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IL TERRITORIO DI NETTUNO
NELLA CAMPAGNA ROMANA

Immagini dal XVI al XIX Secolo

a cura di
CLEMENTE MARIGLIANI

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LA CAMPAGNA ROMANA


Luigi Londei

1. Campagna e territorio di Roma. II distretto.

Per Campagna Romana si intende comunemente l'ampia pianura ondulata che circonda la città di Roma e che è delimitata, da nord ad est dal Monte Soratte, dal fiume Corese, dai monti Curniculani, da quelli Tiburtini, e da quelli Prenestini. Da est ad ovest i confini sono i monti Laziali, il fiume Astura, il mare Tirreno, i monti della Tolfa e i monti Sabatini (1).

Pertanto la Campagna Romana è da considerare un'entità di carattere geografico e non politico -amministrativo. In passato essa veniva indifferentemente denominata Agro Romano: "Non vi è chi non vegga, esaminando un poco lo stato dell'Agro Romano, la gran necessità che vi è di restituire la cultura in quella parte del Lazio che ora chiamiamo Campagna di Roma" (2).

A partire dal sec. XIX, però, con il preciso stabilimento dei confini del comune di Roma, il termine "Agro Romano", come meglio si vedrà più avanti, passò a definire quella parte della Campagna compresa nei confini del comune stesso.

Il paesaggio della Campagna, caratterizzato da vasti orizzonti e dalla presenza di imponenti ruderi antichi, esercitò grande suggestione sui viaggiatori e sugli artisti che, ispirandosi alle sue vedute, diedero origine, nei secoli XVII e XVIII ad un genere pittorico: il paesaggio con rovine.

Sebbene suggestiva per i suoi aspetti naturalistici ed ambientali, la Campagna Romana, così come la si vedeva sino ad alcuni decenni or sono, è stata un prodotto dell'uomo e della sua storia, in relazione allo sviluppo ed alle vicende della città.

Le fonti antiche attestano che il territorio era già ampiamente popolato nell'VIII secolo a. C. e disseminato di borghi e cittadine, nel cui ambito nacque Roma che finì per sottoporre l'intera regione al proprio dominio politico, per poi lanciarsi nella conquista dell'Italia e dell'impero.

Anneo Fioro, retore latino dell'età di Traiano, ricordando le prime guerre sostenute da Roma per la supremazia sul territorio che la circondava, "chi crederebbe - diceva - che Cori ed Alsio ci misero terrore e che Satrico e Cornicolo vennero considerate conquiste pari alle province dell'Impero? Oggi ci si vergogna di Veroli e Boville, ma allora trionfammo su di esse. In Campidoglio si dichiarava guerra a Tivoli, località ora suburbana, e a Preneste, luogo delle nostre villeggiature. Allora Fiesole aveva il peso che ebbe poi Carre, i boschi di Ariccia quello della germanica selva Ercinia, Fregelle era come Gesoriaco e il Tevere come l'Eufrate. La vittoria su Corioli fu considerata così gloriosa (oh pudore!) che Gneo Marcio Coriolanus si diede il nome della città conquistata, come se fosse Numanzia o l'Africa. Esistono ancor oggi le spoglie catturate ad Anzio, che Manio, catturata la flotta nemica, fece affiggere nella tribuna del Foro. Ammesso che si trattasse di una flotta, essendo solo sei navi rostrate!"(3).

Questo colorito linguaggio può bene indicare come fosse mutato, nel corso dei secoli intercorrenti fra la fondazione della città e quella dell'impero, il rapporto fra Roma ed il territorio che la circondava: conquistate, se non annientate, le città rivali, esso era divenuto la propaggine della città dominante, nel cui ambito si proiettarono intensamente gli interessi economici e politici della classe dirigente romana. Già nei primi tempi dell'Impero, ritroviamo la Campagna organizzata in una serie di latifondi che, via via, soppiantarono la precedente struttura di poderi, con conseguente spopolamento.

Nel periodo tardo antico, troviamo la Campagna inclusa nel distretto (districtus) di Roma, termine derivante dal verbo latino distringere ed indicante l'area geografica sottoposta al governo delle autorità cittadine.

 

2. Il distretto romano nel medioevo

II distretto continuò ad esistere anche in epoca medioevale ed anzi assunse una valenza politica nuova poiché anche Roma, a somiglianza delle altre città italiane del medioevo ebbe il problema di controllare il territorio circostante, sia per assicurarsi una base per il proprio rifornimento alimentare, sia per controllare le vie di accesso, sia per assicurare il predominio politico su di un'area che, per esser prossima alla città, doveva essere mantenuta entro l'area di sicurezza politico militare del comune. Ed infatti la questione del distretto assunse uno spiccato rilievo politico e militare proprio dopo la costituzione, nel 1143, di una vera e propria organizzazione municipale romana, nota nelle trattazioni storiografiche come "renovatio senatus". Diminuita l'influenza ed il ruolo dei grandi poteri universali del papa e dell'imperatore nei confronti della città, questa avviò una serie di lotte contro i vicini per la supremazia nel territorio dell'antico distretto, che, secondo la concezione più diffusa, consisteva nel territorio compreso entro un raggio di cento miglia dalla città, e quindi, da nord a sud, nella vasta regione tra Radicofani e Ceprano, delimitata ad est dai primi contrafforti dell'Appennino.

L'esercizio del potere sul distretto si sostanziava, anzitutto, nella imposizione ad esso della legislazione cittadina, che poteva essere integrata, ma non contraddetta, da quella locale. Inoltre le comunità del distretto erano obbligate a pagare imposte ed eseguire prestazioni di varia natura a favore della dominante, come anche a fornire, in caso di guerra, un determinato numero di uomini in armi.

La riconquista del distretto avvenne nel corso del XIII secolo (4), anche se il Comune romano non riuscì mai a dominarlo in tutta la consistenza teorica, ad centesimun lapidem. Le parti poste sotto l'effettivo dominio romano vennero, nel sec, XIII, suddivise in sette "province", aventi essenzialmente natura di circoscrizioni fiscali, denominate Tuscia, Sabina, Collina, "Romangia et abbatia Farfensis", Tivoli e Carsoli, Marittima, Campagna (5). Diciamo fiscali perché esse appaiono ampiamente attestate nella documentazione finanziaria, mentre non si ha notizia di organi e strutture che provvedessero al loro governo politico e giudiziario.

Al di là di queste suddivisioni ufficiali, J. Coste ha dimostrato che, nell'ambito dei rapporti giuridici tra privati, i notai romani solevano dividere il distretto (ai fini della localizzazione di proprietà immobiliari), in tre grandi ripartizioni, basate sui dati geografici e, in particolare, sul corso dei fiumi che attraversano la campagna romana. Infatti, tutta l'area compresa fra la costa a nord di Roma e la riva destra del Tevere era denominata Transtiberim, quella dalla riva sinistra del Tevere sino a quella destra dell'Aniene Insula inter duo flumina o,. più semplicemente, Insula, ed infine l'area compresa fra la riva sinistra dell'Aniene e la costa a sud di Roma., sino alla foce del Tevere, Latium.

Comunque, la presenza dì tali "province" ed il gran numero di comunità soggette ad imposizione fiscale -così come ci sono attestate dagli antichi libri contabili - mostra come, nel sec. XIV, il distretto e la Campagna di Roma fossero popolati abbastanza densamente con un'agricoltura organizzata sulla base di poderi. Da ciò si può evidentemente dedurre che la situazione di spopolamento e crisi economica denunciata dagli scrittori tardo antichi fosse stata, nei secoli del medioevo, superata. A differenza dell'antichità, però, le località costiere non conobbero alcuna ripresa: le già gloriose Ostia e Porto rimasero in stato di abbandono, mentre il capolinea dei traffici marittimi di Roma si spostava a nord con Civitavecchia.

 

3. Il distretto nell'età moderna

Con la ricostituzione nel XV secolo dello Stato ecclesiastico in forma di principato, dopo le vicende derivate dallo scisma d'occidente, si ebbe, nell'ambito di una globale riorganizzazione delle strutture istituzionali, centrali e periferiche, anche quella dell'ordinamento territoriale, che fu strutturato in governi provinciali ed in governi autonomi locali., tutti egualmente dipendenti dalle autorità centrali. I secondi, però non avevano alcuna dipendenza da quelli della provincia in cui erano geograficamente inclusi: così, ad es., il governo autonomo di Ancona non aveva alcuna dipendenza da quello provinciale della Marca, con sede in Macerata, e così quello di Spoleto nei confronti del governo provinciale dell'Umbria, con sede a Perugia.

La città di Roma con il suo territorio passò sotto il governo politico delle autorità pontificie ed il comune, perduto il suo ruolo sovrano o quasi, si limitò a svolgere funzioni amministrative. Il distretto mantenne la sua identità, anche se alcune sue parti andarono a ricadere nei territori della provincia del Patrimonio (a nord), della provincia di Marittima e Campagna (a sud), della Sabina (ad est) ed addirittura dell'Umbria.

Un interessante esempio di istituzione di governi autonomi su località che il comune di Roma aveva tradizionalmente rivendicato come appartenenti al proprio distretto, è offerto da Tivoli e Velletri, che ebbero la prima un governo prelatizio di alto rango (talvolta affidato a cardinali), mentre la seconda ebbe per governatore (che ovviamente esercitava tale funzione per mezzo di luogotenenti) il cardinale decano del sacro collegio.

Dal punto di vista giuridico, il distretto era l'area di applicazione degli statuti romani, che in esso avevano pieno vigore, nelle materie non regolate da norme pontificie o in quelle in cui non vi fossero statuti locali che disponessero diversamente. Inoltre esso era il territorio in cui esercitavano la giurisdizione cumulativa, anche in prima istanza, (cioè esattamente come all'interno della città), i grandi tribunali romani del senatore, nonché quelli del governatore, dell'uditore generale della Camera apostolica e, con ogni probabilità, anche del cardinale Vicario. Peraltro, la contemporanea appartenenza di singole località del distretto ad un governo baronale, oppure ad uno provinciale o ad uno indipendente (cioè direttamente sottoposto al centro, senza il tramite di quello provinciale) non era ritenuta incompatibile con l'appartenenza al distretto stesso.

Solo con la riforma degli statuti romani del 1580 il distretto ebbe una circoscrizione ben definita, essendo stato allora stabilito che fosse il territorio compreso entro il raggio di 40 miglia dalla città, sempreché le zone interessate facessero parte dello Stato ecclesiastico. Questa definizione, che ci fa oggi sorridere per la sua genericità, venne reputata dai contemporanei un progresso notevole, che contribuì a togliere dubbi e controversie, anche giudiziarie, sull'appartenenza di determinate località al distretto.

Il peso dei governi baronali era, nelle località del distretto, rilevantissimo: in un elenco, fornito dal giurista card. De Luca, figurano come appartenenti al distretto 18 civitates (di cui tre, Ostia, Porto e Sabina, dirute) e 228 terre. Di queste ultime, ben 127 sono baronali, oltre ad una civitas, quella di Palestrina (6). E' da notare che l'elenco fu redatto in un'epoca successiva al recupero, alla immediata sovranità, di importanti località quali Albano, Castelgandolfo e numerosi paesi della Sabina, che nel 1605 erano stati inquadrati in quel governo.(7)

La situazione non subì rilevanti trasformazioni nel corso del secolo XVIII, durante il quale, però, si verificò un lento e poco appariscente processo di ulteriore razionalizzazione delle strutture amministrative di antico regime: l'ulteriore consolidamento delle autorità provinciali portò ad un pari svuotamento dei contenuti amministrativi e giurisdizionali del distretto, mentre, contemporaneamente, e più come portato negativo e, per così dire, residuale, si andò delineando un territorio vero e proprio della città di Roma, costituito dall'Agro, cioè la parte del distretto più prossima alla città e non compresa in nessun governo, né provinciale, né indipendente, né baronale e su cui non vi erano strutture, civiche organizzate. Era inevitabile che tale area ricadesse, per comune consenso, nell'ambito della circoscrizione di Roma, anch'essa, d'altronde, governata ed amministrata non dalle proprie magistrature municipali, ma dagli uffici dello Stato.

 

4. Condizioni economiche

A partire dal Quattrocento, se non dalla seconda metà del Trecento, il distretto appare colpito da ampi fenomeni di spopolamento, con l'abbandono in massa di castra e villae e contemporanea formazione di estesissime proprietà, in mano alle grandi famiglie nobiliari romane. Sulle cause di questo fenomeno, sicuramente complesse, si discute ancor oggi; oltre ai fenomeni naturali ed agli eventi bellici, è probabile che un peso decisivo sia stato esercitato dalla proiezione degli interessi dell'aristocrazia e delle grandi istituzioni ecclesiastiche romane che, forti della riacquistata supremazia politica, avevano rimodellato le strutture economiche del distretto, con la costituzione di grandi tenute, i così detti "casali" che, in analogia con quanto era avvenuto nell'evo antico, avevano eliminato l'economia poderale provocando lo spopolamento delle campagne.

E' da questo periodo che la Campagna Romana comincia ad assumere quell'aspetto di grandiosa desolazione che sarà oggetto dell'interesse di tanti studiosi ed artisti.

Con il ristabilimento e consolidamento del governo pontificio presero avvio una trattatistica ed una legislazione volte a studiare, la prima, ed a promuovere ed incentivare, la seconda, la coltura ed il popolamento della Campagna Romana.

La legislazione, in particolare, si oriente su due direttrici: impedire lo sviluppo eccessivo della zootecnia e concedere incentivi agli agricoltori, sia in termini di prestiti a condizioni vantaggiose, sia, anche, con la concessione gratuita di terre incolte, a loro volta espropriate ai titolari. Un incentivo specifico per i proprietari fu invece quello delle "tratte", cioè permessi di esportazione del grano prodotto nelle loro tenute, in deroga alla legislazione annonaria, che obbligava invece i produttori di cereali a venderli, a prezzi stabiliti dal governo, sul mercato romano.

Nonostante però questi sforzi, la Campagna Romana rimase incolta e desolata sino alla fine del sec. XIX: le ragioni del fallimento della legislazione pontificia possono essere forse individuate nell'atteggiamento dei proprietari, per lo più famiglie nobili ed enti ecclesiastici, che non trovavano conveniente mettere a coltura i propri latifondi da cui potevano comunque ritrarre, a causa della loro vastità, un reddito adeguato, ancorché basso per unità di superficie. Un ostacolo specifico alla messa a coltura fu poi quel sistema annonario appena ricordato: mentre infatti l'obbligo di conferire la produzione al mercato romano era generale e permanente, la concessione delle "tratte" era ad arbitrio dei governanti, di cui, evidentemente, i proprietari non avevano una fiducia tale da rischiare cospicui investimenti per una riconversione del latifondo.

L'idea di espropriare terreni, da dividere in poderi fra agricoltori non ebbe pratico seguito sia per la ovvia e prevedibile opposizione delle nobili famiglie proprietarie, che avevano sempre propri membri nei vertici del governo pontificio, sia per la mancanza di una classe contadina che aspirasse alla piccola e media proprietà e fosse in grado di gestirla.

 

5. Età giacobina e napoleonica.

La realtà economica e sociale così delineatasi fu tale, che non potè essere modificata neppure dalle vicende politiche e militari che caratterizzano la fine dell'antico regime, cioè l'instaurazione della Repubblica romana del 1798 - 99, la prima restaurazione pontificia, l'annessione degli "Stati Romani" (Lazio ed Umbria) all'Impero francese tra il 1809 ed il 1814 e la seconda restaurazione pontificia.

Tuttavia in questi periodi venne posto mano ad importanti riorganizzazioni amministrative e dell'ordinamento territoriale, che interessarono anche la Campagna Romana.

La Repubblica Romana del 1798-99 suddivise il proprio territorio in dipartimenti, a loro volta suddivisi in cantoni e questi in comuni. Nella maglia di questi, vennero incluse anche le località già feudali: il territorio che aveva costituito il distretto di Roma rimase suddiviso fra i dipartimenti del Cimino, del Tevere e del Circeo.

La città di Roma ebbe un proprio ordinamento, poiché rimase suddivisa in tre distinte municipalità, ciascuna comprendente un gruppo di antichi rioni e la corrispondente parte del territorio fuori delle mura, coordinate, per gli affari di interesse comune, da un ufficio (burò) centrale, espresso dalle stesse municipalità. La legge giacobina (facciamo riferimento a quella definitiva del 21 fiorile anno VI) disegnava anche un territorio municipale di Roma, attribuendo al primo circondario tutte le zone ad occidente del Tevere, al secondo circondario quelle "comprese fra il corso superiore del Tevere e la strada che conduce dalla porta salara al ponte salaro" ed al terzo circondario le rimanenti; veniva qui riecheggiata, non so se scientemente oppure per la pura imposizione della geografia dei luoghi, l'antica divisione del territorio romano nelle regioni Transtiberim, Insula e Latium.

Con il ripristino, nel 1800, del potere pontificio dopo il periodo di occupazione austriaca e napoletana seguito alla caduta della Repubblica, le cose tornarono ad uno stato assai prossimo a quello che avevano avuto prima del 1798, mentre un nuovo fermento si verificò nel 1809 con l'annessione degli "Stati Romani" all'Impero francese, che, tra i suoi fondamenti istituzionali, annoverava anche una razionale ed ordinata circoscrizione territoriale. Animati da questa esigenza, gli amministratori francesi emanarono, a breve distanza di tempo dall'annessione, e precisamente il 2 agosto 1809, un decreto con cui veniva stabilita, in via provvisoria, la divisione territoriale degli Stati romani. Questi vennero ripartiti in due dipartimenti, quello del Tevere e quello del Trasimeno, mentre Roma, dichiarata libera città imperiale, non fu inclusa in nessuno dei due e, con un territorio di dieci miglia di raggio all'intorno, visse in uno stato di ambigua autonomia. Il prefetto del Tevere, pur avendo la residenza in Roma, da cui estendeva la propria autorità sui circondari di Viterbo, Velletri, Frosinone, Tivoli e Rieti, non aveva alcuna giurisdizione sulla città.

Ma lo statuto di Roma, apparentemente solenne ed altisonante, non faceva altro che peggiorare la situazione della città, che, isolata nella sua autonomia, non costituiva più il centro giudiziario ed amministrativo del territorio circostante.

Il successivo definitivo ordinamento territoriale approvato il 23 novembre 1810, si basò sul principio di modellare la circoscrizione amministrativa sulla base dei circuiti economici e sociali e, presosi atto del fallimento dell'autonomia romana, si ridiede alla città un ruolo di capoluogo distrettuale: a tale scopo il dipartimento del Tevere venne ribattezzato dipartimento di Roma. Tale importante modifica era fondata sulla riscontrata concomitanza di interessi fra la città ed i centri circostanti, i cui abitanti, che avevano con Roma relazioni quotidiane, e che vi venivano tutti i giorni al mercato, avevano interesse anche a trovarvi gli uffici pubblici. Le stesse vie di comunicazione erano basate su un sistema a raggiera che si dipartiva da Roma, mentre scarse ed insufficienti erano le strade trasversali che univano i centri dell'antico distretto senza passare per Roma. Forse una tale situazione perdura anche oggi.

Il territorio extraurbano di Roma comprendeva, a sua volta, Isola Farnese, Fiumicino, Pratica, Ardea, La Storta ed Ostia. Le prime quattro località erano sede di "aggiunti", cioè funzionari municipali incaricati della tenuta dei registri dello stato civile, onde impedire che gli abitanti di questi borghi lontani fossero costretti a recarsi ogni volta in città per le incombenze relative.

 

6. La Restaurazione

A differenza che nel periodo successivo alla caduta della repubblica giacobina, l'esperienza francese lasciò profonda traccia nei nuovi ordinamenti che lo Stato ecclesiastico si diede alla sua seconda restaurazione: il provvedimento fondamentale di riforma fu il moto proprio del 5 luglio 1816 che riordinò l'intero sistema di pubblica amministrazione pontificia. Questo provvedimento recava in calce il nuovo ordinamento territoriale dell'intero Stato, ripartito in delegazioni, a loro volta suddivise in governi, ciascuno comprendente un certo numero di comuni: i governi erano ripartiti in primo e secondo ordine. I comuni potevano avere, a loro volta degli appodiati, ovvero frazioni fornite di propria autonomia amministrativa, e relativo organismo di gestione. Il distretto di Roma comprese oltre alla città ed all'Agro, in cui vi era l'appodiato di Isola Farnese, i governi di Albano, Castelnuovo di Porto, Frascati, Nettuno e Rocca Priora.

Di lì a poco, l'ordinamento territoriale venne riformato e definitivamente sistemato per effetto di un altro moto proprio, emanato il 26 novembre 1817: in questo comparve anche, a designare il territorio sottoposto alla giurisdizione delle autorità con sede in Roma, il termine di Comarca. Questa era suddivisa nei distretti di Roma con governi ad Albano, Campagnano, Frascati; di Tivoli e di Subiaco. Isola Farnese rimaneva appodiato di Roma.

Un'altra importante disposizione del moto proprio del 1816 era quella che aboliva la feudalità: in realtà non di abolizione vera e propria si trattò, ma della facoltà, data ai titolari dei feudi, di rinunciare ai diritti giurisdizionali mantenendo, ovviamente, le proprietà allodiali. Tuttavia quasi tutti i "baroni" rinunciarono subito anche se, proprio nella Campagna Romana, si manifestarono resistenze che portarono alla definitiva scomparsa della feudalità solo dopo il 1840.

Nel frattempo, i lavori del catasto gregoriano, che portarono alla elevazione di mappe in scala 1:2000 di tutto il territorio dello Stato, consentirono fra l'altro di determinare i territori comunali ed i loro confini con una precisione fino ad allora sconosciuta, ove si eccettuino quelle aree ove si era avuta una esperienza settecentesca di catastazione geometrico - particellare.

Tra il 1817 ed il 1870, quando cadde definitivamente il potere temporale, si succedettero numerose riforme degli ordinamenti periferici, locali e territoriali ad opera dei pontefici Leone XII nel 1824 e nel 1827; Gregorio XVI nel 1831 ed infine Pio IX nel 1850.

Non essendo possibile trattare in dettaglio tutti questi passaggi, ricorderemo solo quelli che ebbero più diretta influenza sulla Campagna Romana. Nel 1827, e precisamente il 25 settembre, uno speciale motu proprio istituì la Presidenza della Comarca, cioè l'organo proprio di amministrazione di quel territorio, posto sin lì, come già ricordato, alle dirette dipendenze dei dicasteri centrali dello Stato. Da questi continuò a dipendere la città, che non rientrò, sino al 1847, nella giurisdizione della neo istituita Presidenza.

Con motu proprio del 1° febbraio 1832 venne istituita, con il rango di legazione., un'altra nuova provincia, quella di Velletri, il cui governo venne di diritto riservato al cardinale decano del Sacro collegio, che aveva peraltro sin lì esercitato, sempre de iure. il ruolo di governatore della cittadina laziale. Nella legazione di Velletri vennero compresi i governi della stessa città e quelli di Sezze, Segni, Valmontone, Terracina e Cori.

Nel 1833 venne emanato un nuovo riparto territoriale, destinato a durare, senza sostanziali variazioni, sino alla caduta dello Stato pontificio. La Comarca di Roma risultò composta dai distretti di Roma (governi di Albano, Campagnano, Castelnuovo di Porto, Frascati, Genzano, Marino, speciale di Castel Gandolfo e luogo baronale di Bracciano), di Tivoli (governi di Tivoli, Arsoli, Genazzano, Palestrina, Palombara e luogo baronale di Gallicano), di Subiaco (governi di Subiaco e San Vito). Isola Farnese, che era stata sin lì un appodiato di Roma, perdette tale rango per essere ridotta a semplice frazione.

Tutte queste pur importantissime trasformazioni della struttura e degli ordinamenti territoriali dello Stato pontificio non ebbero però una diretta influenza sulla città di Roma, per la quale sarebbe occorso attendere l'epoca di Pio IX e precisamente il 1° ottobre 1847, giorno in cui venne emanato un motu proprio sulla "Organizzazione del Consiglio e Senato di Roma". Con tale disposizione il comune romano riceveva un ordinamento che lo equiparava agli altri comuni dello Stato e gli conferiva, togliendole per lo più ad uffici statali, nuove reali competenze. L'organo deliberante fu un consiglio di cento membri e quello esecutivo (la "magistratura") fu composto da otto conservatori con a capo il senatore. Il territorio municipale venne identificato con l'Agro Romano, che, a sua volta, risultava definito con certezza sia dal catasto, sia dalla cartografia che conobbe, nel sec. XIX, notevoli progressi.

 

7. Il governo italiano e la bonifica dell'Agro

Quando Roma fu riunita all'Italia, l'Agro era desolato, spopolato ed infestato dalla malaria. Una lunga serie di leggi pose rimedio a tale situazione: si cominciò nel 1878 con una normativa sul miglioramento igienico della Campagna, mediante il prosciugamento delle paludi e degli stagni e la bonifica di una prima parte dell'Agro, entro un raggio di 10 km. dalla capitale. Nel frattempo iniziò il frazionamento delle tenute appartenute agli enti ecclesiastici soppressi con la legge del 1873, che aveva esteso, con modifiche, alla neo annessa provincia romana, le leggi italiane di soppressione del 1866 e 1867.
Nel 1883 si stabilì l'obbligatorietà del miglioramento agrario, nella zona compresa entro il raggio di 10 km. da Roma, comminando la sanzione dell'espropriazione nei confronti dei proprietari inadempienti. Successivamente l'obbligo della bonifica venne gradualmente esteso (da ultimo nel 1921) all'intero Agro. Negli anni posteriori alla prima guerra mondiale venne sviluppata la politica dell'appoderamento e promossa ulteriormente la coltura e la pastorizia industriale, il tutto grazie alla concessione di terre ai reduci ed alle loro famiglie, sostenuti da mutui agevolati governativi. Ciò portò al popolamento dell'Agro e alla nascita di nuove borgate rurali, oltre che all'incremento di quelle già esistenti.
Uno degli effetti fu la trasformazione del paesaggio: campi coltivati, aree boschive e pascoli razionali presero il posto della pianura brulla e desolata che si poteva vedere in precedenza, mentre i vasti e vuoti orizzonti erano ora punteggiati da costruzioni rurali come case, stalle, silos e rimesse. In molte zone di pascolo vennero realizzati fontanili per abbeverare il bestiame. Si svilupparono nuove vie di comunicazione, che andarono ad integrare la rete delle grandi strade consolari. Le rovine romane furono oggetto di scavo e di interventi conservativi da parte dell'Amministrazione delle antichità e belle arti.
Non appena realizzato, però, questo nuovo equilibrio venne radicalmente alterato dalla crescita della città, che, già forte nel periodo fra le due guerre, ha avuto negli ultimi cinque decenni un ritmo frenetico che ha spesso cancellato paesaggi antichi e vedute tradizionali ed ha rivoluzionato le comunicazioni ed il modo di vivere. Pascoli e vallate sono ora ricoperti da asfalto e cemento e, salvo aree relativamente ristrette indenni da costruzioni, la stessa percezione della Campagna Romana è radicalmente mutata, se non perduta. E l'unico modo per ricordare è quello di ricorrere alle opere degli artisti, dei letterati e dei viaggiatori che la percorsero in un passato non più destinato a rivivere!

 

 

NOTE

1 - F. TOMASSETTI. La Campagna Romana. Antica., medioevale, e moderna. Vol. I. La Campagna romana in genere, Bologna, Arnaldo Forni, 1976, pp. 5 - 6.

2 - F. ESCHINARDI, Descrizione di Roma e dell'Agro Romano, ed. accresciuta e corretta da Ridolfino VENUTI, Roma, 1750; p. 348.

3 - L. ANNEO FLORO, Epitomae De Tito Livio Bellorum Omnium Annorum Dcc, Liber Primvs, V.

4 - Sulla riconquisla del distretto, E. DUPRÉ THESEIDER, Roma dal comune di popolo alla signoria pontifìcia, Bologna. Cappelli, 1952, (Istituto di Studi Romani, Storia di Roma, XI), pp. 21-23.

5 - F. TOMASSETTl, op. cit., p. 122.

6 - G.B. DE LUCA, (1614-1683), Commentaria ad constitutionem s. m. Innocentii XI. De statutariis successionibus, Venetiis, apud Paulum Balleonium, 1706, cap. I.

7 - Su questi recuperi, C. WEBER, Legati e governatori dello Stalo pontificio, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994 (Pubblieazioni degli Archivi di Stato, Sussidi. 7), p. 374.


 



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