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Fra Orsenigo
il brianzolo
che conquistò Roma

di

FRA GIUSEPPE MAGLIOZZI o.h

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9 - NON SOLO DENTISTA


Non era unicamente l'abilità e la forza fisica a rendere popolare fra Orsenigo. La gente accorreva da lui anche per averne consiglio e conforto spirituale. Englefield non solo attesta di persone devote che andavano a chiedergli preghiere nella convinzione che erano più efficaci di quelle di altri,(1) ma si sofferma a raccontare come perfino i suoi Superiori gli sottoponessero le situazioni più spinose per avere ispirazione su come risolverle.

Una volta, ad esempio, capitò che fra Cassiano Maria Gasser, che fu ininterrottamente suo Superiore Generale fin dal 1888,(2) notasse la disonestà dei due incaricati della Cucina dell'Ospedale Tiberino e sdegnato li riprendesse immediatamente. I due, temendo che venissero presi provvedimenti, si precipitarono dal Priore e furbescamente gli insinuarono che il Generale non aveva alcuna fiducia di lui, tanto che era venuto di persona in Cucina a dettar disposizioni. Il Priore, che era un meridionale piuttosto remissivo e ben lontano dalla tempra teutonica del Generale, cadde nella trappola e, tutto mortificato, gli inviò le sue dimissioni.

Aquesto punto Englefield narra(3) che "il Generale corse nel piccolo gabinetto di fra Giovanni(4) che era lì accosto alla strada, onde tutti potessero liberamente andare da lui per curare i loro denti senza molestare la famiglia religiosa. Fra Giovanni sentì tutto ciò che il Generale aveva da dirgli del triste caso che era successo. Dopo poco, va da Fra Giovanni il Priore, per ripetergli a modo suo, tutto ciò che riguardava il triste incidente. Da ambo le parti Fra Giovanni fu pregato di accomodare le cose dandogli piene facoltà. Fra Giovanni, sentito tutto, pregò di cuore Dio, e disse al Generale di mandare via subito i due ribelli assecondando così la volontà del P. Priore. Questi ben presto chiese perdono al P. Generale pregandolo di espellere questi due soggetti che si approfittavano di varie occasioni per vendere le provviste di Cucina. La pace ritornata, il Priore pregò Fra Giovanni di occuparsi delle provviste di Cucina per togliere gli abusi, ed egli infatti lo fece ma dopo che i suddetti ladri furono mandati via. Allora stabilì saggiamente e fece nuovi contratti con il macellaio, fornaio, fruttarolo, etc. etc., facendo a modo suo. Tutti cominciarono a lodare la quantità e qualità dei pasti. Ed osservando che i religiosi erano una quarantina e l'ospedale più o meno pieno le autorità furono ben sorprese nel vedere che in soli tre mesi le spese erano scemate di un migliaio di lire sopra un preventivo di 8.000".(5)

Secondo Englefield e secondo quanto, con ancor più dettagli, narra Benassedo, il problema più grosso che fra Orsenigo riuscì a risolvere per i suoi Superiori fu quello del riacquisto dell'Ospedale dell'Isola Tiberina, unico modo di sottrarsi alla pesante ingerenza pubblica e di dare di nuovo in proprietà alla Curia Generalizia la sede che aveva avuto per tre secoli. L'edificio, in forza della legislazione eversiva del 1866, estesa a Roma nel 1873, era stato dichiarato proprietà demaniale il 10 luglio 1875 dalla Giunta Liquidatrice dell'Asse Ecclesiastico, che lo cedette al Municipio di Roma affinché lo utilizzasse come Ospedale Pubblico; il Municipio ne prese possesso l'8 febbraio 1878, ma consentì ai frati di rimanervi a lavorare come dipendenti, giuridicamente considerati non più come religiosi ma come appartenenti ad una semplice associazione laica di infermieri; dopo la presa di possesso l'Ospedale fu gestito per cinque anni direttamente dal Municipio, poi passò il 31 dicembre 1883 alla Commissione degli Ospedali di Roma, la quale venne nel 1891 surrogata dal Regio Commissario Augusto Silvestrelli, che dopo circa sette mesi vendette l'edificio ai Fatebenefratelli.(6)

In data 17 marzo 1892 fu stipulato l'atto notarile di vendita, il cui contenuto è stato oggetto di ampio commento in un recente bel volume sull'Isola Tiberina(7) curato dall'Associazione "Amici dell'Ospedale Fatebenefratelli dell'Isola Tiberina di Roma". In tale commento non si fa però alcun cenno al ruolo di fra Orsenigo nella vicenda, né si riferisce il dettaglio, abbastanza significativo, che costui firmò come testimone l'atto notarile, essendo individuato con la qualifica di chirurgo dentista.

Anche padre Gabriele Russotto,(8) nel commentare l'acquisto del 1892, l'unico che fu possibile effettuare dei ben 46 Ospedali che erano stati confiscati in Italia ai Fatebenefratelli, ne attribuisce il merito unicamente al Beato Bernardo Maria Silvestrelli,(9) considerato il secondo Fondatore dei Passionisti e che era stato gran amico di fra Alfieri negli anni che furono entrambi Superiori Generali; egli era fratello del Commissario Silvestrelli ed avrebbe interceduto con lui perché ponesse in vendita l'Ospedale Tiberino.

In realtà, anche Benassedo menziona l'intervento del Beato Silvestrelli nell'indurre suo fratello Augusto a favorire i Fatebenefratelli, ma l'anima di tutta la vicenda fu per lui fra Orsenigo, che si avvalse di un avvocato suo amico. Le affermazioni di Benassedo e di Englefield trovano piena conferma nell'Elenco de' Religiosi dell'Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Dio della Provincia Romana dal 1830 al 1878, conservato nell'Archivio Generalizio, poiché nella casella di fra Orsenigo si legge la significativa annotazione che egli "fu il principale che propugnò per l'acquisto della Casa Generalizia del Calibita".

Benassedo così descrive il ruolo prioritario svolto da fra Orsenigo in questa vicenda:(10) "Accadeva talvolta che il Generale dei Fatebenefratelli non sapesse come trarsi d'imbarazzo da certe difficoltà che sorgevano qua e là nella sua Famiglia Religiosa. Capitava allora improvvisamente il Generale nel Gabinetto di Dentisteria di Fra Orsenigo e così dicevagli: Battistino, mi capita questo e questo. Dimmi un po' come pensi tu che converrebbe fare. E Fra Orsenigo, senza scomporsi e, continuando magari nell'opera sua di estirpare denti, rispondeva con tutta flemma: presto fatto, Padre Reverendissimo, si fa così e così, e tutto è accomodato per bene. Sembrava questo a prima vista un suggerimento avventato e incompetentissimo; ma poi si scorgeva che era assai illuminato e saggio. Dove ancora meglio si ammirò la celeste sapienza del buon Fra Orsenigo fu nell'importantissimo e provvidenzialissimo recupero che fecero i Fate Bene Fratelli nell'Isola Tiberina, Casa Generalizia del loro Ordine in Roma. Questo grandioso stabile era stato incamerato dal Regio Governo Italiano in esecuzione delle sue leggi eversive. Veniva amministrato dalla Regia Commissione Ospedaliera di Roma, la quale vi aveva lasciati, a titolo provvisorio, i Religiosi dell'Ordine dei Fatebenefratelli per la gestione del grandioso ospedale: ma con tali restrizioni e con tali legami, che vi rendevano difficile e precaria la loro permanenza. Medici e personali massonici facevano di tutto per stancarli e costringerli ad andarsene. Di ciò erano preoccupatissimi i Superiori dell'Ordine. Iddio ispirò allora il P. Generale Gasser di ricorrere per consiglio a Fra Orsenigo e gli tenne parola delle difficoltà e dei pericoli che l'Ordine attraversava in quel momento. E l'umile Frate rispose: non c'è altra via per uscirne che quella di comperare lo stabile".

Interrompiamo a questo punto il racconto di Benassedo, secondo il quale fra Gasser, dopo aver ascoltato la proposta di fra Orsenigo, acconsentì che venisse approfondita. Secondo l'Englefield(11) la reazione iniziale di fra Gasser fu invece di totale rigetto: gli rise in faccia, sembrandogli un'ipotesi assolutamente irrealizzabile, sia perché la Curia Generalizia non disponeva di fondi adeguati, sia perché sembrava inverosimile che l'Ospedale potesse essere messo in vendita. Nonostante il padre Generale avesse gelato l'entusiasmo di fra Orsenigo, dicendogli apertamente che non aveva tempo da perdere con simili assurdità, costui continuò a rifletterci nella preghiera, umilmente chiedendo al Signore di fargli capire se era stato il demonio a suggerirgli quella pazza idea. Dopo un certo tempo tornò da fra Gasser, dicendogli che si sentiva certo che non era stato il demonio ad ispirarlo. Aquesto punto il padre Generale acconsentì di starlo a sentire, pur ripetendogli le medesime obiezioni, che qui riportiamo, preferendo però utilizzare di nuovo la narrazione di Benassedo, riprendendola da dove l'avevamo interrotta: "Ma come fare? osservò il Generale. Ci vuole un gran capitale che la Casa non ha disponibile; e ci sono inoltre difficoltà grandissime e da parte del Governo e da parte dei medici massoni che spadroneggiano nel nostro Ospedale, perché farebbero di tutto per mandare ogni cosa in aria. Non importa, replicò Fra Giovanni Battista Orsenigo; è volere di Dio che la cosa avvenga? Coll'aiuto suo, ci riusciremo, nonostante tutte le contrarietà. Lasci fare a me, padre Reverendissimo.

Che fa allora il povero Frate laico?…egli da tempo conosceva certo avvocato Carlo Scotti, lodigiano, ma dimorante in Roma. Con lui aveva una certa intimità e poteva contare su di lui perché, sebbene fosse liberale e fors'anche massone, egli aveva però molte aderenze ed influenze in Roma, e gli era deferente e fedele. Gli apre dunque l'animo suo e gli racconta le difficoltà nelle quali si dibattono i religiosi Fatebenefratelli. L'avvocato, che doveva precisamente a fra Orsenigo la sua elezione a Consigliere Provinciale di Roma pel mandamento di Valmontone,(12) gli si profferisce volentieri di aiutarlo, e gli dice: senti, caro Orsenigo, la Commissione Ospitaliera di Roma si trova in cattive acque per le malversazioni avvenute nell'Ospedale di Santo Spirito. Con 300.000 lire, voi potete comperare l'Isola Tiberina in blocco, tutti gli accessori compresi. Bisogna far presto e agire in segreto, perché non vengano ostacoli dai medici massoni del vostro Ospedale. Mi hai compreso? Conta pure su di me e vado a parlarne tosto al Commendator Silvestrelli, Presidente della Commissione degli Ospedali di Roma. Va bene, rispose il Frate, ed anch'io corro subito ad informare ed a sollecitare il mio Padre Generale.

Comunicata la proposta al Padre Generale Gasser, questi raduna subito il Capitolo per deliberare in proposito, ma sorgono opposizioni e proteste, da parte specialmente del Procuratore Padre De Giovanni,(13) e non approda a verun risultato. Urgendo però decidersi o per l'immediata accettazione, o per la reiezione della proposta dell'avvocato Scotti, il Generale Gasser torna ancora a consultare Fra Orsenigo, e gli domanda a bruciapelo: e come fare a procurare, quasi su due piedi, trecentomila lire? Nella cassa dell'Ordine non si trova una sì vistosa somma! Niente paura, Padre Reverendissimo! Lei spedisca un telegramma d'urgenza ai Padri Provinciali di Spagna, di Francia, di Baviera e d'Austria- Ungheria, nei quali brevemente accennate che si tratta dell'acquisto della Casa Madre dell'Ordine, domanda il loro concorso e si fa dire su quale contributo si possa fare assegnamento, occorrendo immediatamente 300.000 lire. Ben fatto, risponde il Generale, e subito manda analoghi telegrammi ai riferiti Padri Provinciali esteri. Mirabile cosa! Prima di sera pervenivano le risposte favorevoli da parte dei nominati Provinciali esteri. Quel di Spagna dava 60.000 lire: 100.000 ne dava quello di Francia; 100.000 ne metteva a disposizione quello di Baviera; 50.000 quello d'Austria-Ungheria. Il capitale c'era dunque ed il suggerimento di Fra Orsenigo era stato provvidenzialissimo. Padre Gasser comunica la cosa all'Orsenigo e gli mette in mano la somma da passare all'avvocato Scotti per procedere ipso facto ai preliminari del contratto. Chiacchierone com'era, quella volta l'Orsenigo sa tacere e in poche ore l'affare è stipulato. Nel frattempo giungono dall'estero le somme inviate dai Padri Provinciali, e a tambur battente si conclude e si effettua la compra dell'Isola Tiberina. Il Commendator Silvestrelli, fratello del Generale dei Padri Camilliani(14) aveva di buon grado dato, nella sua qualità di Presidente del Consiglio Ospitaliero di Roma, la propria adesione alla conclusione dell'importantissimo affare".

Come spesso accade nel dattiloscritto del Benassedo, il racconto ci fa conoscere episodi assolutamente inediti ma, essendo frutto di ricordi lontani, appare impreciso in alcune qualifiche e cifre. Nelle note in calce è stata già evidenziato l'inesattezza sul Procuratore e sui Camilliani, ma va rettificata anche la cifra d'acquisto, che dal testo del contratto risulta essere di 400.000 lire, prezzo del tutto adeguato al valore dell'immobile, poiché restò esclusa dalla vendita la Tenuta del Cavaliere, bene dotale che aveva per secoli assicurata la gestione dell'Ospedale, il quale al momento che fu indemaniato era stato valutato oltre un milione di lire a motivo di tale estesissima tenuta, sita lungo la via Tiburtina dove ora stanno sorgendo i nuovi Mercati Generali.(15) Probabilmente le 300.000 lire menzionate da Benassedo erano semplicemente la somma che mancava a fra Gasser per raggiungere le 400.000 che dovettero essere sborsate per l'acquisto ed alle quali andarono inoltre ad aggiungersi, come precisa Benassedo,16 altre 40.000 lire in balzelli, per un importo di 10.000 lire in Comune e di 30.000 lire in Prefettura.

Da un punto di vista legale, le leggi eversive italiane proibivano all'Ordine, in quanto Ente Ecclesiastico, di acquisire immobili, perciò il contratto fu firmato a nome personale da tre confratelli, fra Emanuele, fra Lazzaro e fra Arbogasto, menzionati con i loro rispettivi nomi civili: il medico austriaco Federico Leitner, ed i sacerdoti francesi Alessandro Eugenio Berthelin e Pietro Celestino Menétré. Come si vede, erano tutti e tre stranieri, sia come ulteriore misura cautelare nei confronti del Governo italiano, sia come forma di esprimere gratitudine alle Province estere che avevano prontamente offerto il loro contributo economico. Per inciso, la prontezza della loro risposta dipese dal fatto che l'argomento era stato ampiamente affrontato nell'ultimo Capitolo Generale, tenutosi nel 1887.

Fin dal primo dei Capitoli Generali, celebrato nel 1587, la loro sede era stata sempre l'Ospedale dell'Isola Tiberina, ma la confisca dell'edificio nel 1878 rese impossibile utilizzare i tradizionali locali e pertanto il Capitolo del 1887 fu dovuto convocare a Venezia per poter ospitare in tutta libertà nell'Ospedale di Santa Maria dell'Orto, inaugurato nel 1884 e di proprietà dell'Ordine, l'assemblea dei 27 rappresentanti dei Fatebenefratelli di tutto il mondo.

Sfogliando gli Atti del Capitolo Generale del 1887,(17) svoltosi dal 14 al 19 giugno, risulta che fin dalla prima seduta il Superiore della Provincia Romana, fra Michele Paragallo, espose "la convenienza che si stabilisse in Roma una casa internazionale, per premunirsi di un locale nel caso che si venisse costretti ad abbandonare la Casa Generalizia del Calibita". La proposta fu assecondata "da quasi tutti i vocali". L'argomento fu ripreso nella seduta del 18 giugno e "tutti annuirono alla proposta di comperarsi una casa in Roma, senza farvi innovazioni, tenendola nel caso che i Religiosi non potessero più rimanere nella Casa Generalizia del Calibita".

Se per cinque anni non si dette seguito concreto a tale proposta, fu sia perché non capitò un'occasione adatta, sia soprattutto perché già dal 1885 si era preso a lavorare sull'ipotesi di fondare un Ospedale a Nettuno, distante solo una sessantina di chilometri da Roma e che quindi, nella malaugurata ipotesi d'un esodo forzato dall'Isola Tiberina, avrebbe potuto facilmente divenire la nuova sede della Curia Generalizia. Quando fra Orsenigo suggerì di consultare le varie Province, lo fece perché consapevole della proposta approvata dal Capitolo Generale del 1887 e che finalmente la Provvidenza permetteva di concretizzare nel migliore dei modi, ossia non comprando in città un edificio qualsiasi o riservandosi un'ala dell'erigendo Ospedale di Nettuno, ma ritornando proprietari della storica sede dove in quel quinquennio, pur tra mille angherie, aveva continuato ad essere alloggiata la Curia Generalizia.(18)

L'acquisto dell'Ospedale Tiberino non bloccò comunque il progetto di Nettuno, in quanto rientrava nella strategia elaborata da fra Alfieri per superare la micidiale prova della legislazione eversiva varata dal Governo Italiano contro tutti gli Istituti Ecclesiastici. Fra Alfieri, che fu l'artefice della rinascita dell'Ordine nella penisola iberica, aveva studiato a fondo le ragioni che avevano provocato l'estinzione delle tre fiorenti Province spagnole: all'inizio del secolo era accaduto che per due volte le Comunità erano state obbligate a disperdersi in seguito alla soppressione degli Istituti Religiosi decretata dapprima nel 1809 durante l'effimera dominazione napoleonica, e poi ancora nel 1820 nel breve periodo costituzionale, ma entrambe le volte, rispettivamente nel 1814 e nel 1823, il ripristinato regime politico autorizzò i frati a rientrare nei loro Conventi; quando nel 1835 il Governo, che in quel momento era d'ispirazione massonica, decretò di nuovo la soppressione, i frati si dispersero, ma conservando la speranza che dopo qualche anno sarebbe stato possibile anche questa volta ricostituire le Comunità; invece i decenni passarono senza che le leggi eversive venissero più abrogate ed i frati andarono uno dopo l'altro morendo mentre si trovavano ancora dispersi.

Anche in Italia i frati erano riusciti a riprendersi abbastanza dopo la soppressione dell'epoca napoleonica, ma la conclusione che fra Alfieri trasse dall'esperienza spagnola fu che l'unico modo di evitare l'estinzione in Italia all'arrivo, ormai annunciato, di nuovi provvedimenti di soppressione, era di mantenere unite le Comunità e di continuare tutti insieme ad assistere gli infermi, anche se come semplici salariati dei nuovi amministratori laici, che sarebbero stati nominati dalla Autorità Sabaude per gestire gli ospedali confiscati ai Fatebenefratelli. Chiaramente tale soluzione rendeva ardua la vita delle Comunità, ma era vista come una tappa provvisoria che permettesse loro di sopravvivere fino al momento di poter organizzare in proprio una qualche nuova attività assistenziale, senza più la pesante dipendenza da amministratori pubblici che spesso erano accesi anticlericali. Quando dunque il Parlamento Italiano approvò la legge eversiva del 1866, fra Alfieri supplicò i Confratelli di restare negli ospedali e di stipulare dei rapporti di lavoro con le rispettive Autorità Municipali, il che fu possibile in varie città e per periodi discretamente lunghi: a Roma fino al 1882 nell'Ospedale San Giacomo, fino al 1891 nell'Ospedale di San Gallicano e fino al 1892 nell'Isola Tiberina, ricomprata in tale anno; a Salerno fino al 1872; a Milano fino al 1885; a Napoli fino al 1890; a Civitavecchia fino al 1893; a Foggia, a Sant'Agata, a Narni ed a Benevento fino al 1896; a Venezia fino al 1902; a Velletri fino al 1903; a Jesi ed a Rieti fino al 1905; a Firenze fino al 1910; a Verona fino al 1914; a Corneto fino al 1917; a Tivoli fino al 1923;(19) ed a Perugia addirittura fino ad oggi.

Il caso di Perugia si spiega con i buoni rapporti sempre esistiti con le Autorità Locali, tanto che l'iniziale Convenzione firmata con la Congregazione Comunale di Carità(20) il primo gennaio 1873 non ha mai avuto bisogno d'essere modificata.(21) Nelle altre città si arrivò invece prima o poi al punto di rottura perché le Autorità Civili erano spesso massoniche o quanto meno ostili ai religiosi. Si ricordi che a quei tempi per far carriera nell'amministrazione pubblica occorreva mostrarsi anticlericali, tanto che il citato Regio Commissario Silvestrelli ostentò d'aver rotto ogni ponte col fratello passionista...anche se poi risulta, come s'è visto, che segretamente continuava ad ascoltarlo; ma la segretezza di tale relazione fu tale che i biografi del Beato, non avendo letto Russotto, non l'hanno ancora scoperta!

Quei decenni di precaria e faticosa sopravvivenza di un certo numero di Comunità permisero comunque ai Fatebenefratelli non solo d'evitare la dispersione(22) e conseguente probabile estinzione ma anche d'avere il tempo o di ricomprare gli Ospedali confiscatigli, come per la verità poté avvenire unicamente all'Isola Tiberina per merito di fra Orsenigo, o d'aprirne man mano altri di loro proprietà, uno dei quali fu quello che lo stesso fra Orsenigo riuscì a far sorgere in Nettuno.

Questa ridente località del litorale romano fu abitata fin dalla preistoria, tanto che il suo nome ed il suo stemma si riallacciano ad un grandioso tempio d'origine fenicia eretto in riva al mare in onore del dio Nettuno, ma proprio a partire dai tempi di fra Orsenigo essa cominciò ad espandendersi in modo sempre più vertiginoso, arrivando addirittura a conquistarsi lo scorso 24 febbraio 2003 il titolo di città.

La proposta di avere i Fatebenefratelli nella città del tridente partì da un insigne nettunese, don Temistocle Signori, che fu canonico della Collegiata di San Giovanni per quarant'anni tondi,(23) nonché arciprete parroco di Nettuno dal 1882 al 1919. Persona di grande iniziativa e profonda cultura, fu lui nel 1882 ad invitare a Nettuno i Passionisti, cui affidò il Santuario della Madonna delle Grazie; e fu lui che nel 1899, per migliorare la condizione morale e materiale del popolo minuto, fondò una Società Cooperativa di depositi e prestiti denominata Cassa Rurale di Nettuno "San Isidoro Agricola".(24)

Nel 1880 don Signori ricevette l'incarico, per situazioni contingenti quasi solo simbolico, di Presidente della Congregazione Comunale di Carità, però l'anno dopo, con lettera del 25 settembre 1881, il Municipio affidò a tale Ente la gestione del Venerabile Ospedale de' Poveri(25) ed egli tentò d'esimersene, ma l'avvocato Calcedonio Soffredini(26) intervenne presso la Curia Vescovile di Albano affinché lo convincessero a non dimettersi ed egli obbedì ad una lettera speditagli in tal senso dal vescovo ausiliare mons. Giuseppe Ingami il 29 ottobre 1881.(27)

Questo Ospedale de' Poveri era divenuto praticamente inagibile, come appare dalla descrizione datane dall'avvocato Carlo Scotti:(28) "esistevano soltanto quattro letti sgangherati, a pagliericcio, in un paio di camere di una vecchia casupola posta nell'interno dell'abitato di Nettuno, e tolta la volenterosa assistenza dei medici condotti, tutto il resto mancava sotto ogni punto di vista, e non soltanto da quello dell'igiene, sicché non vi era ammalato che volesse godere di simile ospitalità". Fu questa situazione disastrosa che indusse don Signori a carezzare il progetto di affidarlo ai Fatebenefratelli e di aiutarli a costruirne quanto prima uno più dignitoso.

 

 

Piè Caprino, per le radiche e denti, specialmente dei fanciulli.



NOTE

1. Cf. APP Eng, p. 4.

2. Il tirolese fra Cassiano Maria Gasser era succeduto a fra Alfieri, di cui il 17 giugno 1887 era stato nominato Vicario Generale con diritto di successione per cui, morto Alfieri il 3 agosto 1888, era divenuto Superiore Generale e fu poi riconfermato nell'incarico dai Capitoli Generali del 1893, del 1899 e del 1905, finché lo colse la morte il 17 aprile 1910. Era nato il 7 aprile 1837 a Rodeneck (Vals); entrato novizio nella provincia riformata di Stiria nel 1861; aveva nel 1865 emesso la Professione Solenne a Roma e vi fu ordinato sacerdote il 20 aprile 1867; rientrato nella sua Provincia, v'era stato Maestro dei Novizi e poi Provinciale, ricevendovi nel 1883 dall'imperatore d'Austria l'onorificenza di cavaliere dell'Ordine di Francesco Giuseppe; tornò definitivamente a Roma nel novembre 1886 come Consigliere Generale, in sostituzione del defunto fra Camillo Mauriello (cf. MEYER., pp. 135-138).

3. Cf. APP Eng, pp. 5-6.

4. Il suo nome completo da Religioso era fra Giovanni Battista ORSENIGO, ma qui l'Englefield usa per brevità solo la prima parte del nome.

5. L'abilità dimostrata da fra Orsenigo nel rivedere i contratti per l'acquisto di derrate gli derivava sia dalla sua antica esperienza di commesso di salumeria, sia dal fatto che dal 1874 al 1877 aveva già svolto all'Isola Tiberina l'incarico di refettoriere. Cf. AGF, Provincia di Roma. Elenchi Personale Religioso della Provincia dal 1862 al 1923.

6. Cf. MARTIRE, pp. 72-76.

7. Cf. MANFELLOTTO, pp. 239-242.

8. Cf. RUSSOTTO-3, vol. I, p. 167-168. Egli cita come fonte MARTIRE, ma come ipotesi su chi favorì la vendita, invece di riportare quella di MARTIRE (che a p. 76 scrive: "ci piace credere - come fu asserito da più parti - che a determinare il provvedimento cooperassero i ministri Nicotera, De Rudinì, Baccelli"), cita quanto riferitogli da "qualche confratello anziano contemporaneo", secondo cui il merito andava al Beato Silvestrelli, che sarebbe stato sensibilizzato in merito da Alfieri.

9. Nato a Roma il 7 novembre 1831 e morto il 9 dicembre 1911, fu proclamato Beato il 16 ottobre 1988. Fu Superiore Generale dei Passionisti dal 1878 al 1888 e di nuovo dal 1893 al 1907. Quanto ai suoi rapporti con Alfieri, va precisato che questi era già morto dal 1888, anche se probabilmente nelle vicende del 1892 riuscì utile il ricordo dell'amicizia esistita.

10. Cf. APP Ben, pp. 467-471. Cf. anche M-61.

11. Cf. APP Eng, p. 8. Cf. anche M-48, pp. 5-6.

12. L'avv. Carlo Scotti, nato a Lodi il 20 maggio 1863, dopo la laurea in Legge conseguita a Pavia nel luglio 1884 si trasferì a Roma, dove morì il 13 aprile 1940; oltre che Consigliere Provinciale di Roma, fu Presidente della Congregazione di Carità di Roma e nell'aprile 1934 fu nominato senatore nella categoria 21, ossia dei contribuenti per almeno tremila lire d'imposte dirette (cf. GENTILE, pp. 2207-2208). Fu avvocato di fiducia dei Fatebenefratelli, patrocinando nel Tribunale Civile varie cause in difesa dei diritti dell'Ospedale di Nettuno, per cui nel 1921 i frati gli concessero in gratitudine l'aggregazione spirituale all'Ordine (cf. STATUS, p. 36; cf. anche AGF, Registro Comunicazioni Spirituali e Aggregazioni 1850-1937, aggregazione n. 1806 del 30 maggio 1921). Aveva casa non troppo lontano dall'Isola, al n. 25 di Via Poli, poco prima Piazza San Silvestro (cf. M-25, p. 2). Quando nell'aprile del 1934 si conclusero i grandiosi lavori di ristrutturamento dell'Ospedale Tiberino, egli fu tra le Autorità che intervennero all'inaugurazione (cf. MARTIRE, p. 99).

13. Il Procuratore è il rappresentante dell'Ordine presso la Santa Sede, per cui di norma risiede a Roma, se non addirittura nella Città del Vaticano, dove dal 1874 i Fatebenefratelli gestiscono una Farmacia per conto del Governo Vaticano. Si noti però che fra Pietro Maria De Giovanni fu Procuratore per 12 anni, ma solo a partire dal capitolo Generale del 1899; nel 1892 aveva unicamente l'incarico di Provinciale della Provincia Romana. Nato il 29 ottobre 1842 a Benevento da famiglia nobile, era stato accolto nella Comunità dell'Isola Tiberina il 29 aprile 1876, emettendovi i Voti Semplici il 1° luglio 1877 ed i Solenni il 2 agosto 1880 e morendovi in odore di santità il 12 febbraio 1913 (cf. VIGLIONE).

14. Citati per svista, invece dei Passionisti, che davvero ebbero tale Generale fino al 1888.

15. Quando il pomeriggio del 20 marzo 1892 fra Alfieri convocò la Comunità Tiberina per informarla dell'avvenuto acquisto, ci tenne a precisare che ora occorreva essere prudentissimi nella gestione, poiché l'Ospedale non aveva più dote e quindi non godeva "di niun altra rendita fuorché le diarie e le Messe". Cf. AGF,
Congregazioni del Convento S. Giovanni Calibita. Roma. 1876-1912.

16. Cf. APP Ben, p. 469.

17. Cf. RUSSOTTO-3, vol. I, p. 380.

18. Pare logico pensare che quando nel 1893 fu possibile tornare a celebrare il Capitolo Generale nella tradizionale sede dell'Isola Tiberina, il già ricordato episodio d'esser ricorsi ad un quadro di fra Orsenigo al momento dello scatto della foto ricordo dei capitolari partecipanti, volle essere un modo d'esprimergli gratitudine d'aver imbastito le premesse per ricomprare l'Ospedale.

19. Le date figurano nelle schede dei suddetti ospedali compilate da fra Abondio Roesner e formanti il dattiloscritto dell'AGF intitolato Gli Ospedali dell'Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio. Notizie storiche. Dall'inizio dell'Ordine al Capitolo Generale. Anno Domini 1947.

20. Le Congregazioni di Carità, già istituite in epoca napoleonica per amministrare le Opere Pie esistenti sul territorio comunale, erano state riesumate dal Regno d'Italia con la legge n. 753 del 3 agosto 1862 e saranno poi sostituite con la legge n. 847 del 3 giugno 1937 dagli Enti Comunali di Assistenza, soppressi poi a loro volta con il D.P.R n. 616 del 24 luglio 1977. L'attuale normativa (legge n. 328 dell'8 novembre 2000 e D.L. n. 207 del 4 maggio 2001) prevede l'istituzione di Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona, ma torna a dare ampia autonomia alle Istituzioni Private di Solidarietà Sociale, finalmente revocando del tutto l'accentratrice legge Crispi (legge n. 6972 del 17 luglio 1890) che le aveva assoggettate al controllo diretto dello Stato.

21. Cf. NEMEC, pp. 110-114.

22. La discreta efficacia delle direttive inviate da fra Alfieri alle Comunità dell'Italia per evitare la dispersione è dimostrata dai risultati di un indagine conoscitiva promossa dalla Santa Sede con la circolare n. 161.053 emanata il 16 febbraio 1872 dal Dicastero Vaticano dei Religiosi: nel caso dei Fatebenefratelli, su 50 Comunità esistenti all'inizio del 1860, ne risultarono in vita 39; e dei 340 frati del 1860 ne risultavano ancora presenti 241. Cf MARTINA, pp. 285-288.

23. Cf. ADA, lettera n. 15.

24. L'Ente esiste ancora, anche se con rinnovata denominazione. Cf. CANALI.

25. Il Governo Sabaudo aveva affidato alle Congregazioni di Carità tutte le Istituzioni Benefiche locali, salvo il controllo di merito da parte della Giunta Provinciale Amministrativa.

26. Era Giudice della città, come attestato dalla seguente epigrafe del busto erettogli nella Chiesa di San Giovanni: "Calcedonio Soffredini, di ottimi costumi, Giudice cittadino, morì il giorno della Natività della Beata Vergine, l'anno 1884, all'età di anni 86". Il suo genuino interesse per l'efficienza dell'Ospedale de' poveri è dimostrato da una donazione che aveva fatto nel 1869 al Comune di Nettuno dapprima di un credito di 600 scudi e poi di una rendita consolidata di lire 100 annue, l'uno e l'altra da utilizzare nell'assistere in tale Ospedale "i malati forestieri di ambo i sessi impotenti per la loro povertà a curarsi a proprie spese, i quali vengono a lavorare le terre dei Nettunesi" (cf. MONTI, p.117).

27. Questi dati si desumono dalla lettera inviata da don Signori al suo vescovo il 16 ottobre 1885. Cf. ADA, lettera n. 92.

28. Cf. AGF-Ne, faldone IV, "Cause", cartella 3 "Università Agraria", Avv. Carlo Scotti, Comparsa Conclusionale del 28 febbraio 1911, p. 15.

In questa veduta dell'Isola Tiberina incisa dal Vasi si vede, partendo dal campanile, il portone dell'Ambulatorio di fra Orsenigo e dopo di esso l'ingresso della Chiesa del Calibita e quello dell'Ospedale

 



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