Premessa alla lettura
Nel progettare collegialmente la struttura della presente pubblicazione, ci siamo subito resi conto che la mera trascrizione del testo cinquecentesco, sarebbe stata soltanto una semplice copia di quanto già pubblicato nel 1886 da A. Ademollo. Al contempo, il solo adattamento ad un linguaggio attuale avrebbe snaturato troppo il racconto, particolarmente interessante e gradevole proprio per i termini arcaici usati. Ho cercato, quindi, di mediare, con una traduzione adattata ed attualizzata, ma mantenendo le composizioni delle frasi, anche se spesso non coincidenti tra loro rispetto al "tempo" dei verbi, riportando, inoltre, in alcuni casi, in nota pie di pagina, il significato attuale di alcune particolari parole oggi desuete, ma molto caratteristiche per inquadrare il periodo storico e per rafforzare "l'onomatopeicità" del racconto stesso.
Tutto ciò per invogliare alla lettura del brano cinquecentesco anche un pubblico non "specialistico" (si è pensato principalmente alla diffusione del testo presso gli alunni delle scuole medie inferiori) contemporaneamente, per proporre ai numerosi studiosi appassionati di storia locale (e non) e per produrre materiale inedito ed interessante per il carattere scientifico che sempre contraddistingue le "Edizioni del Gonfalone", ci siamo attivati , riuscendoci, nella ricerca e nella pubblicazione del testo originario, così come non si era mai visto (1).
Ho cercato, inoltre, di dare una collocazione temporale più precisa al racconto, controllando con attenzione gli indizi contenuti all'interno della narrazione, ed infine, ho tentato di dare un nome (riuscendoci solo in parte) alla signora (2) che narra quei felici giorni di vacanza, trascorsi nel nostro territorio, forse in compagnia di alcuni avi degli attuali "nettunes doc", a cui dedichiamo la fatica volontaristica del nostro lavoro.
Il diario della gita a Nettuno
"Se da qualche settimana a questa parte, così come facevo di solito, non vi ho scritto, non vi dovete meravigliare, poiché sono stata occupata in quel viaggio, che ora udirete(3). Il qual viaggio, per essere pieno di vari piaceri ed altre situazioni ho deciso di narrarvelo con precisione, come se io forse tema di non farvene sentire quel piacere, che io sento per me stessa, mentre ripensando alle cose trascorse, mi appresto a descrivervele. Dico dunque che dopo l'aver noi per più tempo pensato di fare una gita a Nettuno, decidemmo finalmente il giorno della partenza, ma la fortuna si mostrò nemica a quella decisione, poiché il tempo da che era serenissimo, cambiò immediatamente con una minutissima e noiosa pioggia, che pareva si opponesse apposta ai nostri programmi, ma noi non ce ne curammo. E perciò con la più ferma ostinazione ci mettemmo in viaggio, e appena iniziato (per nostro ancor maggiore fastidio) si fece compagno della pioggia un vento che ci feriva di continuo in fronte, accompagnandoci fino all'alloggio dove prima che arrivassimo provammo tutte le pene che porta con se il cattivo tempo, le cattive strade, ed i cavalli non molto buoni. Il Cocchio che mi portava insieme a Bastianino (4) con le signore, era tirato da due cavalli che per essere infingardissimi (5) e restii, spesso e bene durante qualche salita si fermavano, e nemmeno le continue frustate che gli davano li potevano far smuovere, tanto che qualche volta c'era bisogno, che le povere donne scendessero per camminare in quei tratti di strada mattonati, per sgravare dal peso il Cocchio, e facessero una parte del cammino nel fango, dove, come fanno qualche volta le bestie quando perdono i loro ferri, lasciavano le pianelle (6) ; ed anche quando i cavalli facevano il loro dovere, c'era molto da fare, per reggere il Cocchio che ora si appoggia ora procede faticosamente contro vento, e che sembrava si dovesse capovolgere; non senza continuo batticuore di chi vi stava all'interno. A questo disagio si aggiungeva la pioggia così persistente e così favorita dal vento, e fu così costante e forte che le due coperte di feltro che lo coprivano (il cocchio) ben presto furono trapassate dall'acqua. Ma poiché i mali estremi terminano quasi sempre con qualche piacere, avvenne che la dispettosa fortuna nel momento in cui eravamo al colmo dei frangenti ci fece correre davanti una lepre inseguita così da vicino da un velocissimo cane, che la sua groppa (7) dal fiato di quello si riscaldava. Ma avemmo un gran piacere della sua salvezza più che se fosse morta. Così seguitammo il nostro cammino con questo augurio arrivando ad un'ora di notte all'osteria di Civita (8) dove speravamo trovare un pò di ristoro, poiché così bagnati e indolenziti ne avremmo avuto veramente bisogno. Dopo aver a lungo chiamato, prima che ci fosse portata una lanterna, comparse finalmente un servitore sguaiato con una granata (9) accesa che spesso a causa del forte vento si spegneva, e nello scendere (dalla locanda) il servitore si preoccupava di mettere i piedi sul terreno asciutto, poiché davanti alla porta vi era un lividissimo (10) fango, che faceva sprofondare fino a mezza gamba, entrando da quella porta vedemmo il luogo coperto e ci domandammo se l'osteria non fosse una capanna e forse quella dell'orco. La locanda era divisa in due parti, vicino all'ingresso vi era un gran focolare, con un fastidiosissimo fumo che s'incanalava fastidiosamente nelle nostre narici. Intorno quindi, ad un così splendido e succulento camino, vi era un'orrenda brigata, credo di masnadieri, o di peggio affare ed occupavano tutto il focolare e lo facevano occupare anche ai loro mantelli; sul fuoco bolliva un gran calderone di carne mal morta e all'interno con un mestolo di legno venivano mescolati i pezzi di quella carne misera e malconcia, che dicevano essere di una infelice pecora tolta dalla bocca di un lupo. Domandammo alla cuoca, il cui volto rivelava i segni della rosolia, se vi fossero dei letti, ed ella ci rispose affermativamente, ci mostrò due canili ben stretti alti tre braccia da terra (11) ed attaccati al muro ai quali non con un zoppidranj (12) ma con una scala a pioli, da rompersi anche ogni destro orso (13), si perveniva. Uno dei due (canili) doveva essere per il padrone, l'altro dei passeggeri. L'altra metà di questa vecchia stanza era occupata da un gran monte di fieno salvo però che per due angoli nei quali era stato fatto da un lato un pollaio e dall'altro un porcile. Noi, dopo aver rimirato tre o quattro volte un così fatto luogo, sistemato ad alloggio, restammo attoniti e dubbiosi, ancora se l'abitazione di quel prete, che ho letto in alcuni versi (14) poteva essere chiamata malvagia come questa, nella quale per fuggire maggiore incomodo pensammo pure di rimanere perché vedevamo la cattivissima parata, e dell'andare a Civita Lavinia, la cattiva strada dove il Cocchio non poteva andare, il cattivissimo tempo, e l'ora tarda ci metteva pensiero. Pur fuggendo da quella situazione, facemmo preparare i cavalli e mio marito ed io ce ne andammo, con alcuni altri, lasciando in quel luogo così infelice Bastianino. L'andata fu buona, anche con l'aiuto delle torce, e con l'aiuto dei due discretissimi familiari che a piedi ci seguivano e ci aiutavano. Cenammo presto e poi andammo subito nelle camere e nei letti, così come era richiesto dal così grande disagio che avevamo avuto. La mattina ci svegliammo prestissimo e dopo la Messa e dopo aver fatto colazione tornammo al luogo dove avevamo lasciato gli altri. Li trovammo a sedere su un prato mentre stavano mangiando allegramente; ci narrarono a lungo la modestissima cena e il poco fieno su cui si erano sdraiati che non era stato sufficiente come letto. Il sonno era stato amico di Bastianino, che avevamo avvolto prima con un lenzuolo e poi con i mantelli, poiché per tutta la notte (il sonno) non l'aveva mai abbandonato. Avvenne però, che la mattina, risvegliato da non so che stesse dentro il fieno, turbatesi molto di quest'affronto si fece subito portare un lume per vedere cosa fosse quello che aveva turbato il pacifico stato della sua quiete, ma non vedendo nulla oltre al fieno ed alla paglia, appiccò nel fieno un fuoco dicendo che così sarebbe uscito ciò che vi fosse nascosto all'interno. Il fuoco fu spento subito da coloro che stavano lì, non senza ridere della rigida vendetta, ed appena io ebbi appreso la cosa non mi potetti trattenere dal ridere, e rido ogni qualvolta ci ripenso. Da quest'alloggiamento partimmo presto, vedendo che il tempo stava cambiando, e con assai buon cammino ci dirigemmo verso Nettuno, trovando il nostro alloggiamento nel palazzo comodo e molto piacevole sia per una loggetta accanto alla mia camera che per la vista verso il mare, le quali acque, perché più non ne avevo viste mi recarono infinita consolazione e poiché erano calmissime mostravano in lontananza delle isole che dalla gente del posto sono chiamate pontio palma, parmarolo, e ventutene. Quella sera non facemmo altro salvo alcuni discorsi e subito dopo ce ne andammo a riposare, desiderosi di alzarci presto, con la speranza di vedere il paese con il bel tempo. Ma la mattina seguente ci trovammo ingannati perché il tempo divenne cosi cattivo che dovemmo per forza rimanere in casa e dopo pranzo ci vennero a trovare alcune donne del luogo assai piacevoli, e belle, con un abito molto diverso da tutti gli altri italici e secondo i loro racconti molto simile a quelli moreschi, molto belli a vedersi, come noi possiamo aver visto anche qui a Roma nel tempo della quaresima. (15) Dopo le solite accoglienze e le parole di saluto si misero a cantare alcune ballate con voci graziosissime e con quella compagnia tutto quel giorno passai festosamente. Da Roma furono portati bracchi e levrieri, per i successivi divertimenti. La mattina seguente, con il tempo sereno, dopo aver mangiato, montammo di buon ora a cavallo e ci allontanammo circa di duemila passi giungendo alle rovine di Antio antica e nobile città, e per i ruderi che oggi si vedono, di ragionevole grandezza. Ma poiché è tutto raso al suolo, non si individua nessun edificio particolare, ma ci sono ancora pozzi con acque limpidissime, conservati dai tempi antichi. Si vedeva un porto circolare, forse bellissimo per i grandi edifici da cui era circondato, le cui strutture non sono ancora ricoperte (dalla vegetazione), poiché ancora si vedono delle ampissime logge. Non senza divertimento trovammo molti fagiani ma non potemmo prenderne nessuno a causa delle folta vegetazione. Nel frattempo accadde un fatto non infelice, comparve sopra le rovine, alla base di un muro, una lepre che dopo essersi, con estrema cautela, schermita dal furore dei cani, fu raggiunta e sopraffatta dal loro numero e catturata. Cercammo (di cacciare) ancora su quelle rovine ed io, con grande ammirazione, vidi cosa poco rimaneva di una così grande Città, e capii lì, meglio che da ogni altro esempio, come ogni cosa umana - per eterna e durabile ci appaia - abbia la sua fine. Non mi potei trattenere dal sospirare per la nostra condizione umana. Cavalcando trovammo una seconda lepre, io ero lontana ma corsi e lei, con le mie mani dentro al covacciolo (16), si lasciò prendere, non senza mio infinito piacere. Così terminò quel giorno, con questi divertimenti che vi ho descritto. Il successivo giorno, come fosse un regalo, venne senza nessuna nuvola. Per cui svegliatici tardi, uscimmo, percorrendo una piacevole strada circondata da due verdissime siepi, dove svolazzavano infiniti e diversissimi uccelletti, ne vidi ammazzarne parecchi, con due balestre, da mio marito ed un altro uomo, che camminavano davanti a me a piedi, e che, non invano, si davano da fare. Così, lungo questa amenissima Contrada arrivammo ad una chiesetta, che si trovava proprio nel mezzo del bosco (17). Dopo aver udito l'offizio divino (18), tornammo, con lo stesso piacere avuto all'andata, alle nostre case, e qui dopo esserci rifocillati con buoni cibi ed ottimi vini, rimanemmo per tutto il resto del giorno, passando il tempo giocando, e verso sera ce ne andammo in buona compagnia, in un giardino dove cogliemmo un'insalata di ottime erbe e vari fiori, e davanti alla porta ci fermammo a vedere ben dodici ragazze, che stavano dentro una limpidissima riviera (19) con i vestiti alzati e le braccia nude, che cantando, lavavano felicemente il loro bucato. La sera, fino all'ora di cena, trascorremmo il tempo con alcuni giochi che proseguirono anche dopo cena fatti in modo carnevalesco (scherzoso) da alcuni giovani e si recitò, improvvisandola, una piccola commedia, non senza infinito divertimento da parte di tutti. Ma essendo giunta l'ora di dare il meritato riposo ai corpi affaticati, tutti andammo a riposare ed all'alba del nuovo giorno, montati a cavallo, ce ne andammo in un luogo lontano ben tre miglia prima per una piacevolissima strada quasi tutta coperta (ombreggiata) di lecci, di allori e di mortelle che fiorite (20) rendevano un odore gradevolissimo poi proseguendo per un bosco di alte querce ma col sottobosco pulitissimo da arbusti di ogni genere, per cui la vista poteva spaziare con gran piacere. Liberati i bracchi, questi entrarono subito in un fitto bosco ed in un pantano, accerchiarono un cinghiale non molto grande che seguirono per molto tempo per discese e salite, con grandissimo frastuono e fatica per quei cani ai quali non piaceva molto correre. Il piacere durò circa mezz'ora, ed alla fine, fermato e preso dal gran numero dei cani, il cinghiale fu ucciso con la spada da uno dei nostri che a piedi era andato nel tratto più folto e paludoso del bosco (21). Successivamente, dirigendoci verso la campagna aperta, cavalcando trovammo una lepre, che, circondata da uomini e cani, si rifugiò all'interno di una macchia di rovi che accanto alla sua tana la protesse. La qual cosa fu molto ben fatta per lei, nonostante fossero stati lasciati alcuni levrieri che la inseguivano da lontano. Noi ci divertimmo del fatto che la lepre ci avesse aspettati, che ci avesse lasciati mettere tutti in ordine nei nostri appostamenti, e poi quasi beffandosi di noi ci fuggisse. Avessi sentito allora, non senza divertimento, le accuse che i cacciateti l'un l'altro si rivolgevano per il disonore ricevuto da quella lepre! Così, dopo lunga discussione, li pregai di darsi da fare per trovarne un'altra invece di continuare a cercare quella, le mie richieste furono presto esaudite perché ne spuntò un'altra in mezzo ai cani che non meno bravamente, come la prima, si salvò.
Trovammo poi un Capriolo, ma sparì via, ma durante il cammino di casa passando lungo il mare per un paesello pieno di mortelle fiorite comparve una lepre che seguita dai bracchi per un lungo tragitto, fu costretta ad andare verso il mare ma dopo che più volte aveva beffato i cani, fu finalmente catturata ed uccisa. Poiché il sole cominciava a farsi giallo tornammo alle nostre abitazioni, che non erano troppo lontane, dove giunti in fretta si apprestò la cena per poter rimanere con alcune donne e ragazzi del luogo ai quali era stato ordinato di danzare e far giuochi dilettevoli. Ma poiché eravamo molto stanchi, finirono prima di quanto non avrebbero voluto, e noi andammo ciascuno nella propria camera, da dove il giorno seguente ci alzammo di buon ora, ma vedendo che il cielo era coperto da nuvole, non andammo che alla chiesa dove ci eravamo recati e dopo pranzo, poiché la pioggia impediva qualunque altra cosa, passammo il tempo un po' leggendo delle rime, un po' con alcuni giochi proposti dal piacevole rodomonte che sempre sopra di lui finivano (22). Giocammo ancora non so che giochi di carte che ci occuparono così intensamente che ci fecero passare la giornata e parte della serata dimenticando il cattivo tempo e nonostante fosse più la nostra voglia che la speranza che il tempo migliorasse, non mancammo, dopo cena, di dare ordini per la Caccia del giorno seguente. La fortuna fu molto favorevole a questo nostro desiderio, perché quando la mattina seguente ci alzammo, vedemmo il cielo chiarissimo e immediatamente fummo in quei piacevoli boschi, dove in una radura, tra le ginestre apparvero due Caprioli che saltarono vicino a me così velocemente che non si potettero inseguire. Quindi arrivati in uno stretto e profondo fiumiciattolo, chiamato stura, vi trovammo una barca molto comoda salita sulla quale me ne andai con cinque della compagnia, lungo quella riviera che era bellissima sia per le acque chiarissime e calme che per le sponde così piene di allori ed altri alberi che intrecciavano i loro rami fino a coprirla in modo tale che anche nel pieno di un giorno di luglio il sole non vi sarebbe potuto penetrare. I pesci, per la limpidezza delle acque si vedevano sguizzare davanti alla barca e saltarci dentro! Non so descrivere la freschezza delle erbe né la vaghezza (23) dei fiori né tanto meno delle numerose varietà di uccelli. Mentre stavamo solcando le dolci acque con così grande piacere, sentimmo, in una macchietta, un gran svolazzo ed avvicinatici con la barca trovammo un fagiano che era stato preso al lacciolo (24), così lo prendemmo. Poi giungemmo dove stava tesa la nassa (25) e tiratala, la trovammo piena di belle spigole e cefali che furono mandati subito a casa per essere cucinati. Smontati dalla barca ci trovammo su un'Isola che dicono abbia un circuito di due miglia, circondata da questo fiume, che si divide in due rami su due lati e dall'altro lato chiusa dal mare (26). Qui trovammo i cacciatori che erano passati lungo il mare e vidi con piacere che alcuni di loro essendosi bagnati le gambe fino al ginocchio erano tutti sporchi e gli stivaletti che la mattina erano bianchissimi si vedevano ricoperti del fango di quelle paludi. Si cominciò a cacciare molto tardi, sciogliendo i bracchi lungo il fiume per un bosco molto folto dove trovammo due Caprioli, che inseguiti dai bracchi si diressero prima in mezzo alla selva e poi dai cacciatori che stavano al di fuori di quella. In una bella prateria, mentre i cacciatori seguitavano a far rumore, furono sguinzagliati i levrieri verso uno dei due Caprioli che era uscito dal bosco, e lo seguirono in mezzo ai prati quasi raggiungendolo, con grande nostro piacere guardavamo mentre sembrava che cadesse, alla fine fu preso proprio quando stava per salvarsi in un'altra selva vicina mentre il suo compagno pressato dai bracchi guadò il fiume e ci fuggì senza darci alcun piacere, così come successe con due volpi che incontrammo più tardi. Essendo già tardi, ce ne tornammo con la stessa compagnia passando di nuovo da quel fiume piacevole riguardando il luogo del pranzo, dove trovammo apparecchiato sopra un praticello sul bordo del fiume, circondato da alberi ombrosi e qui ci ristorammo con svariate qualità di pesci. Successivamente andammo lungo il fiume, con la barca, fino al mare e durante il cammino ammazzammo con l'archibugio due uccelli d'acqua, che feriti vedemmo tuffarsi nel fiume e poi riemergere morti. Tornati sul posto dov'era rimasta il resto della compagnia, montati tutti gli altri a cavallo, ed io sul Cocchio, ci dirigemmo verso il mare velocemente facendo passare i cavalli sulla battigia che aveva una sabbia compattissima, tornammo quindi ai nostri alloggi. Ma durante il cammino, alcuni si distrassero guardando i bei luoghi circostanti cominciarono a rincorrersi tra loro gareggiando con i cavalli per vedere chi fosse il più bravo. Vidi due cavalieri cadere dalla sella, ma alzarsi subito sull'arenile, come se fossero caduti sulla bambagia. Vidi poi, con mio dispiacere, che un pedone comparve davanti all'improvviso ad un cavallo in corsa, che per mala sorte lo investì, caddero per terra, il cavallo addosso all'uomo, con gran meraviglia vidi, come pure gli stessi due uomini, che si alzarono senza che nessuno si fosse fatto male. Arrivati a casa avemmo un gran da fare a raccontarci di tutti i piaceri e gli avvenimenti della giornata fino all'ora di cena, e dopo cena andammo come al solito a riposare.
Arrivato il giorno per cui non avevamo pensato ad alcun intrattenimento, fummo avvisati che le nostre barche da pesca erano arrivate ben in tempo per darci piacere! Così andammo a messa e immediatamente dopo alla marina, dove mentre camminavo ebbi davanti agli occhi un spaventoso incidente, fu che Bastianino passando una gora (27) sopra un legno non so come inciampando vi cascò dentro con la testa in avanti, e spaventato e smarrito non seppe rialzarsi, e sebbene l'acqua non gli sarebbe arrivata al petto stando in piedi, stette quasi per affogare se non fosse stato per un gentiluomo che gli stava dietro e che lo prese e lo tirò fuori. Ma seguitando il nostro cammino facemmo mettere una delle barche in acqua, era come una fregata (28), vi montammo, i pescatori prendendo il largo, lasciarono continuamente una fune che da un capo rimaneva a terra per tirare la rete poi a mezzo miglio di distanza buttarono in cerchio le rezze (29), che sono lunghe circa mille braccia (30), nel mezzo di queste un bucine (31) grandissimo, dove dopo aver scorso la rezza entrano i pesci. Messa la rete dall'altro lato si attaccava l'altra fune il cui capo veniva portato a terra e di lì a poco cominciarono a tirare per condurre le rezze alla spiaggia, dopo aver iniziato , poiché la cosa doveva essere lunga ce ne andammo a pranzo e dopo tre ore tornammo, la rete era già stata tirata fino a terra e vedemmo quattro tuffatori che riescono a stare sott'acqua per ben un quarto d'ora (?) per aiutare il bucine che altrimenti per la pesantezza del pesce di vario tipo dei quali ne facemmo prendere molti per ammirarne la bellezza e la varietà, tra i quali ne vedemmo uno che ci dissero essere velenosissimo per una spina (32) e che aveva anche punto uno dei tuffatori sul braccio che però non ne ebbe poi così tanto male. Il giorno seguente ce ne andammo a vedere una sorta di caccia che non avevo mai visto, in questo periodo che le palombelle (33) sono di passaggio la gente del paese ha fatto pulire un bosco accanto alla spiaggia dove tra alcuni alberi che hanno lasciato fanno tendere delle lunghissime reti senza nessun' altra struttura e lì restano alcune guardie sul lato di ponente da dove questi uccelli arrivano e quando sono sopra a loro, gridando con una scaglia (34) tirano una pietra bianca che gli uccelli vedono ed essendo paurosi di ciò per loro natura si abbassano e fuggono verso l'altra guardia, la quale comportandosi nello stesso modo le manda nelle reti, che sono lasciate a terra dagli uccellatori che per potersi sbrigare non tengono le funi legate. In questo modo, non senza meraviglia e piacere, ne vedemmo prendere una grande quantità. Quindi rientrammo e dopo mangiato avemmo il medesimo passatempo del giorno precedente che fu abbondantissimo di pesce di diverse qualità. Andammo poi per mare forse sei miglia a diletto (con divertimento) dove feci meravigliare per non essermi stancata per niente, mentre invece alcuni della compagnia si stancarono parecchio. Essendo già notte quando giungemmo a terra trovammo tutta la compagnia disposta a far giochi e burle, che durarono con gran piacere fino all'ora di cena. Nel tornarcene poi da Nettuno verso Roma, facemmo un'altra caccia dove si levarono certi porci dove due imberciatori (35) ad un passo riscontrandosi furono la causa del ferimento di un porco che non poteva non essere investito senza il pericolo di ferirsi tra loro. Vedemmo Ancore e Caprioli (36) e lepri e forse quattrocento bufale, che chiamate ciascuna per nome ubbidivano. Vedemmo qui capanne adornate con letti di giunchi e disposte con ammirevole ordine. E (guardammo) quei pastori garzoni che governavano quel popolo bestiale meravigliosamente osservare gli offizi loro. Con questi intrattenimenti ce ne tornammo sani e salvi a Roma."
MARIALUISA DEL GIUDICE
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., "Tor Caldura, dalla Selva al Bosco", Ed. Viella, Roma 1995, pag.84
G. Tomassetti, "La Campagna Romana", voll, I e II, ried. 1976, Arnaldo Forni Editore s.r.l, Bologna
Archivio di Stato di Firenze.
Archivio della Reverenda Fabbrica di San Pietro, Stato della Città del Vaticano
1 - In Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie I, CXXXVII, cc. 103-108 (g.c.)
2 - Forse .... Strozzi
3 - II viaggio si svolge in primavera inoltrata, verso la fine di aprile ed i primi giorni di maggio. Ciò si è desunto dal passaggio di certa cacciagione, di cui parla più avanti la scrittrice e dalla fioritura delle piante di mortella. E' da tenere presente anche la parte di racconto che narra della navigazione del fiume Astura, in quel periodo percorso anche da "sandali", barche a remi dal fondo piatto, usualmente utilizzate per il trasporto del legname. Inoltre l'elevata portanza d'acqua consentiva anche la fluitazione dei grossi tronchi, che appunto lo discendevano galleggiando. Va inoltre considerata la nota oscillazione climatica in senso fresco-umido (a cui è assegnata dai geologi la denominazione di "piccola età glaciale", per il particolare irrigidimento del clima), che tra il 1550 ed il 1580 portò al notevole aumento delle portate dei corsi d'acqua locali. Si può spiegare, per questi motivi, anche la particolare piovosità narrata all'inizio del racconto.
4 - Bastianino, personaggio più volte nominato nel racconto, non doveva essere un parente stretto, ma comunque una persona degna di essere chiamata per nome e protagonista di svariate avventure. Forse un servo d'età avanzata a cui la famiglia era particolarmente affezionata.
5 - Falsissimi.
6 - Scarpe basse usate nel vestiario quotidiano.
7 - Schiena
8 - Civita Lavinia, oggi Lanuvio
9 - Torcia
10 - Scurissimo
11 - Un braccio era pari a 0,444 metri lineari, per cui doveva essere a circa 1 metro e quaranta
12 - Piccola scaletta portatile
13 - Tutte le ossa
14 - Evidentemente si riferisce ad un racconto famoso in quell'epoca
15 - Si potrebbe dedurre che nel periodo quaresimale (marzo/aprile) fossero a Roma
16 - "Letto di animali", tana
17 - Potrebbe essere o la chiesa di San Biagio, o più verosimilmente, quella di Santa Maria del Quarto. Gli storici passionisti Tito Amodei e Atanasio Cempanari (Il Santuario di Nostra Signora delle Grazie e di S. Maria Goretti, Roma 1964) ipotizzano che possa trattarsi della chiesetta dell'Annunziata (oggi Santuario di N.S. delle Grazie e S. Maria Goretti). "La citata lettera, poi, ci è utile come argomento <a silentio> per dedurre che in quel tempo il simulacro della Madonna delle Grazie non era conosciuto affatto, dato che non ci parla di esso e dei fatti che l'accompagnarono. La lettera, dunque, dovrebbe risalire alla prima metà del sec. XVI; allora già esisteva la chiesina dell'Annunziata, ma ancora non v'era il simulacro della Madonna delle Grazie..."
18 - Santa Messa
19 - Ruscello
20 - La mortella, arbusto sempreverde con fusto molto ramificato, alto anche 2-3 metri ha foglie persistenti, coriacee, lucenti, opposte a 2 a 2, intere e lanceolate. Fiorisce da maggio a luglio e i fiorì sono bianchi o rosati, peduncolati, solitari e posti all'ascella delle foglie. I frutti, quando sono maturi, hanno l'aspetto di bacche nerastre
21 - Lungo le coste sabbiose la macchia era costituita (oltre che dal succitato mirto-mortella) dal ginepro, dal lentisco, dal cisto e dalla fillirea,. Tale macchia, prendeva il nome di "tumuleto".
22 - Rodomonte (nome di persona) giocava facendosi rincorrere da altre persone, che forse alla fine lo catturavano e lo facevano cadere prigioniero
23 - Bellezza
24 - Laccio, cappio da uccelli
25 - Cesta di vimini per la pesca, con l'apertura fatta in modo che il pesce, una volta entrato, non possa più uscirne. Ancor oggi si usa per la pesca delle aragoste
26 - I laghi sono sicuramente quelli di Caprolace, l'"Isola"potrebbe essere il Circeo, poiché spesso, in documenti del XVI e XVII secolo, quel promontorio viene interpretato come "isola"
27 - Canale o stagno
28 - Nave a tre alberi
29 - Reti da pesca a maglia stretta
30 - Circa 444 metri
31 - Altro tipo di rete, che si usava, oltre che per la pesca, anche per catturare starne e pernici
32 - Probabilmente uno "scorfano", pesce di mare, della famiglia degli Scorpenidi, provvisto di aculei veleniferi
33 - Colomba (Tortora), dal collo verde, con riflessi porporini, (iniziano ad arrivare da ponente ai primi di maggio). La caccia con le "retare" era usualmente praticata dai cacciatori del, luogo, che si tramandavano il mestiere di padre in figlio. Questo tipo di caccia era anche praticata per la cattura delle quaglie, che, provenienti sfinite dall'Africa, cercavano riposo sulla spiaggia, ed era anch'essa tipica, lungo la battigia e nell'immediato entroterra, nei mesi di aprile e maggio.
34 - Fionda
35 - Persone capaci di colpire un bersaglio con mira precisa, con uno schioppo o con la balestra
36 - Capre dal pelo lungo |