Possiamo immaginare con quanta commozione fra Orsenigo fece il suo ingresso a Roma. Anche se fosche nubi si addensavano sulla sopravvivenza dello Stato Pontificio, che aveva già perduto Umbria e Marche (145), ancora s'avvertiva per le strade dell'Urbe la speciale atmosfera d'una città che aveva il privilegio d'essere il Centro della Cristianità e nella quale per la celebrazione del diciottesimo centenario del martirio dell'Apostolo San Pietro (146) confluirono nel giugno 1867 all'incirca 500 vescovi, 14.000 sacerdoti e 130.000 pellegrini (147).
L'Apostolo San Pietro è il Patrono della Provincia Romana dei Fatebenefratelli e certamente fra Orsenigo visse con profonda partecipazione quelle celebrazioni, ma al centro della sua attenzione erano ormai saldamente situati i malati, al cui servizio desiderava consacrarsi con lo speciale Voto di Ospitalità (148) che contraddistingue l'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio e che egli ora si preparava a vivere non più solamente in maniera privata ed interiore come frate Oblato, ma ufficialmente e canonicamente come frate Professo.
L'Ospedale dei Fatebenefratelli all'Isola Tiberina aveva cominciato fin dal giugno 1585 - significativamente "per la festa di San Giovanni Battista", come annotato nell'antico Catastro del Convento (149) ad accogliere i malati ed al tempo di fra Orsenigo essi erano ripartiti in due corsie. La maggiore era la Sala Assunta, oggi tuttora in parte visibile (150) e dotata allora di cinquanta letti, all'occorrenza raddoppiabili a cento (151); ed al suo estremo era un altare, in modo che i malati potessero ascoltare la Santa Messa senza muoversi dai loro letti; ai lati dell'altare v'erano due brevi rampe semicircolari che immettevano in un'ulteriore Sala di venti letti, oggi non più visibile, che era situata sullo stesso asse, ma sopraelevata di circa due metri. Questa seconda Sala era stata inaugurata nel 1702 da Clemente XI, il cui stemma figura infatti nel fastoso arco, tuttora visibile, che la separava dalla Sala Assunta; al tempo di fra Orsenigo quest'ambiente superiore si chiamava Sala Amici, dal nome del benefattore che aveva permesso di totalmente ristrutturarla, facendone un vero capolavoro di edilizia ospedaliera per le innovative soluzioni, specie riguardo al ricambio dell'aria ed alla climatizzazione dell'ambiente (152).
La Sala Amici incuriosì assai fra Orsenigo, poiché era appena arrivato all'Isola che il padre Generale mostrò ai Confratelli una rivista medica di fine febbraio 1867 arrivatagli dalla Spagna, dove era edita dall'Accademia di Medicina e Chirurgia, e nelle cui pagine v'era un articolo (153) che elogiava con grande entusiasmo le numerose innovazioni tecniche adottate dall'architetto Francesco Azzurri in tale Sala di degenza. Fra Alfieri, che parlava fluentemente lo spagnolo, lesse in italiano l'articolo, il cui contenuto riprendeva in larga parte un opuscolo edito nel 1865 dallo stesso architetto per illustrare l'appena compiuto lavoro (154). Tra i numerosi dettagli escogitati all'architetto Azzurri per assicurare il massimo conforto dei malati, i due che più stupirono fra Orsenigo fu che a capo d'ogni letto c'era un pulsante elettrico collegato con un pannello dell'Infermeria per evitare che, specie di notte, il paziente dovesse gridare per chiamare l'infermiere; e che nelle vasche da bagno l'acqua calda, già miscelata con la fredda, v'arrivava con un condotto che s'apriva sul fondo di esse, poiché dal basso il calore si diffonde immediatamente ed uniformemente verso l'alto, mentre se l'acqua fosse caduta, com'è ancor oggi usuale, da un rubinetto in alto, per permettere una perfetta diffusione del calore sarebbe stato necessario durante l'afflusso agitare continuamente l'acqua della vasca.
Il grande zelo di fra Orsenigo con gli ammalati non passò inosservato ai Superiori, che pertanto, dopo un breve periodo d'osservazione, s'inclinarono ad ammetterlo in Noviziato e l'incoraggiarono a presentare domanda per iscritto al padre Generale. In essa fra Orsenigo, firmandosi "umilissimo e devoto servo", lo pregò di poter iniziare il "tanto mio desiderato Noviziato", ma intuendo le perplessità che alcuni ancora nutrivano nei suoi riguardi, chiuse la petizione (155) scrivendo: "e prego ancora la Carità di tutti i Molto Reverendi Padri a volermi ammettere".
Fra Alfieri trasmise la petizione al Definitorio della Provincia Romana, che l'esaminò nella seduta del 23 aprile 1867, alla quale parteciparono il padre Provinciale, fra Pietro Salviati, ed i quattro Consiglieri fra Francesco Maria Begalli, fra Vincenzo Maria Pascale, fra Giuseppe Maria Cortiglioni e fra Ambrogio Maria Testa. Dal Verbale (156) risulta che, dopo averlo esaminato "nella lettura, scrivere, far di conto, come nel Catechismo Romano", a voti segreti lo dichiararono idoneo all'ammissione in Noviziato con quattro voti favorevoli ed uno contrario.
Nessun voto contrario ebbe invece dai sei Confratelli del Definitorio Generale (157) nella seduta del 14 giugno 1867, per cui quello stesso giorno fra Alfieri chiese il parere della Comunità durante un'apposita Congregazione Conventuale (158), nella quale precisò che dei due oblati giunti da Firenze, fra Morlacchi risultava "sufficientemente istruito" e fra Orsenigo "suppliva con la sua bontà". A voti segreti la Comunità approvò la candidatura del primo, con 11 voti favorevoli e 3 contrari, e del secondo, con 9 voti favorevoli e 5 contrari, per cui fra Alfieri, fatti entrare in Sala Capitolare i candidati, "fece a ciascuno la sua esortazione e stabilì il giorno 24 Giugno, dedicato alla festa della Natività di S. Giovanni Battista, per la Santa funzione, avvertendo a prepararvisi coi Santi Esercizii; ed ingiungendo loro di ringraziarne i Padri, li licenziò".
Fra Orsenigo tirò un sospiro di sollievo all'apprendere d'aver superato lo scrutinio e ringraziò con sincera gratitudine la Comunità, ma soprattutto si rallegrò della scelta della data, divenutagli cara nei quattro anni trascorsi a Firenze; ed ancor più si rallegrò che d'ora in poi il suo nuovo nome da frate, che come di consuetudine era imposto al momento d'iniziare il Noviziato, per lui sarebbe stato proprio quello di Giovanni Battista.
Terminata la prescritta settimana di Esercizi Spirituali, la mattina del 24 giugno il padre Generale vestì fra Orsenigo del santo abito e gli assegnò il nuovo nome di fra Giovanni Battista, affidandolo quindi al Maestro dei Novizi, che era allora il sacerdote fra Giuseppe Maria Cortiglioni. La cerimonia si svolse in maniera semplicissima all'altare della Sala Assunta (159), ma fra Orsenigo gioì che ciò avvenisse in mezzo ai suoi cari malati, nei quali venerava la presenza di Cristo sofferente, una presenza mistica ma assolutamente reale, come gli ricordava il grande paliotto (160) di quell'altare, raffigurante San Giovanni di Dio mentre lava i piedi ad un malato, il quale improvvisamente si trasfigura in Gesù ed incoraggia il Santo dicendogli: "Giovanni, quando lavi i piedi ai poveri, è a Me stesso che li lavi".
Nella cartella personale di fra Orsenigo figura un inventario dei suoi beni, compilato, com'era prassi canonica, dal Maestro dei Novizi al momento di riceverlo in Noviziato. Vi si elenca il poverissimo vestiario che aveva portato da Firenze (161) e due sole serie di oggetti, ossia i famosi già ricordati dodici "ferri da denti" e ben 38 libri, così sommariamente indicati: "Libri di devozione, con il manuale del Riva (160) e altre opere sagre, Vita di Gesù Cristo e Vita di tutti i santi di tutto l'anno (163) e Meraviglie di Dio ne' suoi santi (164) e varie opere spirituali". Questi 38 libri ci dicono il suo discreto amore alla lettura ma anche come il suo interesse fosse concentrato unicamente in campo spirituale.
Fra Alfieri era ben lieto di tanto suo fervore spirituale, però si rese conto che per superare le perplessità che ben cinque Confratelli avevano espresso sull'idoneità di fra Orsenigo, non bastava esaltarne la bontà d'animo, ma occorreva cercare di migliorarne il modesto livello culturale, altrimenti al successivo scrutinio i voti contrari rischiavano di superare i favorevoli, facendo così naufragare la possibilità di avvalersi di lui come ulteriore valida pedina di quella graduale riforma dell'Ordine auspicata dal Beato Pio IX e che era diventato il suo obiettivo primario come Superiore Generale dei Fatebenefratelli.
Nel dattiloscritto del Benassedo (165) così fra Orsenigo narra l'iniziativa che volle prendere fra Alfieri nei suoi riguardi: "Essendo io mancante d'istruzione, il Padre Generale, oltre i consueti maestri dei novizi, mi fece venire un maestro secolare in certe ore del giorno, acciocché potessi profittare sempre più; ma, per mia disgrazia, mi trovavo sempre come al principio. Allora i maestri dissero al Generale che era inutile il continuare la scuola, perché era tempo perso, non apprendendo io nulla (166). Allora il Padre Generale mi disse che al ballottaggio della Comunità poteva darsi che io sarei stato escluso dalla votazione. Io gli risposi che fin da quando mi trovavo in Firenze il Signore mi aveva fatto sapere che la votazione era favorevole. Allora il Generale disse di continuare ancora un poco di tempo alla scuola, aggiungendomi: speriamo e preghiamo. Ma mentre io pregavo, mi trovavo assai angustiato per tutti questi incidenti, e ne ero veramente addolorato. Quand'ecco nel momento delle mie afflizioni vedo giungermi una lettera da Pusiano dell'Angiolina (167), dove mi diceva che aveva avuto un'apparizione di S. Pietro e S. Paolo, che le avevano rivelato che "era volontà di Dio che io non dovevo andare avanti negli studi e che dovevo rimanere come ero, cosicché non mi angustiassi più, e non mi applicassi perché era tempo inutile, perché Iddio permetteva ciò per compiere i suoi disegni; e perché il volgo non avesse potuto dire che dipendeva dal mio talento, ma bensì avesse detto che tutto ciò era opera di Dio e io non ero che un istrumento da lui inviato"".
Nonostante l'insuccesso negli studi, fra Orsenigo riuscì a guadagnarsi la stima di sempre più Confratelli ed a superare tutti gli scrutini previsti nel corso dell'anno di Noviziato: nel primo quadrimestre venne valutato "sufficientemente bene" e riportò 9 voti favorevoli e 5 contrari; nel secondo quadrimestre venne valutato "degno di lode" e riportò 12 voti favorevoli e 3 contrari; nel terzo quadrimestre venne valutato "bene" e riportò 10 voti favorevoli e 2 contrari (168).
Prima di finire il Noviziato fra Orsenigo dovette però affrontare un'altra assai più angosciante prova, creata dalla crescente lotta del Governo Sabaudo alle Istituzioni Religiose. La legislazione mirante alla soppressione degli Istituti Religiosi era iniziata nel Regno Sardo con la legge 29 maggio 1855 e proseguita nel 1860-1861 con decreti locali emanati nelle Due Sicilie, nell'Umbria e nelle Marche, man mano che tali province confluivano sotto i Savoia. Costituitosi il Regno d'Italia, il Parlamento unificò tali norme frammentarie e disomogenee nella legge 6 luglio 1866, che verrà poi applicata con legge 19 giugno 1873 anche al dissolto Stato Pontificio (169). La legislazione eversiva del 1866, pur rispettando i diritti civili dei singoli religiosi ed in particolare quello di poter dar vita ad associazioni, cancellava qualsiasi riconoscimento civile ai Voti canonici e soprattutto negava la personalità giuridica a tutti gli Enti Ecclesiastici, dei quali inoltre confiscava ogni proprietà ed interdiva ogni futuro acquisto. Le Comunità Religiose degli Enti Ecclesiastici maschili erano dunque costrette ad abbandonare gli immobili dove vivevano ed ogni bene, potendo unicamente richiedere un sussidio personale per chi era inabile a provvedere a se stesso. Le Suore potevano chiedere di vivere in Comunità negli edifici che avrebbe concesso loro in uso il Governo, col perentorio divieto d'accettarvi Novizie. In altre parole, la legge del 1866 mirava alla progressiva totale scomparsa degli Istituti Religiosi maschili e femminili, adottando per opportunità delle agevolazioni provvisorie ed a titolo personale per coloro che avevano fatto la Professione dei Voti prima dell'entrata in vigore di tale legge.
Oggi sappiamo che la legislazione eversiva del 1866 creò enormi problemi agli Istituti Religiosi dell'Italia, tagliandone le risorse e decimandoli negli organici, ma non riuscì ad annientarli. Grazie alla libertà d'associazione ed a differenti scappatoie legali scovate poco alla volta, un certo numero di Comunità poté sopravvivere ed accogliere ufficiosamente candidati che dettero continuità agli Istituti. Nel caso specifico dei Fatebenefratelli, che abbiamo visto avevano nel 1864 ben 46 Ospedali in Italia, raggruppati in quattro Province, ne dovettero lasciar subito molti, ma in altri, come in quello dell'Isola Tiberina, pur avendone perso la proprietà, ottennero per intanto di restarvi a lavorare come associazione laica di infermieri, il che diede loro tempo nel giro di alcuni decenni di aprire nuovi ospedali, ovviamente non intestati all'Ordine, ma a qualche singolo Confratello od a Società fittizie, di cui erano azionisti i frati, finché il Concordato del 1929 tra l'Italia e la Santa Sede non ridiede agli Enti Ecclesiastici italiani la capacita giuridica e la conseguente possibilità, sia pure con alcune limitazioni, di acquisire beni immobili.
All'immediato indomani della legge del 1866 era però difficile prevedere il futuro e pertanto i Superiori si ritennero in dovere di avvertire i Novizi che non v'era garanzia della sopravvivenza delle Comunità italiane e che nessun sussidio sarebbe stato concesso dal Governo a chi al momento non era ancora Professo, per cui era forse opportuno che tornassero alle loro famiglie.
Fra Orsenigo rimase desolato da tale suggerimento, che arrivava quando, dopo anni di difficoltà e di attese, s'avvicinava infine il giorno della Professione Religiosa. Trascrive a tal riguardo il Benassedo (170) che il frate "quando i Superiori gli consigliarono di ritornare al secolo, si rivolse a Teresa ed Angiolina Isacchi affinché pregassero per lui per essere illuminato in merito al genere di vita che avrebbe dovuto abbracciare nel caso di forzato ritorno al secolo. E le prelodate Serve di Dio pregarono e gli risposero: Gesù e Maria ci dicono che sei chiamato da loro in Religione, e che devi restarvi. Allora io dissi all'Angiolina e alla Teresa che dicessero alla Madonna che vi era la soppressione religiosa. La Madonna mi fece sapere che già la conoscevano questa cosa, e che non solo dovevo andare avanti, ma che già avevano preparato in Roma le anime disposte per professarmi. L'Angiolina disse che Gesù le aveva detto che questa soppressione religiosa non era di distruzione, ma di purificazione, e tutto permetteva perché era dimenticata troppo l'osservanza delle Regole e Costituzioni, ma che quei religiosi che aderivano ai divini voleri, il Signore se ne sarebbe servito, dopo le grandi catastrofi, per rinnovare gli Ordini".
Fra Orsenigo proseguì dunque fiducioso il proprio anno di Noviziato, che si protrasse di qualche mese per attendere il ritorno a Roma del padre Generale, recatosi nel 1868 per la terza volta in Spagna, dove s'era trattenuto dal 31 maggio al 14 luglio a Barcellona con San Benedetto Menni, che vi aveva appena aperto il primo degli oltre venti ospedali con cui fece man mano rifiorire l'Ordine nella penisola iberica (171). Rientrato a Roma, fra Alfieri vi presiedette la Congregazione Conventuale del primo agosto 1868, nella quale la Comunità dell'Isola Tiberina dette, come abbiamo visto, giudizio favorevole sull'ultimo quadrimestre di Noviziato di fra Orsenigo; terminata la votazione, leggiamo nel Verbale (172) che fra Alfieri lo chiamò in Sala per comunicargliene il risultato positivo, ascoltarne esplicita assicurazione di volersi votare a Dio ed avvertirlo "di prepararsi coi Santi Esercizii alla Santa Cerimonia della Professione de' Voti semplici (173), la quale si eseguirebbe nella Domenica seguente, giorno nove del corrente mese".
Quella memoranda giornata del 9 agosto 1868 ebbe per fra Orsenigo due momenti centrali. Il primo fu alle otto del mattino, quando alla presenza del Maestro dei Novizi e del Superiore Generale, firmò una dichiarazione giurata (174) con cui s'impegnava in perpetuo a Vita Comune perfetta secondo lo spirito primitivo, osservando i Voti col massimo rigore, senza mai indulgere a quei compromessi o mitigazioni che altri talora ritenevano giustificato adottare per l'asprezza dei tempi ed il clima politico apertamente ostile alla Vita Religiosa; si protestava inoltre disponibile a recarsi in qualsiasi Comunità, anche estera.
Quella delle otto fu una cerimonia assolutamente privata, ma con la quale fra Orsenigo si rendeva moralmente disponibile a far parte di qualcuna delle Comunità pilota che fra Alfieri aveva cominciato a costituire per il suo piano di riforma dell'Ordine.
Il secondo momento memorabile di quella domenica d'agosto fu alle 11 (175) del mattino la Professione dei Voti Semplici, emessi da fra Orsenigo nelle mani del padre Generale. A differenza della prima, questa seconda cerimonia ebbe carattere pubblico e si svolse con dovuta solennità non nella Sala Assunta, ma ai piedi dell'altar maggiore della millenaria Chiesa di San Giovanni Calibita (176), un prezioso scrigno d'arte, ricca di marmi e di pregevoli dipinti (177).
Non sappiamo se alle 11 qualche malato sia stato in grado di lasciare il proprio letto e mescolarsi agli invitati per assistere alla Professione Semplice del loro beneamato fra Orsenigo, ma il ricordo dei malati era comunque assicurato in chiesa da quel cartiglio latino (178), che due angioletti vi sorreggono in posizione strategica giusto in cima all'arco dell'abside: in esso vi si legge la beatitudine promessa dal salmo 41 a chi si prende cura dei poveri malati, che era proprio l'impegno prioritario che fra Orsenigo s'assunse quel 9 di agosto con l'emettere il Voto perpetuo di Ospitalità (179), da lui poi vissuto con costante dedizione.
145 - Le due Province, invano difese dall'esercito pontificio, sconfitto dai piemontesi a Castelfidardo il 18 settembre 1860, erano confluite nel Regno d'Italia, il quale poi grazie alla Terza Guerra d'Indipendenza, combattutasi nell'estate del 1866, aveva ottenuto dall'Austria il Veneto, annesso ufficialmente il 4 novembre 1866, ed ora tramava di completare l'unità politica della penisola italiana occupando il Lazio, unico territorio rimasto ancora sotto il potere temporale del Papa.
146 - Oggi si ritiene che il martirio romano del primo Papa sia avvenuto verso il 64 ma, essendo incerto l'anno esatto, il Beato Pio IX preferì continuare a celebrare la data tradizionale del 67, seguendo lo stesso criterio col quale Giovanni Paolo II e tutti noi abbiamo già celebrato l'inizio del terzo millennio dalla nascita di Cristo, anche se gli storici, pur non sapendo dirci con precisione quando Egli s'incarnò, ci assicurano che manca ancora qualche anno per contarne tondi duemila da quella nascita.
147 - Cf. Giacomo MARTINA, "Pio IX (1867-1878)", Ed. Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1990, p. 39.
148 - Oltre ai consueti Voti canonici di Povertà, Castità ed Obbedienza, i Fatebenefratelli usano emettere un loro peculiare quarto Voto, detto di Ospitalità, col quale s'impegnano pubblicamente innanzi alla Chiesa di spendere tutte le loro energie e tutte le loro capacità al servizio dei malati e dei bisognosi, anche a rischio della propria vita (cf. art. 23 delle Costituzioni dell'Ordine Ospedaliero).
149 - Fatebenefratelli avevano aperto il loro primo ospedale romano in un edificio in Piazza di Pietra ricavato tra le colonne del Tempio di Adriano (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Quattro secoli di presenza ospedaliera a Roma. Il primo ospedale romano dei Fatebenefratelli fu aperto a Piazza di Pietra il 25 marzo 1581", in "Vita Ospedaliera", a. XXXVI, n. 3, marzo 1981, pp. 39-45), ma per l'angustia dei locali si trasferirono in un antico convento di Benedettine, comprato all'Isola Tiberina nel 1582, totalmente ristrutturato ed inaugurato il 24 giugno 1585 (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "L'inizio dell'attività ospedaliera dei Fatebenefratelli nelle città di Roma e Perugia", in "Ospedali Fatebenefratelli" (Roma), vol. I, fasc. 2, settembre-ottobre 1983, pp. 238-252).
150 - In antico la sala Assunta aveva il suo atrio sulla piazza, ma oggi il versante verso di essa, profondamente ristrutturato, è occupato dalla Farmacia e da vari uffici, per cui l'architettura originaria resta visibile solamente nel versante opposto, che continuò ad essere utilizzato per le degenze fino al 1982, quando fu trasformato nell'attuale Sala Convegni (cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Sala Assunta, emblema di un trapasso", in "Vita Ospedaliera", a. XXXVII, n. 1, gennaio 1982, pp. 3-4).
151 - L'ampio spazio esistente fra le due ordinarie file di letti rendeva possibile aggiungere nuove file, per cui negli ospedali romani era comune avere letti di emergenza custoditi al di sotto di quelli ordinari e che al bisogno potevano scorrere fuori grazie ad apposite rotelle, a causa delle quali a Roma erano chiamati "carriole"; ne è rimasto ricordo nell'insulto romanesco "e tuo nonno in carriola" (cf Giuseppe MAGLIOZZI, "Lo firmo con queste mie tre lettere", BI.OS., Roma 1996, p. 28).
152 - Cf. Arnaldo Amedeo ARISTA, "Un piccolo capolavoro di edilizia ospedaliera. L'antica Sala Amici del Calibita", in "Vita Ospedaliera", a. XXVII, n. 2, febbraio 1972, pp. 31-36.
153 - Cf. Eduardo BERTRAN Y RUBIO, "Nueva Sala Amici nell'Isola Tiberina", in "El Compilador" (Barcelona), a. II, n. 40, 25 de febrero 1867, pp. 345-346. Per una recente riedizione dell'articolo, cf. José CRUSET, "Crónica Hospitalaria", Editorial Hospitalaria, Barcelona 1971, pp. 102-104.
154 - Cf. Francesco AZZURRI, "La nuova sala Amici nell'ospedale dei Fate Bene Fratelli all'isola tiberina", Stab. Tip. Giuseppe Via, Roma 1865.
155 - L'originale della petizione si trova in AGF nella citata cartella personale di fra Orsenigo.
156 - Un estratto del Verbale è conservato in AGF nella citata cartella personale di fra Orsenigo.
157 - Cf. il relativo Verbale in AGF, registro "Deffinitorii Generali dal 1850 al 1876", p. 308.
158 - Cf. il relativo Verbale in AGF, registro "Congregazioni del Convento di S. Giovanni Calibita, Roma 1844-1875", p. 60.
159 - Come precisato nella dichiarazione firmata lo stesso giorno dal padre Generale e conservata in AGF nella citata cartella personale dell'Orsenigo. Si noti che a quel tempo la Comunità utilizzava la Chiesa solo per le feste e quotidianamente si radunava invece in Sala Assunta, sia per ascoltarvi la Santa Messa, sia per recitarvi il Rosario con i malati; per la recita quotidiana del Piccolo Ufficio della Madonna i frati si recavano invece nel piccolo coro che affacciava sulla Chiesa ed in questa mettevano piede solo per una breve Visita al Santissimo Sacramento dopo il pranzo e dopo la cena (cf. Gabriele RUSSOTTO, "La Sala Assunta. Dopo tre secoli", in "Vita Ospedaliera", a. XXXVI, n. 12, dicembre 1981, pp. 184-186).
160 - Eseguito in scagliola policroma e datato 1681, dopo la trasformazione della Sala Assunta in Sala Convegni il paliotto, pur misurando ben cm 190 x 90, è purtroppo divenuto difficile da notare, perché sovrastato dal tavolo di presidenza ed avviluppato dalla relativa pedana. Una riproduzione a colori del paliotto figura in copertina in Giuseppe MAGLIOZZI, "Nei fratelli vedeva Gesù", BI.OS., Roma 2003.
161 - Comprendeva un cappello, due tonache, due sottabiti, un gilet, due paia di calzoni, cinque camicie, 2 camiciole, 3 mutande, 3 fazzoletti, sei paia di calze nere, due paia di scarpe e tre spazzole.
162 - Si tratta d'un libro che restò popolare per un buon secolo, intitolato "Manuale di Filotea", di cui era autore il sacerdote milanese Giuseppe RIVA: ebbe numerose edizioni in varie città e questa era forse una delle prime, uscite a Milano oltre vent'anni prima.
163 - Potrebbe trattarsi del libro "Biografia sacra della vita di Gesù Cristo, di Maria Vergine e de' santi, distribuito per tutti i giorni dell'anno, raccolto dagli atti de' santi pubblicati dai PP. Bollandisti e da altri autori". Gio. Battista Recht, Roma 1835; oppure di qualcuno degli innumerevoli rifacimenti italiani del classico "Flos Sanctorum" di Alonso de Villegas (1534-1615).
164 - Si tratta del libro di un sacerdote napoletano: Pasquale VENTRE, "Meraviglie di Dio ne' Santi suoi ossia esercizi diversi del pulpito per isvariate feste de' Santi", Stamperia Luigi Diodati, Napoli 1855.
165 - Cf. P. BENASSEDO, APP, p. 71.
166 - Nel dattiloscritto dell'Englfield questa incapacità di apprendere è attribuita non a mancanza di comprendonio ma ad un problema di memoria: "Ciò che Fra Giovanni imparava oggi, lo dimenticava domani" (cf. J. A. ENGLEFIELD, APP, p. 3).
167 - Come meglio precisato dall'Englfield, la lettera non era stata scritta da Angela Isacchi, ma dal parroco don Felice Mariani che vi riferiva il messaggio di lei (cf. J. A. ENGLEFIELD, APP, p. 3).
168 - Cf. AGF, registro "Congregazioni del Convento di S. Giovanni Calibita, Roma 1844-1875", Verbali del 9 Gennaio 1868 (p. 62), 24 Marzo 1868 (p. 65) e 1° Agosto 1868 (p. 67). L'irregolarità di cadenza di queste votazioni dipese dalle lunghe assenze del p. Generale per viaggi, specie in Spagna.
169 - Per i testi delle citate leggi cf. Vincenzo DEL GIUDICE, "Codice delle leggi ecclesiastiche", Giuffrè, Milano 1952, vol. I, pp. 6-12, 16-25 e 37-45.
170 - Cf. P. BENASSEDO, APP, pp. 70-71.
171 - Cf. Gabriele RUSSOTTO, "Dati cronologici della vita del Servo di Dio P. Benedetto Menni . Restautarore dell'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio in Spagna, Portogallo e Messico. Fondatore delle Suore Ospedaliere del S. Cuore di Gesù (1841-1914)", Postulazione Generale dei Fatebenefratelli, Roma 1974, p. 16.
172 - Cf. AGF, registro "Congregazioni del Convento di S. Giovanni Calibita, Roma 1844-1875", Verbale del 1° Agosto 1868, p. 68.
173 - La Professione Semplice, che era perpetua ma poteva essere sciolta dal Superiore dell'Istituto, era stata prescritta obbligatoriamente come tappa iniziale dal Beato Pio IX col decreto Neminem latet del 19 marzo 1857. In precedenza, i Fatebenefratelli usavano al termine del Noviziato emettere direttamente la Professione Solenne, che solo la Santa Sede può sciogliere.
174 - L'originale della dichiarazione, con indicato in margine l'orario, si trova in AGF nella citata cartella personale di fra Orsenigo.
175 - L'orario fu annotato da fra Alfieri in calce all'originale della formula di Professione, conservata nella citata cartella personale di fra Orsenigo.
176 - Inizialmente la Chiesa fu dedicata, guarda caso, a San Giovanni Battista, finché vi fu trasferito il corpo di San Giovanni Calibita da Formoso, allora vescovo di Porto e poi Papa dall'anno 891 (cf. Luigi HUETTER e Renzo Uberto MONTINI, "S. Giovanni Calibita", collana Le Chiese di Roma illustrate, Marietti, Roma 1962, p. 7).
177 - Per una descrizione sommaria della storia e delle opere d'arte della Chiesa, cf. Giuseppe MAGLIOZZI, "Arte e storia nella Chiesa di San Giovanni Calibita", in "Vita Ospedaliera", a. XXXVII, n. 8, agosto 1982, pp. 113-128. Per la vita del Calibita, monaco acemeta vissuto a Costantinopoli, cf. Giuseppe CALÒ, "Un santo nel tempo", A. Cassati, Bari 1955; Giuseppe MICHELI, "L'Isola Tiberina e i Fatebenefratelli. La storia dell'insula inter duos pontes", Ed. CENS, Milano 1995, pp. 56-85.
178 - Il cartiglio contiene il versetto iniziale del salmo 41, anticamente designato come salmo 40: Beatus qui intelligit super egenum et pauperem, ossia Beato chi si prende cura del malato e del povero.
179 - Come leggiamo nel documento autografo conservato nella sua cartella personale e seguendo la formula di Professione allora in uso, fra Orsenigo promise a Dio, ai Santi ed ai Superiori dell'Ordine d'osservare "perpetua Ospitalità, di servire ai poveri infermi tutto il tempo di mia vita". |