limitata inizialmente all'estrarre denti in maniera privata a molti religiosi della città, recandosi nei loro Conventi; tale settoriale saltuaria attività continuò poi sempre, tanto che si ritenne di doverla menzionare nel testo che, come di consueto, fu inserito alla sua morte nel Necrologio della Provincia Romana dei Fatebenefratelli alla data del 15 luglio 1904, testo che doveva obbligatoriamente essere conciso e che fu il seguente (183): "R. P. Giovanni Battista Orsenigo, d'anni 67 e di Professione 36. Chirurgo Dentista, esercitò la sua opera gratuita a' molti Istituti, fu amato da tutti nel suo carattere franco e semplice, ebbe anche molta influenza nelle Amministrazioni Comunali e Provinciali".
Sempre secondo l'articolo milanese del 1919, solo dal 1870 fra Orsenigo avrebbe aperto al pubblico un Ambulatorio nell'Ospedale dell'Isola Tiberina. Non è specificato il mese, ma appare probabile che fu posteriormente a quella memoranda mattina del 20 settembre 1870 quando, dopo sei ore di battaglia, i bersaglieri irruppero per la Breccia di Porta Pia, ponendo fine allo Stato Pontificio. Il Papa fu relegato nella Città Leonina, ma i Religiosi rimasero nei loro Conventi e quelli dell'Isola Tiberina si prodigarono nell'assistere i feriti ed i malati dell'esercito invasore, mettendo a gratuita disposizione l'intera Sala Amici che accolse, coi loro attendenti, 14 ufficiali piemontesi, l'ultimo dei quali fu dimesso il 13 maggio 1871. Altri militari furono accolti dai Fatebenefratelli nei loro vicini Ospedali di Tivoli, Velletri, Tarquinia, Civitavecchia e Frascati (184).
La destinazione per così lungo tempo dell'intera Sala Amici ad esclusivo uso militare comportò la perdita del contributo alle spese di degenza, che l'Opera Pia Amici usava versare regolarmente ai Fatebenefratelli per i malati di tale Sala, sicché sembra logico che si cercasse di avviare qualche altra attività che garantisse, sia pure sotto forma di spontanea donazione, nuove entrate che andassero a bilanciare almeno un poco le pesanti spese di gestione dell'Ospedale.
In effetti, l'Ambulatorio Dentistico di fra Orsenigo incontrò tale successo che, per evitare la quotidiana ressa dei suoi clienti all'interno dell'Ospedale, i Superiori decisero di collocarlo in un locale attiguo alla Sacrestia e che aveva il vantaggio di aprire direttamente sulla strada (185), giusto accanto a Ponte Fabricio, tra la spalletta di questo ed il portone della Chiesa di San Giovanni Calibita; un tendone di tela grezza proteggeva l'ingresso e per segnalare l'Ambulatorio vi figurava a caratteri cubitali il cognome del frate, che i popolani, poco avvezzi a quell'appellativo brianzolo, storpiavano pronunciandolo sdrucciolo, forse per assonanza con la parola arsenico, e spesso, non so se in omaggio alla ben nota facezia romanesca che non rispetta neppur Papi e Sovrani, addirittura cambiandone l'iniziale e facendolo così divenire "Arsènigo", che è l'usuale nomignolo con cui ancor oggi i vecchi romani tramandano il ricordo di colui che, per dirla in dialetto con il poeta romanesco Amilcare Pettinelli (186), rimase famoso come "er cacciadenti auffa de 'na vorta".
L'ambiente dato come Ambulatorio a fra Orsenigo, corrispondeva nientemeno all'angolo d'ingresso di un tempio romano dedicato nel 194 a. C. a Giove Giurario (187) e poi trasformato in epoca cristiana in un'abbastanza spaziosa chiesa, tanto che nel 1119 vi si radunò il popolo romano per convalidare l'elezione di Papa Callisto II. In seguito, sembrando spropositata ai Fatebenefratelli l'ampiezza dell'edificio, ridussero lo spazio di culto alla sola navata centrale, che era delimitata da superbe colonne di granito, finite pertanto ingloriosamente inglobate in quello che divenne il muro perimetrale della chiesa. L'antica navata sinistra del tempio romano divenne un corridoio, ancor oggi utilizzato per raggiungere il cortile dell'Ospedale e lungo il quale fu aperto un accesso laterale alla chiesa per comodo dei malati; la navata destra del tempio divenne nella sua parte finale la Sala Capitolare, oggi chiamata Sala Verde, nella quale le ristrutturazioni eseguite nel 1934 resero visibili due delle colonne rimaste inglobate nel muro della chiesa; la parte intermedia di tale navata laterale fu invece adattata a sacrestia, mentre la primissima parte della navata fu lasciata in comunicazione con la chiesa e trasformata in cappellina laterale, in cui trovò ricetto la veneratissima immagine della Madonna della Lampada (188); ma sul finire del Seicento si decise di chiudere tale cappellina laterale della Madonna, al cui dipinto fu semplicemente riservato un altare, e lo spazio della cappellina fu utilizzato per dare alla sacrestia un suo accesso diretto sulla strada.
Se la decisione di assegnare a fra Orsenigo un pezzo della sacrestia fu dettata semplicemente dal desiderio di evitare all'interno dell'Ospedale la ressa dei suoi pazienti, quando nel 1878 accadde che il Municipio di Roma prese in possesso l'intero complesso edilizio, la scelta si rivelò provvidenziale, in quanto tale locale venne considerato appartenente alla sacrestia e l'attività caritativa che vi svolgeva fra Orsenigo sfuggì alla gestione pubblica di tutti i restanti ambienti dell'Ospedale Tiberino. La legge prevedeva infatti due possibilità di utilizzo degli edifici ecclesiastici confiscati dal Demanio, essere venduti a privati, oppure ceduti al Comune per pubbliche finalità, ed è grazie a questa seconda possibilità che il Comune di Roma ottenne il complesso edilizio dei Fatebenefratelli all'Isola Tiberina perché servisse da Ospedale pubblico, ponendovi proprio personale direttivo, ai cui ordini i frati si offrirono di continuare ad assistere gli infermi; quando nel complesso edilizio c'era una chiesa, la possibilità era ugualmente duplice, ossia poteva essere sconsacrata e venduta, oppure il Comune, in base a ragioni di culto, poteva chiedere che divenisse chiesa pubblica, la qual cosa avvenne per la Chiesa di San Giovanni Calibita, che il Comune ritenne necessaria alle esigenze di culto dei pazienti ricoverati nell'Ospedale e lasciò affidata agli stessi sacerdoti che già vi erano, per cui fra Orsenigo fu l'unico che poté continuare a lavorare alle dipendenza dei suoi vecchi Superiori.
A parte questi successivi vantaggi d'ordine esterno, Fra Orsenigo, che si distinse sempre per una fervida devozione mariana, fu comunque fin dal primo momento ben lieto di lavorare in un angolo di sacrestia situato muro a muro con l'altare della Madonna della Lampada, anche se il locale, innicchiato com'era tra intoccabili strutture ultramillenarie e lambito dal Tevere, non aveva alcuna possibilità di espandersi e pertanto fu impossibile dotarlo di sala d'attesa: quando fra Orsenigo al mattino spalancava il portone, i primi arrivati sostavano giusto al riparo della tenda, assai simile a quella di una bottega di caffè, mentre gli altri si sparpagliavano sul marciapiede e lungo Ponte Fabricio, popolarmente chiamato Ponte Quattro Capi (189).
Quella coda all'aperto rimase indelebile nel ricordo di Piero Scarpa, che in un articolo (190) su fra Orsenigo racconta il suo disappunto quando da ragazzo, essendo andato all'Isola Tiberina a farsi togliere due denti dal frate, costui non volle levarglieli uno dopo l'altro, ma gli impose per il secondo dente di rimettersi in fila sulla strada, anche se era una giornata piovosa.
Da profano, Scarpa non si rese conto che quell'intervallo era necessario per dar tempo alla muscolatura boccale di rilassarsi e rendere così meno dolorosa la seconda estrazione. Suppongo che in un angolino del suo cuore dovette serbare un certo astio per fra Orsenigo, visto che nel suo articolo ne ricorda la metodica estrattiva con tinte caricaturali, che a noi del nuovo millennio appaiono ancor più caustiche, mancandoci un qualsiasi punto di riferimento per valutare forzature e distorsioni. Questa la sua vivace descrizione: "Più che curiosità, destavano pietà quei popolani, uomini, donne e ragazzi che ogni mattina attendevano in coda, affollando il breve tratto della piazzetta di San Bartolomeo e alcuni tratti del ponte Quattro Capi, il loro turno comprimendosi le guancie con il fazzoletto per attutire il dolore che li tormentava. Il paziente entrava in quella specie di bottega adattata a sala operatoria dalla porta a vetri che dava direttamente sulla strada e subito veniva accolto con cordialità dal frate, il quale rapidamente ed energicamente gli apriva le mandibole a scopo di esplorazione. Gli rivolgeva qualche domanda e toccando le gengive cercava d'indovinare il dente che doveva estirpare, raccogliendo l'assicurazione dell'interessato che il più delle volte, invece di stare seduto sul seggiolone di cuoio, forse perché non lo sciupasse, era tenuto all'impiedi. Poi si voltava, afferrava la tenaglia del tipo che riteneva utile al caso appoggiata su una mensola e stringendola in pugno la nascondeva dietro la schiena. Con la mano sinistra copriva la parte superiore della faccia del cliente in modo che non vedesse, e gli piegava con violenza la testa all'ingiù. Un attimo gli era sufficiente per imprigionare il dente nella tenaglia, scardinare la radice biforcuta dalla morsa della gengiva che la stringeva ed agitando il polso verso destra e sinistra giungeva con impeto alla fase finale, cioè all'estrazione".
Oggigiorno, abituati come siamo a sedute dentistiche affrontate comodamente adagiati su poltrone irte di attrezzature elettroniche e beneficiando di procedure analgesiche sempre più sofisticate, i toni troppo sarcastici di Scarpa rischiano di farci giudicare fra Orsenigo un istrione senz'arte né parte. Se però andiamo a leggerci qualche testo odontoiatrico del tempo, scopriremo la professionalità delle procedure adottate da fra Orsenigo, quale, ad esempio, il preferire che il paziente restasse in piedi durante l'estrazione dentaria invece di farlo accomodare sul seggiolone di cuoio; in un Manuale, che certamente fra Orsenigo conobbe poiché ne era autore il chirurgo che svegliò nel suo cuore la vocazione ospedaliera (191), s'ammonisce infatti di non utilizzare sedie durante l'estrazione dei denti, facendo eccezione unicamente per le donne in gravidanza.
D'altra parte, la stima universale di cui godeva l'Orsenigo, non solo dalle classi sociali più modeste che non avevano allora altra risorsa che lui, ma anche da personaggi al vertice della società romana, fa escludere che le sue metodiche fossero anche solo lontanamente istrioniche.
In quello che è uno dei più antichi profili biografici di fra Orsenigo, lo scrittore Giuseppe Petrai (192), noto come brillante rievocatore della Roma Umbertina di fine Ottocento, dettaglia i nomi di alcuni di questi clienti di maggior spicco di fra Orsenigo, attestando che costui "possedeva fotografie con firma autografa di Leone XIII, di Quintino Sella, di Ruggero Bonghi, di Menotti Garibaldi (193), di Giosue Carducci, della Principessa ereditaria di Svezia e Norvegia (194), di Donna Laura Minghetti, di Adelina Patti". Da un'antica fonte spagnola risulta che tra i clienti di fra Orsenigo v'era perfino la Regina Madre, Margherita di Savoia (195).
Grazie ai messaggi ed ai preannunzi delle veggenti di Pusiano, fra Orsenigo aveva valide ragioni per umilmente ritenere opera di Dio il proprio immenso successo professionale, ma egli lo raggiunse senza dispiego di prodigi soprannaturali, il che ci consente di individuare le circostanze concrete attraverso le quali il Signore, che normalmente agisce inavvertito all'interno della storia, guidò al successo il frate.
Una di queste circostanze fu certamente la particolare situazione sociale della Roma del suo tempo. Con il trasferimento della Capitale da Firenze a Roma e l'entrata in funzione dei vari Ministeri con tutto il loro vasto personale, la popolazione dell'Urbe andò più che raddoppiandosi (196), senza che crescessero di pari passi i servizi sociali ed assistenziali, per cui le turbe di piccoli impiegati, non potendo affrontare le tariffe odontoiatriche dei pochi studi professionali, non avevano altra risorsa che l'Ambulatorio Gratuito di fra Orsenigo, come ben fece notare il cronista de "Il Messaggero" nel trafiletto funebre (197) in cui, precisato che "il vecchio frate era popolarissimo a Roma, dove da circa un quarto di secolo nel suo gabinetto dentistico all'isola di S. Bartolomeo, prestava gratuitamente o quasi la sua opera di dentista a pro dei sofferenti", aggiunse che "ora ci sono i gabinetti dentistici popolari, dove si spende poco; ma fino a qualche anno fa i dentisti a Roma erano ancora pochi, e le loro tariffe erano assai elevate".
A questa necessità sociale fra Orsenigo, guidato dalla premura del Signore per i diseredati e stimolato dalla beatitudine che Egli promette nel salmo 41 a chi si prende cura di loro, seppe rispondere con grande generosità non solo in termine di tempo, prodigandosi in Ambulatorio senza limiti d'orario, ma anche preoccupandosi quotidianamente fino alla vecchiaia di mantenere in splendida forma la propria muscolatura, così necessaria nel suo lavoro.
Le innumerevoli ore spese in Ambulatorio divennero un'altra ragione del suo successo, poiché acquisì una straordinaria sensibilità nelle dita, che gli rendeva facile intuire il corretto asse di trazione lungo il quale far forza per estrarre il dente, riducendo quindi al minimo la sofferenza del paziente.
Altrettanto importante fu il costante impegno a mantenere in forma la muscolatura che il Signore gli aveva donato. Come attesta infatti Petrai (198), fra Orsenigo "tutte le mattine, dopo un bagno ghiaccio, si esercitava un quarto d'ora a roteare una specie di clava del peso di una diecina di chili". Non meraviglia dunque che conseguisse una presa talmente erculea da spesso consentirgli, già in fase esplorativa, di rimuovere i denti direttamente con le dita, senza ricorrere all'ausilio di pinze, la cui sola vista ben sappiamo quanto terrorizzi i pazienti, irrigidendone la muscolatura ed ingigantendone di conseguenza il dolore: in un'epoca nella quale non era ancora diffuso il ricorso all'anestesia, l'imprevista ed istantanea estrazione a mani nude smussava drasticamente un trauma che nella psicologia della gente era tra i più paventati, al punto che l'espressione "togliersi un dente" è stata scelta ad indicare tutto ciò che vorremmo posporre per la tremenda sofferenza che sappiamo ci costerà, ma che non ci è dato di ulteriormente rinviare.
Considerando che il merito di quanto operava apparteneva al Signore, fra Orsenigo ritenne giusto che restasse della propria attività odontoiatrica qualche memoria esteriore, che desse gloria a Dio. Se per i clienti famosi tale memoria poteva esser costituita dalla loro foto con dedica, per la moltitudine dei clienti ordinari gli sembrò che il modo più semplice fosse di conservare tutti i denti che estraeva. Petrai (199) narra d'aver visto nell'Ambulatorio di fra Orsenigo "tre enormi casse della capacità di quasi un metro cubo, piene zeppe di denti cavati da lui, e divenuti col tempo di un giallo scuro, somiglianti a grossi chicchi di caffè crudo. In una vetrina poi stavano esposti i denti più strani e mostruosi, denti doppi, storti, dalle radici enormi e contorte, e persino dei pezzi di ganasce con due o tre denti attaccati". L'articolo milanese del 1919 ce ne precisa il numero, affermando (200) che "fino al 1888, ne aveva raccolti due milioni settecento quarantaquattro". In un articolo del 1930 Ceccarius (201) affermava che tale cifra fosse stata invece raggiunta nel 1903: tale data continua ad essere citata fino ad oggi ed è finita perfino nel Guinness dei primati (202).
Un confratello che conobbe molto bene fra Orsenigo, scrisse nel 1907 un articolo in spagnolo, nel quale così precisò il peso e l'ingloriosa fine di quei denti (203): "Davvero dispiace pensare che non tutti quei denti (più di 120 kg) si conservino. Qualche mano incosciente li gettò a Tevere, mentre con essi si sarebbe dovuto innalzare un monumento al più celebre dei dentisti. Nessuno della vecchia Roma avrebbe rifiutato di contribuire a tale originale ricordo in onore di fra Giovanni Battista Orsenigo, considerato che ben pochi se ne incontrerebbero che non siano stati da lui beneficati".
Quegli oltre due milioni di denti finirono davvero nelle acque del Tevere, che sciabordavano sornione sotto la finestra dell'Ambulatorio Tiberino? Secondo un giocoso articolo di Scarpelli (204), a convincere fra Orsenigo a gettare lui stesso a Tevere le tre casse di denti, fu un suo buon amico, il dentista Moretti (205), che aveva lo studio in Via del Tritone. Sorge però il dubbio se fra Orsenigo abbia davvero messo in atto il suggerimento o quantomeno se chi ipoteticamente fu da lui incaricato di gettarli a Tevere, abbia eseguito davvero l'ordine oppure abbia preferito provare a trarne qualche utile personale: il collega Timoteo Galanti m'ha infatti raccontato (206) che una ventina d'anni or sono, trovandosi a New York, volle visitare l'Empire State Building e non avendo velleità agonistiche di salire a uno a uno i 1.576 gradini che portano in cima al grattacielo, s'avviò agli ascensori; al momento d'entrarvi, s'accorse che accanto ad essi c'era una Sala d'Esposizioni e volle dargli una guardata, notando con sorpresa che v'era una capace cassapanca piena di denti ed un cartellino che spiegava che erano stati estratti da un dentista ospedaliero romano: pare abbastanza fondato sospettare che fossero quelli di fra Orsenigo, sfuggiti al tuffo e portati oltre oceano come insolito souvenir di qualche turista yankee, cui erano stati venduti alla chetichella.
180 - Cf. J. A. ENGLEFIELD, APP, p. 3.
181 - Cf. P. BENASSEDO, APP, p. 464. Si noti che il brano qui riportato inizierebbe con la data di maggio 1876, ma fu certo una svista di don Benassedo nel battere a macchina il manoscritto di fra Orsenigo, scambiandovi per un sei lo zero finale dell'anno. In base ai dati contenuti nel brano successivo, il 1876 risulterebbe troppo tardivo, poiché già nel 1875 fra Orsenigo era divenuto così famoso da suscitare invidie e ricatti. L'anno 1870 è l'unico accettabile nella decade, perché in sintonia con altre fonti.
182 - Cf. "Un frate dentista" in "L'Italia" (Milano), a.VII, n. 342, sabato 13 dicembre 1919, p. 2, colonna 6. Tale articolo, rimasto a lungo ignorato, fu di recente riprodotto integralmente in Giuseppe MAGLIOZZI, "L'esame di abilitazione di fra Orsenigo", in "Il Melograno", a. VI, n. 9, 10 giugno 2004, pp. 1-2.
183 - Nell'odierna edizione di tale Necrologio il testo è stato così modificato: "Devotissimo della Madonna del Buon Consiglio, ottenne che Leone XIII inserisse tale invocazione nelle Litanie Lauretane. Divenne celebre come Dentista all'Isola Tiberina, dove fu di Comunità per 37 anni. Con le offerte che raccolse tra i suoi pazienti venne edificato il Sanatorio di Nettuno, che volle intitolato alla Madonna del Buon Consiglio, anche se popolarmente divenne noto come Ospedale Orsenigo. Fu sepolto a Nettuno, di cui aveva ricevuto per gratitudine la cittadinanza".
184 - Cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "L'assistenza prestata dai Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina agli Ufficiali feriti nei combattimenti del 20 settembre 1870", in "Vita Ospedaliera", a. XXVI, n. 11, nov. 1971, pp. 264-272; cf. anche Giuseppe MAGLIOZZI, "Nel centenario di Roma capitale. L'Ospedale Tiberino e i feriti di Porta Pia", in "Fatebenefratelli" (Milano), a. XXXVI, nn. 8-9, agosto-settembre 1971, pp. 443-454.
185 - Che il locale con accesso diretto sulla strada fosse stato dato a fra Orsenigo per evitare ressa in Ospedale ce lo conferma J. A. ENGLEFIELD, APP, p. 5.
186 - Questi gli ultimi cinque versi del suo sonetto "Ponte Quattro Capi", pubblicato in "Vita Ospedaliera", Roma, a. XV, n. 3, marzo 1960, p. 90: Quanno scavarco e sto a li Bonfratelli / accosto a San Giovanni Calibita, / passo e aricordo sempre quela porta / de fra Orsenìgo de li poverelli, / er cacciadenti auffa de 'na vorta! Un altro noto sonetto romanesco dove si cita "er frate che fa er cavadenti" è quello di Valentino BANAL intitolato "Isola Tiberina" e pubblicato nel suo libro "Quarantotto cartoline romane", Tip. Capitolina, Roma 1923, p. 11. Quanto al termine auffa, in dialetto romano sta per gratuito: il termine deriva dalla sigla A.U.F. (= Ad Usum Fabricae) che era posta sui materiali edilizi destinati all'interminabile fabbrica della Basilica Vaticana, in modo che ai varchi del Dazio passassero gratuitamente, senza pagare imposte.
187 - Giurario significa "garante del giuramento". Sulle vicende del tempio cf. Romolo Augusto STACCIOLI, "L'Isola Tiberina nell'antichità. Storia e archeologia", in AA. VV. "L'Isola della Salute. L'Isola Tiberina dall'antichità ai nostri giorni", Pool Grafica Ed., Roma 1996, pp. 58-59.
188 - Si tratta di un affresco duecentesco, sito inizialmente in un'edicola prospiciente il Tevere, dove durante l'inondazione del 1557 fu raggiunto dall'acqua, che coprì la lampada, ma senza spegnerla, per cui da tal prodigio nacque il nome dell'immagine; fu poi trasferita all'interno della Chiesa, dove i Fatebenefratelli presero dal 1663 l'uso di radunarsi ogni sabato sera intorno al suo altare per cantarvi le Litanie Lauretane (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "La Madonna della Lampada. Da mezzo secolo riaffacciata sul Tevere", in "Vita Ospedaliera", a. XXXVIII, n. 2, febbraio 1983, pp. 23-26; cf. anche Giuseppe MAGLIOZZI, "La Madonna della Lampada. Nel II Centenario del prodigio", in "Vita Ospedaliera", a. LI, n. 9, settembre 1996, pp. 12-13). La Festa si celebra il 9 luglio per ricordare il 9 luglio 1796, quando durante la recita delle Litanie l'immagine prese a muovere gli occhi ed il prodigio si ripeté fino ad ottobre e fu riconosciuto dalla Chiesa (cf. Vittorio MESSORI - Rino CAMMILLERI, "Gli occhi di Maria", Rizzoli, Bergamo 2001, pp. 86-87).
189 - Fabricio era il curator viarum Lucio Fabricio che l'edificò nel 62 a. C.; la denominazione Quattro Capi, rinforzata dalla collocazione di due erme quadrifronti sulla spalletta del ponte, pare derivi dalla prima sinagoga erettavi nelle vicinanze all'indomani della diaspora ebraica. Cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Perché Ponte Quattro Capi", in "Vita Ospedaliera", a. XL, n. 12, dicembre 1985, pp. 189-191.
190 - Cf. Piero SCARPA, "Fra Orsenigo, cavadenti di classe", in "Strenna dei Romanisti", vol XIV, Roma 1953, pp. 183-185; tale articolo figura integralmente riprodotto in appendice in Giuseppe MAGLIOZZI, "La tecnica estrattiva di Fra Orsenigo", in "Il Melograno", a. VI, n. 5, 29 marzo 2004, pp. 15-16.
191 - Mi riferisco al celebre chirurgo fra Benedetto Nappi, che non disdegnò di praticare anche l'odontoiatria, sicché nel dare alle stampe un fortunato Manuale di tecnica operatoria, riservò uno dei 65 capitoli all'estrazione dei denti. Cf. Benedetto NAPPI, "Il giovane chirurgo agli atti operativi", Tip. Pallotta, Roma 1857, pp. 36-39; tale capitolo figura integralmente riprodotto in appendice in G. MAGLIOZZI, "La tecnica
cit., pp. 9-10.
192 - Cf. Giuseppe PETRAI, "Santo sganassone!", in "Roma sparita: figure e figurine", Ed. Bietti, Milano 1939, pp. 225-228; tale profilo figura integralmente riprodotto in appendice in G. MAGLIOZZI, "La tecnica
cit.", pp. 11-12.
193 - Era il primogenito di Anita e Giuseppe Garibaldi ed uno dei personaggi di spicco della politica del tempo, al pari dei ministri Quintino Sella e Ruggero Borghi, nonché del marito della Minghetti, anch'egli ministro; Adelina Patti era invece una celebre cantante. Secondo Ceccarius, fra Orsenigo conservava nella sua cella anche le foto con dedica dell'ammiraglio Ferdinando Acton, del ministro Michele Coppino, del drammaturgo Pietro Cossa, dello scultore Giulio Monteverde, dell'attore Cesare Rossi e della cantante Stella Bonheur (cf. CECCARIUS [Giuseppe CECCARELLI], "Fra Orsenigo: la leggenda", in "Vita Ospedaliera" a. VIII, n. 4, luglio-agosto 1953, pp. 97-99).
194 - Si tratta della principessa Eugenia, la cui madre, milanese di nascita ma regina di Svezia dal 1844 al 1859, era la primogenita di Eugenio di Beauharnais, il viceré di Milano che lasciò legato il suo nome al più bel palazzo di Pusiano, che s'era scelto per villeggiarvi.
195 - Cf. Luciano DEL POZO, "Caridad y Patriotismo", Ed. Luis Gili, Barcellona 1917, p. 64. Un'eloquente conferma indiretta di questa asserzione ce la offre la contabilità dell'Ospedale che fra Orsenigo fondò a Nettuno: al 6 maggio 1901 è registrata un'entrata di cento lire quale "incasso per offerta da Sua Maestà la Regina Madre e solita a darsi a P. Orsenigo per la festa di Maria SS.ma del Buon Consiglio" (cf. AGF fondo Affari e Corrispondenza, sezione Provincia di Roma, sottosezione Ospedale "B.M.V. del Buon Consiglio" Nettuno (d'ora in poi AGF Nettuno), registro "Cassa. Giornale Entrate-uscite 1900-1901", p. 45).
196 - Da 213.633 abitanti nel 1871, salì a 315.971 nel 1885; a 379.759 nel 1890; a 401.866 nel 1895; a 432.215 nel 1900; a 459.129 nel 1904. Cf. Comune di Roma. Ufficio di Statistica e Censimenti, "Roma, popolazione e territorio dal 1860 al 1960: con la distribuzione territoriale dei risultati dei censimenti", Roma 1960, pp. 21-23.
197 - Cf. "E' morto Padre Orsenigo" in Cronaca di Roma de "Il Messaggero", sabato 16 luglio 1904, p. 3.
198 - Cf. G. PETRAI, "Santo
cit.", p. 225-226.
199 - Idem, p. 225.
200 - Cf. "Un frate dentista" in "L'Italia", a.VII, n. 342, 13 dicembre 1919, p. 2, colonna 6.
201 - Cf. CECCARIUS [Giuseppe CECCARELLI], "Figure dell'Isola Tiberina. Frate Orsenigo", in "La Tribuna", Roma, 17 agosto 1930, p. 6.
202 - Si tratta di un libro, oggi intitolato Guinness World Records, che esce ogni anno in varie lingue con elencati ogni tipo di record ed apparve la prima volta a Londra nel 1955 per iniziativa della Guinness, la nota marca irlandese di birre, come un prontuario per dirimere le scommesse tra i clienti delle birrerie. Nel 1972 l'edizione londinese del Guinness Book of Records riportò a p. 23 nella voce DENTITION il seguente testo: "Most dedicated dentist: Brother Giovanni Battista Orsenigo of the Ospedale Fatebenefratelli, Rome, Italy, a religious dentist, conserved all the teeth he extracted in three enormous cases during the time he exercised his profession from 1868 to 1904. In 1903 the number was counted and found to be 2,000,744 teeth". (Il dentista più attivo: Fra Giovanni Battista Orsenigo, un frate dentista dell'Ospedale Fatebenefratelli di Roma in Italia, conservò in tre enormi casse tutti i denti che estrasse mentre esercitò la professione dal 1868 al 1904. Il loro numero fu contato nel 1903 e risultò di 2.000.744 denti).
203 - Cf. Martino GUIJARRO, "Bajo el sol del Lacio", in "El Archivo Religioso Hospitalario", San Baudilio de Llobregat (Barcelona), tomo I, a. 1907, pp. 51-52. Per una traduzione di questo articolo cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Nuovi dati su fra Orsenigo", in "Il Melograno", a. IV, n. 11, 6 agosto 2002, pp. 11-12.
204 - Nato a Napoli nel 1870 e morto a Roma nel 1933, lo Scarpelli, oltre che valente novelliere ed umorista, fu uno dei principali illustratori del periodico satirico "Il Travaso delle Idee", da lui fondato a Roma nel 1900 assieme a Carlo Montani e che uscì fino al gennaio 1962. Nell'articolo su fra Orsenigo (cf. Filiberto SCARPELLI "Macchie e macchiette romane. I denti dell'Isola Tiberina" in "Il Corriere", Roma, 24 settembre 1930) egli inserì anche due suoi disegnini, uno dei quali allude alla proposta di gettare a fiume l'ormai troppo ingombrante collezione di denti. Il testo dell'articolo figura integralmente riprodotto in appendice in G. MAGLIOZZI, "La tecnica
cit.", pp. 11-12.
205 - Lo spirito burlone di Scarpelli potrebbe aver inventato di sana pianta l'episodio ed ho pertanto provato a verificare la reale esistenza di questo Moretti presunto amico di fra Orsenigo, scoprendo che c'era davvero a Roma un dentista Benedetto Moretti che aveva lo studio in Via del Tritone Nuovo 197 e che nei frequenti annunzi pubblicitari (ad es. a p. 191 della Guida Monaci del 1904 oppure a p. 3 de "La Voce della Verità", a. XXXIV, n. 96, mercoledì 27 aprile 1904) amava sottolineare d'essere il dentista di fiducia di svariati Conventi e Monasteri.
206 - Cf. G. MAGLIOZZI, "La tecnica
cit.", p. 1. |