Firenze fu una delle prime città italiane raggiunte dai Fatebenefratelli. Padre Juan Alfonso Polanco, segretario di Sant'Ignazio di Loyola, nel dettare la biografia del Santo cita la loro presenza (110) già nell'estate del 1556 alla corte della duchessa di Firenze, la spagnola Eleonora di Toledo (1519-1562), figlia del Viceré di Napoli, don Pietro di Toledo, e sposatasi nel 1522 col duca Cosimo I de' Medici, che diverrà nel 1570 il primo Granduca di Toscana.
L'attività ospedaliera iniziò però solo nel 1587. In un diario manoscritto contemporaneo, oggi conservato nella raccolta Magliabecchi della Biblioteca Nazionale di Firenze, troviamo annotato nell'aprile 1587 il loro arrivo in città (111) e nel marzo 1588 il loro insediarsi nella definitiva sede in Borgo Ognissanti (112), richiesta da fra Diego Villar de Belos (113) e concessa loro dal Granduca di Toscana Ferdinando I per la duplice intercessione dell'arcivescovo di Firenze, il cardinale Alessandro de' Medici, e della giovanissima nipote del Granduca, Maria de' Medici (114).
In Borgo Ognissanti i Fatebenefratelli ricevettero in consegna l'antico Ospedale di Santa Maria dell'Umiltà, fin'allora gestito dai Capitani della Compagnia Maggiore di Santa Maria del Bigallo e che era stato fondato verso il 1382 nel proprio palazzo dal mercante e setaiolo Simone Vespucci (115), morto il 19 luglio 1400 e prozio del famoso Amerigo Vespucci, l'unico uomo che abbia meritato di dar il proprio nome ad un intero continente (116).
L'ospedale a partire dal 1701 fu notevolmente ristrutturato dall'architetto Carlo Andrea Marcellini (117), cui si deve l'attuale splendida Chiesa, nella quale volle poi essere sepolto (118). Un successivo importante ampliamento dell'Ospedale fu voluto dal milanese fra Jacopo Resnati, in quel tempo Priore di Firenze, che nel 1735 poté inaugurare per la festa di Pentecoste, che quell'anno cadeva il 29 maggio, una nuova e più funzionale Sala di 40 letti (119).
Quando nel giugno 1863 l'Orsenigo mise per la prima volta piede in Borgo Ognissanti, certamente fu colpito dall'eleganza delle facciate dell'Ospedale e della Chiesa, ben all'altezza di quella Firenze città d'arte, che con ammirazione aveva appena cominciato a percorrere. Ma molto più lo colpì il monumentale atrio dell'Ospedale (120), con ai piedi della duplice scalinata le statue della Fede e della Speranza ed in cima, invece della statua della Carità, quella dell'eroe della Carità, San Giovanni di Dio, scolpita nel 1738 da Girolamo Ticciati (121). L'Orsenigo posò lo sguardo su quella statua e promise in cuor suo che avrebbe seguito il Santo sulle vie della carità.
Subito dopo la statua del Santo, un grande arco immetteva nella menzionata Sala dei malati ed in cima all'arco v'era un cartiglio latino che, citando il Deuteronomio (122), assicurava la benedizione del Signore per quanti varcavano quella soglia sia per entrare, sia per uscire. Quella Sala divenne per l'Orsenigo il suo regno e le innumerevoli volte che ne varcò la soglia risultarono davvero di benedizione per la sua vocazione ospedaliera, che ne uscì rafforzata.
Tutti in Comunità apprezzarono l'impegno del nuovo postulante, come appare dall'unanime decisione presa nei suoi riguardi ad appena cinque mesi dal suo arrivo. Nel verbale della Congregazione Conventuale del 28 novembre 1863, cui parteciparono il Priore fra Giovanni Luigi Caimi, il Vice Priore e Farmacista fra Costantino Boschi, l'altro Farmacista fra Giuseppe Tramonti, l'addetto alle medicazioni fra Bartolomeo Pezzatini, il Camerlengo di campagna fra Mariano Chiesi, il Camerlengo di città fra Ignazio Stefanacci, il Guardarobiere fra Domenico Pierattoni, il Refettoriere fra Filippo Ciulli ed i Confratelli Professi fra Domenico Romiti, fra Antonino Cibecchini e fra Modesto Fossetti, leggiamo infatti che "il Padre Priore propose di ammettere all'abito religioso i giovani Mosè Morlacchi e Innocente Orsenigo, facendo osservare che conveniva pensare ad essi, poiché già da molto tempo si trovavano fra di noi in qualità di postulanti. Fu da ognuno riconosciuta giusta tale proposta; fu convenuto che verrebbero ammessi alla vestizione, facendo peraltro precedere la visita medica, secondo le ordinazioni del Rev.mo Padre Generale" (123).
Giusto alla sera di quella fatidica riunione cominciarono gli annuali Esercizi Spirituali, ossia una speciale settimana di riflessione e di discernimento che ogni Comunità aveva l'obbligo di organizzare una volta l'anno sotto la guida di un predicatore. L'Orsenigo vi partecipò per la prima volta e durante quei giorni di speciale raccoglimento ebbe modo di fare un primo bilancio della sua nuova vita e ringraziare il Signore d'essere col suo aiuto riuscito a rispondere alle attese di tutti i Confratelli di Firenze. Nei mesi che aveva speso a lezione dal suo Parroco, i risultati erano stati deludenti, trattandosi di cognizioni teoriche che la sua memoria non riusciva a fissare; ma ora si trattava di un tirocinio pratico di assistenza professionale ai malati e ogni Confratello era rimasto compiaciuto dell'abilità con cui egli, mosso da un sincero amore ai sofferenti di cui aveva saputo fornir prova fin da quel pellegrinaggio alla Madonna del Sasso, riusciva a mettere immediatamente in pratica tutto ciò che gli insegnavano, specie nell'ambito di quella che allora era chiamata "bassa chirurgia", nella quale poteva mettere a buon frutto la notevole prestanza fisica e la gran forza muscolare, che egli per tutta la vita si preoccupò di mantenere possente, ricorrendo a quotidiani esercizi d'allenamento.
Anche con l'intellettuale della Comunità, fra Modesto Fossetti (124), egli era riuscito a stabilire un buon rapporto e fu probabilmente lui a spiegargli il senso delle numerose lapidi latine (125) esistenti in ospedale ed in Chiesa ed a narrargli i motivi d'una devozione mariana peculiare dei Confratelli di Firenze, che ogni sera in Chiesa usavano, in adempimento d'un antico voto, recarsi dinanzi all'altare laterale della Madonna del Rosario e cantarvi l'Ave Maris Stella ed il Magnificat: il voto era stato formulato per impetrare la continua protezione della Vergine e manifestarle eterna gratitudine per lo scampato pericolo di un incendio che il 12 dicembre 1724, dopo aver covato inavvertito per tre giorni nel soffitto della stanza del Priore, fu giusto in tempo notato da una dirimpettaia salita alle 3 di notte sul terrazzo della sua casa e che, visto l'improvviso divampare delle fiamme, diede subito l'allarme, consentendo così ai frati di tagliare le travi già bruciate ed impedire che l'incendio si estendesse irrimediabilmente all'intero edificio (126).
Oltre che dai suoi Confratelli, l'Orsenigo seppe apprendere anche dai volontari che, non certo nella maniera associativa dei nostri giorni, ma con sincera dedizione, frequentavano l'Ospedale. Nel citato dattiloscritto del Benassedo (127) così l'Orsenigo ricorda una delle più attive volontarie, la signora Agnese Cempini, il cui marito Cosimo fu nominato Uditore presso la Suprema Corte di Cassazione quando questa fu trasferita a Firenze, divenuta nuova capitale d'Italia (128): "Sul principio del 1864, mentre nell'Ospedale dell'Ordine di Firenze io attendevo all'assistenza degli infermi, io vedeva da più giorni una gentilissima e nobile signora entrare nella Sala degli infermi e far loro visita, ma con carità così evangelica, e con modi così delicati, premurosi e amorosi, che si vedeva veramente in essa un'anima divinizzata, e tutti rimanevano ammirati nel vedere un cuore così nobile e dolce. La visita che faceva agli ammalati era di interrogarli se occorreva loro qualcosa speciale, ovvero se volevano mandar notizie ai parenti, o ad altri; e così soddisfaceva gli ammalati di tutto cuore; per il che gli infermi ringraziavano Iddio di aver loro inviato un Angelo. Allora io, vedendo un'anima così bella di Dio, mi sentiva un'ispirazione che mi diceva: questa è un'anima che mi sembra abbia da conoscere l'Angiolina e la Teresa, e che di ciò si reputerebbe fortunata, felice, e ne ringrazierebbe il Signore. Infatti io il giorno seguente mi accostai a lei e le dissi: giacché ho la sorte, per grazia di Dio, di vederla con tanto zelo e premura a glorificare il Signore, ad attendere con tanta perfezione per la sua santificazione, le faccio conoscere che al mio paese vivono due sorelle, favorite di grazie straordinarissime da Dio. Poi le raccontai lo spirito di orazione, la frequenza quotidiana della Santa Comunione, le raccontai lo spirito di prudenza, di gran penitenza, e di una grande profonda umiltà con una grande rettitudine; che tutto ciò che dicevano e operavano era indirizzato per far la volontà di Dio, e di una semplicità che attiravano l'ammirazione di tutti. Allora la signora Cempini mi disse: io sentirò mio marito, se mi permette di andare a Pusiano a visitarla. Ma il marito le fece osservare che per andare a Pusiano, ad una distanza di trecento miglia, era una spesa troppo grande, per cui per il momento non vi pensasse: solo promise che, se un tale che da più di dieci anni doveva dargli 250 lire, che essi non potevano riavere, e già non le contavano più, se gliele avesse restituite, allora sì che l'avrebbe mandata. Come si vede, era una cosa molto difficile poterle riavere le 250 lire. Ma ecco, non erano trascorsi dieci giorni, che il debitore aveva già pagato le 250 lire ai signori Cempini senza che essi le chiedessero. Allora il marito permise alla consorte di partire, ed io la indirizzai a Milano in casa della signora Rosa Guenzati (129), affinché essa l'accompagnasse a Pusiano. Ma, cosa misteriosa, poco prima che giungesse la Cempini a Milano, vi era arrivata la Serva di Dio, Teresa. Appena giunta la Cempini dalla signora Rosa Guenzati, questa le presentò subito la Serva di Dio Teresa Isacchi, e dopo essersi scambiati semplicissimi saluti, la Serva di Dio disse alla signora Cempini: appena lei è partita da Firenze questa mattina, sua figlia entrò nella sua camera, ove lei ha un crocefisso grande e disse: oh Gesù se è vero che voi parlate a questa vostra serva, vi prego di non far loro sapere niente di me. Allora la signora disse: perché ha fatto questa preghiera che io non abbia a sapere niente di lei? La Teresa rispose: perché sua figlia tiene un peccato nascosto in confessione, e si vergogna a palesarlo. La Teresa si ritirò, e lasciò in camera sua la Cempini. La signora scrisse immediatamente a Firenze a suo marito per avvisarlo del fatto. Il marito chiamò subito la figlia, ed essa, sorpresa del prodigio, fece la confessione generale. Allora il signor Cempini scrisse a Milano alla sua signora che tutto era vero. La signora Rosa accompagnò la signora Agnese Cempini a Pusiano, dove il Parroco Don Felice Mariani la ricevette in casa sua, dove ella si intrattenne per ben otto giorni con un'ospitalità vera di cuore cristiano; ivi sperimentò le gentilezze dell'Angiolina e ella Teresa stessa. Iddio poi ricolmava il suo cuore di una dolcezza celeste, e l'intelletto glielo riempiva di lume e di una lucidezza da non potersi esprimere; tanto che la signora Agnese ebbe a dirmi: mi sembra di non vivere più in questa terra, ma nel celeste avvenire e non sarebbe più partita da quella casa. Poi la signora Agnese ritornò a Firenze; e tanto seppe riferire a suo marito di ciò che aveva veduto e sentito, che volle persuaderlo di andare nuovamente in Pusiano, dove anche il marito ebbe a gustare la vera felicità, come la sua signora. Dopo otto giorni ritornarono in Firenze di nuovo. Ma passato qualche mese, il loro pensiero, la calamita che li attirava era Pusiano, e vi ritornarono. Dopo il loro ritorno in Firenze, il distacco da questa Serva era sempre per loro così penoso, che sembrava loro di non poter più vivere senza la loro presenza. Laonde scrissero di nuovo a Pusiano al Parroco Don Felice Mariani che, se a Dio piacesse, inviasse a casa loro l'Angiolina e la Teresa, che il viaggio e qualunque altra spesa avrebbero pagato loro, poiché sembrava loro che la presenza di queste Serve di Dio in Firenze sarebbe stata un gran bene".
Abbiamo riportato quasi per intero questo lungo brano dell'Orsenigo poiché ci fa intuire, per analogia, quel che anch'egli provava in cuore e come vivo rimase il suo rapporto sia con le sorelle Isacchi, che addirittura ebbe modo di rivedere a Firenze, sia col Parroco di Pusiano e con i Guenzati ed altre persone rimaste affascinate da quel mistico Giardino della Parola, che presto ebbe un discreto gruppetto di seguaci anche a Firenze (130).
Agli inizi del 1864 l'Orsenigo ebbe la sorpresa di veder arrivare a Firenze fra Benedetto Nappi, il famoso chirurgo che aveva destato in lui il desiderio di farsi fatebenefratello. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze erano divenuti più conflittuali i rapporti degli Istituti Religiosi con i nuovi funzionari governativi, spesso apertamente ostili alla Chiesa, e per salvare le sorti dell'ospedale fiorentino il Superiore Generale dei Fatebenefratelli, fra Giovanni Maria Alfieri, provò a far intervenire Nappi, che era in quel momento il frate che godeva di maggior prestigio nella società italiana, conferendogli a tal fine con lettera dell'11 gennaio 1864 il titolo di Commissario Generale per l'ospedale di Firenze (131). L'incarico non richiedeva una presenza permanente del Nappi a Firenze, giacché fra Giovanni Luigi Caimi continuava ad essere Priore e Maestro dei Neoprofessi, ma dalla pur scarna documentazione dell'Archivio Generalizio dei Fatebenefratelli (132) risulta provata una presenza saltuaria già dagli inizi del febbraio 1864.
Grazie al Nappi, ci fu una certa schiarita per i Confratelli di Firenze, che si sentirono incoraggiati a fissare una data per la cerimonia della vestizione da oblato dell'Orsenigo, scegliendo quella assai significativa della mattina dell'8 marzo 1864, festa del fondatore San Giovanni di Dio, col cui nome, tra l'altro, fin dall'inizio dell'Ottocento i fiorentini, certo in omaggio ai frati che lo reggevano, avevano ormai preso a denominare l'Ospedale che il Vespucci aveva invece fondato col titolo di Santa Maria dell'Umiltà, probabilmente in riferimento toponomastico al vicino Convento degli Umiliati (133).
Per la festa dell'Assunta del 1864 fra Giovanni Maria Alfieri giunse a Firenze per effettuarvi fino al 25 agosto la Visita Canonica, ossia la visita ispettiva prevista una volta ogni triennio per tutte le Comunità della Provincia, e fra Orsenigo fu lieto di poterglisi presentare con finalmente indosso l'abito dell'Ordine.
Alla Visita partecipò anche fra Benedetto Nappi e forse fu lui che, commentando col padre Generale le potenzialità di fra Orsenigo, suggerì che il suo tirocinio si concentrasse in quel particolare settore della chirurgia minore rappresentato dalle estrazioni dentarie.
Era questo un settore regolarmente praticato ed incrementato (134) dai Fatebenefratelli di Firenze, come possiamo dedurre da una lettura comparata dei periodici inventari ottocenteschi delle attrezzature sanitarie dell'Ospedale (135). Se risaliamo, ad esempio, all'inventario del 1843, troviamo già descritta accanto alla Medicheria un'apposita stanza fornita di "1 Vetrina al muro con suo sportello, e cristallo, che serve agl'istrumenti odontalgici (136); 1 Sedia impagliata con salitore di legno per la estrazione dei denti; 1 cassetta di marmo murata col suo rispettivo scolo per detto uso". Nell'inventario del 1850 compaiono anche "Tre cassette di legno tinto con suo cristallo ove si conservano diversi istrumenti per estrarre e pulire i denti". E va infine notato come nell'inventario del 1853 il riunito dentistico appaia migliorato: "Una sedia coperta di pelle nera con suo montatojo per l'estrazione dei denti".
Il compito di addestrare fra Orsenigo nell'arte odontoiatrica fu certamente affidato a fra Bartolomeo Pezzatini, che quando il 17 luglio 1883, a 66 anni d'età e 34 di Vita Religiosa, chiuse i suoi laboriosi giorni nell'ospedale fiorentino, meritò che nel Necrologio della Provincia Romana venisse ricordato con la significativa annotazione che era "abilitato assai nell'odontalgia".
Il tirocinio di fra Orsenigo come oblato proseguì fruttuoso per tre anni esatti. Nel 1867, appena dopo lo svolgimento delle elezioni politiche italiane nelle domeniche del 10 e 17 marzo, fra Benedetto Nappi, assegnato per un sessennio (137) come Priore di Firenze, fece il suo ingresso nella città del giglio il 20 marzo alle otto di sera (138), e già il 25 marzo convocò la Congregazione Conventuale mettendo all'ordine del giorno la valutazione della condotta dei due oblati fra Mosè Morlacchi e fra Innocente Orsenigo e la loro idoneità ad essere ammessi in Noviziato: essendo per entrambi risultate buone le informazioni, fu messa a voti segreti la proposta di farli partire per il Noviziato di Roma, restando approvata con voti nove su dieci per fra Mosè e con voti tutti e dieci favorevoli per fra Innocente (139).
L'abbondante dotazione di strumenti nel Gabinetto Dentistico dell'ospedale, oltre ovviamente all'apprezzamento per le capacità odontoiatriche dimostrate da fra Innocente Orsenigo nei quattro anni di prova trascorsi a Firenze dapprima come postulante e poi come oblato, dovettero indurre il Priore ad autorizzarlo, al momento d'inviarlo all'Isola Tiberina, di portare via con sé a Roma ben dodici "ferri da denti", come risulta dall'inventario (140) dei beni personali di fra Orsenigo redatto dal suo Maestro dei Novizi, fra Giuseppe Maria Cortiglioni, quando l'ammise in Noviziato.
Roma in quell'anno era ancora sotto il dominio temporale del Papa e pertanto per lasciare Firenze e varcare il confine i due oblati dovettero chiedere l'autorizzazione delle Autorità Italiane, alle quali per prudenza non menzionarono Roma ma dichiararono che desideravano recarsi in treno a Napoli passando attraverso lo Stato Pontificio (141). Ottennero a vista il passaporto dalla Prefettura di Firenze il 26 marzo 1867 e mostrandolo alla Legazione di Spagna in Firenze ottennero in quella stessa data un lasciapassare per entrare nello Stato Pontificio (142).
Ultimate velocemente le pratiche, i due oblati prepararono il loro modesto bagaglio e si congedarono dai Confratelli e dai malati, mettendosi in viaggio la sera del 28 marzo (143) per l'Isola Tiberina, dove giunsero all'indomani.(144)
110 - Polanco scrive testualmente: "Erat haec aestate Florentiae quidam vir bonus ac pius [discipulus illius???], qui insigne hospitale Granatae fundaverat, quem Ducissa retinebat, et nostris era assiduus conviva, cujus causa Ducissa, cui hoc pergratum erat, et omissis pecuniis et rebus ad usum necessariis solito frequentibus nostros sublevabat" (cf. Juan Alfonso POLANCO, "Vita Ignatii Loiolae et Rerum Societatis Jesus Historia", A. Avrial, Madrid 1898, tomus VI (1556), p. 154). Si noti che le parole tra parentesi quadre furono aggiunte allo stampare il manoscritto, come ipotetica omissione del copista, poiché il Fondatore dell'ospedale di Granada era morto nel 1550 e dunque a Firenze nel 1556 doveva trattarsi di un suo discepolo (cf. a riguardo José Luis MARTÍNEZ GIL, "San Juan de Dios Fundador de la Fraternidad Hospitalaria", B.A.C., Madrid 2002, pp. 274-275).
111 - Questo il testo:"2 di Aprile 1587. Vennero in Firenze di Spagna i Frati di S. Giovanni di Dio e loro fu dato alloggio nello Spedale dello Spirito Santo alla Porta a San Pietro in Gattolino". (cf. Giuseppe RICHA, "Notizie istoriche delle chiese Fiorentine divise ne' suoi quartieri", Stamperia di Pietro Gaetano Viviani, Firenze 1756, vol. IV, Del quartiere di S. Ma. Novella, p. seconda, lez. terza, p. 25). Probabilmente questi frati avevano accompagnato qualcuno dei cinque Priori che vennero dalla Spagna per partecipare al primo Capitolo Generale, tenutosi a Roma dal 20 al 24 giugno 1587.
112 - Questo il testo: "Primo di Marzo 1587. I Padri Romiti di San Giovanni di Dio detti della Sporta ebbero l'abitazione in Borgo Ognissanti, la quale è stata accresciuta ed abbellita, avendovi incorporate altre Case de' Vespucci". (Ibidem, pp. 27-28). Si noti che la data si riferisce all'Anno dell'Incarnazione, che comincia il 25 marzo, e dunque nell'anno civile corrisponde al primo marzo 1588. Quanto al nomignolo della Sporta, deriva dall'antico uso dei Fatebenefratelli di questuare con una sporta per le strade della città, poi vietato dalle Costituzioni del 1616 (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Pagine Juandediane", Centro Studi San Giovanni di Dio, Roma 1992, p. 208).
113 - Cf. Lucia SANDRI, "L'Archivio dell'Ospedale di San Giovanni di Dio di Firenze (1604-1890)", Ed. Fatebenefratelli, Liscate (MI) 1991, pp. 6-7.
114 - Si deve a costei la diffusione dei Fatebenefratelli in Francia quando, andata sposa nel 1600 al Re di Francia Enrico IV, chiese al proprio nonno il Granduca di inviargli a Parigi qualcuno di quei così caritativi religiosi: il loro primo drappello, guidato dal milanese fra Giovanni Bonelli, vi fondò nel 1602 l'ospedale di "Santa Maria delle Grazie" nella rue de la Petite Seine, poi nel 1613 trasferito nella definitiva sede di rue des Saints Pères, dove per ricordare Firenze, che ha per Patrono il Battista, prese il nome di "San Giovanni Battista della Carità" o, più brevemente, della "Carità", come fu poi sempre conosciuto dai parigini, tanto che ne derivò il bellissimo soprannome popolare dei Fatebenefratelli in terra di Francia, "les Charitains", ossia i frati dell'Ospedale della Carità; quanto al Battista, rimase, e lo è tuttora, Patrono della Provincia Francese dei Fatebenefratelli (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Firenze e Parigi", in "Vita Ospedaliera", a. LVII, n. 12, dicembre 2002, pp. 10; e Giuseppe MAGLIOZZI, "Doppia ricorrenza parigina", in "Il Melograno", a. IV, n. 12, 15 agosto 2002, pp. 1-2).
115 - Cf. Sergio. BALATRI, "Spedale di Santa Maria dell'Uniltà detto S. Giovanni di Dio in Firenze. VI Centenario della fondazione 1382-1982", Firenze 1982, p. 1.
116 - In grata e doverosa memoria di Amerigo Vespucci i Fatebenefratelli apposero nel 1719 sul portone dell'Ospedale una lapide latina, dettata dall'abate Anton Maria Salvini per segnalare la casa ancestrale "a tanto domino habitata", e collocarono all'interno un suo busto, pregevolmente scolpito in marmo da Giovan Battista Foggini (1652-1725), un artista fiorentino che, assieme al Marcellini che citeremo più avanti, si formò a Roma nell'Accademia Medicea, apertavi dal Granduca Cosimo III nel 1673 (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "A mezzo millennio dalla geniale lettera di Amerigo Vespucci", in "Vita Ospedaliera", a. LVIII, n. 6, giugno 2003, pp. 16-17)
117 - Sulla ristrutturazione dell'Ospedale eseguita dal Marcellini (1644 ca.-1713), che assieme al già citato Foggini fu uno dei massimi protagonisti della cultura architettonica e artistica fiorentina tra Sei e Settecento, cf. Mara VISONÀ, "Carlo Marcellini, Accademico "spiantato" nella cultura fiorentina tardo-barocca", Pacini, Ospedaletto (PI) 1990, pp. 105-110.
118 - Nella lapide, oggi scomparsa ma il cui testo è riportato dal Richa (p. 35), così veniva ricordata la sua generosità nell'aver scolpito gratis i fregi ed i medaglioni nella facciata e nell'interno della Chiesa: CAROLO ANDREAE MARCELLINO / SCULPTORI EGREGIO / QUI TEMPLUM HOC INTUS, FORISQUE / INGENIO SUO ET PIA LIBEALITATE / DECORAVIT / 0BIIT KAL. IUNII MDCCXIII.
119 - Cf. G. RICHA, "Notizie
cit.", p. 29.
120 - Anche nel nostro nuovo millennio, pur così disincantato, c'è chi rimane profondamente colpito da questo atrio, come il geografo Rapi, che così lo decanta: "Volesse Dio che un giorno facessero un'altra portineria come quella dell'ospedale di Borgognissanti, dove il degente viene accolto da uno scalone degno di un re (ed è un re; per il cristianesimo, ogni persona h la dignità di un re), e abbracciato da angeli dipinti e dalle magnifiche statue della Fede e della Speranza. Forse sarà meno efficiente di un pronto soccorso in vetri smerigliati e plastica, ma si ha proprio l'impressione che col tempo la medicina si sia dimenticata qualche cosa per strada" (cf. Massimo RAPI, "Amerigo Vespucci Umanista Geografo. Da Ognissanti in Firenze alla Baia di Tutti i Santi in Brasile", in "La Sporta" (Firenze). A. XXXII, n. 14, novembre 2001, p. 2).
121 - Si tratta di un gruppo plastico con al centro San Giovanni di Dio che si volge ad un malato ed è soprannaturalmente aiutato dall'arcangelo San Raffaele, accorso al proprio fianco. Sullo scultore Ticciati (1671-1744) cf. Roberta ROANI VILLANI, "Per Girolamo Ticciati", in "Paragone" (Firenze), a. XXXV, n. 409, 1984, pp. 70-74. Si noti che le due statue in terracotta raffiguranti la Fede e la Speranza non sono di Girolamo Tacciati, ma di suo figlio Pompeo (cf. Mara VISONÀ, "Spigolature su un antico ospedale fiorentino", in AA. VV. "I Fatebenefratelli a Firenze. San Giovanni di Dio da Borgo Ognissanti alla Charité", Associazione San Giovanni di Dio, Firenze 1986, p. 28).
122 - Benedictus eris tu ingrediens et egrediens, ossia "Sarai benedetto quando entri e quando esci" (Dt 28, 6).
123 - Cf. il verbale del 28 novembre 1863 nel registro "Congregazioni Conventuali dal dì 31 agosto 1851 al 30 aprile 1867", conservato col n. 11 nel fondo dell'antico ospedale "San Giovanni di Dio" nell'Archivio Storico del Comune di Firenze (d'ora in poi ASCF).
124 - Fra Modesto, che in quel momento studiava teologia al Seminario Vescovile e che sarà ordinato sacerdote nel settembre 1865, era nato a Montopoli (Pisa) il 17 gennaio 1830; vestito da novizio il primo febbraio 1858, emise la Professione Semplice il primo ottobre 1859 e la Solenne l'8 dicembre 1862 (cf. AGF, "Elenco de' religiosi dell'Ordine Ospitaliero di S. Gio. di Dio della Prov. Romana dal 1830 al 1878"). Dell'attività letteraria di fra Modesto Fossetti, che morì a Firenze il 27 marzo 1893, ci restano due libri spirituali: "S. Pietro Apostolo. Ragionamenti tra due popolani e un letterato", Campolmi, Firenze 1879; e "Bellezze della vita di S. Giuseppe", Cellini, Firenze 1884.
125 - Col tempo l'Orsenigo arrivò a masticare un po' di latino, tanto che lo scrittore Petrai nel rievocare la sua esperienza personale come paziente dell'Orsenigo, scrive che per convincerlo a farsi togliere il dente il frate gli citò il detto latino "Ablata causa tollitur effectus" (cf. Giuseppe PETRAI, "Santo sganassone!", in "Roma sparita: figure e figurine", Ed. Bietti, Milano 1939, p. 226; l'articolo del Petrai è stato di recente integralmente ripubblicato da Giuseppe MAGLIOZZI, "La tecnica estrattiva di Fra Orsenigo", in "Il Melograno", a. VI, n. 5, 29 marzo 2004, pp. 11-12).
126 - Cf. G. RICHA, "Notizie
cit.", lez. quarta, p. 36.
127 - Cf. P. BENASSEDO, APP, p. 73-75.
128 - Il trasferimento della capitale da Torino a Firenze fu deliberato il 19 novembre 1864.
129 - Con i coniugi Guenzati l'Orsenigo aveva effettuato nel 1863 il memorabile pellegrinaggio a Locarno per affidare alla Vergine del Sasso la propria vocazione religiosa.
130 - Benassedo accenna anche ad un gruppetto di Livorno dovuto allo zelo di fra Orsenigo, ma rimanda per dettagli ad un capitolo purtroppo oggi mancante nel dattiloscritto (cf. P. BENASSEDO, APP, p. 466); a Livorno i Fatebenefratelli avevano fin dal 1602 un Ospedale intitolato a S. Antonio Abate, il che sicuramente agevolò fra Orsenigo nel prendere contatto con persone di tale città.
131 - La lettera di nomina, datata 11 gennaio 1864, è riportata integralmente da G. BROCKHUSEN e M. ZUCCHELLI, "I Fatebenefratelli
cit.", Milano 1999, tomo XXI, vol. III, p. 487.
132 - Prove della sua presenza sono le lettere che da Firenze spedì all'Alfieri il 5 e l'8 febbraio 1864 (cf. AGF, "Protocollo della Segreteria Generale dal 1° gennaio 1865 al 17 maggio 1866", nn. 117 e 127) ed il 2 maggio 1865 (ibidem, n. 294), come pure gli Atti della Visita canonica effettuata dal Superiore Generale nell'agosto 1864 (cf. AGF, "Affari e Corrispondenza Provincia di Roma. Ospedale di S. Maria dell'Umiltà in Firenze", fascicolo "Atti di Visita. 1864", p. 5).
133 - Anche se dal 1908 i Fatebenefratelli non sono più a Firenze, il nome del loro Santo Fondatore è rimasto definitivamente associato all'Ospedale, tanto che quando nel 1982 l'edificio fu sgomberato e le attività trasferite in via di Torre Galli, all'estremo lembo della periferia sud-ovest di Firenze in prossimità dell'Autostrada del Sole, il complesso edilizio ivi innalzato venne designato Nuovo San Giovanni di Dio e nell'atrio venne collocata una riproduzione su vetro del monumentale atrio del vecchio Ospedale (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Una tradizione di sei secoli", in "Vita Ospedaliera", a. XXXVII, n. 3, marzo 1982, p. 48). Per mantenere vivo in Firenze il ricordo di San Giovanni di Dio e per promuovere un'idonea nuova utilizzazione dell'abbandonato complesso monumentale di Borgo Ognissanti, i fiorentini hanno dato vita ad un'apposita Associazione San Giovanni di Dio, che diffonde un battagliero organo d'informazione, intitolato "La Sporta".
134 - Secondo la dr. Sandri, a Firenze "il San Giovanni di Dio aveva finito per specializzarsi nelle peculiarità più strettamente inerenti agli ospitalieri: dentisti e speziali". Cf. L. SANDRI, "L'Archivio
cit.", Milano 2004, vol. II, p. 312.
135 - Cf. AGF, "Convento-Spedale di Firenze. Inventari".
136 - Si noti che oggi preferiamo dire strumenti odontoiatrici, che significa "per la cura dentale", mentre all'epoca si usava chiamarli odontalgici, che significa "per il dolore dentale", poiché le affezioni dentarie erano ritenute dolorose per antonomasia, specie allora che quasi mai si faceva ricorso agli analgesici ed agli anestetici locali. Il grande successo della tecnica estrattiva d fra Orsenigo sarà legato appunto alla sua capacità di ridurre per altra via la componente dolorifica e l'ansia ad essa collegata.
137 - Restò infatti come Priore a Firenze fino al 1873 e morì poi a Milano l'11 marzo 1878.
138 - Cf. ASCF, n. 18, "Protocollo delle Vestizioni e Professioni dei Religiosi, Arrivi e Partenze dei Religiosi e Secolari (1807-1869)", nel quale si legge a p. 162: "A dì 20 marzo 1867. In questa sera alle ore 8 giunse di famiglia il molto reverendo padre Benedetto Nappi proveniente dal convento spedale di Milano".
139 - Cf. ASCF, n. 11, "Congregazioni Conventuali dal dì 31 agosto 1851 al 30 aprile 1867", verbale del 25 marzo 1867.
140 - Cf. in AGF la scatola "Personale religioso: cartelle personali dei religiosi 1867-77", fasc. n. 59.
141 - Il collegamento ferroviario di Firenze con Roma era stato inaugurato appena pochi mesi prima, il 12 dicembre 1866, mentre quello di Roma con Napoli era già stato attivato fin dal 25 febbraio 1863.
142 - Passaporto e lasciapassare finirono poi nella cartella personale di fra Orsenigo. Cf. in AGF la scatola "Personale religioso: cartelle personali dei religiosi 1867-77", fasc. n. 59.
143 - Cf. ASCF, n. 18, "Protocollo delle Vestizioni e Professioni dei Religiosi, Arrivi e Partenze dei Religiosi e Secolari(1807-1869)", nel quale si legge a p. 207: "A dì 28 Marzo 1867. In questa sera all'8 sono partiti Fra Mosè Morlacchi, Fra Innocente Orsenigo da questo Convento a quello di Roma".
144 - Cf. AGF, "Elenco dei Novizi della Provincia Romana dal 9mbre 1865 al 1900", nella cui casella n. 18 si legge per fra Orsenigo questa annotazione d'arrivo: "Da Firenze 29 Marzo 1867". |