A partire dal secolo IX, per arginare il pericolo delle invasioni saracene, vengono adottate misure difensive che prevedono la dislocazione di torri di avvistamento lungo il litorale, avamposti che servono a dare l'allarme e consentire alla popolazione di asserragliarsi nella fortezza più vicina.
Queste torri sono costruite generalmente con materiale di recupero e in forma circolare, per consentire agli occupanti una completa visibilità. Esse svolgono però la sola funzione di avvistamento e risultano inadeguate alla difesa; sono inoltre molto distanziate tra loro e lasciano dei vuoti che, impedendo la continuità delle segnalazioni, non garantiscono la sicurezza dell'intera fascia costiera.
Con il feudalesimo e le lotte baronali nella campagna romana (XII-XIII sec.), vengono realizzati nuovi posti di vedetta e adattate le vecchie torri alle nuove esigenze. Si cerca di trasformare le vedette in fortilizi che, oltre a segnalare il pericolo, oppongano agli attacchi una certa resistenza. Tuttavia, la mancanza di un'organizzazione centralizzata non consente ancora un sistema organico di difesa.
Ma il secolo XVI segna una svolta nella storia delle fortificazioni litoranee: il dilagare della pirateria organizzata, con flotte di turchi espertissimi nell'azione di sbarco e conquista, ma soprattutto la sconfitta della flotta spagnola alle Gerbe (1560), costringono lo Stato Pontificio a correre ai ripari, e spetta a Pio V il merito di aver organizzato un cordone di difesa litoranea, imperniato su una serie di punti fortificati, strettamente collegati tra loro.
Alla metà dello stesso secolo, quando è ormai generalizzato l'uso delle armi da fuoco, si giunge alla realizzazione di un "tipo" di edificio in grado di ridurre al minimo gli effetti distruttivi: le torri di vedetta. Queste sono di forma generalmente quadrata e disposte a mò di saliente, cioè di spigolo verso il mare. La fabbrica sorge su fondamenta composte da una palificata sormontata da una piattaforma in calcestruzzo, mentre le torri medievali sfruttavano spesso antichi resti come basamento.
La torre si compone di due o tre piani più la terrazza superiore, adibita a piazza d'armi. Essa presenta inoltre un coronamento sporgente, con caditoie, fori orizzontali per la difesa piombante, e privo di merlature. Il piano inferiore presenta le pareti inclinate a scarpa e senza aperture. Una cordonatura in travertino segna lo stacco tra la base e il piano d'accesso, che è raggiungibile per mezzo di una rampa fissa in muratura, più una scala mobile in legno. Da ricordare che un singolare esempio di arte di nuova arte difensiva ai primordi è rappresentato dalla forma pentagonale della torre di Astura, costruita dai Frangipane nel 1193 (Guglielmotti, 1886).
Anche la storia delle fortificazioni bastionate segue un percorso più o meno parallelo. Le forme medievali corrispondono alle esigenze di difesa fino all'introduzione delle bocche da fuoco, anche se trascorre un lungo periodo prima che le primitive artiglierie siano in grado di recar danno alle murature. Ciò spiega la grande altezza conservata da torri e cortine fino alla fine del secolo XV, quando l'uso del cannone e dei proiettili metallici le rendono appariscenti e pericolosi bersagli, con i merli ridotti in polvere ai primi colpi.
La soluzione al problema difensivo viene trovata all'inizio del secolo XVI, durante il cosiddetto periodo di transito, nel quale ha origine la fortificazione moderna. Papa Giulio II della Rovere raduna uomini di guerra e architetti per trovare rimedi all'insufficienza delle fortificazioni italiane, e vi partecipano, tra gli altri, Antonio da Sangallo e Michelangelo Buonarroti. Viene proposta, in primo luogo, la soppressione dei coronamenti delle torri (caditoie, merlature, ecc.) nonché l'abbassamento delle stesse al livello delle mura, o cortine. Il risultato è un organismo difensivo senza soluzione di continuità tra bastioni e mura perimetrali, che prende il nome di fronte bastionato, e gli studi più approfonditi riguardo forme e potenzialità della nuova arte difensiva sono senz'altro quelli compiuti da Francesco di Giorgio Martini (1439-1502) nel Trattato di Architettura civile e militare (1500 ca).
Si diffondono così le nuove difese, i baluardi pentagonali prendono il posto delle alte ed appariscenti muraglie. Il fiancheggiamento, la difesa con armi da fuoco radente le mura, prende il posto delle caditoie medievali. Viene aumentata la protezione dei fianchi dei bastioni con lo spalleggiamento, cioè si adotta uno schermo (spalla) che prende il nome di musone, se di forma quadrilunga, orecchione se di forma curvilinea. Le due spalle dei bastioni sono collegate tra loro dai salienti, tratti di cortina inclinati quanto basta per poter essere sorvegliati dal baluardo opposto.
Per proteggere meglio il fianco, inoltre, esso viene tirato verso l'interno, così da ottenere il fianchetto ritirato. Sulla parete dello stesso si affacciano le casematte, i locali ricavati nello spessore dei bastioni, ove si collocano i pezzi d'artiglieria che, per la loro azione nascosta, sono detti traditori. Tutti gli elementi sopra descritti determinano la forma dei baluardi, o bastioni, che da ora in poi saranno pentagonali o, nella versione più evoluta, cuoriformi, come nel caso del Forte di Nettuno.
Il Castello e la Fortezza di Nettuno
Il tratto di costa occupato dall'attuale borgo medioevale è caratterizzato dalla natura del terreno, composto da una roccia arenaria detta macco, che si erge di qualche metro sul livello del mare. Già nel VI secolo, in seguito ai saccheggi compiuti dai Goti, la popolazione dell'antica Antium si rifugia nel sito dove già sorgeva il tempio dedicato al dio Nettuno, fortificandone il perimetro. Ma, nei secoli successivi, le invasioni saracene si spingono nella campagna romana e costringono gli abitanti a cercare scampo nelle foreste e sui monti, fino a quando, tra il X e il XI sec., i papi Giovanni X e Benedetto VII fortificano il piccolo borgo con torri, bastioni e antemurali, dando origine a quello che viene poi chiamato Castello di Nettuno.
Il nucleo edilizio è caratterizzato da un perimetro murario realizzato con blocchi di selce che, sul lato verso il mare, si articola in tratti rettilinei che seguono l'andamento della costa, per terminare con due torrioni arrotondati ai lati est e ovest, mentre il lato verso terra presenta sei torri, quattro a pianta circolare, una a pianta quadrata e l'ultima, che riunisce ambedue le soluzioni. Tutto il perimetro viene sorvegliato da un percorso, chiamato marciaronda, posto tra la sommità della cinta muraria e il nucleo abitato.
Il Castello, inoltre, rimane isolato dalla campagna circostante, grazie alla realizzazione di un fossato lungo il lato nord, dove un ponte levatoio rappresenta l'unico accesso, vigilato dai soldati dell'attiguo corpo di guardia.
Come già accennato, questo tipo di fortificazioni risolvono il problema difensivo fino alla diffusione generalizzata delle artiglierie pesanti, per contrastare le quali occorre adeguare le vecchie cinte murarie alle nuove esigenze. Ma la conformazione particolare del borgo di Nettuno renderebbe assai difficoltoso dotare il perimetro di massicci baluardi pentagonali e fianchi per la difesa radente. Questo è il motivo per il quale si pensa successivamente di costruire una nuova fortezza, distanziata dal centro abitato e capace di resistere agli attacchi da terra e soprattutto dal mare. Un edificio, cioè, che per caratteristiche formali necessiti di una guarnigione relativamente esigua di soldati, e che possa infine servire da rifugio per la popolazione in caso di invasione nemica.
Anno 1126: Tolomeo I di Tuscolo è signore della terra di Nettuno. Nel 1191, caduti in disgrazia i nobili di Tuscolo, il feudo passa agli Orsini, che ne detengono la signoria fino al 1° febbraio 1427, quando il papa Martino Y Colonna (1417-31) conferisce il feudo di Nettuno al nipote, il cardinale Antonio Colonna, principe di Salerno.
Anno 1501, 20 agosto: con la bolla Constitutio contra Columnenses, Alessandro VI Borgia (1492-1503) confisca i beni dei Colonna, tra cui l'intero territorio di Nettuno, e li trasferisce a Rodrigo d'Aragona, suo nipote, il cui tutore è Cesare Borgia detto il Duca Valentino, figlio del pontefice.
Lo stesso anno ha inizio la costruzione del Forte di Nettuno, come testimoniato dallo stemma pontificio all'interno del Forte stesso. L'edificio, del cui progetto viene incaricato probabilmente Antonio da Sangallo il Vecchio (1455-1534), si presenta in forma quadrilatera (42 m. circa per lato), con bastioni angolari cuoriformi, il saliente smussato, l'orecchione ed il fianco ritirato per l'alloggiamento dei pezzi traditori all'interno delle casematte, i locali (sei in tutto) ricavati nello spessore dei baluardi.
La difesa è quindi affidata a soli otto tiratori, che, opportunamente nascosti nei fianchi dei bastioni, sorvegliano l'intero perimetro delle mura e lo difendono con fuochi incrociati e radenti: il fianchetto ritirato per il pezzo traditore appare qui per la prima volta. Caratteristica, questa, che insieme alle precedenti conferisce all'edificio il titolo di prototipo della nuova arte difensiva.
La fabbrica è impostata su un basamento naturale di pietra arenaria (macco), scolpito in modo da ottenere una forma di piramide tronca, isolato dalla campagna circostante per mezzo di un fossato e rivestito di mattoni laterizi, per la maggior parte di recupero. Al di sopra, separate da un cordone perimetrale in travertino, si ergono le cortine, realizzate con muratura a sacco, mista di blocchi di tufo e rivestita anch'essa di laterizi, dello spessore di 5 m. circa.
A cavallo della cortina sud è collocato il Mastio, in origine distribuito su due livelli, la cui posizione decentrata ha suggerito in tempi recenti l'ipotesi di una possibile preesistenza dello stesso come torre di vedetta, inserita nello scacchiere delle fortificazioni litoranee, tra le torri di Astura e Capo d'Anzio (Puccillo, 1990).
Il coronamento è caratterizzato dalla presenza di una cornice in mensole di travertino, il cui disegno, dall'orientamento classicista, sarebbe frutto di una collaborazione tra il Sangallo e Bramante, entrambi architetti papali al tempo di Alessandro VI (Bruschi, 1985).
Il parapetto, realizzato in muratura spessa circa 80 cm. e privo di merlature, delimita il perimetro del percorso alla sommità dei bastioni, detto marciaronda. Per accedervi, vengono usate le rampe dei corpi di fabbrica posti parallelamente ai lati est e ovest del cortile - piazza d'armi-, che ospitavano le guarnigioni, e attraverso un ponte levatoio comunicante col piano nobile del Mastio.
Sempre sui marciaronda, in corrispondenza dei bastioni a sud, vengono realizzati dei manufatti, che vengono utilizzati come deposito per le polveri, uno dei quali, quello di sud-est, viene successivamente sopraelevato e trasformato in torretta d'avvistamento.
L'entrata al Forte è ricavata sul fronte verso il mare, e rimane l'unica fino alla realizzazione del ponte su arcate del lato nord, costruito nel secolo successivo. Il vano d'accesso ospita due portali identici e contrapposti tra loro, anch'essi in stile classicista, separati da una grata retrattile (oggi non più esistente). Verso l'esterno, una mensola in travertino serve da appoggio alla scala levatora, realizzata in legno, mobile per ragioni di sicurezza e utilizzata come collegamento, quando necessario, con la scala sottostante in muratura.
La fortezza viene terminata nel 1503, come testimonia la visita compiuta il giorno 11 maggio dal pontefice e dal Duca Valentino: "Questa mattina avanti zorno el Pontefice con el Duca sono montati a cavallo et andati verso Nettuno, terra dei Colonnesi, et staranno fora fino a marti proximo" (da un dispaccio dell'ambasciatore veneziano Antonio Giustinian).
Il 1503 è anche Fanno della morte di Alessandro VI. Il successore, Giulio II della Rovere, spodesta i Borgia, consentendo così ai Colonna di riappropriarsi di tutti i beni confiscati loro in precedenza, "principalmente Nettuno" -ci descrive il Guglielmotti- "dove crebbero di grandezza e di gioia all'aspetto del nuovo e bellissimo fortino, fabbricato dai rivali a beneficio degli antichi padroni, oramai riconosciuti per tali da papa Giulio e da ogni altro. Prospero, Fabrizio e Pompeo se ne chiamarono contenti. Durante la guerra di Campagna il fortino tenne duro, e ributtò il barone della Carde, come altrove ho narrato". Fino all'anno 1556, quando, sotto il pontificato di Paolo IV Carafa (1555-59), il Forte viene tolto a Marcantonio Colonna e ceduto agli stessi Carafa, a causa dell'alleanza dei Colonna con gli Spagnoli, nemici della Chiesa.
Durante la guerra tra Paolo IV e Filippo II di Spagna, il monumento corre il grave rischio di essere abbattuto per impedire che cada in mano agli Spagnoli, dai quali viene comunque conquistato, e quindi bombardato dalle galere pontificie. Terminata la guerra Nettuno torna in possesso dei Colonna.
Negli anni 1560-63, Marcantonio Colonna fa restaurare ed ampliare le fortificazioni di Nettuno, in particolare la cinta bastionata del borgo, a cui conferisce una maggiore ampiezza, senza demolire i vecchi tratti. Questa cinta ha inizio con un baluardo terrapienato verso sud-est, prosegue con altri due a nord-est e nord-ovest e termina con il quarto arrotondato verso il forte, a sud-ovest. Intorno ai tre lati verso terra c'è il fossato e, nel mezzo della prima e dell'ultima cortina, due porte e due ponti levatoi mettono in comunicazione il borgo con la campagna circostante. Tra il vecchio e il nuovo recinto si sviluppano nuove e numerose abitazioni, i cui occupanti, in segno di gratitudine e devozione verso Marcantonio, pongono una epigrafe sulla torre dell'orologio di palazzo Colonna, che recita: "Marcantonio Colonna, discoperte nel campo anziate le miniere dello zolfo, e costruiti sul posto gli edifici della raffineria, fortificò e munì Nettuno di nuove muraglie, l'anno della salute 1564" (trad. dal latino).
Anno 1594, 23 settembre: sotto il pontificato di Clemente Vili Aldobrandini (1592-1605), per i debiti contratti a causa delle campagne militari, Marcantonio Colonna III (nipote del trionfatore di Lepanto) e sua nonna Felice Orsini, vendono il territorio di Nettuno, Anzio ed Astura alla Camera Apostolica.
Importanti lavori vengono realizzati nel Forte negli anni successivi. Sotto il papato di Paolo V Borghese (1605-21), il cui stemma è presente sulla parete nord, viene sostituita la copertura del mastio con un tetto a falde spioventi e abbassato il livello del fossato lungo il perimetro delle mura, come testimoniato dal manoscritto di Giulio Cesare Grillo sulle torri costiere del litorale romano, datato 1618: "fu similmente levato il tetto che copriva il maschio, che era de scandole, et fu fatto coprire de tavole e canali, guai fu dato l'assunto alli signori Costaguti affittuarij, sì come si vede per conto dato con la fede fatta da me dell'anno 1616". Vengono poi risanate le stanze del castellano e realizzate nuove porte e finestre.
L'attribuzione ad Antonio da Sangallo il Vecchio
Nessun documento certo attesta la paternità dell'opera, ma molti indizi convergono ad indicare nella figura di Antonio da Sangallo il Vecchio l'artefice del progetto per la Fortezza di Nettuno. Innanzi tutto, la circostanza che vede Antonio, al tempo di Alessandro VI, architetto papale, specialmente preposto alle fortificazioni, con Bramante, contemporaneamente, sottoarchitettore (proprio da una loro collaborazione avrebbe origine, secondo A. Bruschi, l'orientamento "classicista" della trabeazione esterna del Forte).
C'è poi la possibilità che Antonio, nel tracciare lo schema compositivo del forte, si sia conformato ad un disegno autografo del fratello Giuliano, tratto dal Taccuino Senese, e proposto nel 1492 per il Castello di Roma, che ritrae un quadrilatero con quattro baluardi agli angoli, il fianco ritirato e il pezzo traditore. E noto, infatti, che gli architetti da Sangallo si aiutassero a vicenda. Giuliano istruiva Antonio, suo fratello minore, e ambedue tiravano su l'altro Antonio, il nipote, detto il giovane.
Ma secondo il Rocchi (1908), indipendentemente dal fatto che i disegni di Giuliano si riferiscano a studi di massima e che vi sia scarsa somiglianzà tra essi e il disegno del Forte di Nettuno, le precedenti esperienze di Antonio (fortezza di Civitacastellana, 1497) bastano a designarlo come unico artefice dell'opera.
LEONARDO FARAONE
BIBLIOGRAFIA
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A. GUGLIELMOTTI, Storia delle fortificazioni della spiaggia romana (Storia della Marina
Pontificia, V), Roma 1886
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E. ROCCHI, Le fonti storiche dell'architettura militare, Roma 1908
A. BRUSCHI, Bramante architetto, Bari 1969
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Bramante e l'antico, in "Bollettino d'arte", 29, 1985, pp. 67-86
C. PUCCILLO, La fortezza dei Bargia, Roma 1990
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