Fra la punta di Astura e capo d'Anzio, a meno di tre miglia dall'antico e ormai da secoli interrato porto Neroniano, in fondo, nel luogo più riparato del piccolo golfo arenoso, il porto di Nettuno offriva riparo ascoso e più che sicuro a legni di traffico, a brigantini e feluche, e con qualche opera di non grande mole, avrebbe potuto accogliere anche galere da venti e venticinque banchi. Se durante la navigazione fra Napoli e Roma improvviso si scatenava un fortunale, poteva dirsi in salvo quella nave che riusciva a raggiungere il piccolo porto di Nettuno e vi otteneva ospitalità. E quando da Nettuno partivano i brigantini per la guardia e la difesa delle coste, e si trovavano di fronte a legni corsari più forti per mole ed armamento, sì che era preferibile battere in ritirata, appena avvistato il bastione del Sangallo non c'era più pericolo, e per chi avesse azzardato di continuare la caccia e tentare l'approdo non avrebbe trovato salvezza. Quando qualche fusta di Curtogoli o di Dragut tentò, camuffata, di entrare in porto per rapinare nella notte i legni del Borgia sotto carico, più non riprese il mare perché dagli spalti le artiglierie avevano buon gioco, e chi le maneggiava sapeva il fatto suo.
Non che a Nettuno ci fosse grande traffico; anzi era raro il caso che ci approdasse qualche galera, neppure ancora verso il 1550, epoca in cui vi troviamo, attratto con forza irresistibile dal mare, il giovinetto Marcantonio di Ascanio Colonna; i duchi di Paliano avevano intendimento di armare galere, ma ancora non lo avevano potuto fare perché i Borgia non avevano dato loro tregua, anzi li avevano cacciati da Nettuno come da altri importanti castelli. Conquistato con la violenza Nettuno, il duca Valentino, che s'illudeva dovesse essere la potenza dei Borgia inestinguibile e sempre maggiore, vi aveva fatto edificare opere militari di difesa.
Nel 1496 Antonio da Sangallo era stato chiamato a Nettuno per fortificare il porto, e vi aveva innalzato il poderoso quadrato bastionato, vero capolavoro di architettura, che poteva stare alla pari con il pentagono di Civitacastellana e con l'altra importantissima rocca a cantoni fatta innalzare da papa Leone X, che aveva affidato quel compito a Giuliano da Sangallo, fratello minore di Antonio, architetto di San Pietro, e che con la costruzione del famoso corridoio di Castel Sant'Angelo si era fatta grande rinomanza.
La rocca di Nettuno non era per aspetto esteriore bella come quella di Civitavecchia, fatta ornare da papa Leone con il suo stemma marmoreo e con mascheroni a ceffo leonino in bronzo, che fra le zanne sporgenti e le grosse labbra accartocciate stringevano gli anelli per i cavi di posta, tuttavia la rocca di Nettuno era salda per affrontare qualsiasi attacco e per sfidare il tempo. E fuori della rocca la darsena ben piombinata, il porto aperto prolungato con ampio molo, il porticciolo liberato dai vecchi relitti, dalla vegetazione marina e dalle secche, erano più che sufficienti alle occorrenze di quell'opera ed avrebbero potuto persino accogliere parecchie galere qualora per una necessità avessero dovuto lasciare la più munita base di Civitavecchia.
Al riparo della rocca bastionata, nel grosso borgo di Nettuno viveva una popolazione laboriosa e tenace, che sapeva trarre sia dal mare che dalla terra dovizia di cibarie ed ogni altra cosa di cui abbisognasse per vivere senza stenti. Il commercio di scambio portava a Nettuno se non ricchezza qualche agio, sì che al signore del luogo toccavano decime di una certa entità, che venivano pagate senza che egli dovesse far ricorso alla forza.
Signori di Nettuno erano, salvo qualche parentesi di forzato loro esilio, i Colonna di Paliano, che per quel vecchio feudo sentivano speciale attaccamento, perché presagivano che dal mare sarebbero loro venute ricchezza, potenza e gloria. Ed anche gli abitanti del borgo e del contado di Nettuno sentivano un certo attaccamento alla casata dei Colonna, e se nel tratto fiero e quasi scontroso non lo davano a vedere, intimamente servivano con fedeltà il loro signore, che pure in quel castello faceva con la sua famiglia soggiorno piuttosto breve.
Ascanio Colonna era certamente, della sua casata il meno amato dai sudditi, ed il più temuto, perché superbo e prepotente, e perché più dei suoi antenati imponeva balzelli ed altri gravami; ma il figliuolo suo Marcantonio, secondo di quel nome, che a Nettuno diceva di passare i più bei giorni della sua vita, era molto amato e stimato. Il giovane signore trascorreva con grande godimento intere giornate alla marina di Nettuno in piena dimestichezza con i pescatori, e più ancora con i vecchi marinai, che avevano un giorno servito sulle galere agli ordini del Boria, del Biassa, del Vettori, dello Sforza, procuratori generali della Marineria pontificia, nemici giurati dei pirati mediterranei, eroi delle imprese di Algeri e di Afrodisio.
Rotto alle fatiche del remo e del timone, il giovane Marcantonio si avventurava, talvolta anche solo, su fragile legno in mare aperto; ed ancora più volentieri partiva per la pesca facendo vita comune con i rozzi marinai, facendosi narrare con inestinguibile desiderio le storie delle guerre contro i pirati, ed esaltandosi a quei raccontari, e meravigliando i più scaltriti lupi di mare sia per la resistenza alle fatiche del remo, sia per la bravura nel maneggio di ogni ordigno marinaresco, sia per la sicurezza con cui teneva la barra del timone, sia per l'agilità con cui si arrampicava su bozzelli e sartie, e con cui imbrogliava vele e velacci, sia per il fegataccio più volte dimostrato uscendo impavido dalle più dure prove del fortunale.
E più ancora i vecchi marinai stupivano dell'acume dimostrato dal giovane nel commentare i racconti delle ardite imprese a cui essi avevano preso parte. Egli invece non stupiva mai di nulla, anzi trovava sempre a ridire che quelle imprese avrebbero potuto sortire esito migliore o se si fosse maggiormente perseverato, o se si fosse maggiormente rischiato, o se si fosse usata maggior astuzia, od anche se si fosse talvolta disobbedito a certi ordini di comandanti che, egli diceva, talora per salvare la pelle, talora per avere immediato lucro, talora per reciproca gelosia ed invidia, compromettevano l'esito della battaglia.
Ma egli pur criticando con foga e baldanza giovanili certi atteggiamenti dei più famosi capitani del mare, li ammirava moltissimo e sognava di poter un giorno emulare le loro imprese.
A Nettuno i Colonna non facevano lungo soggiorno, ma sovente trascorrevano qualche mese al castello di Civita Lavinia, dimora ove era nato Marcantonio, ed alla quale egli era molto affezionato.
Le quindici miglia che separano Civita Lavinia da Nettuno non costituivano grande ostacolo per il giovane Marcantonio, il quale a cavallo se le divorava in poche ore, epperciò molto sovente, specialmente in assenza del padre, anche talvolta ad insaputa della madre, prendeva la via del mare, ed allora per parecchi giorni egli non faceva ritorno in famiglia.
Ormai la duchessa di Paliano aveva fatto l'abitudine a quelle fughe, e più non s'impressionava, sapeva il figliuolo audace e rischioso, ma sapeva pure che tutti a Nettuno avrebbero data la vita per salvaguardare quella del giovane signore.
Cercare di trattenere il figliuolo e voler contrastare la sua passione per il mare era impresa impossibile per la Duchessa, poiché Marcantonio, pur amando la madre, non sempre le obbediva perché era di carattere impulsivo e caparbio; seguiva le orme di suo padre, sempre in moto e sempre in lotta.
Ormai Marcantonio aveva quindici anni, e già si parlava di armarlo cavaliere secondo il suo desiderio. Sarebbe probabilmente partito per la Spagna al servizio dell'Imperatore, ed avrebbe in tal modo favorito la causa della sua casata, avrebbe difeso le rocche minacciate dai Farnese più ancora dagli Orsini, nemici secolari ed acerrimi dei Colonnesi.
Se un giorno i Colonna avessero potuto veder realizzato il sogno da tanto tempo vagheggiato di armare galere, sarebbe stato una vera fortuna poterne affidare il comando ad uno della casata, e non dover ricorrere a capitani mercenari, che da un giorno all'altro vi piantano in asso, se non passano addirittura sotto la bandiera del nemico. Ecco perché non veniva contrastata la passione marinara del giovane Marcantonio.
Tra i famigliari del castello di Nettuno ce n'era uno soprannominato Polvere che nutriva per il giovane suo signore ammirazione ed affetto smisurati; sentimenti che Marcantonio ricambiava istintivamente.
La Duchessa aveva raccomandato a Polvere di vegliare sul suo figliuolo affinché non si avventurasse imprudentemente; e l'aveva pure incaricato di farle avere ogni giorno notizie di lui, perché ella stava sempre in pensiero temendo che il giovane si allontanasse da solo per cercare avventure sul mare.
Il Polvere appena Marcantonio giungeva a Nettuno gli si poneva alle calcagna e più non lo abbandonava un solo istante; aveva acquistato su di lui grande ascendente specialmente per le interessanti storie che sapeva raccontargli...
MARIO GRANATA |