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Fra Orsenigo
il brianzolo
che conquistò Roma

di

FRA GIUSEPPE MAGLIOZZI o.h

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5 - NELLA CITTÀ DEL GIGLIO


Quando nel giugno 1863 l'Orsenigo mise per la prima volta piede in Borgo Ognissanti, certamente fu colpito dalla sobria eleganza delle facciate dell'Ospedale e della Chiesa, ben all'altezza di quella Firenze città d'arte, che con ammirazione aveva appena cominciato a percorrere. Mirando la facciata della Chiesa, apprezzò soprattutto come l'architetto avesse voluto darle una precisa identità ospedaliera, non solo scolpendo in pietra serena un grande stemma dei Fatebenefratelli al culmine della facciata, ma inserendo anche melagrane(1) nei capitelli e soprattutto operando una significativa scelta per i due medaglioni simmetrici in pietra serena: essendo la Chiesa dedicata alla Madonna dell'Umiltà, ossia a Colei che all'annuncio dell'Angelo rispose dichiarandosi la serva del
Signore,(2) sarebbe stato ovvio, secondo l'usuale tradizione iconografica, sintetizzare la scena dell'Annunciazione ponendo in un medaglione il viso dell'Angelo e nell'altro il viso di Maria, ma il Marcellini invece dell'Angelo preferì scolpire San Giovanni di Dio, come a dire che l'umiltà di Colei che si proclamò serva del Signore trovava eco nell'umiltà di colui che si proclamò servo d'ogni malato, riconoscendovi Cristo.

Non meno emozione destò nell'Orsenigo l'atrio dell'Ospedale. Anche nel nostro nuovo millennio, pur così disincantato, c'è chi rimane profondamente colpito dalla struttura di quest'atrio, come è accaduto al geografo Rapi, che così lo decanta: "Volesse Dio che un giorno facessero un'altra portineria come quella dell'ospedale di Borgognissanti, dove il degente viene accolto da uno scalone degno di un re (ed è un re; per il cristianesimo, ogni persona ha la dignità di un re), e abbracciato da angeli dipinti e dalle magnifiche statue della Fede e della Speranza. Forse sarà meno efficiente di un pronto soccorso in vetri smerigliati e plastica, ma si ha proprio l'impressione che col tempo la medicina si sia dimenticata qualche cosa per strada".(3)

L'Orsenigo s'inoltrò nel monumentale atrio, notando come ai piedi della duplice scalinata v'erano le statue della Fede e della Speranza,(4) ma in cima, invece della statua della Carità, v'era stata significativamente collocata quella dell'eroe della Carità, San Giovanni di Dio. L'Orsenigo posò lo sguardo su quella statua e promise in cuor suo che avrebbe seguito il Santo sulle vie della carità.

Sulla sommità del grande arco che immetteva alla suddetta scalinata ed alla Sala dei malati sita giusto alle spalle della statua del Santo,(5) v'era un cartiglio latino che, citando il Deuteronomio,(6) assicurava la benedizione del Signore per quanti varcavano quella soglia sia per entrare, sia per uscire. Quella Sala divenne per l'Orsenigo il suo regno(7) e le innumerevoli volte che ne varcò la soglia risultarono davvero di benedizione per la sua vocazione ospedaliera, che ne uscì rafforzata.

Tutti in Comunità apprezzarono l'impegno del nuovo postulante, come appare dall'unanime decisione presa nei suoi riguardi ad appena cinque mesi dal suo arrivo. Nel verbale della Congregazione Conventuale del 28 novembre 1863,8 cui apposero la firma il Priore fra Giovanni Luigi Caimi, il Vice Priore e Farmacista fra Costantino Boschi, il Primo Farmacista aggiunto fra Giuseppe Tramonti, il Capo Infermiere fra Bartolomeo Pezzatini, il Camerlengo di campagna fra Mariano Chiesi, il Guardarobiere fra Domenico Pierattoni, il Refettoriere fra Filippo Ciulli, il Sagrestano fra Modesto Fossetti ed i Confratelli Professi fra Domenico Romiti e fra Antonino Cibecchini,(9) leggiamo infatti che "il Padre Priore propose di ammettere all'abito religioso i giovani Mosè Morlacchi e Innocente Orsenigo, facendo osservare che conveniva pensare ad essi, poiché già da molto tempo si trovavano fra di noi in qualità di postulanti. Fu da ognuno riconosciuta giusta tale proposta; fu convenuto che verrebbero ammessi alla vestizione, facendo peraltro precedere la visita medica, secondo le ordinazioni del Rev.mo Padre Generale".

Giusto alla sera di quella fatidica riunione cominciarono gli annuali Esercizi Spirituali, ossia una speciale settimana di riflessione e di discernimento che ogni Comunità aveva l'obbligo di organizzare una volta l'anno sotto la guida di un predicatore. L'Orsenigo vi partecipò per la prima volta e durante quei giorni di speciale raccoglimento ebbe modo di fare un primo bilancio della sua nuova vita e ringraziare il Signore d'essere col suo aiuto riuscito a rispondere alle attese di tutti i Confratelli di Firenze. Nei mesi che nella natia Pusiano aveva speso a lezione dal suo Parroco, i risultati erano stati deludenti, trattandosi di cognizioni teoriche che la sua memoria non riusciva a fissare; ma ora che si trattava di un tirocinio pratico di assistenza professionale ai malati, ogni Confratello era rimasto compiaciuto dell'abilità con cui egli, mosso da un sincero amore ai sofferenti del quale aveva saputo fornir prova fin da quel pellegrinaggio alla Madonna del Sasso, riusciva a mettere immediatamente in pratica tutto ciò che gli insegnavano, specie nell'ambito di quella che allora era chiamata "bassa chirurgia", nella quale poteva mettere a buon frutto la propria notevole prestanza fisica e la gran forza muscolare, che egli per tutta la vita si preoccupò di mantenere possente, ricorrendo a quotidiani esercizi d'allenamento.

Anche con l'intellettuale della Comunità, fra Modesto Fossetti,(10) egli era riuscito a stabilire un buon rapporto e fu probabilmente lui a spiegargli il senso delle numerose lapidi latine(11) esistenti in ospedale ed in Chiesa ed a narrargli i motivi d'una devozione mariana peculiare dei Confratelli di Firenze, che ogni sera in Chiesa usavano, in adempimento d'un antico voto, recarsi dinanzi all'altare laterale della Madonna del Rosario e cantarvi l'Ave Maris Stella ed il Magnificat: il voto era stato formulato per impetrare la continua protezione della Vergine e manifestarle eterna gratitudine per lo scampato pericolo di un incendio che il 12 dicembre 1724, dopo aver covato inavvertito per tre giorni nel soffitto della stanza del Priore, fu giusto in tempo notato da una dirimpettaia
salita alle 3 di notte sul terrazzo della sua casa e che, visto l'improvviso divampare delle fiamme, diede subito l'allarme, consentendo così ai frati di tagliare le travi già bruciate ed impedire che l'incendio si estendesse irrimediabilmente all'intero edificio.(12)

Riguardo alla devozione mariana, va sottolineato che la Comunità di Firenze era stata pioniera nell'introdurre già nel 1721 la celebrazione della Madonna del Patrocinio,(13) che solo nel 1736 fu estesa a tutte le Comunità e che oggi figura come principale, col rango di solennità, nel calendario liturgico dell'Ordine. Una splendida effigie della Madonna del Patrocinio fu dipinta da Agostino Rosi(14) nell'atrio della scala che dal Chiostro portava in Convento e possiamo immaginare con quanto affetto l'Orsenigo la rimirasse ogni volta e s'infervorasse in quell'amore ardentissimo a Maria che lo contraddistinse poi sempre.

Nel suo generoso prodigarsi con i malati l'Orsenigo, oltre che dai suoi Confratelli, seppe apprendere anche dai volontari che, non certo nella maniera associativa dei nostri giorni, ma con sincera dedizione, frequentavano l'Ospedale. Nel citato dattiloscritto del Benassedo(15) così l'Orsenigo ricorda una delle più attive volontarie, la signora Agnese Cempini, il cui marito Cosimo fu nominato Uditore presso la Suprema Corte di Cassazione quando questa fu trasferita a Firenze, divenuta nuova capitale d'Italia:(16)

"Sul principio del 1864, mentre nell'Ospedale dell'Ordine di Firenze io attendevo all'assistenza degli infermi, io vedeva da più giorni una gentilissima e nobile signora entrare nella Sala degli infermi e far loro visita, ma con carità così evangelica, e con modi così delicati, premurosi e amorosi, che si vedeva veramente in essa un'anima divinizzata, e tutti rimanevano ammirati nel vedere un cuore così nobile e dolce. La visita che faceva agli ammalati era di interrogarli se occorreva loro qualcosa speciale, ovvero se volevano mandar notizie ai parenti, o
ad altri; e così soddisfaceva gli ammalati di tutto cuore; per il che gli infermi ringraziavano Iddio di aver loro inviato un Angelo. Allora io, vedendo un'anima così bella di Dio, mi sentiva un'ispirazione che mi diceva: questa è un'anima che mi sembra abbia da conoscere l'Angiolina e la Teresa, e che di ciò si reputerebbe fortunata, felice, e ne ringrazierebbe il Signore. Infatti io il giorno seguente mi accostai a lei e le dissi: giacché ho la sorte, per grazia di Dio, di vederla con tanto zelo e premura a glorificare il Signore, ad attendere con tanta perfezione per la sua santificazione, le faccio conoscere che al mio paese vivono due sorelle, favorite di grazie straordinarissime da Dio. Poi le raccontai lo spirito di orazione, la frequenza quotidiana della Santa Comunione, le raccontai lo spirito di prudenza, di gran penitenza, e di una grande profonda umiltà con una grande rettitudine;
che tutto ciò che dicevano e operavano era indirizzato per far la volontà di Dio, e di una semplicità che attiravano l'ammirazione di tutti. Allora la signora Cempini mi disse: io sentirò mio marito, se mi permette di andare a Pusiano a visitarla. Ma il marito le fece osservare che per andare a Pusiano, ad una distanza di trecento miglia, era una spesa troppo grande, per cui per il momento non vi pensasse: solo promise che, se un tale che da più di dieci anni doveva dargli 250 lire, che essi non potevano riavere, e già non le contavano più, se gliele avesse restituite, allora sì che l'avrebbe mandata. Come si vede, era una cosa molto difficile poterle riavere le 250 lire. Ma ecco, non erano trascorsi dieci giorni, che il debitore aveva già pagato le 250 lire ai signori Cempini senza che essi le chiedessero. Allora il marito permise alla consorte di partire, ed io la indirizzai a Milano in casa della signora Rosa Guenzati,(17) affinché essa l'accompagnasse a Pusiano. Ma, cosa misteriosa, poco prima che giungesse la Cempini a Milano, vi era arrivata la Serva di Dio, Teresa. Appena giunta la Cempini dalla signora Rosa Guenzati, questa le presentò subito la Serva di Dio Teresa Isacchi, e dopo
essersi scambiati semplicissimi saluti, la Serva di Dio disse alla signora Cempini: appena lei è partita da Firenze questa mattina, sua figlia entrò nella sua camera, ove lei ha un crocefisso grande e disse: oh Gesù se è vero che voi parlate a questa vostra serva, vi prego di non far loro sapere niente di me. Allora la signora disse: perché ha fatto questa preghiera che io non abbia a sapere niente di lei? La Teresa rispose: perché sua figlia tiene un peccato nascosto in confessione, e si vergogna a palesarlo. La Teresa si ritirò, e lasciò in camera sua la Cempini. La signora scrisse immediatamente a Firenze a suo marito per avvisarlo del fatto. Il marito chiamò subito la figlia, ed essa, sorpresa del prodigio, fece la confessione generale. Allora il signor Cempini scrisse a Milano alla sua signora che tutto era vero. La signora Rosa accompagnò la signora Agnese Cempini a Pusiano,
dove il Parroco Don Felice Mariani la ricevette in casa sua, dove ella si intrattenne per ben otto giorni con un'ospitalità vera di cuore cristiano; ivi sperimentò le gentilezze dell'Angiolina e della Teresa stessa. Iddio poi ricolmava il suo cuore di una dolcezza celeste, e l'intelletto glielo riempiva di lume e di una lucidezza da non potersi esprimere; tanto che la signora Agnese ebbe a dirmi: mi sembra di non vivere più in questa terra, ma nel celeste avvenire e non sarebbe più partita da quella casa. Poi la signora Agnese ritornò a Firenze; e tanto seppe
riferire a suo marito di ciò che aveva veduto e sentito, che volle persuaderlo di andare nuovamente in Pusiano, dove anche il marito ebbe a gustare la vera felicità, come la sua signora. Dopo otto giorni ritornarono in Firenze di nuovo. Ma passato qualche mese, il loro pensiero, la calamita che li attirava era Pusiano, e vi ritornarono. Dopo il loro ritorno in Firenze, il distacco da questa Serva era sempre per loro così penoso, che sembrava loro di non poter più vivere senza la loro presenza. Laonde scrissero di nuovo a Pusiano al Parroco Don Felice Mariani che, se a Dio piacesse, inviasse a casa loro l'Angiolina e la Teresa, che il viaggio e qualunque altra spesa avrebbero pagato loro, poiché sembrava loro che la presenza di queste Serve di Dio in Firenze sarebbe stata un gran bene".

Abbiamo riportato quasi per intero questo lungo brano dell'Orsenigo poiché ci fa intuire, per analogia, quel che anch'egli provava in cuore e come vivo rimase il suo rapporto sia con le sorelle Isacchi, che addirittura ebbe modo di rivedere a Firenze, sia col Parroco di Pusiano e con i Guenzati ed i Ghezzi ed altre persone rimaste affascinate da quel mistico Giardino della Santa Parola, che presto ebbe un discreto gruppetto di seguaci anche a Firenze.(18)

Agli inizi del 1864 l'Orsenigo ebbe la sorpresa di veder arrivare a Firenze fra Benedetto Nappi, il famoso chirurgo di cui tanto aveva sentito parlare in Milano. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze erano divenuti più conflittuali i rapporti degli Istituti Religiosi con i nuovi funzionari governativi, spesso apertamente ostili alla Chiesa, e per salvare le sorti dell'ospedale fiorentino il Superiore Generale dei Fatebenefratelli, fra Giovanni Maria Alfieri, provò a far intervenire Nappi, che era in quel momento il frate che godeva di maggior prestigio nella società italiana, conferendogli a tal fine con lettera dell'11 gennaio 1864 il titolo di Commissario Generale per l'ospedale di Firenze.(19) L'incarico non richiedeva una presenza permanente del Nappi a Firenze, giacché fra Giovanni Luigi Caimi continuava ad essere Priore e Maestro dei Neoprofessi, ma dalla pur scarna documentazione dell'Archivio Generalizio dei Fatebenefratelli(20) risulta provata una presenza saltuaria a partire da quel 3 febbraio 1864 quando si presentò ufficialmente alla Comunità come Commissario Generale.(21)

Grazie al Nappi, ci fu una certa schiarita per i Confratelli di Firenze, che si sentirono incoraggiati a programmare una data per la cerimonia della vestizione da oblato sia dell'Orsenigo, sia di un altro candidato, Mosè Morlacchi, anche lui brianzolo, essendo nato il 7 ottobre 1840 a Mozzate, in Provincia di Como.(22)

La data scelta per i due nuovi oblati fu quella assai significativa della mattina dell'8 marzo 1864, festa del fondatore San Giovanni di Dio, col cui nome, tra l'altro, fin dall'inizio dell'Ottocento i fiorentini, certo in omaggio ai frati che lo reggevano, avevano ormai preso a denominare l'Ospedale che il Vespucci aveva invece fondato col titolo di Santa Maria dell'Umiltà, probabilmente in riferimento toponomastico al vicino Convento degli Umiliati,(23) nella cui Chiesa aveva la tomba di famiglia.

La mattina dell'8 marzo il presbiterio era un tripudio di fiori e lumi, con collocato ben in evidenza il busto d'argento di San Giovanni di Dio(24). L'Orsenigo lo rimirò più volte prima del momento in cui ricevette ai piedi
dell'altare il santo abito e fu affidato formalmente al Maestro degli Oblati,(25) il cinquantenne fra Ignazio Stefanacci, che aveva emesso la Professione Solenne proprio quello stesso giorno di quindici anni prima.

Tornato al suo posto con finalmente indosso tonaca e scapolare, fra Orsenigo poggiò pieno di gratitudine il suo sguardo sul dipinto dell'altar maggiore, raffigurante l'apparizione della Madonna di Guadalupe a San Giovanni di Dio(26) e supplicò la Madre Celeste d'avere con lui la stessa premura che ebbe col Fondatore e di impetrargli le grazie per mantenersi degno del santo abito.

Nei giorni seguenti fra Orsenigo riprese la consueta vita, ma con una nota d'entusiasmo in più e nutrendo in cuore la speranza, alimentata dai messaggi delle Isacchi, che in futuro gli avrebbero anche concesso l'ammissione in Noviziato.

Per la festa dell'Assunta del 1864 fra Giovanni Maria Alfieri giunse a Firenze per effettuarvi fino al 25 agosto la Visita Canonica, ossia la visita ispettiva prevista una volta ogni triennio per tutte le Comunità della Provincia, e fra Orsenigo fu lieto di poterglisi presentare con finalmente indosso l'abito dell'Ordine.(27)

Alla Visita partecipò anche fra Benedetto Nappi e forse fu lui che, commentando col padre Generale le potenzialità di fra Orsenigo, suggerì che il suo tirocinio si concentrasse in quel particolare settore della chirurgia
minore rappresentato dalle estrazioni dentarie.

Era questo un settore regolarmente praticato ed incrementato(28) dai Fatebenefratelli di Firenze, come possiamo dedurre da una lettura comparata dei periodici inventari ottocenteschi delle attrezzature sanitarie dell'Ospedale. Tali inventari venivano compilati in duplice copia al termine del mandato del Priore e da lui recati al Capitolo Provinciale che si teneva in Roma per l'elezione dei nuovi Priori: una copia restava nell'Archivio Generalizio e l'altra veniva consegnata al nuovo Priore. Se risaliamo, ad esempio, all'inventario del 1843, troviamo già descritta accanto alla Medicheria un'apposita stanza fornita di "1 vetrina al muro con suo sportello, e cristallo, che serve agl'istrumenti odontalgici,(29) 1 sedia impagliata con salitore di legno per la estrazione dei denti; 1 cassetta di marmo murata col suo rispettivo scolo per detto uso". Nell'inventario del 1850 compaiono anche "Tre cassette di legno tinto con suo cristallo ove si conservano diversi istrumenti per estrarre e pulire i denti". E va infine notato come nell'inventario del 1853 il riunito dentistico appaia migliorato: "Una sedia coperta di pelle nera con suo montatojo per l'estrazione dei denti".(30) Quasi certamente tale sedia a due versanti (il posteriore per il piede del dentista) è quella riprodotta alla pagina seguente e figurante nel manuale illustrato di Odontologia edito nel 1877 da fra Bartolomeo Pezzatini.(31)

Nel 1864 l'arte odontoiatrica era praticata dai frati di Firenze in scala talmente ampia che in occasione della menzionata Visita Canonica padre Alfieri, a salvaguardia dello spirito di povertà, ritenne opportuno regolamentare tale attività, disponendo che venisse centralizzata e coordinata dal Priore, al quale ognuno doveva perciò consegnare il proprio corredo personale di strumenti odontoiatrici.

Il compito di addestrare fra Orsenigo nell'arte odontoiatrica dovette certamente essere affidato al sunnominato Capo Infermiere fra Bartolomeo Pezzatini, che non solo era diplomato in bassa chirurgia,(32) ma quando il 17 luglio 1883, a 66 anni d'età e 34 di Vita Religiosa, chiuse i suoi laboriosi giorni nell'ospedale fiorentino, meritò che nel Necrologio della Provincia Romana venisse ricordato con la significativa annotazione che era "abilitato assai nell'odontalgia".

Il tirocinio di fra Orsenigo come oblato proseguì fruttuoso per tre anni esatti. Nel 1867, appena dopo lo svolgimento delle elezioni politiche italiane nelle domeniche del 10 e 17 marzo, fra Benedetto Nappi, assegnato
per un sessennio(33) come Priore di Firenze, fece il suo ingresso nella città del giglio il 20 marzo alle otto di sera,(34) e già il 25 marzo convocò la Congregazione Conventuale mettendo all'ordine del giorno, su esplicito suggerimento di fra Alfieri, la valutazione della condotta dei due oblati fra Mosè Morlacchi e fra Innocente Orsenigo e la loro idoneità ad essere ammessi in Noviziato: essendo per entrambi risultate buone le informazioni, fu messa a voti segreti la proposta di farli partire per il Noviziato di Roma, restando approvata con voti nove su dieci per fra Mosè e con voti tutti e dieci favorevoli per fra Innocente.(35)

L'abbondante dotazione di strumenti nel Gabinetto Dentistico dell'ospedale, oltre ovviamente all'apprezzamento per le capacità odontoiatriche dimostrate da fra Innocente Orsenigo nei quattro anni di prova trascorsi a Firenze dapprima come postulante e poi come oblato, dovettero indurre il Priore ad autorizzarlo, al momento d'inviarlo all'Isola Tiberina, di portare via con sé a Roma ben dodici "ferri da denti", come risulta dall'inventario dei beni personali di fra Orsenigo richiestogli dal suo Maestro dei Novizi, fra Giuseppe Maria Cortiglioni, quando l'ammise in Noviziato. L'inventario non dettaglia i ferri, ma probabilmente erano tipo quelli i cui disegni, utilizzati in questo libro come finalini di capitolo, figurano nel citato manuale del suo istruttore fra Pezzatini; appare significativo che l'assai più ricco inventario del suo compagno fra Morlacchi non elenchi però alcun ferro,(36) il che dimostra che a Firenze dei due oblati era stato solo fra Orsenigo ad avere avuto un tirocinio chiaramente incentrato nell'arte odontoiatrica.

Roma in quell'anno era ancora sotto il dominio temporale del Papa e pertanto per lasciare Firenze e varcare il confine i due oblati dovettero chiedere l'autorizzazione delle Autorità Italiane, alle quali per prudenza non menzionarono Roma ma dichiararono che desideravano recarsi in treno a Napoli passando attraverso lo Stato Pontificio.(37) Ottennero a vista il passaporto dalla Prefettura di Firenze il 26 marzo 1867 e mostrandolo alla Legazione di Spagna in Firenze, che faceva da intermediaria della Santa Sede data la rottura delle relazioni diplomatiche, ottennero in quella stessa data un lasciapassare per entrare nello Stato Pontificio.(38)

Ultimate velocemente le pratiche, i due oblati brianzoli prepararono il loro modesto bagaglio e si congedarono dai Confratelli e dai malati, mettendosi in viaggio la sera del 28 marzo(39) per l'Isola Tiberina, dove giunsero all'indomani.(40) Mentre si rifocillavano nel maestoso refettorio della Comunità Tiberina, fra Orsenigo gettò uno sguardo dalla finestra alle bionde acque del Tevere che scorrevano ai piedi del Convento mulinando sotto le arcate di ponte Quattro Capi e forse riandò col pensiero agli anni trascorsi nella casa paterna di Pusiano, anch'essa lambita da un rio, piccolo ma cristallino e chiassoso; e certo non immaginò che avrebbe lavorato per tutta la restante vita mirando quel braccio di fiume, destinato negli anni seguenti a mutare più volte aspetto, dapprima serrato dai muraglioni e poi verso il 1890 addirittura totalmente interrandosi, finché alcuni rimedi alle poco avvedute modifiche apportate alle due arcate laterali di ponte Cestio permisero all'acqua di tornare nuovamente a scorrere sotto ponte Quattro Capi.(41)

 

NOTE

1. La melagrana sormontata dalla croce è l'emblema adottato dai Fatebenefratelli a ricordo della tradizione che il Bambinello Gesù sarebbe apparso a San Giovanni di Dio offrendogli una melagrana e dicendogli "Giovanni di Dio, sappi che Granada sarà la tua croce e tramite questa vedrai Gesù in gloria". Cf. M-21, p. 24.

2. Proprio per questo essersi dichiarata serva, Maria nel Magnificat può esultare che "Dio ha guardato all'umiltà della sua serva".

3. Cf. RAPI, p. 2.

4. Eseguite in terracotta da Pompilio Ticciati, figlio del più noto Girolamo. Cf. VISONÀ, p. 28.

5. Si tratta di un gruppo in pietra serena con al centro San Giovanni di Dio che si volge ad un malato ed è soprannaturalmente aiutato dall'arcangelo San Raffaele, accorso al proprio fianco. Fu scolpito nel 1738 da Girolamo Ticciati in pietra serena e stuccato in bianco. Su quest'artista nato e morto a Firenze (1679-1745) cf. ROANI, pp. 70-74; e BELLESI, pp. 27-50.

6. Benedictus eris tu ingrediens et egrediens, ossia "Sarai benedetto quando entri e quando esci" (Dt. 28, 6).

7. L'Ospedale disponeva allora di 42 letti, per soli ricoveri maschili, che nel 1863 furono 514, per complessive 12.895 giornate di degenza (cf. AGF, Provincia di Roma. Elenchi Personale Religioso della Provincia dal 1862 al 1923).

8. Cf. ACFi, 11, Congregazioni Conventuali dal dì 31 agosto 1851 al 30 aprile 1867.

9. Le qualifiche dei dieci firmatari del verbale sono ricavate da un prospetto statistico del 1864 (cf. AGF, Provincia di Roma. Elenchi Personale Religioso della Provincia dal 1862 al 1923, "Famiglia Religiosa del Convento Spedale di S. Maria dell'Umiltà di Firenze al 19 Agosto 1864"). Nel 1863 la Comunità di Firenze contava 24 frati con l'abito (cf ACFi, 23, Vestiarj, "Distribuzione del Vestiario de' Religiosi dell'anno 1863"), ma solo i già Professi, se presenti, partecipavano alle Congregazioni Conventuali ed erano ammessi ad eventuali votazioni.

10. Fra Modesto, che in quel momento studiava teologia al Seminario Vescovile e che sarà ordinato sacerdote nel settembre 1865, era nato a Montopoli (Pisa) il 17 gennaio 1830; vestito da novizio il primo febbraio 1858, emise la Professione Semplice il primo ottobre 1859 e la Solenne l'8 dicembre 1862 (cf. AGF, Elenco de' religiosi dell'Ordine Ospitaliero di S. Gio. di Dio della Prov. Romana dal 1830 al 1878). Dell'attività letteraria di fra Modesto, che morì a Firenze il 27 marzo 1893, ci restano due libri spirituali: FOSSETTI e FOSSETTI-2.

11. Col tempo l'Orsenigo arrivò a masticare un po' di latino, tanto che lo scrittore Petrai nel rievocare la sua esperienza personale come paziente dell'Orsenigo, scrive che per convincerlo a farsi togliere il dente il frate gli citò il detto latino "Ablata causa tollitur effectus" (cf. PETRAI, p. 226; tale articolo è stato integralmente
ripubblicato da M-44, pp. 11-12).

12. Cf. RICHA, lez. quarta, p. 36.

13. In ACFi, 1, Libro di ricordi di instrumenti dal 1692 al 1747, c. 99, è annotato per il 1721 che "in quest'anno la Terza Domenica di Novembre si principiò a fare la Festa del Patrocinio di Maria Vergine e devasi continuare per ottenerne il Santo Patrocinio. Si celebra detta festa con tutta Solennità e Musica".

14. In ACFi, 1, Libro di ricordi di instrumenti dal 1692 al 1747, c. 57sx, è annotato che "in faccia alla Scala da piedi vi è una Lunetta fatta a Olio sul muro, rappresenta Maria Santissima che tiene sotto il suo manto vari Religiosi, Opera del Signor Agostino Rosi, costò al Convento zecchini 10". Il Rosi, che era nato a Roma nel 1727, figlio dell'orafo Tommaso ed allievo del Giaquinto, affrescò in Firenze la cupola della Cappella del Crocifisso in Santa Maria del Carmine ed in Roma eseguì tele in San Pantaleo ed in Santa Maria sopra Minerva, segnalate dal "Chracas" (n. 6570 del 18 ago. 1759, p.22; n. 6675 del 19 apr. 1760, p.11; n. 6843 del 16 mag. 1761, p. 18).

15. Cf. APP Ben, pp. 73-75.

16. Il trasferimento della capitale da Torino a Firenze fu deliberato il 19 novembre 1864.

17. Con i coniugi Guenzati l'Orsenigo aveva effettuato nel 1863 il memorabile pellegrinaggio a Locarno per affidare alla Vergine del Sasso la propria vocazione religiosa.

18. Benassedo accenna anche ad un gruppetto di Livorno dovuto allo zelo di fra Orsenigo, ma rimanda per dettagli ad un capitolo purtroppo oggi mancante nel dattiloscritto (cf. APP Ben, p. 466); a Livorno i Fatebenefratelli avevano fin dal 1602 un Ospedale intitolato a Sant'Antonio Abate, nel quale continuarono per qualche tempo a prodigarsi anche dopo la confisca del 1861 e potrebbero dunque aver agevolato fra Orsenigo nel prendere contatto con i livornesi, però è da escludere che abbia mai fatto ufficialmente parte della Comunità di Livorno, poiché dai registri di ripartizione del Vestiario egli figura ininterrottamente a carico della Comunità di
Firenze durante il quadriennio di permanenza in Toscana (cf. ACFi, 23, Vestiarj).

19. La lettera di nomina, datata 11 gennaio 1864, è riportata da BROCKHUSEN, p. 487.

20. Prove della sua presenza sono le lettere che da Firenze spedì all'Alfieri il 5 e l'8 febbraio 1864 (cf. AGF, Protocollo della Segreteria Generale dal 1° gennaio 1865 al 17 maggio 1866, nn. 117 e 127) ed il 2 maggio 1865 (ibidem, n. 294), nonché gli Atti della Visita canonica effettuata dal Superiore Generale nell'agosto 1864 (cf. AGF, Affari e Corrispondenza Provincia di Roma. Ospedale di S. Maria dell'Umiltà in Firenze, "Atti di Visita. 1864", p. 5).

21. Cf. il verbale del 3 febbraio 1864 in ACFi, 11, Congregazioni Conventuali dal dì 31 agosto 1851 al 30 aprile 1867.

22. I due brianzoli proseguirono assieme il loro cammino formativo fino al primo agosto 1868, quando il Morlacchi, che a Roma in Noviziato prese il nome di fra Mario, ne venne dimesso ed inviato di Comunità nell'Ospedale di Velletri, dove perseverò fino al 25 aprile 1869 (cf. AGF, Elenco dei Novizi della Provincia Romana dal 9mbre 1865 al 1900, casella n. 17).

23. Anche se dal 1910 i Fatebenefratelli non sono più a Firenze, il nome del loro Santo Fondatore è rimasto definitivamente associato all'Ospedale, tanto che quando nel 1982 l'edificio fu sgomberato e le attività trasferite in via di Torre Galli, all'estremo lembo della periferia sud-ovest di Firenze, il complesso edilizio ivi innalzato fu designato Nuovo San Giovanni di Dio e nell'atrio fu collocata una riproduzione su vetro del monumentale atrio del vecchio Ospedale (cf. M-8, p. 48). Per mantenere vivo in Firenze il ricordo di San Giovanni di Dio e per promuovere un'idonea nuova utilizzazione del complesso monumentale di Borgo Ognissanti, i fiorentini hanno dato vita ad un'apposita Associazione San Giovanni di Dio, che diffonde un battagliero organo d'informazione, intitolato "La Sporta".

24. Ancor oggi esposto per la festa di San Giovanni di Dio, anche se ora privo della reliquia del Santo, esso era stato donato da fra Alessandro Maria Martinetti, nato e professato a Roma, ma che conservò indelebile ricordo di Firenze, di cui fu Priore (Cf. MEYER, p. 74). In ACFi, 1, Libro di ricordi di instrumenti dal 1692 al 1747, c. 99, è annotato al 20 febbraio 1721 che "il Padre Rev.mo Alessandro Maria Martinetti Vicario Generale ha mandato questo giorno in dono a questo Convento il Busto d'argento con la base indorata di San Giovanni di Dio. E questo per gratitudine, poiché riconosce da questo Convento havere avuto li principii e gli avanzamenti fino al Grado che tiene di presente nella Religione, il prezzo è di 100 doppie".

25. L'incarico di fra Stefanacci come Maestro, oltre che come Cassiere, è menzionato nel verbale della Congregazione Conventuale del 14 agosto 1864. Cf. ACFi, 11, Congregazioni Conventuali dal dì 31 agosto 1851 al 30 aprile 1867.

26. L'aveva eseguito nel 1797 il pittore Joseph Dorffmeister, nato in Ungheria nel 1764 e discepolo a Vienna di Heinrich Füger (cf. LUCARELLA, p. 116). Sulla visione cf. M-21, p. 36.

27. Nel 1864 la Comunità di Firenze contava, compreso dall'8 marzo fra Orsenigo, 31 frati con l'abito (cf. ACFi, 23, Vestiarj, "Distribuzione del Vestiario de' Religiosi dell'anno 1864").

28. Secondo la dr. Sandri, a Firenze "il San Giovanni di Dio aveva finito per specializzarsi nelle peculiarità più strettamente inerenti agli ospitalieri: dentisti e speziali". Cf. SANDRI-2, p. 312.

29. Si noti che oggi preferiamo dire strumenti odontoiatrici, che significa "per la cura dentale", mentre all'epoca si usava chiamarli odontalgici, che significa "per il dolore dentale", poiché le affezioni dentarie erano ritenute dolorose per antonomasia, specie allora che quasi mai si faceva ricorso agli analgesici ed agli anestetici locali. Il grande successo della tecnica estrattiva di fra Orsenigo sarà legato appunto alla sua capacità di ridurre per altra via la componente dolorifica e l'ansia ad essa collegata.

30. Cf. gli inventari del 1843, 1850 e 1853, conservati sia in AGF, Convento-Spedale di Firenze. Inventari, sia, meno il terzo, in ACFi, 308 e 310. La rilevanza di tali inventari fu segnalata da M- 44, p. 6 e poi anche da MONTI-2, p. 46.

31. Cf. PEZZATINI, p. 44.

32. Il possesso del titolo è attestato in AGF, Provincia Romana, Elenco dei Religiosi dello Spedale di Santa Maria dell'Umiltà di Firenze. 1872.

33. Restò infatti come Priore a Firenze fino al 1873 e morì poi a Milano l'11 marzo 1878.

34. Cf. ACFi, 18, Protocollo delle Vestizioni e Professioni dei Religiosi, Arrivi e Partenze dei Religiosi e Secolari (1807-1869), nel quale si legge a p. 162: "A dì 20 marzo 1867. In questa sera alle ore 8 giunse di famiglia il Molto reverendo Padre Benedetto Nappi proveniente dal Convento Spedale di Milano".

35. Cf. ACFi, 11, Congregazioni Conventuali dal dì 31 agosto 1851 al 30 aprile 1867. I voti venivano espressi deponendo una pallina bianca, oppure nera, in un bussolotto di legno.

36. Cf. AGF, Personale religioso, Cartelle Personali Religiosi Professi 1866-1874, fascc. 58 e 59.

37. Il collegamento ferroviario di Firenze con Roma era stato inaugurato pochi mesi prima, il 12 dicembre 1866, mentre quello di Roma con Napoli era stato attivato fin dal 25 febbraio 1863.

38. Passaporto e lasciapassare finirono poi nella cartella personale di fra Orsenigo.

39. "A dì 28 Marzo 1867. In questa sera all'8 sono partiti Fra Mosè Morlacchi, Fra Innocente Orsenigo da questo Convento a quello di Roma". Cf. ACFi, 18, Protocollo delle Vestizioni e Professioni dei Religiosi, Arrivi e Partenze dei Religiosi e Secolari (1807-1869), p. 207.

40. Cf. AGF, Elenco dei Novizi della Provincia Romana dal 9mbre 1865 al 1900, nella cui casella n. 18 è annotato così l'arrivo di fra Orsenigo: "Da Firenze 29 Marzo 1867".

41. Quando terminò il totale prosciugamento di quel braccio del Tevere, il ritorno dell'acqua fu festeggiato dal poeta romanesco Giggi Zanazzo con un accorato sonetto intitolato "L'Isola de San Bartolomeo ritornata isola", nel quale confessa "ch'er giorno che ci arividi l'acqua ho guasi pianto!". Per un'altra un po' più scherzosa poesia
che egli dedicò al medesimo argomento, cf. ZANAZZO.

 



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