Francesco Petrucci
La definizione di Castelli Romani è intesa in questo breve saggio in una accezione più ampia, comprendente l'area a sud di Roma tra i Colli Tuscolani, i Colli Albani e il litorale di Anzio e Nettuno, poineidente con le diocesi di Albano, Frascati e Velletri.
Si vuole dimostrare, nei limiti imposti dalla sede, come in questo territorio sia sorta tra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento una vera e propria scuola di pittura en plein air, avente una funzione non secondaria nell'ambito dell'evoluzione della pittura europea.
Si tratta di affrontare lo studio della pittura in questa zona non solo nell'ottica documentaria del Grand Tour con interessi prevalentemente iconografici (i briganti, i costumi, i carretti a vino) o topografici (le località), prediletti dalla letteratura localistica, ma nel contesto più ampio della storia dell'arte, cioè dell'evoluzione del linguaggio artistico nell'ambito del naturalismo e soprattutto della pittura di paesaggio.
A riguardo non possiamo non constatare una carenza negli studi specifici, nonostante le numerose, forse troppe, mostre e pubblicazioni dedicate alla "Campagna Romana", spesso utili per l'emergere di nuove opere, ma nella gran parte dei casi avulse da una indagine storico-critica.
E' necessario a riguardo ripercorrere rapidamente l'evoluzione a Roma della pittura di paesaggio, un genere poco considerato dalla trattatistica classicista sei-settecentesca, ma che anche in questo campo vide fermarsi la città papale in un ruolo guida per quasi tre secoli.
L'ingresso del paesaggio della campagna romana nell'ambito delle arti figurative, cioè l'inizio di una vera e propria pittura di paesaggio a Roma, come noto avviene tra la fine del '500 e i primi del '600 ad opera di artisti nordici.(1)
Vero precursore fu Paul Brill, artista fiammingo giunto a Roma attorno al 1575. iniziatore di un genere pittorico, quello del "paesaggio classico", che trasfigura in una visione idealizzata i luoghi del territorio laziale. Autore di straordinari affreschi in palazzi e ville, sotto l'influsso di Elsheimer produsse una serie di piccoli paesaggi su rame con scorci di Roma. I suoi paesaggi hanno un carattere fiabesco, in cui i luoghi sono esaltati dalle variazioni di luce, in tonalità verdastre e azzurrine, popolati di piccole figure di contadini, pastori e animali.
Più sensibili a contesti modificati dall'opera dell'uomo sono l'allievo Agostino Tassi e l'insigne discepolo di quest'ultimo, il grande Claude Lorrain.(2)
Con Lorrain, Nicolas Poussin e Gaspard Dughet, il paesaggio classico raggiunge la sua più alta espressione, imitato da decine di pittori fino in pieno Settecento. Mi riferisco ai van Bloemen, ai Locatelli e a tanti altri, che seguitarono i modi dei grandi francesi del Seicento con la leggerezza dell'Arcadia.
Nei tre "francesi-romani" il paesaggio laziale assume una superiore dignità filosofica, luogo dei grandi miti dell'antichià, ambiente eroico che sedimenta e assorbe in sé le vestigia di antiche civiltà, la suggestione della letteratura classica. I rilievi apparentemente naturali celano antiche fabbriche, rovine di architetture emergono la terra, spesso costellate di figure di ninfe, satiri e divinità silvestri. E' la nascita dell'archeologia.
Ma in questi paesaggi difficilmente potremmo riconoscere delle località precise, siti identificabili; come avveniva infatti per la pittura di figura, quello che guida è la ricerca dell'"idea", cioè il tentativo di superare la realtà e i suoi limiti per raggiungere una condizione di superiore bellezza, che corregga i difetti del vero. L'aspirazione a una dimensione di calma e imperturbabile compostezza, che colpisca in termini di maestosità e classica grandezza, accomuna questi pittori.
Nella seconda metà del Seicento Salvator Rosa sviluppa una diversa concezione, quella del "paesaggio pittoresco", ove rocce nerastre, massi giganteschi, orridi e grossi alberi recisi o caduti per le intemperie, destano una sensazione di sgomento e di stupore di fronte alla forza di una natura ostile e incontrollabile. E' un precedente del paesaggio romantico, che avrà larghi sviluppi ed evoluzioni dalla fine del Settecento.
Tra queste due tendenze, coeve ma opposte, si inserisce un modo più obiettivo e documentario di rapportarsi al paesaggio. La nascita del "vedutismo" ad opera di Gaspard van Wittel, un precursore della veduta illuminista che troverà a Roma nella figura di Giovanni Paolo Pannini e a Venezia, nell'opera di Carlevarijs. Bellotto. Guardi e Canaletto le sue espressioni più alte, con una diffusione in tutta Europa. E' una vera e propria rivoluzione copernicana nella pittura di paesaggio, ove van Wittel viene a costituire un ponte tra la cultura nordica e quella mediterranea. Da allora la rappresentazione obiettiva dei luoghi diviene sempre più diffusa, aprendo la strada a un genere che diverrà dominante nei secoli successivi.
Le marine di Claude-Joseph Vernet e Paolo Anesi, le vedute archeologiche di Cozens, Fragonard, Hubert Robert, assumono la funzione di "cartoline" dell'Italia.
Ma non è finita. Nella Roma del Seicento, una vera fucina di idee, da una cestola del caravaggismo nasce ad opera di artisti olandesi il movimento "bambocciante", volto alla rappresentazione di scene di vita popolare. Pieter van Laer, Jan Both, Herman van Swanavelt, Nicolas Berchman sono esponenti di un genere che ebbe ampio successo, quello di una Roma popolata da contadini che danzano e pastori con greggi che attraversano inconsapevoli una campagna popolata di ruderi e vecchie osterie, immersa in una calda solarità mediterranea.
Tra la seconda metà del Settecento e i primi dell'Ottocento subentra un diverso interesse per i luoghi e il paesaggio attorno a Roma, visto non più o non solo come essenza di una concezione classica del mondo, come puro scenario naturale di miti arcadici, ma in una visione più completa. Gli artisti sono attratti dagli antichi borghi medioevali, dalla natura rigogliosa che avvolge i vecchi insediamenti sui Colli Albani, dalla desolazione dell'agro romano, ma anche dalla popolazione che vive in quei luoghi, che convive con gli acquedotti romani e le imponenti vestigia delle ville romane.
Orde successive di invasori nordici, non armate più di strumenti di distruzione ma di tavolozze, tele e colori, occupano pacificamente l'Italia, percorrendola anche secondo nuove direttrici. Meta principale resta Roma e il territorio circostante, esplorato e battuto per lungo e per largo dagli artisti.(3)
Non c'è luogo della campagna romana che non sia stato descritto, dipinto o solo fissato al lapis su un foglio.
Percorrendo la via Appia gli artisti salgono sui Colli Albani, dipingono la luce, i boschi, i laghi e i paesi, e da lì scendono in campagna, fino ad Anzio e Nettuno, il tratto più bello del litorale romano, unico momento in cui la costa si eleva sul mare, con il fascino delle ville gentilizie, il porto neroniano e quello innocenziano, il pittoresco borgo di Nettuno.
In opposizione al carattere urbano del vedutismo di tradizione veneta, questi artisti riscoprono la natura e sono attratti dall'integrazione degli antichi paesi laziali con il paesaggio, rispetto al costruito della città.
L'interesse è conoscitivo e i dipinti realizzati non sono solo preziosi souvenir da vendere o da riportare in patria dopo il viaggio, ma anche modelli per incisioni e litografie che vengono riprodotte in pubblicazioni turistiche o vademucum di viaggio, diffuse sciolte e commercializzate.
Rispetto all'interesse prevalentemente archeologico e antiquario, nelle vedute dei luoghi laziali consacrati dalla letteratura classica di Virgilio, Ovidio e Orazio, gli artisti sono affascinati dal folclore, dalla bellezza delle donne, dal rapporto armonioso tra natura, vestigia antiche e moderne.
Ma quello che li attrae maggiormente e che li spinge ad affrontare un lungo e faticoso viaggio è la ricerca della luce. La luminosità mediterranea della campagna romana offre al viaggiatore nordico una occasione unica e irripetibile di studiare le rifrazioni della luce, le variazioni cromatiche del fogliame, la vibrazioni delle superfici colpite dal sole, il fascino del mare nei tramonti e nelle albe.
Nella seconda metà del Settecento precursori di un nuovo approccio con il paesaggio, più che italiani classicisti come Giovanni Campovecchio, sono soprattutto stranieri, quali Richard Wilson, Jonathan Skelton, Joseph Wright of Derby, Jakob Philipp Hackert, Nicolas Didier Boguet, John Robert Cozens, Rodolphe Ducros.
La poetica del "sublime", che il paesaggio dei Colli Albani esprime compiutamente, con le sue variazioni altimetriche, i boschi a strapiombo sui laghi, l'immensità delle vedute sull'intera campagna fino al mare, è uno dei motivi del romanticismo, ben descritto da Francesco Milizia nel suo Dizionario.(4)
Una tendenza iper-descrittiva, con attenzione particolare al paesaggio e alla puntualizzazione di ogni dettaglio, è nella pittura di Hackert che immortala la Campagna Romana in solenni vedute a 180 gradi. Una aspirazione documentaria, quasi astratta nella sua pienezza solare.
Proprio nella campagna romana i pensionnaires dell'Accademia di Francia, ma anche vari artisti nordici, sperimentano quella pittura tonale, fatta di ombra e di luce senza passaggi intermedi, quella semplificazione chiaroscurale che è un precedente dell'impressionismo ma anche della pittura macchiaiola. Un esempio è la veduta di Ariccia della Fondazione Langmatt, dipinta da Corot forse nel 1827: è già un'opera impressionista!
E questo avviene a pochi chilometri da Roma, in quella sorta di accademia di pittura all'aperto che erano Colli Albani, in un sistema policentrico che aveva come punto focalizzatore la Locanda Martorelli aperta ad Ariccia nel 1818 e attiva fino al 1880 circa. Qui si fermarono e sostarono poeti, letterati ma soprattutto pittori (da Turner, a Corot, d'Azeglio, Costa, etc.), raccogliendo la sera le opere prodotte nelle incursioni giornaliere nella campagna, facendo critica e avviando animose discussioni, come racconta Massimo d'Azeglio e Nino Costa (5)
Gli artisti professavano il realismo, la presa diretta con la realtà, senza filtri intellettuali e la mediazione accademica. Come ricordava sir Joshua Reynalds, Vernet diceva ai suoi allievi di "dipingere dal vero piuttosto disegnare", un precetto seguito da Thomas Jones e appreso dal suo maestro Richard Wilson che aveva conosciuto Vernet a Roma.
In Jones troviamo anche l'attrazione per soggetti apparatemente privi di interesse, come muri sbrecciati, tetti e cupole, un precedente di quanto sviluppato da Pierre-Henri de Valenciennes, Granet e Corot nella campagna romana. Abbiamo in questi artisti una alternanaza di luce e di ombra, che esprime il significato innovativo della pittura estemporanea dal vero per cogliere la variazioni della luce.
Secondo i precetti dell'Accademia di Francia in verità lo studio dal vero era finalizzato sempre a realizzare poi a studio paesaggi idealizzati (paysage bien tempèrè)., che miglioravano la natura, cassando le imperfezioni dei luoghi. Valenciennes e Chateaubriand invitavano i giovani artisti ad abbandonare Roma e andare a dipingere la natura: "è in mezzo alle campagne che devono prenedre le loro prime lezioni".(6)
Ma allora il dipingere en plein air era una tappa per la realizzazione del paesaggio di storia. Tuttavia, Come scrive Vincent Pomarède, "'...dopo il 1840, la preparazione della grande composizione storica diveniva entamente secondaria, mentre il piacere di lavorare en plein air diventava progressivamente una finalità intrinseca per tutti gli artisti; dipingere dal vero s'imponeva allora come uno scopo a sé stante".(7)
William Turner, genio rivoluzionario che attraverso una pittura visionaria giunge ad una sintesi coloristica ed espressiva di incredibile modernità, arriva nella Locanda Martorelli nel 1818, realizzando una serie di vedute del lago di Nemi che costituiscono uno dei suoi soggetti più riusciti.
E' Nino Costa a ricordare il soggiorno di Turner: "II Martorelli mi ha anche raccontato come Turner, mentre dimorava nella sua locanda, mandò ad esporre a Londra certi suoi quadri. Pare che alla mostra gli ordinatori gli scrivessero per sapere quale ne fosse il lato alto, non sapendo da qual lato attaccarli. Ed egli rispose: Da qualunque lato è lo stesso". Un paradosso, ma che adombra una nuova concezione nel linguaggio dell'arte figurativa se ci si pensa bene! (8)
Achille Etna Michaillon, una delle grandi promesse della pittura francese prematuramente scomparso, esegue importanti dipinti sui Colli Albani, secondo un nuovo spirito di approccio non mediato con il vero.
Il confronto tra antinaturalisti e pittori della realtà nasce in seno alla stessa Locanda Martorelli, come ricordava Nino Costa nel 1853 a proposito della polemica del pittore polacco Stankevitch contro i Nazareni.(9)
La Locanda Martorelli diventa un'accademia delle accademie. Qui infatti si incontravano artisti di diversai nazionalità, confrontandosi sulle problematiche della pittura di paesaggio, al di fuori della settorialità e della chiusura nelle singole accademie di provenienza, che in città favorivano un isolamento dei vari gruppi.
D'Azeglio scrive: "L'anno '26 la locanda Martorelli, piena di cima a fondo, avrebbe potuto dirsi l'Albergo delle Quattro Nazioni, se non ce ne fossero state assai di più. Una lunga tavola ci raccoglieva tutti all'ore de' pasti; e vi conobbi parecchi, che, giovani in quel tempo, incominciavano la loro carriera artistica. Erano in ispecie Francesi, e mi affiatai con alcuni di costoro, veramente care persone.La mattina ognuno di noi partiva co' suoi attrezzi in traccia di studi; a ora di pranzo tutti deponevano il loro lavoro in una sala comune, che serviva ad un'esposizione permanente. Cosa utilissima, accendendo l'emulazione.. .Fra i miei compagni di lavori d'allora, alcuni sono diventati più tardi celebrità, o per lo meno ho veduto i loro nomi citati con elogio negli articoli sull'esposizione di Parigi". (10)
Numerosi artisti, tra cui D'Azeglio e lo stesso Costa, realizzano una pittura innovativa secondo il nuovo indirizzo naturalista. "Nella nostra vita all'Ariccia si andava ogni giorno a lavorar dal vero a grandi distanze, cavalcando un asinelio" dice Costa che rimase fisso nella Locanda Martorelli dal 1853 al 1859. Qui incontrò artisti nazareni come Cornelius, Overbeck, Piloth, i fratelli Ockemback, ma anche naturalisti come Villers, George Mason, Emile David o Lord Leighton. Un territorio che il pittore gallese Thomas Jones chiamava "Terra Magica".
In conclusione, possiamo quindi parlare di una vera e propria "Accademia della Locanda Martorelli" o "Scuola dei Castelli Romani", che precede la Scuola di Barbizon attiva dal 1835, i macchiaioli che nelle riunioni al Caffè Michelangelo di Firenze tra il 1855 e il 1867 propugnavano una pittura antiaccademica atta a riprodurre "l'impressione del vero" (Fattori) e lo stesso Impressionismo sviluppatesi tra il 1867 e il 1880.
Insomma nella pittura di paesaggio che si sviluppò a Roma e nei Castelli Romani tra la fine del '700 e la prima metà dell'800, sulla scia del Grand Tour, va ricercata una importante premessa ai grandi movimenti naturalistici europei; un motivo che malgrado l'eccesso di carta stampata sulla materia non è stato messo in risalto dagli studi specifici, fermi ad una passiva e acritica constatazione del mito impressionista, ancora esaltato come un fenomeno sorto quasi dal nulla, in mostre di giro promosse sempre più frequentemente in varie città italiane, Roma compresa (sic!).
Anche la recente mostra sulla Maestà di Roma, volta ad esaltare un improbabile ruolo leader di Roma nel campo dell'arte europea nel corso dell'Ottocento, non ha colto che la novità non è il classicismo (dopo la morte di Canova Roma perde il suo ruolo di primo piano e il primato passa progressivamente a Parigi. La sezione della mostra Maestà di Roma tenuta all'Accademia di Francia lo dimostrava ampiamente), ma proprio questa pittura di paesaggio, che nasce ad opera eli artisti stranieri, attivi presso le rispettive accademie e istituti di cultura, che hanno operato nella campagna di Roma.
Una rivoluzione portata avanti da francesi, tedeschi, inglesi, danesi, svizzeri, austriaci, e che nella Scuola dei Castelli Romani ebbe un punto di riferimento fondamentale.
NOTE
1 - Cfr. Fiamminghi a Roma 1508-1608, calalogo mostra. Roma (ed, Skira, Milano) 1995
2 - Cfr. L, SALERNO, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1977-'80
3 - Cfr. Grand Tour. Il fascino dell'Italia nel XVIII secolo, catalogo mostra, Roma 1997
4 - Cfr. Grand Tour..., p. 58
5 - Cfr. F. PETRUCCI, La Locanda Martoretti e il ''"Grand Tour d'Italie" sui Colli Albani, Lanuvio 1995
6 - Cfr. F-R. CHATEAUBRIAND, Lettre sur le paysage eri peinture, London 1795, in (Euvres complétes, XXII, Paris 1995, p. 15
7 - Cfr. V. POMARÈDE, "Un paesaggio incantato" : il paesaggio dell'Accademia di Francia a Roma, in Maestà di Roma. Da Ingres a Degas Gli artisti francesi a Roma, catalogo mostra, Roma, Accademia di Francia, 7 marzo - 29 giugno 2003, pp. 279-284
8 - Cfr. N. COSTA, Quel che vidi a quel che intesi, ediz. Milano 1983, p. 137
9 - Cfr. N. COSTA, 1983, p. 137 - 138
10 - Cfr. M. D'AZEGLIO, I miei ricordi, Firenze 1867, cap. X, ediz. Roma 1959, pp. 307-30 |