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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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29 - I preparativi della spedizione in Italia


Leonardo e Sebastiano trascorsero parecchie ore al tavolino per mettere a puntino l'impresa, anche nei più piccoli particolari.

Cominciarono con l'informarsi delle condizioni storiche che in quel tempo si avevano nel bacino del Mediterraneo, per sapere con quali amici o nemici si sarebbe potuto incrociare la nave che li avrebbe portati in Italia.

Si era alla fine del mese di agosto dell'anno 1810, ed i due avevano concordato che l'operazione si svolgesse nel mese di novembre, quando temporali, foschie e nebbia avrebbero favorito le azioni di chi aveva timore di agire alla luce del sole.

Anche se con giorni e, talvolta, con mesi di ritardo, per loro due era facile aver notizie di ogni genere o tramite i marinai di passaggio ad Antalya, o tramite l'ammiraglio il quale era solito comunicare ai familiari le notizie provenienti da tutta l'Europa, che non avessero, però, l'importanza di un segreto militare.

Da più fonti avevano appreso che il 6 luglio dell'anno precedente le truppe di Napoleone avevano occupata Roma; che il generale Radet aveva occupato il Quirinale e costretto all'esilio Pio VII, e che tutto il litorale d'Italia, compreso quello del Tirreno, era presidiato dalle truppe francesi e dai loro alleati per tenerne lontana l'Inghilterra la quale,-dal canto suo, non aveva voluto sloggiare dalle isole maggiori, né da Malta.

Ad onta del fervore di opere, soprattutto di restauri, intrapreso dall'amministrazione francese, il popolo romano mal sopportava il giogo dei francesi e si sfogava con feroci pasquinate, che contribuirono ad accentuare il solco di ostilità fra vincitori e vinti.

Per non aver voluto giurare fedeltà ai nuovi padroni francesi, anche don Alessandro Sguzzi, parroco di Nettuno, fu mandato in esilio a Roma e, poi, a Civitavecchia. Questa circostanza, che farà perdere ai nostri giovani molte ore di tempo, Leonardo e Sebastiano non la conoscevano; né sapevano che nello stesso anno, 1810, la flotta inglese aveva bombardato ferocemente la loro cittadina e l'avevano poi sottoposta a saccheggio ed a vandaliche devastazioni.

Purtroppo, una delle numerose, bombe cadute sul borgo di Nettuno aveva ucciso la povera madre di Leonardo e di Assuntina che, come sempre, se ne stava al sole, presso l'uscio di casa ad invocare per la milionesima volta i suoi figli: " Leonardo, Assunta! - invocava la povera demente - " ridatemi i miei figli! ".

Quella granata aveva messo una drammatica fine all'infelice esistenza della poveretta che, come abbiamo visto all'inizio di questo racconto, aveva perduto la ragione lo stesso giorno del rapimento dei suoi due figli.

Il povero Giovanni, marito della donna, era restato sconvolto per parecchi giorni, poi le premure dì tutti lo avevano riconciliato un pò alla volta con le incombenze di tutti i giorni; le sue lagrime, però, erano di troppo poco sollievo all'intenso dolore che la morte della moglie aveva aggiunto a quello per la perdita dei figli rapiti. Insieme ai funerali della moglie di Giovanni Petrucci, il popolo di Nettuno dovette assistere anche a quelli di altre due vittime del bombardamento inglese: a quello del cugino del canonico don Antonio Ottolini ed a quello del nipote di Alceo Trippa, scrivano della nobile famiglia Sof-fredini, il quale, mentre si scatenava dal mare il finimondo, se ne stava a curiosare sulla marciaronda e ad osservare come, dagli spalti, i cannoni dei dragoni francesi cercavano di contrastare le rabbiose bordate delle navi di Sua Maestà Britannica che voleva in qualche modo spezzare il cappio che Napoleone voleva metterle al collo col blocco continentale.

Due mesi prima della spedizione pacifica in Italia, Leonardo e Sebastiano avevano chiesto all'ammiraglio di poter effettuare una crociera pacifica fin sulle rive del Tirreno, presidiato dai non nemici francesi, allo scopo di far esercitare con le alberature e con le segnalazioni i marinai dell'ultimo arruolamento.

La Turchia era allora in pace con tutti e non aveva nulla da temere dalle navi francesi e napoletane che vigilavano tutte le rive del Tirreno per impedire alle navi britanniche di accostarsi ai porti italiani.

L'ammiraglio diede l'assenso alla partenza ma ribadì, anche per iscritto, che la missione aveva - e doveva mantenere - un carattere assolutamente pacifico e di cortesia; che non doveva dar motivo di sospetto alcuno.

Prima della partenza avrebbe consegnato al comandante del brigantino in missione le credenziali necessarie per non aver guai.

La revisione della nave e di tutte le sue attrezzature furono quelle che vengon fatte per una nave scuola in visita di cortesia.

Il brigantino aveva, sì, i suoi cannoni, ma le munizioni erano a salve, ad eccezione di una piccola scorta in caso di difesa e delle granate di segnalazione.

Il nostro capo di 3a classe, Ali Turi e Nedim Soydan, secondo capo, si erano preso cura del brigantino e dei venti marinai, scelti fra i migliori tra quelli ritenuti i più intelligenti ed i più presentabili.

Ali e Nedim li avevano fatti esercitare fino allo spasimo, sicché, alla fine delle esercitazioni, tutti e venti sapevano distrigarsi in modo magistrale fra catene, ancore, argani per salpare, verricelli, cavi, nodi e legature, bozzelli, paranchi, gru, alberi e vele.

Tutti e venti conoscevano a menadito il sistema di segnalazioni allora in voga. Il veliero era fornito di parecchie serie di bandiere e di bandierine di vario colore e foggia con le quali era possibile formare lettere dell'alfabeto e segnalazioni convenzionali.

Anche il nostro brigantino, come ogni altra nave, aveva la sua denominazione, che era espressa da un gruppo di quattro bandiere che ne indicavano il nome e la nazionalità La nostra nave turca si chiamava " Sarai ", serraglio. Lo stendardo era costituito da una bandiera bianca, di forma rettangolare, completata su uno dei lati minori da un pezzo di stoffa dello stesso colore, a forma di angolo isoscele. Al centro della bandiera c'era disegnato in velluto azzurro un compasso con un'apertura di 20 gradi.

La santabarbara era stata rifornita, come abbiamo detto sopra e la cambusa non aveva mai visto tanto ben di dio. Al normale rifornimento di viveri e di bevande, sufficienti per un mese dì navigazione, erano state aggiunte altre derrate di lunga conservazione. Non mancavano dolci, né frutta, né vino che Ali Turi aveva barattato con tappeti ed arazzi nei porti in cui aveva incontrato marinai francesi e loro alleati.

Teresa che, parola dietro parola, era riuscita a farsi fare l'intero discorso dalla impaziente Assunta, lavorava giorno e notte per preparare la biancheria necessaria, i vestiti e le mantelline occorrenti ai partenti e quelli da lasciare in regalo a suo marito, al buon Berardo, col quale - così le diceva una voce interna - si sarebbe certamente riunita.

Dopo la cattura di Sebastiano ed il suo arrivo in Turchia, tutte le preghiere e quasi tutte le lacrime della buona donna erano per il povero marito al quale il suo pensiero correva molte volte durante la giornata.

Quanto alle lingue straniere, la cui conoscenza si sarebbe potuta rivelare provvidenziale durante la missione in Italia, Sebastiano aveva ripreso a studiare intensamente l'inglese, mentre Leonardo, con l'aiuto di Azim, si era cimentato di nuovo con la lingua francese.

Tre giorni prima della partenza, nave ed equipaggio erano ai loro posti.

Non mancavano che alcuni ritocchi al quadrato degli ufficiali dove era stata approntata una stanzetta per Assunta.

Sì, proprio per Assunta! Anche lei, infatti, avrebbe fatto parte della ciurma del brigantino Saray, come marinaio addetto agli alloggiamenti dei due ufficiali, il capitano di corvetta Petrucci Leonardo e il tenente di vascello Ricci Sebastiano.

lì capo di terza classe, Ali Turi, e il secondo capo, Nedim Soydan, avrebbero prèso posto nelle due cabine adibite ad alloggiamento dei sottufficiali.

La signora Aylà e sua figlia Selma che, per la perspicacia tipica delle donne, avevano capito tutto, si erano messe ad aiutare Teresa a cucire, tagliare, ritagliare, confezionare biancheria e divisa da marinaio che Assunta avrebbe dovuto indossare con i gradi di sottocapo di marina e relativo berretto.

Quando Assunta provò per la prima volta la divisa, Teresa, Ayla e Selma proruppero in mille esclamazioni di meraviglia e di compiacimento.

I capelli, essendo folti, erano stati tagliati alla " maschietta " e raccolti sotto il berretto da marinaio. La divisa, un po' larga, non mostrava né le sinuosità, né le curve del fisico ben tornito, ma non troppo sviluppato della nostra signorinella.

Un bel paio di baffetti posticci davano alla sua figura qualche anno in più ed un po' più di mascolinità.

La confezione del costume nettunese, che Teresa preparò per le nozze di Assunta, richiese più tempo e l'aiuto indispensabile della signora e delle due signorine.

Pur non possedendone uno simile, Teresa ricordava benissimo come era il costume delle donne nettunesi, avendolo indossato spesso e come priora e come accompagnatrice delle priore, durante la famosa processione che il primo sabato di maggio di ogni anno, si tiene a Nettuno in onore della Madonna delle Grazie.

Quello che Teresa fece per Assunta era il costume riformato, non scollacciato, né dalla gonna corta; era identico a quello da lei indossato l'ultima volta a Nettuno.

II costume era di seta, di colore carminiato scuro, con numerosissime pieghe, pressate a ventaglio. Una guaina, ornata di nastro bianco con relativo fiocco stringeva la veste.

La gonna, chiamata " guarnaccia ", era lunga fino alle caviglie.

Alle balze della sottana ed all'estremità Teresa cucì una trina d'oro e d'argento. Anche il corsaletto era di colore scuro come la guarnaccia. Un merletto, il così detto " capezze ", velava completamente il petto che era coperto da un ricco drappo a coccarda, terminante con due nastri ricamati in oro.

Ad un lato del corsaletto, applicò un nastro bianco, simile a quello messo sulla guaina. La veste, lunghissima, copriva quasi i piedi che dovevano essere calzati con pianelle di velluto rosso ed ornate di lamine d'oro e d'argento: lavoro di pazienza e di cesello affidato alla brava Selma.

Come copricapo cucì una " mantrinella " semirigida, a foggia di mantile, dello stesso colore del costume, con la tesa arcuata che sporgeva avanti e dietro sulla testa; la " mantrinella " era adornata d'oro e di arabeschi su sfondo bianco.
Per adornare il collo della sua Assunta, Teresa aveva fatto comperare da Leonardo una collana d'oro; il magnifico vezzo di perle era, invece, dono del fidanzato, di Sebastiano.

La signora Ayla contribuì alla preparazione del costume con un paio di orecchini d'oro, a pendolo.

Quando Assunta provò il costume, fu investita dallo scroscio di applausi e di lodi dalle tre donne.

- Una fata! - esclamò Selma, stringendosi al petto l'amica, - non può essere più bella di te!

- Ragazze simili sono chiamate angeli dalle nostre parti!

- interloquì Teresa soddisfatta.

- Le vergini Uri non potrebbero essere più attraenti!

- esclamò con malizia la padrona di casa.

Assunta non si schermiva, sentendosi veramente felice e bella in quel magnifico costume.

Due giorni prima della partenza, l'ammiraglio aveva compiuto, senza esserne richiesto, e senza strombazzamenti, uno dei suoi non rari gesti di bontà a cui pensava da qualche anno: l'affrancamento dalla schiavitù di Teresa e di Assunta.
I preparativi che si andavano facendo, l'andirivieni degli uomini, l'eccitato dinamismo delle donne di casa, certe richieste, alcune informazioni e tanti altri motivi, gli avevano fatto capire che sotto il tetto di casa sua si stavano preparando grandi cose.

Conoscendo l'affetto per lui di tutte quelle care persone, non aveva mai avuto il dubbio che lui potesse essere implicato in qualche azione men che onesta. Lo rendeva tranquillo anche il fatto che Teresa non sarebbe partita, ma che sarebbe restata ad Antalya.

A sera, durante una di quelle cene abbondanti alle quali voleva che partecipassero in intimità i componenti delle famiglie Kania, Petrucci e Ricci, l'ammiraglio dimostrò ancora una volta la sua ben nota umanità.

A metà cena si alzò dal proprio posto, si recò di fronte a Teresa ed Assunta, che mangiavano vicino, e consegnò una carta ad ognuna di esse, dicendo:

- Teresa, da oggi sei libera. Non sei più schiava!

- Assunta, da oggi non sei più schiava. Sei libera!

Un silenzio profondo regnò per alcuni istanti nella sala.

Teresa ed Assunta restarono sedute, gli occhi fissi in quelli dell'ammiraglio, con le bocche spalancate.

Ayla, Selma ed Azim fissavano increduli la scena...

Leonardo e Sebastiano, bianchi come cera, si erano alzati in piedi e fissavano muti l'ammiraglio e le loro due care donne.

Poi, tutto ad un tratto, si assistette ad una scena unica: Teresa ed Assunta si alzarono, corsero verso il comandante e lo abbracciarono piangendo. Assunta singhiozzava da strappare il cuore.

Ayla, Azim e Selma batterono felici le mani e corsero ad abbracciare a loro volta le due donne ormai libere. Leonardo e Sebastiano, invece, restarono in piedi muti, commossi, incapaci di un gesto, di una parola.

L'ammiraglio se li avvicinò e se li strinse al petto dicendo:

- L'ho fatto anche per questi due testoni.

Leonardo riuscì a sorridere con gli occhi lucidi, ma Sebastiano, più reattivo, non potè fare a meno di baciare con trasporto la mano del suo comandante che aveva reso libera la mamma.

- Sebastiano, quel che fai non si addice ad un ufficiale!

- Ma si addice ad un figlio, mio signore!

- Lo so, lo so, figlio mio. Ma adesso è l'ora di mangiare e di bere!

La cena proseguì chiassosa e terminò con l'esibizione canora di tutti i commensali: si cantò in italiano, in turco ed in latino finché le gole non furono stanche e gli occhi oppressi dal sonno e dalle libagioni.

Nel congedarsi dai tre giovanotti, il comandante si limitò a dire:

- Giovanotti... mi capite? ...Testa sulle spalle!

- Signor ammiraglio, noi... - incominciò Leonardo.

- Silenzio! Non una parola in più!

- Che Dio vi benedica!

- Lunga vita! - esclamarono in coro i giovani inchinandosi all'ammiraglio che usciva.

 



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