Agli inizi del 1863, durante i mesi che trascorse studiando privatamente a Pusiano, fra Orsenigo tornò più volte al Noviziato milanese dei Fatebenefratelli per tentare di superare le prove di accertamento culturale, ma l'esito continuava a rimanere negativo, come lui stesso confida in un brano che don Benassedo trascrisse testualmente dal famoso fascicolo:(1) "Quando lasciai l'impiego a Milano per farmi religioso, andavo a dare l'esame al convento dei Fatebenefratelli in Milano, ma sempre ero in dietro d'istruzione. Così mi ero intrattenuto 4 mesi in Pusiano presso quel Parroco per istruirmi sempre più. Cosicché, non badando bene, né riflettendo agli avvisi, si andava sempre avanti con le lezioni, ma io rimanevo sempre uguale. Mentre ero in aspettativa del mio stato, io mi mantenevo con le mie proprie spese e non volevo essere di aggravio alla famiglia, perché questa era contro la mia vocazione. Così all'ultimo mi trovavo costernato, perché finivano i mezzi per entrare in religione e non avevo neppure la scienza per entrarvi. E così andavo dicendo: ma come farò, mi avevano assicurato essere volontà di Dio di dover entrare, e ho perduto l'impiego e i quattrini? E perciò dicevo: sarà o non sarà volontà di Dio?".
Narra don Benassedo(2) che l'Orsenigo a questo punto, preso atto che la sua memoria non aveva più l'agilità d'un tempo e che il volenteroso impegno negli studi otteneva scarsi risultati, confidò le sue perplessità alla veggente Teresa Isacchi, che gli assicurò che la Madonna avrebbe risolto i suoi problemi se egli fosse andato in fiducioso pellegrinaggio a Locarno ed avesse chiesto questa grazia nel Santuario della Madonna del Sasso.
Questo famoso santuario mariano si trova all'estrema sponda nord del lago Maggiore, esattamente ad Orselina, subito sopra Locarno. Esso nacque per iniziativa di fra Bartolomeo di Ivrea, che dal convento di Locarno, che la tradizione vuole fondato da Sant'Antonio di Padova nel 1229, uscì fuori città e si ritirò in preghiera sulle alture del Sasso, uno sperone roccioso posto tra i due rami del torrente Rampogna e lì, la notte della vigilia dell'Assunta del 1480, gli apparve la Madonna con in braccio il Bambino. Fra Bartolomeo innalzò sul posto della visione una cappella, in cui pose una statua lignea della Madonna che ha richiamato per secoli folle di fedeli, com'è attestato da innumerevoli ex voto, e che è tuttora venerata nell'attuale Basilica, meta d'imponenti pellegrinaggi di fedeli, provenienti principalmente dal Canton Ticino e dall'Italia settentrionale.
Teresa Isacchi aveva speciale devozione per la Madonna del Sassoperché è sotto tale aspetto che nel 1858 Maria le era apparsa per la prima volta, annunciandole "la vita spinosa ma piena di benedizioni a cui la provvidenza avevala destinata".(3)
Da Pusiano il Santuario della Madonna del Sasso dista un centinaio di chilometri, il che richiedeva allora otto giorni fra andare e tornare. Mentre l'Orsenigo si chiedeva come organizzarsi per questo pellegrinaggio a Locarno, gli accadde d'incontrare dal parroco i coniugi Giuseppe e Rosa Guenzati, che egli ben conosceva poiché venivano spesso a Pusiano per visitare le Isacchi ed era anche andato alcune volte a casa loro in Milano. Oltre che possidenti, essi commerciavano in tessuti e coperte e spesso ne fornirono a Don Bosco, che più volte fu loro ospite a Milano. In quel momento il Guenzati era in cattiva salute e non riuscendo a rimettersi era venuto ad affidarsi alle preghiere delle Isacchi, che anche a lui assicurarono piena guarigione se fosse andato in pellegrinaggio alla Madonna del Sasso: egli decise di farlo ed invitò Teresa Isacchi ad accompagnarlo. Quando seppe che anche l'Orsenigo aveva avuto il medesimo suggerimento, gli propose di andarci insieme, dividendo le spese.
Nel citato dattiloscritto(4) lo stesso Orsenigo rievoca così la vicenda: "I signori Guenzati mi dissero: prenderemo una carrozza a due cavalli, e così faremo le spese assieme
Per convenienza dissi di sì, ma pensavo fra me: starò a vedere anche questo come finirà, perché a me erano rimaste circa 300 lire(5) e dovevo vivere 8 giorni con famiglia agiata. Dicevo: speriamo nell'aiuto di Dio e della Madonna. Arrivammo a Locarno e la mattina seguente salimmo al Santuario(6) per una strada ripidissima e faticosa senza poter avere, stante la brutta strada, neppure una cavalcatura, essendo il sito accessibile solo ai pedoni. Il sig. Guenzati era malato, allora io, oltre a fargli l'assistenza, dovevo portarlo a braccio, facendo una gran fatica. Il sig. Guenzati diceva che se io non l'avessi portato a braccio, non avrebbe potuto salire, per cui mi aveva molta riconoscenza. Dopo molta attesa ed aver ascoltato la S. Messa, la Teresa mi disse: la Madonna gli fa due grazie, una di entrare in Religione, e l'altra la saprà lei. Il sig. Guenzati riacquistò la perfetta salute. In questo Santuario avemmo la sorte di avere sentito cose prodigiose e celesti: le consolazioni erano tali e tante, che parevaci di essere entrati in un Paradiso Terrestre. Tornati a casa,(7) il sig. Guenzati per le grazie ricevute, sia spirituali che corporali, si sentiva inondato di celesti consolazioni e diceva che in vita sua non si era mai sentito così felice. E siccome io l'avevo portato a braccetto e gli avevo prodigato tutte le cure possibili, così mi volle mostrare la sua gratitudine non accettando da me neppure un soldo, benché io gli avessi chiesto e mi fossi profferto di rimborsargli la porzione di spese a me spettanti. E così ottenni l'altra grazia.(8) Non avendo speso nulla, mi rimaneva tutto ciò che era sufficiente per entrare nell'Ordine.9 Giunto poi a casa del Parroco, questi mi porse la lettera del Superiore che mi invitava ad entrare in Firenze".
Quel fruttuoso pellegrinaggio a Locarno non solo mise felicemente alla prova l'effettiva capacità dell'Orsenigo di prendersi cura dei malati, ma lo tolse finalmente dai dubbi d'essere davvero chiamato dal Signore a divenire membro di un Ordine che si dimostrava così esitante ad accoglierlo.
La lettera d'accettazione che gli consegnò il parroco fu indubbiamente in risposta a qualche petizione che costui aveva inviato, a quanto sembra di capire senza informarne previamente l'Orsenigo, che comunque gioì dell'iniziativa, considerandola ispirata dalla Madonna, che egli con tanta fede aveva invocato a Locarno.
Non abbiamo idea in che data il parroco avesse spedito la petizione e quale ne fosse il contenuto, ma possiamo facilmente intuire che don Mariani fosse rimasto contrariato delle difficoltà che i Fatebenefratelli di Milano continuavano a porre all'Orsenigo ed avesse tentato di sciogliere il nodo interpellando direttamente a Roma il Superiore Generale dei Fatebenefratelli, il milanese fra Giovanni Maria Alfieri, che forse aveva avuto modo di conoscere quand'era ancora Priore dell'Ospedale di Verona,(10) prima che nel 1860 andasse a Roma come Consigliere Generale e vi ascendesse poi alla guida dell'Ordine il 19 maggio 1862.
A don Mariani lo spedire la petizione a Roma dovette sembrare una mossa strategica, convinto che se l'Alfieri, che apparteneva alla Provincia Milanese dell'Ordine,(11) avesse inviato a Milano due righe di segnalazione per l'Orsenigo, i Confratelli avrebbero senz'altro fatto il possibile per accontentarlo. In realtà, con la sua lettera don Mariani spinse gli eventi in una direzione abbastanza diversa e inaspettata.
Accadde che certamente nella lettera il Mariani avrà elogiato la non comune tempra spirituale del suo parrocchiano e ciò fece presa sull'Alfieri, poiché egli da Generale fu sempre alla ricerca di anime di grande levatura interiore con le quali dar vita a Comunità pilota, nel cui ambito cominciare ad applicare quella riforma che con l'enciclica "Ubi primum" del 17 giugno 1847 il Beato Pio IX aveva additato a tutti gli Istituti Religiosi, auspicando il loro ritorno alla perfetta osservanza della Vita Comune e l'eliminazione di quei compromessi, specie nell'ambito del Voto di Povertà, adottati sotto la spinta di situazioni di emergenza create in quasi tutte le nazioni cattoliche dalle leggi eversive emanate da vari governi liberali e massonici, che più volte negli ultimi decenni avevano disperso le Comunità Religiose e confiscati i loro beni.(12)
Nei suoi 36 anni di generalato l'Alfieri,(13) incoraggiato dal Beato Pio IX che lo stimava grandemente e l'annoverò perfino tra i suoi confessori,(14) riuscì ad aprire a Brescia due Comunità di perfetta osservanza e con annessoNoviziato, mantenendole sotto la sua immediata dipendenza(15); riuscì inoltre a costituire in Austria un'intera Provincia riformata, quella di Stiria,(16) e soprattutto avviò secondo tale spirito la Restaurazione dell'Ordine nella penisola iberica e nell'America Latina.(17)
Come meglio vedremo in seguito, l'Alfieri nell'agosto 1868 ingaggerà ufficialmente in quest'ampio progetto di riforma dell'Ordine anche l'Orsenigo(18) e per intanto, dando credito alle assicurazioni del Mariani, se lo fece venire nella Provincia Romana, di cui aveva immediato controllo, assegnandolo per una prima fase di discernimento alla Comunità di Firenze.
L'Orsenigo rimase sorpreso di dover fare l'ingresso nell'Ordine a Firenze invece che a Milano ma, come sottolinea don Benassedo,(19) accettò la novità in spirito di fede, convinto che rientrasse nei disegni del Signore. Ovviamente a Firenze, in attesa che verificassero la possibilità di ammetterlo in un secondo tempo in Noviziato nonostante il modesto livello culturale, gli veniva per il momento semplicemente offerto d'entrare come aspirante Oblato, il che comunque non lo esimeva dal presentare l'usuale documentazione richiesta per chiunque voleva entrare in Religione.
Per quanto riguarda la documentazione civile, l'Orsenigo ottenne il 14 giugno 1863 dal sindaco di Pusiano, Pietro Pellegata, l'attestazione che "non fu mai inquisito per alcun reato e tenne sempre una condotta regolare e conforme alle Leggi".(20) Per quanto riguarda la documentazione ecclesiastica, in data 22 marzo 1863 il parroco gli aveva rilasciato senza problemi il Certificato di Nascita e di Battesimo,(21) ma restava il problema di quello di Cresima, poiché l'Orsenigo era arrivato a ventisei anni senza averla ancora ricevuta.
Don Mariani, dimostrando ancora una volta quanto tenesse a cuore l'aspirazione dell'Orsenigo ad entrare dai Fatebenefratelli, si mobilitò personalmente, non solo accompagnandolo di sabato a Monza il 27 aprile 1863 per farlo cresimare dal vescovo Caccia, che abbiamo visto era il Vicario Generale dell'Arcidiocesi in Sede forzosamente Vacante per l'ostruzionismo governativo,(22) ma impetrò ed ottenne dal Prelato, giacché si trattava d'agevolare una vocazione religiosa, di poter fungere eccezionalmente da padrino, nonostante la propria condizione sacerdotale.(23)
Completata la documentazione, arrivò finalmente il momento di congedarsi dalla famiglia, dal parroco e dalle veggenti e di lasciare definitivamente la natia sponda del lago di Pusiano, dando addio, come la Lucia manzoniana, al profilo ineguale del monte Resegone, che in quelle nitide giornate di giugno si stagliava possente oltre la distesa d'acque e le colline.
E se il Manzoni nel 1827 se n'era andato a Firenze per "sciacquare in Arno" il suo romanzo, l'Orsenigo ora v'andava per imprimere una svolta decisiva al romanzo della propria vita, lieto che il Signore, dopo avergliene paternamente tracciato la trama fin dal grembo materno, avesse ora cominciato a disvelargliela attraverso le veggenti di Pusiano.
Quella trama prevedeva che la tappa finale sarebbe stata Roma e forse non fu male che prima d'arrivarvi l'Orsenigo apprendesse dai fiorentini quel linguaggio fin'allora parlato quasi solo in Toscana ed ora adottato dall'intero Regno d'Italia, nel quale il Granducato era già confluito come effetto collaterale della Seconda Guerra d'Indipendenza.(24) Ad ogni modo, il suo primo approccio linguistico con i Confratelli di Firenze fu facilitato dal fatto che il Capitolo Generale del 1862 aveva eletto come loro Superiore il milanese fra Giovanni Luigi Caimi,(25) che aveva raggiunto la Comunità il primo luglio 1862.(26)
Col suo modesto fagottello, ma con l'animo pieno d'entusiasmo, l'Orsenigo il 18 giugno 1863 fece il suo ingresso a Firenze, che s'apprestava a celebrare il suo Patrono San Giovanni Battista, anche se in modo sommesso ed interiore, essendo le tradizionali manifestazioni popolari ormai rimaste soppresse dal nuovo Governo liberale. I fiorentini avevano scelto il Battista come loro Santo Patrono perché fu l'inviato da Dio a testimoniare l'avvento di una nuova epoca del mondo e volevano anche loro divenire artefici di una nuova età. L'Orsenigo non lo sapeva ancora, ma il giorno che a Roma gli avrebbero concesso l'abito di Novizio, avrebbero anche a lui assegnato come nuovo nome in Religione quello di San Giovanni Battista, il profeta dei tempi nuovi.
Firenze fu tra le prime città italiane ad essere visitata dai Fatebenefratelli, come attestato dal segretario di Sant'Ignazio di Loyola, padre Juan Alfonso Polanco, che nel dettare la biografia del proprio Fondatore cita la loro presenza(27) già nell'estate del 1556 alla corte della duchessa di Firenze, la spagnola Eleonora di Toledo (1519-1562), figlia del Viceré di Napoli, don Pietro di Toledo, e sposatasi nel 1539 col duca Cosimo I de' Medici, che diverrà nel 1570 il primo Granduca di Toscana.
Passarono però altri tre decenni prima che iniziasse in Firenze l'attività ospedaliera dei Fatebenefratelli. L'occasione fu data dal passaggio per la città medicea di alcuni frati che erano o accompagnavano i cinque Priori venuti di Spagna per partecipare al primo Capitolo Generale, tenutosi a Roma dal 20 al 24 giugno 1587. In un diario manoscritto della raccolta Magliabecchi, citato dal Richa, troviamo annotata alla data del 2 aprile 1587 la loro sosta nell'ospedale dello Spirito Santo,(28) il che diede loro modo di farsi apprezzare e d'ipotizzare l'insediamento di una loro Comunità.
A seguito dell'improvvisa morte nell'ottobre 1587 del Granduca Francesco I e di sua moglie, gli era succeduto il fratello Ferdinando I, che era cardinale dal 1563 e come tale aveva vissuto dal 1574 al 1587 a Roma, dove ebbe modo di conoscere ed apprezzare i Fatebenefratelli operanti nell'ospedale dell'Isola Tiberina, per cui ben volentieri, grazie inoltre alla duplice intercessione dell'arcivescovo di Firenze, il cardinale Alessandro de' Medici, e della giovanissima nipote del Granduca, Maria de' Medici,(29) approvò il 5 gennaio 1588 la loro richiesta d'avere l'Ospedale di San Niccolò "per medicare poveri infermi",(30) come richiestogli da fra Diego Villar de Belos,(31) dal giugno 1587 Superiore Provinciale d'Italia ed usualmente noto col suo nome da Religioso, ossia fra Diego della Croce.
Ma all'ispezionare l'edificio, i frati s'accorsero che era umido e bisognoso di dispendiosi restauri, per cui senza prenderne possesso chiesero al Granduca di assegnargli piuttosto l'Ospedale di Santa Maria dell'Umiltà che era in Borgo Ognissanti: gestito fin'allora dai Capitani della Compagnia Maggiore di Santa Maria del Bigallo, esso era stato fondato verso il 1382 nel proprio palazzo dal mercante e setaiolo Simone Vespucci,(32) morto il 19 luglio 1400 e prozio del famoso Amerigo Vespucci, l'unico uomo che abbia meritato di dar il proprio nome ad un intero continente.(33)
Il Granduca acconsentì alla richiesta il 4 febbraio 1588 ed i frati, dopo aver firmato il contratto il 17 febbraio,(34) poterono insediarvisi già dal mese seguente, come leggiamo nel diario citato dal Richa: "Primo di Marzo 1587. I Padri Romiti di San Giovanni di Dio detti della Sporta(35) ebbero l'abitazione in Borgo Ognissanti, la quale è stata accresciuta ed abbellita, avendovi incorporate altre Case de' Vespucci".(36)
L'ospedale fra il 1701 ed il 1708 fu notevolmente ristrutturato dall'architetto e scultore Carlo Andrea Marcellini,(37) cui si deve tra l'altro l'attuale splendida Chiesa, nella quale volle poi essere sepolto. Morì a casa sua in Borgo San Jacopo(38) ma i frati, col permesso del parroco, ne portarono la salma in Ospedale e poiché la loro Chiesa in quel momento era di turno per le Quarant'Ore di Esposizione del Santissimo, la veglia della salma ed i funerali si tennero inconsuetamente all'altare della Corsia Ospedaliera, celebrati dal cappellano fra Giovanni Maria Gatti.(39) Fu tumulato all'ingresso della Chiesa, sotto la finestra di sinistra, e la lapide, poi scomparsa nel rifacimento del pavimento ai primi dell'Ottocento ma il cui testo è riportato dal Richa,(40) ricordava la sua generosità nell'aver scolpito gratis i fregi ed i medaglioni nella facciata e nell'interno della Chiesa.
Un successivo importante ampliamento dell'Ospedale fu voluto dal milanese fra Jacopo Resnati, in quel tempo Priore di Firenze, che il 29 maggio 1735, festa di Pentecoste, poté inaugurare una nuova e più funzionale Sala di 40 letti.(41)
NOTE
1. Cf. APP Ben, p. 67.
2. Ibid., pp. 67-68.
3. Cf. PIERINI-3, p. 933.
4. Cf. APP Ben, pp. 68-69. Sulla vicenda cf. anche M-51 e M-53.
5. Si trattava certamente di modeste lire italiane, anche se fino all'ottobre 1858 la moneta corrente in Lombardia era stata la lira austriaca, moneta d'argento suddivisa in 100 centesimi e che dal novembre 1858 era stata sostituita dal fiorino austriaco, anch'esso d'argento e suddiviso in 60 soldi; la vecchia lira austriaca fu ragguagliata a 35 soldi ed un soldo equivaleva a 2,47 lire italiane. Queste ultime erano divise in centesimi e divennero il 24 agosto 1862 la nuova moneta ufficiale del Regno d'Italia, che era stato proclamato il 17 marzo 1861 e comprendeva già sia la Lombardia, sia la Toscana, dove l'Orsenigo si recherà nel giugno 1863 col suo residuo gruzzoletto, frutto di sudati risparmi negli anni trascorsi come garzone di bottega nella metropoli lombarda. Un gruzzoletto troppo modesto per dargli titolo di partecipare alle elezioni, per nulla proletarie, del primo Parlamento Italiano, tenutesi nelle domeniche del 27 gennaio e del 3 febbraio 1861 ed alle quali partecipò solo l'1,9% della popolazione italiana.
6. Oggi ogni quarto d'ora c'è una funicolare che dalla città, che ha un'altitudine di 193 metri, porta rapidamente ai 378 metri d'altezza del Santuario; a quel tempo c'era invece solo un ripido sentiero pedonale, impercorribile non solo in carrozza ma anche a cavallo.
7. Anche se l'Orsenigo non lo specifica, sembra logico pensare che non si tratti della casa di Milano, ma della villa poco distante da Pusiano che i Guenzati avevano ad Erba Incino e dove vivono ancora i discendenti, signori Rivolta.
8. Si tratta della grazia che la Isacchi aveva predetto come seconda, senza specificarne il contenuto.
9. Quando sarà ammesso nel Noviziato dell'Isola Tiberina, fu in grado di consegnare al padre Maestro 200 franchi, come risulta dall'inventario conservato in cartella. Cf. AGF, Personale religioso, Cartelle Personali Religiosi Professi 1866-1874, fasc. 59.
10. L'Alfieri fu eletto Priore dell'Ospedale veronese dei Santi Zeno e Carlo nel 1856 e vi si distinse nell'assistervi i feriti della II Guerra d'Indipendenza, tanto che l'imperatore Francesco Giuseppe il 4 luglio 1859 lo decorò della Croce di Cavaliere del suo Ordine Imperiale "in riconoscenza della tanto lodevole, compassionevole e premurosa cura" prestata ai feriti del suo esercito. Cf. MAPELLI, pp. 277-278.
11. Le Comunità dei Fatebenefratelli fin dal Capitolo Generale del 1587 furono raggruppate a formare distinte Province Religiose, il cui numero variò lungo i secoli. Secondo una statistica diffusa dallo stesso Alfieri (cf. ALFIERI, pp. 2-3), in quel momento l'Ordine "era ormai limitato alla sola Europa, eccettuata Manila nelle Filippine" e comprendeva 11 Province: quattro in Italia (la Romana con 13 Ospedali, la Lombarda con 9; la Napoletana con 12, la Siciliana con 12), una in Francia con 6 Ospedali; una in Austria con 18; una in Ungheria con 14: una in Baviera con 7; una in Prussia con 5; una in Polonia, rimasta col solo Ospedale di Cracovia; ed una in Spagna con 12.
12. Su intenti e necessità della riforma auspicata dal Beato Pio IX, cf. MARTINA, pp. 195-335.
13. Sulle iniziative prese dal Deidda e poi dal suo successore Alfieri per attuare la riforma auspicata dal Beato Pio IX, cf. DREYFUS, pp. 185- 194; e M-30, pp. 3-4.
14. Cf. RUSSOTTO-7, pp. 27-29.
15. In pratica l'Alfieri inserì le due Comunità nella Provincia Romana, che canonicamente era una Provincia con autonomia limitata e, proprio per questo, sotto suo immediato controllo. Per inciso, nel 1939 la Provincia Romana venne equiparata alle altre (cf. RUSSOTTO-3, vol. I, p. 397), ma in qualche modo è andata poi man
mano ricostituendosi una situazione del tutto analoga all'antica, grazie al formarsi, tramite distacchi o nuove fondazioni, di quella che potremmo chiamare ipoteticamente Provincia Tiberina, finora però senza alcuna veste ufficiale, neppure di Delegazione Generale, pur comprendendo ben tre Comunità canonicamente costituite: l'Ospedale dell'Isola Tiberina, la Farmacia Vaticana ed il Centro Internazionale di Via della Nocetta.
16. Cf. MAPELLI-2, pp. 677-685. 17. Pur essendoci innumerevoli libri ed articoli sulla Restaurazione dell'Ordine Ospedaliero nel mondo ispano-lusitano attuata dall'Alfieri per mezzo di San Benedetto Menni, manca ancora uno studio sulla visione riformistica con cui fu condotta e che il Beato Pio IX in persona sintetizzò nella raccomandazione "vita perfettamente comune, molto povera, molto casta e molto obbediente" quando, durante l'udienza privata che il 14 gennaio 1867 concesse all'Alfieri ed a San Benedetto Menni, benedisse la missione nella quale il Santo stava per lanciarsi in Spagna (cf. RUSSOTTO-3, p. 453).
18. Fece infatti sottoscrivere all'Orsenigo la mattina dell'8 agosto 1868 un apposito impegno giurato che citeremo più ampiamente avanti (cf. M-43). Per inciso, analoghi impegni scritti, secondo quanto riferitomi dal Postulatore padre Felix Lizaso Berruete, si trovano nelle cartelle personali di molti dei Beati dell'Ordine Ospedaliero caduti Martiri in Spagna.
19. Cf. APP Ben, p. 70.
20. Cf. AGF, Personale religioso, Cartelle Personali Religiosi Professi 1866-1874, fasc. 59.
21. Ibidem.
22. Proprio a motivo delle tensioni con le Autorità Sabaude, mons. Caccia era stato costretto a lasciare Milano ed a fissare la sua residenza a Monza, nella sua villa di Cornate.
23. L'inopportunità che un sacerdote faccia da padrino deriva dal volergli evitare che, se il figlioccio necessiti aiuto, si senta impegnato a soccorrerlo non solo spiritualmente, ma anche finanziariamente. Nel Certificato di Cresima dell'Orsenigo, conservato come i precedenti nella sua cartella personale, si precisa che il parroco fece da padrino "previo permesso dell'Ill.mo Vescovo". Nella cartella si conservano anche, firmate dal medesimo vescovo l'11 luglio 1863, le lettere testimoniali chiestegli dai Fatebenefratelli per l'Orsenigo in ossequio al decreto Romani Pontificis del 25 gennaio 1847: tale documento, oggi non più previsto dal Diritto Canonico, serviva ad attestare che dagli atti della Curia Diocesana il candidato non risultava inquisito o processato o incorso in censure ecclesiastiche o altro impedimento canonico.
24. Di fronte ai moti sobillati da Cavour, Leopoldo II di Lorena aveva abbandonato il Granducato di Toscana il 27 aprile 1859, giusto all'indomani dello scoppio della Seconda Guerra d'Indipendenza; gli successe un Governo provvisorio, finché l'11 e 12 marzo 1860 un plebiscito, che di popolare ebbe ben poco, sancì l'annessione al Regno di Sardegna, trasformatosi in Regno d'Italia il 17 marzo 1861.
25. Era nato a Nova Milanese il 27 dicembre 1808; ottenne a Milano l'abito di oblato nell'aprile 1827; entrò in Noviziato nell'agosto 1828 incontrandovi come compagno fra Benedetto Nappi; emise la Professione Solenne nell'aprile 1830; fu ordinato sacerdote nel 1852; lasciò la Provincia Milanese nel 1854, essendo stato chiamato
all'Isola Tiberina come Segretario Generale e passò poi come Vicario Priore a Firenze, dove morì il 30 gennaio 1874. Cf. BROCKHUSEN, pp. 546-551.
26. Questa la puntuale annotazione del suo arrivo a Firenze: "A di 1 luglio 1862. In questa mattina giunse qui di Famiglia il Padre Molto Reverendo Fra Giovanni Luigi Caimi Sacerdote Proveniente dal Convento di Milano". Cf. ACFi, 18, "Protocollo delle Vestizioni e Professioni dei Religiosi, Arrivi e Partenze dei Religiosi e Secolari (1807- 1869)", c. 159.
27. Polanco scrive testualmente: "Erat haec aestate Florentiae quidam vir bonus ac pius [discipulus illius???], qui insigne hospitale Granatae fundaverat, quem Ducissa retinebat, et nostris era assiduus conviva, cujus causa Ducissa, cui hoc pergratum erat, et omissis pecuniis et rebus ad usum necessariis solito frequentibus nostros sublevabat" (cf. POLANCO, tomus VI (1556), p. 154). Si noti che le parole tra parentesi quadre furono aggiunte allo stampare il manoscritto, come ipotetica omissione del copista, poiché il Fondatore dell'ospedale di Granada era morto nel 1550 e dunque a Firenze nel 1556 doveva trattarsi di un suo discepolo (cf. a riguardo
MARTÍNEZ, pp. 274-275).
28. Questo il testo: "2 di Aprile 1587. Vennero in Firenze di Spagna i Frati di San Giovanni di Dio e loro fu dato alloggio nello Spedale dello Spirito Santo alla Porta a San Pietro in Gattolino" (cf. RICHA, lez. terza, p. 25). Si noti che inizialmente il Capitolo Generale era stato convocato per il maggio 1587, ma per il ritardo nell'arrivo di alcuni capitolari fu concesso dal Papa Sisto V di prorogarne la celebrazione a giugno (cf. RUSSOTTO-3, vol. I, p. 278), il che rese possibile che nel frattempo alcuni frati della Spagna "per non restare in ozio" s'impegnassero ad assistere i malati nell'ospedale fiorentino.
29. Si deve a costei la diffusione dei Fatebenefratelli in Francia quando, andata sposa nel 1600 al Re di Francia Enrico IV, chiese a suo zio il Granduca di inviargli a Parigi qualcuno di quei così caritativi religiosi: il loro primo drappello, guidato dal milanese fra Giovanni Bonelli, vi fondò nel 1602 l'ospedale di "Santa Maria delle Grazie" nella rue de la Petite Seine, poi nel 1613 trasferito nella definitiva sede di rue des Saints Pères, dove per ricordare Firenze, che ha per Patrono il Battista, prese il nome di "San Giovanni Battista della Carità" o, più brevemente, della "Carità", come fu poi sempre conosciuto dai parigini, tanto che ne derivò il bellissimo soprannome popolare dei Fatebenefratelli in terra di Francia, "les Charitains", ossia i frati dell'Ospedale della Carità; quanto al Battista, rimase, e lo è tuttora, Patrono della Provincia Francese dei Fatebenefratelli (cf.M-29,M-31e M-32)
30. Cf. PERUZZI, pp.6-8
31. Il suo nome è così ricordato dal Mongai: "Il Padre Diego Villar de Belos Spagnolo, essendo Generale il Venerabile Pietro Soriano venne in Firenze e prima abitò nello Spedale di San Niccolò nel popolo di S. Felice vicino al Portone d'Annalena e dopo pigliò questo nostro di Santa Maria dell'Umiltà". Cf. ACFi, 1, Libro di ricordi di instrumenti dal 1692 al 1747, c. 3.
32. Cf. BALATRI, p. 1.
33. In grata e doverosa memoria di Amerigo Vespucci i Fatebenefratelli apposero nel 1719 sul portone del Convento una lapide latina, dettata dall'abate Anton Maria Salvini per segnalare la casa ancestrale "a tanto domino habitata" (cf. foto e articolo in M-37). Sempre a ricordo di Vespucci, l'Associazione San Giovanni di Dio ha fatto collocare all'interno della Chiesa un antico busto del navigatore, pregevolmente scolpito in marmo da Giovan Battista Foggini (1652-1725), un artista fiorentino che, assieme al Marcellini che citeremo più avanti, si formò a Roma nell'Accademia Medicea, apertavi dal Granduca Cosimo III nel 1673.
34. In base ad esso, i frati furono "obbligati fare l'ospidalità, celebrare la Messa ogni giorno, fare un offitio de' Morti ognanno, e ricevano scudi venti l'anno, come per contratto rogato dal Priore Gherardini li 17 Febbraio 1587". Cf. ACFi, ibidem.
35. L'appellativo frati della Sporta derivava dall'uso di questuare per le strade della città recando una sporta, dettaglio poi loro vietato dalle Costituzioni del 1616 (cf. M-20, p. 208).
36. Cf. RICHA, lez. terza, p. 27-28. Si badi che la data si riferisce all'Anno dell'Incarnazione, che comincia il 25 marzo, e dunque nell'anno civile corrisponde al primo marzo 1588.
37. Sulla ristrutturazione dell'Ospedale eseguita dal Marcellini (1644 ca.-1713), che assieme al già citato Foggini fu uno dei massimi protagonisti della cultura architettonica e artistica fiorentina tra Sei e Settecento, cf. VISONÀ-2, pp. 105-110.
38. Anche se, come segnalato dalla VISONÀ-2 (p. 13, nota 11), nell'agosto 1711 c'era stato un suo ricovero in camera singola per "indisposizione di testa". Cf. ASCFi, 105, Libro di infermi dal 1706 al 1731, n. 209.
39. Cf. ACFi, 1, Libro di ricordi di instrumenti dal 1692 al 1747, c.1v capovolgendo il codice.
40. Questo è il testo (cf. RICHA, lez. quarta, p. 35): CAROLO ANDREAE MARCELLINO / SCULPTORI
EGREGIO / QUI TEMPLUM HOC INTUS, FORISQUE / INGENIO SUO ET PIA LIBERALITATE / DECORAVIT / OBIIT KAL. IUNII MDCCXIII.
41. Cf. RICHA, lez. terza, p. 29.
Lo stemma dei Fatebenefratelli in un disegno dell'arch. Bernardo Fallani
per il loro Ospedale di Firenze (ACFi, 1236, c. 4)
Firenze: la facciata dell'antico Ospedale San Giovanni di Dio |
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