Tempi antichi: la conoscenza e la memoria
Quel filo invisibile, che tiene legate le vicende umane l'una all'altra, come una collana di perle, ogni tanto si spezza, o qualcuno o qualcosa lo strappa, e le perle si sparpagliano sul pavimento del tempo. Le più grosse, le più brillanti vengono subito recuperate. Ma di quelle più piccole, qualcuna finisce sotto il comò e chissà quando, come e da chi, o se mai sarà ritrovata. Ma ci sono gesti e rituali che si compiono, e parole che si dicono, ed emozioni che si accendono, proprio per tenere quel filo unito, o per riannodarlo, quando si è spezzato.
E' così che la memoria si conserva, si recupera, si tramanda e rinnova. E il motore della memoria è la conoscenza, che gira e rigira, cerca e domanda, trova e ravviva, finché anche l'ultima perla ritorna al posto suo, nella collana della storia.
Gesù disse ai discepoli, spezzando il pane e innalzando il calice del vino: "Fate questo in memoria di me". Il gesto e il rituale si ripetono ogni giorno per milioni di uomini da 2005 anni e perciò quella memoria è tanto viva, che, per il popolo dei fedeli, il filo non si è mai spezzato e tutto sembra essere accaduto solo ieri. Così, con la memoria e la conoscenza, manteniamo saldo il ricordo, forte la solidarietà, chiara l'identità, tenace il senso di appartenenza alla comunità. Quando, invece, la curiosità si spegne, il filo si spezza, la conoscenza si addormenta, si perde la memoria, e i fatti si allontanano, fino a scomparire nelle nebbie dell'oblio.
Questo libro parla di tempi antichi, di fatti accaduti su questa parte d'Italia, di persone che hanno percorso questi stessi luoghi dove noi siamo in questo momento. Parla delle vicende umane di un popolo altrettanto antico, che dal vassallaggio feudale di papi-re e baroni potenti, si riscattò grazie all'attaccamento alla sua terra, al suo sentirsi popolo e alla forza di un ordinamento di regole scritte. Parla di un tempo in cui architetti costruivano grandi chiese, ville e palazzi monumentali, e pittori dipingevano affreschi variopinti, e scultori scolpivano statue imponenti, e musicisti componevano musiche nuove, e scienziati intuivano scoperte rivoluzionarie, e viaggiatori penetravano in mondi sconosciuti, e scrittori creavano la lingua italiana, trasponendo in volgare la lingua latina. Ma era anche un tempo, in cui si combattevano guerre atroci per la conquista di uno sbocco al mare, per la creazione di imperi e grandi stati o per la conquista di un feudo; tempo in cui papi dello Stato Pontificio andavano in battaglia come capitani di ventura alla testa di eserciti mercenari; in cui potenti famiglie combinavano matrimoni tra bambini, per accrescere patrimoni e possedimenti, truppe e poteri.
Questo libro parla di una comunità di uomini e donne che, quando pescavano in questo mare, dovevano dare la metà dei pesci alla corte; e del grano che i contadini vendevano fuori dello stato, pagavano due carlini per ogni rubbio; e per ogni bestia grossa che macellavano, pagavano tre quattrini per la scannatura, e per ogni pecora o castrato, mezzo soldo; e per ogni fuoco pagavano alla corte ogni anno cinque quarte di grano, due di orzo e diciannove quattrini; e se venivano sorpresi a tirare di schioppo al fiume Astura, pagavano venticinque scudi ogni volta, e....
Erano le regole della terra di Nettuno, scritte nello Statuto e nei Capitoli, che questo libro ci invita a conoscere.
La nascita degli statuti
Nella civiltà occidentale, l'origine dello statuto risale al Medioevo. Il diritto di stabilire regole per mezzo di statuti viene fatto risalire alla pace di Costanza del 1183. L'imperatore tedesco Federico Barbarossa era sceso in Italia con il suo esercito nel 1158 e aveva imposto in ognuno dei grandi comuni del nord un proprio podestà. Il 7 aprile 1167, nel convento dì Pontida, i rappresentanti dei comuni di Milano, Cremona, Brescia, Bergamo e Mantova avevano creato la Lega Lombarda, poi diventata Lega Italica, con l'adesione di Venezia, Padova, Vicenza, Treviso, Bologna, Modena e Ferrara. Nel 1176 i Comuni del nord sconfissero Barbarossa a Legnano e nel 1183 a Costanza firmarono la pace con cui promettevano fedeltà all'imperatore tedesco. Ma per la prima volta si affermavano anche i diritti dei Comuni.
In quell'epoca, le norme statutarie erano materialmente scritte a mano su pergamene sciolte, conservate negli archivi cittadini affidati alle autorità locali, oppure a notai o pubblici funzionali, con l'incarico specifico di custodirle. Gli statuti, siano essi in carte sciolte, oppure ordinati in veri e propri codici, dalla seconda metà del 1400, furono anche stampati. Uno degli originali era a disposizione dei cittadini all'ingresso del palazzo comunale, o della chiesa, o in altro luogo rappresentativo della comunità, assicurato ad una catena. Vi erano, poi, altre copie ad uso privato e professionale. Con la diffusione della stampa, i centri più importanti o comunque dotati di maggiori disponibilità finanziarie, cominciarono a pubblicare i propri statuti, con le relative modificazioni ed integrazioni, ogni volta che l'autorità ne faceva una nuova versione. Fino alla fine del XIII secolo, gli statuti erano scritti quasi esclusivamente in lingua latina. Solo successivamente si iniziò a usare l'italiano volgare, ma a partire dal XVI secolo si usò esclusivamente la lingua italiana.
Anche se la pratica statutaria fu avviata con qualche secolo di anticipo nelle regioni centro settentrionali, nello Stato Pontificio e nel vicino Regno di Napoli molti paesi ebbero uno statuto già dal XIV e XV secolo. Il vice bibliotecario della Regia Università di Napoli, Giovanni Bresciano, in una nota al testo dello Statuto di Nettuno da lui pubblicato, ne elenca alcuni: quello dato a Frascati nel 1515, sotto Leone X, da Marcantonio Colonna, zio del nostro; quello di Palestrina, dato da Giulio Cesare Colonna nel 1590; quello della terra di S. Gregorio; gli statuti di Roma, esistenti a stampa già nel 1471; gli statuti di Castro e Ronciglione del 1558; gli statuti di Norma del 1595; quello di Montelibretti, pubblicato solo nel 1892; gli statuti di Paliano del 1531 e le Costituzioni della città di Marino, approvate da Lorenzo Onofrio Colonna-Gioemi nel 1676. Molti, come si vede, ebbero il loro ordinamento giuridico proprio dai Colonna, che erano presenti in vasti possedimenti di tutto il centro-meridione.
Importanza dello statuto
Lo statuto è atto fondamentale di qualsiasi comunità sociale, perché con lo statuto essa comincia a esistere come comunità-istituzione. Lo statuto è un complesso di regole ed è importante che le regole siano scritte. Le regole sono poste quasi sempre a garanzia del "signore", sono spesso anche vessatorie per i poveri sudditi; ma sono comunque delle norme scritte e le norme scritte valgono per tutti allo stesso modo, sono segno della certezza del diritto, sono un vincolo per chi le deve osservare, ma lo sono anche per chi le deve far osservare.
Per la dottrina giuridica, si ha uno stato quando vengono a coincidere tre elementi essenziali: un popolo, il suo territorio e un sistema di regole, che stabilisce chi è il soggetto titolare dei poteri di sovranità. Anche il peggiore degli statuti, quindi, ha il merito di dare a una comunità di persone, stabilmente insediata su un certo territorio, una prima forma di organizzazione statuale. Lo statuto consente di collocare anche la nostra città in quel lento, ma inesorabile, processo costruttivo, che durante 14 secoli ha portato alla formazione del diritto italiano, dalle Institutiones di Giustiniano (529-534 d.C.), fino ai moderni codici, diffusi dal 1865 in avanti. E, poi, il processo attraverso il quale si è venuto formando il concetto di nazione italiana, fino all'unificazione di tanti popoli, insediati sulla nostra penisola. Ed è anche il processo attraverso il quale, dal concetto di nazione, si è passati al concetto di stato italiano. Il concetto di nazione è fondato su un fatto spirituale: cioè la coscienza di essere una nazione. Il concetto di stato, invece, è fondato sulla contemporanea, reciproca appartenenza di territorio, popolo, ordinamento giuridico e sovranità. Il diritto italiano si è venuto formando dalla integrazione del diritto romano con il diritto germanico, importato dagli invasori nordici, e con il diritto canonico della Chiesa. Il diritto canonico visse il periodo più intenso tra XII e XIV secolo, quindi fino al 1400. Nello stesso periodo si è andato formando anche il diritto italiano.
Sullo scorcio del secolo XV, mentre il millennio della Media Età stava per chiudersi, la scienza giuridica italiana andava decadendo, le università italiane non avevano più l'antico prestigio. Le sorti delle scuole di diritto sono legate a quelle della libertà: la loro decadenza cammina di pari passo con la crisi della libertà e indipendenza italiana. La vita dei Comuni ristagnava negli ordinamenti signorili e principeschi. Il simbolo della libertà riconquistata dai Comuni fu rappresentata proprio dal potere di fare giurisdizione e di amministrare la giustizia.
Lo statuto dato da Marcantonio Colonna ai nettunesi il 17 giugno 1560 non era sicuramente il primo. Lo stesso Giovanni Bresciano, che lo aveva trovato nel 1896, osserva che sulle carte originali, nel capitolo 12, si faceva riferimento a un precedente statuto del 1550. Ora il materiale possesso di questo sistema di "norme" ci permette di dire con certezza storica che, da questa data, Nettuno ha tutti gli elementi per essere considerata a pieno titolo una istituzione riconosciuta e riconoscibile.
Secondo la tradizione, il 1550 è anche l'anno in cui, alla foce del Loricina, approdò la statua della Madonna delle Grazie. Sarà una coincidenza, ma perché non pensare che una piccola comunità rurale, trecento famiglie circa, man mano che vanno prendendo forma giuridica i suoi rapporti civili con il "padrone", non abbia avvertito anche il bisogno di un nuovo, più forte, culto religioso?
E allora il concetto di stato: una popolazione, un territorio, un ordinamento giuridico, si completerebbe con il sentimento religioso, che dalla nascita dell'uomo lo accompagna nella sua evoluzione.
C'è un altro motivo per cui lo statuto o i capitoli di un paese sono importanti: essi forniscono una quantità di notizie, di dati, di toponimi, di valori, per lo più molto antichi e in gran misura attendibili, riferiti a una località e alla sua popolazione. Per esempio, lo statuto e i capitoli che pubblichiamo in questo volume ci parlano di Campo Morto e della Sughereta, degli ammali allevati, dei pesci pescati e dei prodotti di questa terra, delle monete che usavano i suoi abitatori, delle loro consuetudini e delle feste religiose alle quali partecipavano, delle chiese esistenti su questo territorio. Proprio a proposito di chiese, in quelle carte c'è un'informazione importante per ricostruire la storia della nostra chiesa di San Francesco.
Nei "Capitoli delle regalie" del 17 giugno 1560, pubblicati da Calcedonio Soffredini nel 1879 (1) e oggi riunificati per la prima volta al contesto dello Statuto di Nettuno, c'è un dato molto interessante. Prescrivevano quei capitoli che la fiera di San Bartolomeo dovesse intendersi franca, cioè senza tassa, dallo scoglio "di Orlando", allo scoglio "dei bicci". Ebbene, se dobbiamo mettere in relazione la fiera alla chiesa di San Bartolomeo, che è la stessa chiesa di San Francesco, questa è la prova che quell'edificio sacro esisteva già nel 1560. E' vero che la tradizione ne fa risalire l'esistenza al tempo di San Francesco (1182-1226), sulla base di una notizia tramandata, circa una donazione fatta allo stesso poverello di Assisi, (2) di passaggio da Nettuno. Ma, in mancanza di un documento certo, dobbiamo prendere questa notizia solo per tradizione. Per il rigore storico, invece, l'informazione che ci danno i Capitoli delle regalie, con l'indicazione della fiera di San Bartolomeo, è una notizia certa. La precedente datazione più antica che si conoscesse, circa l'esistenza della chiesa, era il 1595 (3) e ci è pervenuta solo nel 2003, con la pubblicazione dell' Atlante storico ambientale Anzio Nettuno, da parte del Centro studi Croma dell'Università Roma Tre.
Il fortunato ritrovamento dello Statuto di Nettuno
Purtroppo, nelle ricerche fatte fino ad oggi sulla storia di Nettuno, non mi era mai capitato prima di trovare lo Statuto, come l'hanno tanti paesi. A pubblicare alcuni "capitoli", cioè alcune imposizioni padronali, erano stati lo storico locale Calcedono Soffredini, nel 1879, e gli altri storici venuti dopo di lui. Ma lo Statuto non l'ho trovato. Ancora nel 2003, Sergio Raimondo, ricercatore del Centro Croma, scrive: "Allo stato attuale non si ha notizia per Nettuno di uno statuto che regolasse l'amministrazione locale, la giustizia civile e criminale, le pratiche agrarie, come quelli promulgati dai Colonna in altri feudi, con particolare frequenza nel corso del XVI secolo" (4). Finalmente, nel 2003, i nostri ricercatori del Tridente (5), hanno scoperto nell'Archivio Storico Comunale questa deliberazione(6):
Adunanza Consigliare - Seduta di 7A e 2A convocazione.
L'anno 1896, addì ventidue dicembre alle ore 10 ani. Presenti: Combi Angelo, Sisti Onorio, Pirri Saverio, Trafelli Giovanni, Paccariè Cesare, Brovelli Pompeo. Assenti: Cerchiari Pio, Censi Annibale, Brovelli Giovanni, Catanzani Bartolomeo, Ottolini Lorenzo, D'Andrea Augusto, Stermini Antonio.
Il Presidente fa notare che le proposte inscritte all'ordine del giorno sono le seguenti... (omissis). Il Presidente comunica che il dott. Giovanni Bresciano, sottobibliotecario della R.a Università di Napoli, ha proposto pubblicare per le stampe a spese di questo Municipio lo Statuto tuttora inedito che Marcantonio Colonna [...] a Nettuno nel 1560; corredandolo di alcune sue note illustrative. Questa pubblicazione porterebbe la spesa di £. 125 per n. 500 copie e di £. 100 per n. 250; ed il Bresciano non pretenderebbe per sé altro compenso che la cessione di 100 copie solamente. Il Consiglio, visto che le condizioni del bilancio non consentono spese facoltative, ad unanimità di voti ... dichiara non poter prendere in considerazione la proposta..."
Ma il Bresciano aveva trovato lo Statuto nella Regia Biblioteca di Napoli, o lo possedeva lui personalmente? E il Consiglio Comunale di Nettuno sapeva nel 1896 che lo statuto era, o era stato, nel proprio Archivio Storico?
Consideriamo anche che nel 1896 Giuseppe Brovelli Soffredini, il maggiore storico locale dell'epoca, autore nel 1923 di Neptunia, aveva 29 anni e che 12 anni prima era morto l'avvocato Calcedonio Soffredini, autore nel 1879, di una circostanziata Storia di Nettuno. Giuseppe aveva ereditato da Calcedonio, insieme con il cognome, anche il suo ricco patrimonio di beni e documenti, insieme con la passione e la curiosità dello storico. E ancora, nella sua Storia, Calcedonio aveva pubblicato i "Capitoli delle regalie dovute alla Corte di M. Antonio Colonna", ben sapendo che quel documento del 17 giugno 1560 era parziale e che doveva essere completato con uno Statuto. E' probabile, quindi, che Calcedonio Soffredini, prima e Giuseppe Brovelli Soffredini, poi, fossero alla ricerca di questo documento. Si mise il Brovelli Soffredini in contatto con il Bresciano? Forse no, e comunque non trovò più lo Statuto, se nel 1923 così scrisse in Neptunia (pag. 93): "In alcuni atti baronali del 1560-1568, che devono essere nell'Archivio Comunale di Nettuno, sono descritti alcuni balzelli, imposti dai Colonna per le barche che approdavano al diruto porto..."
Sicuramente sappiamo, perché ce lo dice lo stesso Bresciano, che nel 1902, quando stampò lo Statuto sulla rivista Il Filangieri, il manoscritto originale, preso dall'Archivio Comunale di Nettuno, era nelle sue mani.
Era la prima debole traccia dello Statuto di Nettuno, ma, nonostante tutte le ricerche fatte, in tutte le direzioni, l'importante documento non si è mai trovato. Non era nella Biblioteca dell'Università di Napoli, dove il Bresciano era sottobibliotecario nel 1896, non nell'archivio Colonna dell'Abbazia di Santa Scolastica a Subiaco, né agli Archivi di Stato di Roma e di Napoli, e non all'Archivio Segreto Vaticano. Sembrava svanito nel nulla, ma non ci siamo mai arresi. Finalmente, nel mese di marzo 2005, il dottor Vincenzo Monti, medico e ricercatore di cose nettunesi, ha trovato sul mercato dell'antiquariato il fascicolo del 1902 e, come ha fatto con altri importanti testi, lo ha donato alla città di Nettuno. Ora è custodito gelosamente nello speciale fondo bibliotecario di storia locale, l00Libri per Nettuno: "STATUTO INEDITO DI NETTUNO (ROMA) DI M.A. COLONNA II", pubblicato da Giovanni Bresciano. Evidentemente, dopo il rifiuto del Consiglio Comunale del 1896, il manoscritto preso da Bresciano nell'Archivio Comunale di Nettuno, fu offerto ad altri editori e fu finalmente stampato dal periodico "Il Filangieri" nei numeri 1-2 e 3-4 del 1902. Ora speriamo che qualcuno ritrovi il testo originale, casomai con una bella immagine del dio Nettuno o dello stemma dei Colonna.
Quali indicazioni ci da il Bresciano a proposito?
Egli inizia la sua presentazione con le parole: "Tempo fa, avendo occasione di fare ricerche di documenti, nell'Archivio del Comune di Nettuno ci capitò fra mano il suo statuto originale autentico, che ora pubblichiamo".
Dunque, sei anni prima, Bresciano aveva trovato lo statuto nell'Archivio Comunale di Nettuno e ne aveva proposto la stampa al Consiglio Comunale. E' evidente che lo aveva materialmente nelle mani, e lo possedeva ancora nel 1904, quando lo fece pubblicare dal periodico Il Filangieri. Continua Bresciano: "Lo stimiamo inedito, per non averne trovato menzione presso gli storici della Provincia, di Roma, per quante ricerche abbiamo fatto, negli archivi e biblioteche romane". Quindi, se ne può dedurre che nessun'altra copia circolasse tra gli studiosi e l'unico testo conosciuto era quello preso da lui stesso. Potrebbe essere rimasto tra le carte di quel Bresciano, oppure in qualche biblioteca napoletana. Chissà se un giorno tornerà mai alla luce!
C'è un'altra circostanza, abbastanza fortunata, che qui mi piace sottolineare: lo Statuto di Nettuno, dato da Marcantonio Colonna e tramandato da Giovanni Bresciano, porta la data del 17 giugno 1560. La stessa data hanno i CAPITOLI DELLE REGALÌE DOVUTE ALLA CORTE DI M. A. COLONNA, che sono ripubblicati in questo volume, e che Calcedonio Soffredini pubblicò nel 1879. Questi scrive il Bresciano- "nel M[ano] s[critto] in esame, sono di mano diversa da quella, che scrisse lo statuto. Essi sì leggono dopo la c[art,a] 46 e sono stati ammessi, perché già editi". Egli si riferisce probabilmente alla pubblicazione di Soffredini di 23 anni prima. I due documenti appartenevano, dunque, a un unico corpus giuridico, proprio del feudo di Nettuno. Oggi, dopo quattro secoli e mezzo, le due parti sono state riunite. Ora chi lo vorrà, potrà farne una lettura critica e scientifica congiunta. Non ho inteso in questa pubblicazione analizzare nel dettaglio e interpretare gli aspetti giuridici dei capitoli, non essendo questo lo scopo della presente iniziativa, ma alcune osservazioni di carattere sociale o economico sono utili a comprendere meglio l'epoca.
Come, per esempio, il tempo cadenzato secondo certi riferimenti a feste religiose: la durata della fiera, sette giorni prima e sette dopo la festa di San Bartolomeo; San Pietro e Paolo, per far entrare i maiali nei campi di grano; Santa Maria di agosto, per il divieto di immettere i maiali nelle aie; S. Angelo di vendemmia e S. Angelo di maggio, per far andare i maiali nel bosco; Sant'Andrea, per l'esenzione della decima dei maiali che pascolano nel bosco, Carnevale, per tassare a due quattrini il maiale che ha più di un anno. Oppure come le monete o i sistemi di misura: quattrino, carlino, giulio, bolognino, soldo, ducato, scudo, rubbio, quarta parte di grano, decima della rendita di ogni "fuoco", il terratico per chi semina a mano, la quinta per chi semina con i buoi, una decina per ogni otto di lino, una copella di vino pari a dodici boccali, e infine la "misura di Nettuno" per il grano: otto per ogni rubbio (7). Oltre a prescrivere tutta una sfilza di tasse, i capitoli contengono anche qualche norma, che si potrebbe definire di carattere sociale: i ragazzi non possono essere messi a fare i guardiani se non hanno quindici anni e per il primo anno non pagano tassa. E poi, non paga chi sia infermo al tempo della semina e sia talmente povero che non possa far nemmeno seminare da altri per sé.
Anche questo significa rimettere insieme i cocci di una storia frantumata e dispersa e riallacciare l'esistenza degli uomini a quella dei loro antenati, in una sorta di continuità ideale, dove nulla nasce dal nulla, ma tutto è contemporaneamente il frutto e il seme del divenire umano.
Le nazioni fissano per iscritto ciò che ricordano
Ha scritto Giovanni Paolo II, pochi mesi prima di lasciare la vita terrena: "... tutto il cosmo creato è soggetto al tempo, ha quindi una sua storia. In modo particolare hanno una loro storia gli esseri viventi. Nondimeno a nessuno di essi, a nessuna specie animale possiamo attribuire la dimensione storica nel senso in cui l'attribuiamo all'uomo, alle nazioni, all'intera famiglia umana. La storicità dell'uomo si esprime nella capacità che gli è propria di aggettivare la storia. L'uomo non è semplicemente soggetto al corso degli eventi, non si limita ad agire e a comportarsi in un certo modo come singolo e come appartenente ad un gruppo, ma ha anche la capacità di riflettere sulla propria storia e di oggettivarla raccontandola nel suo concatenato dipanarsi. Una simile capacità hanno le singole famiglie umane, così come le società umane e, in particolare, le nazioni. Queste poi, analogamente ai singoli individui, sono dotate di memoria storica. E comprensibile perciò che le nazioni cerchino di fissare per iscritto ciò che ricordano. In questo modo la storia si fa storiografia... ".
L'Amministrazione Marzoli, da sempre attenta alla ricerca e conservazione delle memorie storiche cittadine, ha voluto fare dono alla cittadinanza di questa pubblicazione, curata dai suoi Uffici di Staff, cui hanno offerto la propria collaborazione gratuita Pietro Cappellari, Maria Luisa Del Giudice, Leonardo Faraone, Enzo Franza, Luigi Galieti, Massimo Iacopi, Vincenzo Monti, Fabrizio Salberini, Alberto Sulpizi, con le consuete competenza, passione e generosità.
Dopo l'acquisizione del Quaresimale originale di Paolo Segneri (1679) (8) e dell'edizione princeps dell'Alceo di Antonio Ongaro (1582) (9), posso affermare che, con lo Statuto di Marcantonio Colonna del 1560, ora Nettuno possiede i tre documenti scritti più antichi e più significativi della sua storia.
BENEDETTO LA PADULA
NOTE
1 - Calcedonio Soffredini, Storia di Anzio, Satrico, Astura e Nettuno, Roma 1879, 100Libri per Nettuno, inv. 105.
2 - Calcedonio Soffredini, Storia, cit. pag. 166: "Nel borgo verso Ponente esiste il Cenobio e chiesa dei padri conventuali sotto il titolo di S. Bartolomeo che per tradizione vuolsi fondato da S. Francesco, allorché andava a Gaeta. Il p[adre] m[inore] Bonaventura Theuli [1648] de' minori conventuali riferisce che sino al secolo XVII si conservava l'originale e la copia autentica della donazione della chiesa fatta a S. Francesco con la sottoscrizione di lui. E ciò asserivasi al Bonaventura da un tale Ambrogio Sorrentini nettunese il quale diceva che 'a suoi tempi il chirografo erasi perduto... ".
3 - Il documento è pubblicato dalla ricercatrice Fabiana Zitarosa in G. Caneva e C.M. Travaglini, Atlante Storico Ambientale Anzio e Nettuno, De Luca editori, Roma 2003, pag. 464, 100Libri per Nettuno, inv. 436. Si tratta della "Relazione del vescovo di Albano Michele Bonetti, 1595, die. 20". La testimonianza ci dice che "Neptunum" ha una Chiesa Parrocchiale Collegiata Arcipresbiteriale sotto il titolo di San Giovanni Battista, con un altare maggiore e tabernacolo di legno e due laterali eretti dalle Congregazioni del Santissima Sacramento, del Santissimo Rosario, del Nome di Gesù. Ha il Battistero, la sacrestia, il campanile con campane e il cimitero. Ci sono un arciprete e quattro canonici. Per statuto ha un reddito di 500 scudi. Fuori dalle mura c'è la chiesa semplice di S. Maria del Quarto, sotto l'amministrazione della Collegiata, con due altari e un reddito di 30 scudi. C'è la chiesa semplice di San Nicola, con reddito di 70 scudi. Vi si celebra nel giorno del santo. C'è ancora la chiesa semplice di Santa Croce, senza alcun reddito, né titolare, attualmente chiusa per riparazioni. Ancora, la chiesa semplice di San Biagio, con la sua congregazione, ma senza reddito. Il Capitolo della Collegiata vi celebra Messa nel giorno del santo. C'è poi la chiesa semplice di San Rocco, con congregazione, ma senza reddito, la messa vi si celebra di tanto in tanto con le elemosine che vi si raccolgono. E infine la chiesa di San Francesco, con ... sacerdoti regolari dell'Ordine dei Conventuali. In tutto ci sono 1360 anime e 300 fuochi (famiglie)".
La relazione del Vescovo non fa menzione del culto alla Madonna delle Grazie, a quell'epoca Madonna di San Rocco.
4 - Giulia Caneva e Carlo M. Travaglini, Atlante storico-ambientale Anzio e Nettuno, De Luca Editori, Roma 2003, pag. 219, 100Libri per Nettuno, inv. 436.
5 - E' un gruppo di pensionati, che collaborano volontariamente con l'Amministrazione Comunale nelle ricerche storiche di archivio, che si sono dati il nome di Gruppo Volontario di Ricerche "II Tridente".
6 - Archivio Storico Comune di Nettuno, deliberazione n. 298 del 22 dicembre 1896, Rgn 1/12, deliberazioni del consiglio dal 2-7-1894 al 26-7-1899.
7 - In "Storia di Anzio, Satrico, Astura e Nettuno", di Calcedonio Soffredini, pag. 138, 100Libri per Nettuno, inv. 105, si legge: "Nel 1163, mancando dopo il 1140 altre memorie, troviamo Nettuno tutt'inteso all'agricoltura e al commercio, leggendosi in un istromento rogato agli 11 di febbraio di quell'anno che i pagamenti del grano si volevano fatti col modio di Nettuno "ad modium de Neptuno" specie di misura che serviva di norma nelle contrade del Lazio... ".
8 - Paolo Segneri, Quaresimale, Sabatini, Firenze, 1679, 100Libri per Nettuno, inv. 004
9 - Antonio Ongaro, Alceo, favola pescatoria, Francesco Ziletti, Venezia, 1582, 100Libri per Nettuno, inv. 001 |