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MILLECINQUECENTO

Marcantonio Colonna
e l'antico Statuto di Nettuno

a cura di
BENEDETTO LA PADULA
e
VINCENZO MONTI

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12 - ANTONIO ONGARO:
UN POETA PER NETTUNO
BENEDETTO LA PADULA


Il Cinquecento vanta un poeta, che ancora oggi interessa non solo gli studiosi locali, ma anche il mondo accademico e letterario.

Mi occupo qui di Antonio Onagro (1), perché è l'autore dell'Alceo, la favola pescatoria composta e ambientata a Nettuno, dove fu rappresentata nel 1581.

Antonio Ongaro visse tra il 1560 e il 1593.

Se sia nato a Padova o a Venezia o a Nettuno, non si hanno al momento elementi sufficienti per affermarlo con certezza, anche se i risultati imminenti delle ricerche, condotte da altri più valenti studiosi, potrebbero all'improvviso svelare su questo giovane poeta molto di più di quello che si sa finora. Sulla data della sua nascita sembrano tutti concordi nell'affermare che sia nato nell'anno 1560. Circa la data della sua morte alcuni sostengono che sia avvenuta nel 1595 a Roma, altri ancora nel 1600. Ma nella lettera dedicatoria delle Rime, rivolta alla principessa Isabella Pallavacini, datata da Valentano il 2 dicembre 1599, l'amico suo Tiberio Palella già scrive: "...farli stampare con il consiglio e licenza dell'Illustrissimo signor Mario Farnese, a cui, mentre egli visse, fu stipendiato servidore; e in morte lasciò l'eredità dei suoi scritti...come sopra l'età di trent'anni, nella quale ei mori". E più avanti, rivolto ai lettori: "La poca età, e le molte occupazioni di Antonio Ongaro mio caro amico...".

E probabile, infine, che nel 1599 alcuni anni siano già passati dalla sua morte, se il Palella dice anche che è stato "molto tempo sospeso " se pubblicare o meno i sonetti e canzoni del suo caro amico e, più oltre, che "l'haver io udito che alcuni pubblicavano molti sonetti di quest'huomo per cose loro...".

Questo mi sembra che possa avvalorare la data della morte nell'anno 1593, quando Ongaro aveva l'età di trentatre anni. Di sicuro, nella primavera/estate del 1581 era a Nettuno, alla corte di Marcantonio Colonna e della moglie Felice Orsini, ai quali era venuto a mancare tragicamente il figlio Fabrizio di 23 anni (morto a Gibilterra, il 1° novembre 1580, probabilmente per malaria).

Si può dunque datare al 1580, massimo 1581, il sonetto compreso nell'edizione delle Rime, pubblicata da Lodovico da Schio a Vicenza nel 1605, "In morte di Fabrizio Colonna"(2) :

"… Già ti destavi ad alte imprese, e quando
Salir dovevi in Campidoglio, cinto
Di cattivi tiranni il carro intorno,
Morte di Te trionfa...."

I suoi mecenati a Roma furono i fratelli Girolamo e Michele Ruis (Ruiz). A Nettuno, ispirato fortemente da questi luoghi, compose la favola pescatoria "Alceo"(3). E' lui stesso che scrive, nella lettera dedicatoria rivolta ai Ruis, in data 25 agosto 1581: "...questa mia Favola...questa mia pescatoria picciolissi ma e di niuna valuta... il mio Alceo". A Nettuno, nel palazzo baronale dei Colonna, nell'odierno Borgo medievale, recitò la sua opera, ambientata sul litorale nettunese "..dove serba i vestigi e le mine /del tempio di Fortuna il lido ancora", come canta Venere ai versi 13-14 del prologo.

I nettunesi vantano, e giustamente, questa presenza nella loro città.

"Non men si gloria Nettuno di aver avuto un eccellente poeta, e questo è Antonio Ongaro molto caro e favorito dai principi Farnesi e Colonnesi. Fu egli contemporaneo del Tasso, e ad imitazione della sua Aminta compose l"Alceo", favola pescatoria, composizione elegantissima da' letterati stimata, ed applaudita nullameno di quella del Tasso, e posta fra i testi di nostra lingua, la quale dai signori Colonnesi fu fatta recitare la prima volta in Nettuno..."(4).

Poco importa se, per una qualsiasi circostanza della vita, egli sia nato a Nettuno o altrove. Il merito che s'è guadagnato, per aver magistralmente usato i suoi versi come pennelli colorati, e lasciato di questi luoghi i più bei pannelli dipinti, lo ha fatto amare dai nettunesi da oltre quattro secoli e gli fa tenere oggi un posto riservato nei loro cuori.

Ecco alcuni dei versi dell'Alceo, in cui Ongaro fotografa Nettuno:

Dolce parlar d'amore oggi udiranno
Questi scogli, quest'alghe, e quest'arene

(Venere, vv. 86-87)

Per Dio mirate or quale
E' la città ch'un tempo
Fu nobile e superba;
Ricopre arena ed erba
Le pompe sue; consuma e fura il tempo
I regni e le ricchezze,
Non che i caduchi fior de le bellezze...

(Coro, atto I, scena I, vv. 590-596)

...io so che spesso
Di venire a pescare hai per usanza
Presso al porto che d'Anzio ancor s'appella.

(Tritone, atto II, scena I, vv. 88-90)

Là dove il lito rientrando forma
Un arco, e quasi un giro, entro al cui grembo
Hanno fido ricovero, e sicuri
Stanno da le procelle i naviganti,
Sono, come sapete, alquanti scogli
Ch'entrano in mar, facendo quasi torre
Agli estremi del porto; ivi pescando
Si stava meco Eurilla...

(Lesbina, atto II, scena III, vv. 415-423)

... Distese in giro
Avea le reti al sol per asciugarle
Presso a l'antico scoglio che s'appella (5)
Del famoso guerrier che forsennato
Per Angelica bella errò gran tempo,
E sopra un seggio e letto d'alga steso
In parte ove il terren lo scoglio adombra,
Stava sopra pensier...

(Nuncio, atto IV, scena III, vv. 268-275)

Ove non si voglia condividere la tesi che Ongaro sia nato a Nettuno, forse c'è una spiegazione alla sua presenza a Nettuno.

Nel 1560, Torquato Tasso aveva sedici anni e andava a studiare legge all'Università di Padova. Poi si trasferì a Bologna, a Ferrara, a Parigi, ancora a Ferrara, a Roma, Bologna, Sorrento, Mantova, Torino; nel 1564 morì a Roma Michelangelo Buonarroti, dopo aver lavorato a Firenze, a Bologna, a Roma; Giordano Bruno, compiuti gli studi a Napoli e vestito il saio dei domenicani, girò l'Italia in lungo e in largo, toccando poi Ginevra, Tolosa, Parigi e perfino l'Inghilterra, prima d'essere bruciato vivo in piazza dei Fiori nell'anno 1600; Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564, vi insegnò matematica fino al 1592 e poi si trasferì a Padova, per tornare a Pisa nel 1610; Benvenuto Cellini, nato a Firenze nel 1500, viaggiò a Bologna, Napoli, Mantova, Roma. Il Cinquecento fu, insomma, un secolo in cui il mecenatismo di papi, re, duchi e famiglie aristocratiche favorì un grande viavai di artisti in tutta la Penisola.

E' probabile che allo stesso modo Ongaro sul finire del Cinquecento fosse a Roma e Nettuno.

Subito dopo il 1582, il giovane poeta se ne andò a Valentano, accolto da Mario Farnese (6) e dalla moglie Camilla Meli Lupi. Ai due sposi, nel giorno delle nozze, Ongaro dedicò un "Epitalamio. Nelle nozze detti illus.mi si.ori Mario Farnese et sig.ra Camilla Lupi". Madre di Camilla era la principessa Isabella Pallavicini, colei che istituì l'Accademia degli Illuminati, cui il poeta aderì insieme con il suo amico Tiberio Palella.

Nel millecinquecento, tra i primi Farnese si trovano una Giulia e un Angelo, figli di Pier Luigi Farnese, che sposarono, rispettivamente, Orsino Orsini e Lella Orsini. Il feudo di Nettuno, prima che lo avessero i Colonna, appartenne proprio agli Orsini. Felice (o Felicia), la moglie di Marcantonio, era una Orsini.

Si può ipotizzare, ma resta solo un'ipotesi di ricerca, che sia stata proprio questa a far conoscere Ongaro a Mario Farnese e a favorirne il "trasferimento" a Valentano dopo il 1581. A Valentano Ongaro sposò Aurelia Afferi del Cardinale dalla quale ebbe tre figli.

Se non altrove, qualche notizia autobiografica di Ongaro ricaviamo dalla sua Canzone In morte della sig. Aurelia Afferi del Cardinale:

"Poiché le stelle infide
La mia cara consorte
Furano a queste piaggie ancora acerba,
Poiché miete e recide
Ingiusta e cruda morte
Le mie speranze, e le mie gioie in erba
Con la falce superba. . .

...e più avanti:

"E m'arde estinta ancora
D'invisibil face
Come arder mi solca vivendo il petto
Oh mio sommo diletto
Oh mia diletta moglie
Oh di me miglior parte,
Chi da me ti diparte
E mi porge cagion d'estreme doglie ?
Son tutti i miei conforti
Ne' tuoi begli occhi morti"

Ci sono pochi versi, che potrebbero anche farci pensare che Ongaro abbia volontariamente scelto di morire, dopo la morte prematura della moglie:

"Qual travagliata nave
Ne' falsi umidi regni
Son' io di nocchier priva,
Né spero uscir a riva
Con questi del tuo amar tre fidi pegni,
Se tu con mia sorella
Non mi sei scorta, e stella".

Nel 1593, dunque, a trentatre anni soltanto, Antonio Ongaro morì. Oggi dovrebbe essere ancora sepolto nella chiesa di san Giovanni Evangelista a Valentano (7).

Nel 1596 l'Alceo fu tradotto in francese e pubblicato a Parigi dall'editore Roland Brisset, con il titolo Alcée, pescherie ou comeàie marine.

Nel 1599 Tibero Palella compilò e pubblicò poi nel 1600 la raccolta di rime, sonetti e canzoni, che Maria Lucignano-Marchegiani e Donatella Manzoli hanno presentato a Nettuno il 5 maggio 2005 nel volume "II Canzoniere ritrovato - Rime di Antonio Ongaro", per Le Edizioni del Gonfalone.

 

BENEDETTO LA PADULA

 

NOTE

1 - Per un approfondimento, vedi anche Giuseppe Dalla Palma, Un capitolo della fortuna dell'Aminta: l'Alceo di Antonio Ongaro, in Rivista di letteratura italiana, Dip. Studi Italianistici Università di Pisa, 1994, XII, pagg. 79-128, nel fondo di storia locale 100Libri per Nettuno, inv. 002; Domenico Chiodo (a cura di), Favole, Edizioni Res, Torino, 1998, 100Libri per Nettuno, inv. 003; Rocco Paternostro, Dilettevole inganno e ingegnosa meraviglia - Studi su Antonio Ongaro, Andrea Socchi, Paolo Segneri, Nettuno 2003,100Libri per Nettuno, inv. 372

2 - 100Libri per Nettuno, inv. 510

3 - Francesco Ziletti, edizione princeps, Venezia 1582, 100Libri per Nettuno, inv. 001

4 - Bartolomeo Soffredini, Brevi memorie dell'antico Anzio del presente Nettuno e recente porto d'Anzio, manoscritto 1734, Biblioteca del Senato, pag. 35, 100Libri per Nettuno, inv. 349

5 - II riferimento è all'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Lo scoglio d'Orlando è ancora ricordato dai nettunesi prospiciente il Forte Sangallo, a pochi metri dalla spiaggia.

6 - I Farnese vantano nella loro famiglia la presenza di un Alessandro, papa dal 1534 al 1549 col nome di Paolo IH, di diversi alti prelati, e hanno avuto il dominio di numerosi tenitori, tra cui i ducati di Castro, di Latera, di Mantova, di Parma e Piacenza. Si distinsero per il loro mecenatismo, che gli consentì di realizzare edifici grandiosi, raccogliere preziose collezioni d'arte e formare fornitissime biblioteche. Nel 1700, Elisabetta Farnese lasciò al figlio Carlo di Barbone le collezioni che andarono a costituire il Museo di Capodimonte a Napoli nel 1738 e il Palazzo degli Studi nel 1838 (l'odierno Museo Nazionale) sempre a Napoli. La libreria Farnese, fondata da Alessandro (papa Paolo III) fu destinata da Carlo VII di Napoli nel 1734 a costituire il primo nucleo della Biblioteca Nazionale partenopea

7 - Pietro Cappellari-Vincenzo Monti-Alberto Sulpizi, Illustri Nettunesi, Le Edizioni del Gonfalone, Nettuno 2004, 100Libri per Nettuno, inv. 564.





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