Nel sedicesimo secolo Nettuno non era altro che un piccolo grappolo di case, arroccato sulla rupe, circondato di mura e di torri. Al suo centro sorgeva la chiesa Collegiata di San Giovanni. Nessuno degli storici che ho consultato sa dire quando questa chiesa sia stata costruita (1).
Don Vincenzo Cerri, nella sua storia di "Nettuno" del 1974, riferisce che "nel libro delle Sacre Visite che si conserva nell'archivio della Curia Vescovile di Albano del 1569, si legge testualmente":
"San Giovanni, chiesa curata di Nettuno et Collegiata ha l'Arciprete et quattro canonici che sono:
M. Pomponio De Terentiis Arciprete
M. Hieronimo Mattei
M. Cesare De Traili
M. Sante Ciotti
M. Benedetto De Guardimi
Tutti da Nettuno. Ci sono stanze della Chiesa ove i predetti canonici habitano et ci è l'habitatione per l'Arciprete. La cura è comune tra tutti et è servita una settimana ciascuno. Ogni di si dice due messe et le feste tre, che una se ne canta. Ogni vespro si canta vespro. Alle confessioni tutti sono obbligati ancorché tocchi principalmente allo hebdomadario (canonico di turno settimanale)... "
Poco più avanti del castello c'era la fortezza, fatta costruire proprio all'inizio del secolo, tra 1501 e 1503, dal papa Alessandro VI Borgia, per difendere lo Stato Pontificio dagli assalti di predoni, corsari, pirati arabi e africani. Di fronte alla fortezza c'era il convento di San Francesco, con la chiesa dedicata a san Bartolomeo Apostolo. E poi una vasta campagna di circa 70 chilometri quadrati.
Poche centinaia i residenti. Molti altri immigravano a Nettuno, specialmente dall'Abruzzo e dal napoletano per la coltivazione del grano, la raccolta dell'uva, il taglio della legna e la produzione del carbone. Il parroco di Nettuno d. Giovanni Matteucci (2) dice che alla Visita Pastorale del 1630 saranno circa 2.500, distribuiti in 500 fuochi (famiglie). Il p. Francesco Lombardi (3)ne conferma il numero di 2.500, rilevato durante la Visita Pastorale del 1636. Alla Pasqua del 1656, la popolazione nettunese si sarà ridotta a 1.457 persone(4). Lo stesso anno Nettuno sarà colpito dalla peste e la popolazione scenderà a soli 580 abitanti. Secondo don V. Cerri, nel 1660 saranno di nuovo 800 (5).
Le attività prevalenti erano la coltivazione dei campi, l'allevamento di animali e concia delle pelli, il taglio della legna, la produzione del carbone, le attività estrattive, la caccia e la pesca. Nella descrizione dello storico-geografo Flavio Biondo da Forlì del 1527:
"... Nel mare di Nettuno per quanto sassoso, anzi meglio, iaioso, vi sono pesci in abbondanza di ottima qualità. Come anche i boschi molto estesi offrono cacciagione di cinghiali e capre selvatiche in abbondanza. La uccellagione in vero avviene in due modi, a seconda della stagione. All'inizio della primavera rondini, pernici e quaglie, così chiamate per il suono che emettono, trasmigrano attraverso il mare dall'Italia..."
Nel 1568 fu Leandro Alberti a scrivere di Nettuno queste notizie: "...Per le cui rovine [di Anzio] appresso il mare fu edificato il castello Nettunio anzi ristorato dalla nobile famiglia de' Colonnesi; il quale già fu termine d'Italia da questo lato cominciando da Taranto, secondo Dionisio di Alicarnasso nel primo libro, da lui Nettunia (6) detto. Et essendo poi ristorato per le rovine di Antio fu detto Nettunium. Molto si travaglia il popolo di questo castello nell'uccellare e pescare; benché abbia buon territorio, da cui traggono grano e vino abbondantemente, nondimeno havendo tanta agevolezza da uccellare, e pescare, per maggior parte si esercitano in queste cose. Et è questo paese del lito del mare per 18 miglia insino a Lavinio, tutto pieno d'alberi, di selve, e di cespugli, luoghi tutti adagiati per cacciare animali selvaggi, come Caprioli, Lepre, e Cinghiali, dei quali ve né gran moltitudine, per gli alberi, e cespugli a proposito per uccellare con altri luoghi idonei per tale esercizio. Pigliano assai Palombi, e Quaglie nei tempi opportuni".
Dalle numerose informazioni che hanno raccolto i ricercatori del Centro Croma, dell'Università Roma Tre, pubblicate nell'Atlante Storico-Ambientale Anzio e Nettuno a dicembre del 2003, si ricava che Nettuno nel 1500 aveva una discreta economia, tale da assicurare ai suoi feudatari rendite ragguardevoli: grano, vino, orzo, legna e carbone, minerali (ferro, vetriolo, salnitro, zolfo, piombo), pelli conciate, lana, che venivano imbarcati dal porto di Astura, per andare verso Napoli o Pisa. L'amministrazione di tutto il patrimonio era affidata dal feudatario a un camerlengo, che a sua volta nominava il governatore.
Le vicende del feudo di Nettuno durante il XVI secolo riflettono da vicino quelle dello Stato Pontificio: per la sua vicinanza a Roma; per la sua collocazione geografica e per le postazioni difensive poste a guardia sul mare; per la sua appartenenza alla potente famiglia dei Colonna durante quasi tutti i cento anni di questo secolo.
Nel 1494, durante la guerra di Carlo VIII di Francia contro il viceré di Napoli Ferdinando d'Aragona, il territorio di Nettuno era sotto assedio. I Colonna si erano schierati con la Francia. Il papa Alessandro VI Borgia, da due anni sul soglio pontificio, sosteneva naturalmente la Spagna e appoggiava Alfonso II, succeduto a Ferdinando nel regno di Napoli. Il papa, alleatesi con la potente famiglia romana di Virgilio Orsini, fece invadere le terre dei Colonna, i quali avevano un migliaio di uomini armati. Alfonso II cercò invano di occupare Nettuno, ma fu fermato a Terracina.
Per questo loro schieramento contro la Chiesa, nel 1501 Alessandro VI confiscò tutte le terre dei Colonna. Inflisse, inoltre, la scomunica e la condanna di lesa maestà ai Colonna Prospero, Fabrizio, Marcantonio I, Camillo, Muzio, Prosperetto, Francesco, Pietro, Giulio, Ottaviano, Pompeo, un altro Pietro e Francesco. Un altro parente, il cardinale Giovanni Colonna, fu salvato dalla scomunica, ma fu privato ugualmente dei feudi e dei beni posseduti. Il papa Borgia divise le terre confiscate tra i suoi figli e nipoti. Rodrigo, nato nel 1499 da Lucrezia Borgia e Alfonso d'Aragona, ne ebbe 28, fra città e castelli. Avendo solo due anni, egli era sotto tutela dello zio Cesare, figlio di papa Alessandro. Fra i beni che gli furono assegnati c'erano Nettuno e Astura, Ardea, Albano, Sermoneta e Cisterna. Nel 1501 il papa fece iniziare la costruzione della fortezza di Nettuno, affidandone l'esecuzione ad Antonio Giamberti da Sangallo, su disegni del fratello Giuliano. Lo stesso Alessandro, insieme con Cesare, detto il Valentino, venne a Nettuno per osservare l'esecuzione dei lavori.
Una lettera inviata alla rappresentanza pontifica di Venezia l'11 maggio 1503 diceva:
"Questa mattina avanti zorno, el Pontefice col Duca (Valentino) sono montati a cavallo ed andati verso Nettuno, terra dei Colonnesi, e saranno fora sino a Marti proximo per quanto Mosimpo suo secreto camerier ozi mi fece intendere per parte di sua Santità".(7)
Il 18 agosto 1503 Alessandro VI morì di malaria. Gli successe Pio III, che visse solo 26 giorni, quindi fu eletto Giulio II. Questi, appartenente alla famiglia Della Rovere, era alleato dei Colonna e perciò, catturato Cesare Borgia, restituì loro i castelli e i feudi, che pochi anni prima gli erano stati tolti.
Nel 1508, una figlia di Giulio II, Lucrezia Gara Della Rovere, sposò Marcantonio Colonna I, capitano della Chiesa, nipote del cardinale Prospero Colonna. Marcantonio I discendeva da un ramo dei Colonna che faceva capo ad Antonio, Principe di Salerno. Lo zio papa assegnò alla coppia il palazzo dei Santi Apostoli in Roma e il feudo di Frascati.
"La famiglia Colonna si distingueva in Roma per una egemonia riuscita a mantenere sulle altre famiglie e papa Giulio pensò quindi di legare i Colonna alle finalità del suo pontificato. Con i Colonna, poi, papa Giulio, fin dai tempi del cardinalato, aveva coltivato una amicizia, fondata nella comune avversione ai Borgia e consolidata dalle persecuzioni alle quali erano andati insieme incontro"(8).
Ho citato Marcantonio I, perché nel 1515 egli diede a Frascati un nuovo Statuto, riordinando vecchi ordinamenti medioevali di quel feudo (9). Nel 1514 anche Nemi, soggetta agli stessi Colonna, ebbe lo Statuto con il medesimo procedimento del riordinamento di antiche prescrizioni. Voglio anche citare lo Statuto di Supino (10) del 1534, che fu dato da Giovanna d'Aragona, figlia illegittima di Ferdinando il Cattolico re di Spagna, moglie di Ascanio Colonna e madre di Marcantonio II, il signore di Nettuno.
Lo Statuto di Supino è diviso in libri. 11 libro I tratta delle cariche civili e militari così distribuite: tre conestabili scelti da Ascanio Colonna per sei mesi, quattro o più Massari scelti dai conestabili, due sovrintendenti scelti dai conestabili e dai massari, due viari scelti dai conestabili e dai massari, dodici capi degli ufficiali, il camerario, il capitano o vicario del castello quale rappresentante di Ascanio, gli ufficiali. Poi c'erano un messo comunale e un milite. Nell'ordinamento statutario, il conestabile aveva il governo del castello, i massari erano i loro aiutanti, i sovrintendenti erano addetti all'annona, i viari erano addetti alle vie, i dodici capi avevano la sorveglianza del paese, il capitano o vicario amministrava la giustizia, il messo comunale provvedeva alle citazioni e il milite era incaricato di eseguire le sentenze.
Nel libro II si tratta dei delitti e delle pene, nel III dei danni provocati ai beni altrui o del feudatario, dalle persone o dalle bestie. Nel libro IV si tratta dei fatti straordinari. Lo Statuto di Nettuno, ripubblicato in questo volume, non ha la stessa struttura, ma per quanto viene osservato da Benedetto La Padula, è probabile che le due parti oggi riunite, Statuto e Capitoli, non siano le sole esistenti. Altre e più approfondite ricerche future potrebbero riservare nuove sorprese agli studiosi di storia locale.
Dopo la morte di Giulio II, il suo successore Leone X (1513-1521), nominò cardinale Pompeo Colonna. Il 19 e 20 settembre 1526, insieme con Ugo de Moncada, vicerè di Napoli, Ascanio e Vespasiano Colonna, Scipione, vescovo di Rieti ed altri Colonna, il cardinale invase Roma e occupò il Vaticano. Durante la notte, Pompeo Colonna, che aveva ricevuto dall'imperatore Carlo V promesse di terreni e denari, con un esercito di 8000 uomini abbatté la porta di San Giovanni in Laterano e occupò il Trastevere. Il pontefice Clemente VII fece in tempo a rifugiarsi a Castel Sant'Angelo, ma il Vaticano e i palazzi vicini furono saccheggiati. Clemente chiese la mediazione di Ugo di Moncada, vicerè di Napoli, si impegnò a concedere il perdono ai Colonna e a ritirare le sue truppe dalla Lombardia, in cambio di una tregua di quattro mesi.
Successivamente il papa dichiarò Pompeo colpevole di ribellione e di tradimento, nemico della Sede Apostolica e della Chiesa, lo escluse dal Concistoro, scomunicò e punì i Colonna per gli stessi delitti. L'anno successivo, poi, nel 1527 avvenne il "sacco di Roma". Il 6 maggio le truppe imperiali di Carlo V, forti di circa quarantamila uomini, fecero irruzione a Roma. Quattordicimila erano i lanzichenecchi luterani di Giorgio di Frundsberg, seimila gli spagnoli comandati da Carlo di Borbone; gli altri erano italiani di Fabrizio Maramaldo, di Sciarra Colonna e di Luigi Gonzaga, che si erano messi al comando di Ferdinando Gonzaga e del principe d'Orange Filiberto di Chalons, numerosi disertori dell'esercito della lega santa, i soldati licenziati dal Pontefice e non pochi banditi attratti dalla speranza di rapine.
Gli invasori uccisero parecchie migliaia di difensori del papato, saccheggiarono e distrussero. Le chiese furono invase, profanate e spogliate di tutti i tesori, degli arredi sacri, di statue e quadri, considerati dai luterani come segni di idolatria. Il cardinale Pompeo Colonna entrò a Roma il giorno 8 maggio, seguito da numerosi contadini dei suoi feudi, i quali si vendicarono dei saccheggi subiti mesi prima per ordine del pontefice, saccheggiando a loro volta tutte quelle case in cui ancora rimaneva qualche cosa da prendere o da distruggere. Pompeo Colonna fece finanche incendiare la villa Madama di papa Clemente VII, ma poi, da assalitore si trasformò in mediatore tra gli imperiali e il pontefice e pose fine al tragico assedio. Nel 1535 a Civita Lavinia, da Ascanio e Giovanna d'Aragona, nacque Marcantonio IL Nel 1540 nuovo spossessamento dei Colonna da parte di un papa. Paolo III (1534-1549) tolse ad Ascanio tutte le sue terre, compresa quella di Nettuno. Vi è un documento anonimo, pubblicato dal Rasi (11), in cui si dice che:
"...sotto Leone X, ed Adriano VI tra il Papa ed i Colonnesi non vi furono discordie; e benché ve ne insorgessero di molte tra Clemente VII suo successore, ed i medesimi; contuttociò pare che non perdessero Nettuno".
All'anno 1550 la tradizione cristiana fa risalire l'approdo dell'antica statua di legno della Madonna delle Grazie sulla spiaggia della chiesetta dell'Annunziata. Il racconto dettagliato, dopo le notizie che ci erano arrivate dagli storici locali già citati, è fatto dai padri passionisti Atanasio Cempanari e Tito Amedei (12), i quali affermano di avere consultato due manoscritti, superstiti a distruzioni e incendi degli archivi di Nettuno: una Istoria compilata nell'anno 1718, rinvenuta tra le carte di tale Giuseppe del Monte e conservata nell'archivio della Collegiata, e un Compendio Storico, trovato nel 1806, in uno spoglio di carte fatto da una famiglia nettunese, conservato nello stesso archivio. Nell'anno 1550, a causa della riforma anglicana, imperversava in Inghilterra la persecuzione di re Enrico VIII e di Edoardo VI contro i cattolici, e le statue dei santi venivano distrutte.
".. .probabilmente si era nella stagione invernale -scrivono i due storici passionisti- o nello scorcio tra inverno e primavera, allorché più furiose si scatenano le tempeste, e le mareggiate con violenza implacabile flagellano queste sponde tirreniche anche per più giorni. In quella stagione del 1550, dunque, s'abbattè sulla costa nettunese un fortunale che doveva essere di particolare veemenza e durata... La furia delle onde e la quantità delle acque, aumentate da qualche forte temporale, fu tale che l'antica insenatura del porticciuolo Caenon e il pantano formato alla foce del fiumicello Loricina sembrava un vero laghetto, più calmo e riparato tra le circostanti acque spumeggianti ed agitate. In mezzo allo scatenarsi degli elementi, fu veduta e seguita dai nettunesi a riva <una non ordinaria nave, che da ponente andava verso levante, indi a poco ritornava a vedersi di ritorno verso ponente, durando tale andare e ritornare dal Monte Circello al Capo d'Amo, allora senza porto, per tre giorni continui senza poter spuntare e proseguire il suo viaggio per le mutazioni dei venti e per la fierezza dell'onde>.
Alla fine, gli sfortunati naviganti riuscirono ad approdare davanti la piccola chiesa dell'Annunziata e vi scaricarono le tre statue della Madonna delle Grazie, di S. Rocco e di S. Sebastiano. A quell'epoca, secondo la tradizione, risalirebbe il culto dei nettunesi per la Madonna delle Grazie.
Alla morte di Paolo III, Ascanio Colonna ritornò di nuovo in possesso delle sue terre e fu perdonato da Giulio III (1550-1555), ma dopo la reintegrazione commise molti altri reati. Si racconta che una volta, essendo stato chiamato in causa da alcuni creditori, non solo maltrattò il suo accusatore, ma fece abbattere tre case di tale Luca Evangelista, figlio di Paolo in Nettuno. Mise in carcere i parenti, ordinò al capo della polizia, Morgante, di cercarlo e ucciderlo, e fece confiscare anche tutti i beni di Paolo Evangelista. Calcedonio Soffredini ricorda anche un ricorso del Comune di Nettuno contro Marcantonio al commissario apostolico, sottoscritto da ventitrè testimoni. Dopo questi fatti, Ascanio fu mandato in prigione dal cardinal Pacieco, vicerè di Napoli, finché non vi morì il 22 marzo 1556.
Una sentenza di monsignor Atracino del 1556 condannava all'esilio Marcantonio Colonna, accusato di aver ordito una congiura contro la Santa Sede. A questa sentenza seguiva la Bolla di Paolo IV (1555-1559) del 4 maggio 1556, in cui si elencavano tutti i delitti commessi dai Colonna contro il papato, dal tempo di Bonifacio VIII, fino ad allora. In quella Bolla, confermando la sentenza di monsignor Atracino, il papa inflisse anche la scomunica maggiore ad Ascanio e a Marcantonio Colonna, per spergiuro, ribellione e lesa maestà e li privò di tutti i loro feudi e beni.
Negli anni 1556/57, papa Paolo IV Carafa intraprese un'altra guerra per togliere al re Filippo II di Spagna il regno di Napoli. Creò il ducato di Paliano e lo assegnò al nipote Giovanni Carafa. E ai Carafa assegnò anche Nettuno. Il maresciallo Strozzi, ufficiale del re di Francia, era allora responsabile delle scarse difese allestite a Nettuno contro gli attacchi della marina spagnola. Per questo, Giovanni Carafa scrisse al duca di Somma, di stanza a Velletri, ordinandogli di distruggere la rocca di Nettuno e di smantellare la terra. Ma il duca, con la sua risposta del 18 agosto 1556, si oppose, scrivendo al Carafa (13) :
"V.a Ex.tia viene ad havere guasta la miglior Terra che ha: perde 6.m scudi d'entrata, et, rovina mezzo questa marittima: perché non essendovi fortezza, Nettuno si disabita, disabitandosi Nettuno, li Massari di Marittima saranno preda ai corsali, sicché viene a fare un gran danno per nullo utile".
"Vostra Eccellenza viene ad avere distrutta la migliore terra che ha: perde un'entrata di seimila scudi e rovina questa terra di mare: perché se non vi sarà più una fortezza, gli abitanti scapperanno via e quando Nettuno sarà disabitata, i massari saranno facile preda dei corsari, così che viene a provocare un grave danno, senza trame nessun vantaggio".
Alla minaccia di distruzione i nettunesi si ribellarono, scacciarono il presidio francese e mandarono le chiavi del castello e della fortezza a Marcantonio Colonna II, nel campo del duca d'Alba, viceré di Napoli.
Questi allora mandò il capitano calabrese Moretto (14), con un manipolo di uomini armati, che coraggiosamente fecero indietreggiare la milizia pontificia, che da Velletri già marciava verso Nettuno per soffocare la ribellione. Nettuno era di grande utilità al duca d'Alba, che attraverso questo porto, poteva trasferire vettovaglie e munizioni, provenienti da Napoli e Gaeta, e dirette all'esercito spagnolo fermo ad Ostia.
Nel 1560 la flotta turca distrusse la flotta di Francesco II, re di Francia, e catturò 28 galee e molte navi. Marcantonio Colonna II, temendo che Nettuno potesse essere assalito dalla flotta nemica, per ordine di Pio IV, il 21 maggio ordinò ai massari di questa terra che, fatto sgomberare il paese da masserizie, donne e fanciulli, stessero in guardia e allertassero le guardie di Astura e di Anzio (15).
"Magnifici Nostri Carissimi, dovete sapere, come l'armata del Turco ha rotta l'armata del re nostro in Barbarla, et hanno già prese circa 28 galee, et molte navi; per il che facilmente potrebbe accapitare da queste bande. Pertanto vi ordiniamo che dobbiate subito far sgombrare tutte le vostre robbe, donne, et putti da Nettuno, et li manderete dove meglio vi parerà, et farete fare le guardie a quelli che resteranno, co quella diligenza che se' conviene, acciò venendo (il che Dio non permetta) ve possiate salvare tutti, et medesimamente fate star vigilante le guardie d Astura, et della Torre de Anzo, et state sani.
Di Roma li 21 maggio 1560.
Di questo noi ne havemo parlato co ' S. Santità, la quale è di parere che facciate quanto ve' scrivemo.
IL C. M. ANT. COLONNA.
Fuori - Alli Mag. Massari di Nettuno nostri Carissimi.
Quante analogie con gli ordini diramati dai tedeschi nell'autunno del 1943, perché abbandonassero la città di Nettuno e tutte le loro cose, nell'imminenza dello sbarco alleato del 22 gennaio 1944!
Del 17 giugno 1560 è lo Statuto dato da Marcantonio ai nettunesi. Della stessa data sono i "Capitula", che Calcedonio Soffredini pubblicò nel 1879. Dice Soffredini:
"...i poveri terrazzani che per l'innanzi erano appena padroni della pesca e della cacciagione, doveano ora farne parte all'Illustrissimo Signore in onta al pubblico diritto delle genti. Inoltre i miseri cittadini erano circondati da divieti e da balzelli di ogni fatta; tassati quelli che avessero seminato cereali, e a tutti indistintamente una tassa per ogni fuoco, cioè ad ogni famiglia. Infine si ordinava l'osservanza di questi capitoli sotto lo spauracchio di molte pene, e di quella specialissima -sub poena arbitrii nostri...Altre angherie, altri balzelli seguivano nel 1568, i quali, se conciassero a meraviglia i poveri terrazzani non è a ridire. E dì questi ancora se ne ordinava l'osservanza sotto quelle pene che meglio avesse voluto l'arbitrio di sua Signoria Illustrissima. In una deliberazione consigliare del 22 Novembre 1579, dal consigliere Domenico Guarellino, si faceva ricordo all'assemblea di una usurpazione di terre del Comune fatta dal Colonna nella regione di S. Anastasio"(16).
Una lettera di Marcantonio da Roma al camerlengo di Nettuno, datata 22 gennaio 1565, testimonia che quell'anno fu riparato il palazzo di famiglia nel Borgo . Scriveva Marcantonio:
"Volemo che facciate nettar cotesto n[ost]ro palazzo, et che ogniuno sen'esca, tanto affittuarj come ufficiali, et fate conciar le stanze, et a quelle che non stanno verso la marina, facciate far le impannate alle finestre, drizzandole di maniera, che ci possa habitare commodamente".
Nel 1565 a Marcantonio nacque il nipotino Marcantonio III, figlio di Fabrizio e di Anna Borromeo.
Il 7 ottobre 1571 si combattè la battaglia di Lepanto, di cui è ampiamente detto in altra parte di questo volume. Del 20 maggio 1575 sono le istruzioni date da Marcantonio al camerlengo di Nettuno Andrea de Vergili di farsi consegnare ogni anno dagli affittuari 400 rubbie di grano. Una rubbia equivaleva a circa 294 chilogrammi.
Quell'anno molti nettunesi parteciparono a Roma al Giubileo indetto da papa Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572/1585). Le donne indossavano i loro abiti tradizionali, di origine araba, come ce lo hanno tramandato tante immagini e descrizioni. Si racconta che fu proprio in quella occasione che il papa le obbligò ad allungare le loro gonne, ritenute scandalose, corte com'erano fino alle ginocchia.
Eseguendo un "breve" del papa Pio IV (Giovan Angelo de' Medici, 1559-1565) del 7 febbraio 1563, rinnovato il 10 agosto 1565, Marcantonio restaurò le antiche mura del castello, costruendone altre, come si legge sulla lapide posta sulla torre dell'orologio del palazzo baronale, dove si ricorda anche la scoperta di una miniera di vetriolo nel territorio anziate.
Nel 1577 Marcantonio fu nominato vicerè di Filippo II di Spagna in Sicilia, dove si distinse per il suo buon governo.
Nel 1581, nel palazzo di Nettuno, il poeta Antonio Ongaro recitò davanti all'intera corte, la sua favola pescatoria "Alceo". La tradizione vuole che il poeta Antonio Ongaro sia nato a Nettuno nel 1560, anche se altre fonti lo vogliono nato a Padova o Venezia.
Il 1° agosto 1584 Marcantonio II Colonna morì in Spagna a Medinaceli. Gli successe il nipote Marcantonio III, che il nonno, prima di morire, aveva assegnato alla tutela della nonna Felice. Fu proprio questa, che, nel 1586 impose ai nettunesi i capitoli (18), con i quali vietava ai cittadini del feudo, la vendita del vino ai forestieri e ai viandanti, riservando il diritto solo al fittuario baronale.
Il 13 settembre 1594 Marcantonio III e sua nonna Felice Orsini vendettero a Clemente VIII (1592-1605) e alla Reverenda Camera Apostolica il feudo di Nettuno, con le terre, le torri, compresi i suoi abitanti, per il prezzo di 400.000 scudi. Ma è più probabile che il feudo sia stato riacquisito dalla Chiesa per i numerosi prestiti che Marcantonio II aveva ricevuto e non restituito.
Il 1° novembre del 1595, all'età di vent'anni, morì anche Marcantonio III, che solo il 27 ottobre precedente aveva avuto da Orsina Damasceno Peretti, un figlio, al quale aveva dato il nome di Marcantonio IV. A proposito della situazione debitoria, scrive l'abate Antonio Coppi:
"Sul patrimonio avito eranvi allora molti debiti. Per estinguerne una porzione, [Marcantonio III] nel 1587 eresse, unitamente al Cardinal Ascanio suo zio, un Monte Colonnese nel capitale di scudi 150.000. Fu questo diviso in Luoghi, o sia Azioni di scudi cinquanta, e di scudi cento l'una, col frutto al sei per cento ad anno. Per garanzia dei creditori, coli 'autorità sovrana di Sisto V, furono ipotecati Nettuno, Paliano ed altri beni affittati in tutto per annui scudi 20.000. Si stabilì che di questa somma annui scudi 9.000 fossero applicati al pagamento dei frutti, e dopo un triennio altri scudi 9.000 all'anno fossero impiegati nell'estinzione della sorte".
Secondo David Armando e Sergio Raimondo, nell'Atlante storico-ambientale Anzio Nettuno, "dalla mancata restituzione dell'ultimo di questi prestiti originò infine, nel 1594, la confisca della circoscrizione feudale da parte della Camera Apostolica. Di fatto si trattò di una vendita, conseguente però all'omissione del rimborso di 400.000 scudi prestati da Sisto V ai Colonna nel 1589"(19) .
Sulle cause di una situazione economica così fallimentare, il Tomassetti faceva pesare anche le doti, che Marcantonio aveva dovuto assicurare a sorelle e figlie:
"...le ragioni della vendita sono state. Le doti delle sorelle di Marcantonio (Vittoria, moglie di Garzia di Toledo; Girolama, moglie del duca di Monte Leone; Agnese, moglie di Onorato Caetani) e delle sue figlie (Giovanna, moglie del duca di Mondragone; Costanza, moglie del conte di Caravaggio; Vittoria, moglie del conte di Melgar, figlio di Ammirante di Castiglia). In più i danni subiti per la perdita dello stato al tempo di Paolo III e Paolo IV e quelli dovuti al tempo e alle rovine; le spese fatte nella guerra navale contro i Turchi; le liti con il principe di Sulmona; le transazioni con Vespasiano Gonzaga e con i Chigi; la dote di Giovanna, sorella del conestabile, nuora del principe Doria" (20).
La vedova Felice Orsini -come narra A. Coppi- rimase talmente desolata per la perdita del consorte, che da quell'epoca usò sempre di sottoscriversi "l'infelice Felice Orsina". Morì a Roma il 27 luglio 1596. Fabrizio, il figlio primogenito, nato nel 1557, sposò Anna Borromeo, sorella del cardinale Carlo, dalla quale ebbe i due figli Marcantonio III e Filippo. Nel 1580 andò a combattere in Spagna contro il Portogallo, ma a Gibilterra si ammalò e morì, forse di malaria. Il suo corpo, poi, si perse in mare a causa di un naufragio.
"I - Marcantonio II sino dal 1569 aveva fatto testamento. Prescrisse il modo di pagare i debiti, quindi in sostanza dispose:
II - Lascio ad Ascanio mio figlio il Castello di Marino ed il Castello di Rocca di Papa, come anche il mio palazzo di Roma presso i Santi Apostoli, che dicesi palazzo della Torre ...
III - . A Federico mio figlio lascio il Castello di Nettuno colla rocca di Astura, ed il Castello di Monte Compatri, come anche il Monte ed il palazzo vecchio sotto il monte Quirinale.
IV - In tutti gli altri Castelli, Terre e Fortezze di me testatare nello Stato ecclesiastico, cioè, Anticoli, Anticoli Corrado, Amara, Castel Mattia, Cave. Ceccano, Collepardo, Falvaterra, Genazzano, Giuliano, Morolo, Olevano, Paliano, Piglio, Pofi, Ripi, Rocca di Cave, San Lorenzo, Santo Stefano, Scurcola, Serrane, Sonnino, Supino, Trivigliano, Vallecorsa e Vico, come anche nel mio palazzo vecchio presso i Santi Apostoli, contiguo al suddetto palazzo della Torre, ed in tutti gli altri miei beni istituisco erede universale Fabrizio mio figlio primogenito.
V - In tutti questi beni poi, eccettuati i feudi che ho nel Regno di Napoli, quali lascio alla disposizione del diritto, istituisco tre primogeniture a favore dei suddetti miei figli Fabrizio, Ascanio e Federico, e loro discendenti primogeniti maschi, escluse le figlie, e ciò con reciproca sostituzione"(21) .
Papa Clemente VIII, con suo messaggio del 15 dicembre 1594 al Comune e agli uomini di Nettuno, promise che quanto prima avrebbe fatto disboscare e estirpare alcune località del territorio acquistato, e fatto ricostruire in parte l'antico porto di Nerone a beneficio dei nettunesi. Nel territorio acquistato furono comprese anche 700 rubbie di terreni, cedute dal municipio di Nettuno perché fossero messe a coltura. Vediamo come questo fatto ci è stato raccontato dai diversi storici locali che ne hanno parlato. Dice Bartolomeo Soffredini nel 1734:
"... Clemente VIII pose tanto interesse in questo negozio che a trattarlo vi elesse i cardinali capi d'ordine, il cardinal camerlengo, il tesoriere e commissario della Camera, e intesone il sagro collegio in pubblico concistorio dichiarò che non solo non intendeva nel suo pontificato permettere delle alienazioni, ma aumentare con nuovi acquisti lo stato temporale della Santa Sede. Quindi ordinò che in perpetuo fosse incorporato alla Santa Sede, ed alla Camera Apostolica sotto proibizione di alienazione, ed altre cose contenute nella costituzione di S. Pio V de non alienandis vel infeudandis dei 4 aprile 1566. In colai circostanza, come si è già riferito, la Camera aumentò questo nuovo acquisto con una possidenza in gran parte boschiva di 700 rubbia di terre che gli venne ceduta dal municipio di Nettuno a condizione peraltro che si disboscasse, e concedesse a seminare per certa corrisposta agli abitanti del luogo. Clemente VIII nel suo breve all'uopo emanato, nel promettere il disboscamento delle terre donate per l'oggetto indicato, aggiungeva che per render più prospera la condizione degl'infelici Nettunesi avrebbe fatto risorgere l'antico porto Neroniano, ma questa promessa venne eseguita in parte come vedremo dal suo successore Innocenzo XII che vi costruì un piccolo porto, e poco sicuro al ricovero de' naviganti"(22) .
E padre Francesco Lombardi ha scritto nel 1865:
''Di tale acquisto volle il Pontefice darne solenne partecipazione alla Comunità di Nettuno con Breve dei 15 decembre 1594 esistente in originale nell'archivio della medesima, manifestando che il suo disegno era di beneficare il paese specialmente mediante la restaurazione del Porto Neroniano, in compenso delle 700 Rubbia di terreno da essa cedute alla Camera Apostolica per isboscarle... Peraltro queste speranze di bonificazione, e ripristinamento del Porto non ebbero più effetto senza che non se ne conosca il motivo"(23).
Il canonico parroco e arciprete della Collegiata di Nettuno, Giovanni Matteucci, nel 1872 ha scritto:
"Nell'anno 1594 il Papa Clemente VIII acquistò dal Contestabile Marco Antonio Giuniore Colonna la Signoria, e territorio di Nettuno. E siccome era già sua intenzione restaurare il porto Neroniano, così di questo acquisto ne volle dar parte al Comune di Nettuno con suo Breve del 15 Decembre detto anno: partecipandogli essere sua sovrana risoluzione il ripristinamento del citato porto, e per sicurezza dei naviganti, e per bonificare con ciò il paese in compenso delle sette cento Rubbia di terreno boschivo da Essi venduto alla Rev. Camera Apost. per averne altre disboscate per la sementa.... A tal notizia esprimer non puossi la consolazione di què terrazzani, e di tutti i Naviganti: sgraziatamente però per impreviste circostanze di governo quelle ripristinazioni, e beneficenze non ebbero effetto. In quel tempo, e da secoli prima fino alla costruzione del nuovo Molo Innocenziano, l'antico porto Neroniano, e quel ristretto avvallamento; ricco tanto in romane grandezze, Tempi, teatro, Circo, Villa imperiale, palagli, e quanto di bello e magnifico abbiamo descritto già, non presentava allora che lagrimevol ammasso di grandi rovine, tetro silenzio, orrida solitudine...Si conosceva appena sotto il misero nome di Capo d'Anzio, o Capo d'Anzo. V'era solo miserabil Osteria, e nel solo inverno, a ricovero di qualche povero viandante, o pescatore, sita al di sopra della Fontana grande, atterrata in seguito, con qualche colpa storica, essendo stata per oltre dodici secoli siccome un <Faro che splende sopra un campo funereo>..."(24)
Il Comune era legittimo proprietario di quei terreni, secondo quando ci ha tramandato don Matteucci:
"Come da atti consiliarii di quel Comune, i Monaci di S. Anastasio... nell'abbandonar il loro Monastero per la mal aria e pochezza di soggetti, donarono al Comune ed il Monastero e la loro possidenza in Rubbia sette cento sterposo e boschive.."(25) .
Le promesse non furono mantenute, né dal papa Aldobrandini, né dai successori, nonostante i molti ricorsi che i cittadini di Nettuno fecero.
Poi il porto di Anzio fu ricostruito, dopo un secolo, per opera di Innocenze XII, nel 1700. Ma per 265 anni la Camera Apostolica usufruì della vasta proprietà dei nettunesi, senza nessun corrispettivo. I nettunesi l'avranno vinta solo nel 1859 e le terre gli saranno restituite.
Nel 1598 sorsero altre liti tra il fittuario baronale, certo Savelli, e la comunità di questo paese, che fece ricorso a papa Clemente, invocando l'intercessione del celebre cardinale sorano Cesare Baronio. Il 28 giugno di quell'anno, il cardinale scrisse ai nettunesi da Ferrara e li assicurò della buona intenzione del papa di risolvere in loro favore la lite. Ma, raccontano gli storici, il 21 maggio 1599 Clemente, emanò una disposizione, chiamata in seguito La Barberina, per mezzo di Maffeo Barberini, chierico di camera, futuro papa Urbano VIII, con cui furono imposte ai nettunesi nuove angherie. Il consiglio civico, con un atto consiliare del 22 novembre 1599, proposto da un tale Paolo Segneri (antenato del più famoso oratore gesuita nato nel 1624), deliberò di andare a Roma con una folta rappresentanza di popolo "ognuno a sue spese e per i vecchi si piglino i cavalli".
Nel 1599 nacque Andrea Sacchi, che, durante la prima metà del XVII secolo, sarà uno degli esponenti più rappresentativi della pittura barocca a Roma.
Nel 1600, il cardinale Bartolomeo Cesi iniziò a costruire una villa in piazza Colonna, che successivamente prenderà il nome di palazzo Doria-Pamphilj e sarà affrescato dal pittore ticinese Pier Francesco Mola.
Era finito il millecinquecento e con esso era finita anche l'epoca di Marcantonio Colonna.
VINCENZO MONTI
NOTE
1 - Vedi da ultimo don Vincenzo Cerri, Nettuno, 1980, 100Libri per Nettuno, inv. 49, alle pagg. 104-105: "Nessuno di coloro che hanno scritto sulle cose di Nettuno è riuscito a indicare almeno un'epoca approssimativa dell'erezione del suo Capitolo. La sua origine si perde nell'antichità, a differenza delle altre Collegiate della Diocesi, compresa la Cattedrale di Albana, le quali possono leggere nella storia l'epoca detta loro erezione. Peraltro, le prove positive detta sua esistenza, che pure ci rimasero fra le mille fortunose vicende dei secoli, risalgono a oltre il 1400 e dimostrano chiaramente che i Canonici avevano un Capo, una Dignità (l'Arciprete), formavano un Capitolo legalmente costituito, venivano eletti dagli Eminentissimi vescovi, avevano la loro canonica, la loro amministrazione, e facevano vita comune"
2 - G. Matteucci, Cenni storici dell'Anzio antico, Nettuno e Porto d'Anzio, Roma, 1872, 100Libri per Nettuno, inv. 181, pag. 50
3 - F. Lombardi, Cenni storici di Anzio antico e moderno, Roma, 1847, 100Libri per Nettuno, inv. 231, pag. 421
4 - Simona Bultrini, in G. Caneva-C. M. Travaglini, Atlante storico-ambientale Anzio Nettuno, Roma 2003, pag. 233, 100Libri per Nettuno, inv. 436
5 - D. Vincenzo Cerri, Nettuno, 1974, 100Libri per Nettuno, inv. 49, pag. 199
6 - A questa stessa denominazione si ispirerà Benito Mussolini, quando, nel 1939, riunirà sotto il nome di "Nettunia" i due comuni di Nettuno e Anzio (decreto n. 1958 del 17 novembre 1939)
7 - Calcedonio Soffredini, Storia di Anzio Satrico Astura e Nettuno, Roma, 1879, 100Libri per Nettuno, inv. 316, pag. 147
8 - Annibale Ilari, Frascati tra Medioevo e Rinascimento, Roma 1965, 100Libri per Nettuno, inv. 586, pag. 77
9 - A. Ilari, Frascati, cit. pag. 119 "Statuti e Capitoli del Castello di Frascati emanati da Marco Antonio Colonna nell'anno 1515"
10 - Cesare Bianchi, Statuta castri et universitatis Supini, Roma, 1986
11 - Giovanni Battista Rasi, Sul porto e territorio di Anzio discorso istorico, Documento n. 4, Pesaro 1832/33, 100Libri per Nettuno inv. 188
12 - A. Cempanari-T. Amodei, Il Santuario di Nostra Signora delle Grazie e di S. Maria Goretti, Roma, 1964, pag. 20 e segg., 100Libri per Nettuno, inv. 287
13 - Biblioteca Barberini, cod. mass. Intit. - Lettere di uomini illustri ai Carafa - LXI, 16, pag. 263, in C. Soffredini, Storia, cit., pag. 155
14 - Vedi in questo volume il contributo di Alberto Sulpizi
15 - G. B. Rasi, Sul porto cit., Documento n. 3, 100Libri per Nettuno, inv. 188
16 - C. Soffredini, Storia, cit., pag. 157-158
17 - David Armando-Sergio Raimondo, Nettuno nella signoria dei Colonna, in G. Caneva-C. M. Travaglini, Atlante storico-ambientale Anzio Nettuno, Roma 2003, nota 48, pag. 279
18 - Vedi in questo volume alle pagine precedenti
19 - David Armando-Sergio Raimondo, Nettuno nella signoria dei Colonna, in G. Caneva-C. M. Travaglini, Atlante storico-ambientale Anzio Nettuno, Roma 2003, pag. 219
20 - G. Tomassetti, La Campagna Romana, vol. II, pag. 398, nota b), 100Libri per Nettuno, inv. 277
21 - A. Coppi, Memorie Colonnesi, Roma 1855, pag. 350-351
22 - Bartolomeo Soffredini, Brevi memorie dell'antico Anzio del presente Nettuno e recente porto d'Anzio, manoscritto 1734, Biblioteca del Senato, pagg. 31-32, 100Libri per Nettuno, inv. 349
23 - Francesco Lombardi, Anzio antico e moderno, Roma 1865, pag. 295, 100Libri per nettuno, inv. 219
24 - Giovanni Matteucci, Cenni storici dell'Anzio antico, Nettuno e Porto d'Anzio, Roma 1872, pag. 62, 100Libri per Nettuno, inv. 181
25 - ivi, pag. 62 (nota) |