II mercato degli schiavi dì Antalya si effettuava una volta la settimana ed aveva luogo alla periferia della città, in una casaccia costruita con pietre e mattoni, le cui finestre erano alte e chiuse da pesanti sbarre di ferro. Oggetto di commercio erano perloppiù donne, ragazze ed uomini inabili al mestiere delle armi. Vi si vendevano anche ragazzi di tenera età, ma il loro prezzo era simbolico essendo destinati quasi tutti a diventar giannizzeri. Gli eventuali acquirenti dei ragazzi avrebbero dovuto nutrirli ed istruirli fino al giorno del loro ingresso nella vita militare. Leonardo si trovava appunto nella su4detta condizione.
Quando il comandante del Califfo, Ismael Kania, entrò in divisa nel recinto, il direttore dell'asta, i suoi aiutanti ed i mercanti gli si inchinarono rispettosamente, non solo e non tanto perché vestiva la divisa di ufficiale, ma anche perché membro di una fra le più ricche e rispettate famiglie di Antalya.
L'apparizione del comandante fece rifiorire la speranza nel cuore di Teresa che con i due figli adottivi ed in compagnia di un'altra decina di infelici, se ne stava in piedi, addossata al muro della squallida prigione.
Molti schiavi, per la maggior parte donne e fanciulli, erano seduti con la schiena appoggiata al muro.
Presso il tavolo degli addetti alla vendita scostavano una ventina di mercanti e di semplici clienti, quasi tutti dal volto poco rassicurante. Fra costoro, in prima fila, c'era Ali Turi che, insieme ad un suo amico marinaio, aveva condotto i nostri tre prigionieri al mercato.
Fra quelle infelici creature umane c'erano vecchie decrepite in avanzato stato di disfacimento; c'erano donne ancora in grado di lavorare e ragazze giovanissime destinate quasi sempre al concubinaggio, secolare piaga molto in uso presso i maomettani.
Negli occhi, sul volto e sul corpo di quegli infelici erano visibili i segni della cattiveria, della perfidia e della bestialità degli uomini!
Una schiava, ancor giovane, dell'apparente età di venticinque anni, mostrava anche sul collo e sul viso i segni dello scudiscio con cui il padrone l'aveva punita solamente, per aver scambiato dalla finestra alcune parole con un passante che le chiedeva di indicargli una strada.
Vicino a quella se ne stava pensierosa un'altra donna che cercava di nascondere sotto una sciarpa il moncherino del braccio sinistro che il protettore le aveva reciso avendola sorpresa a rubargli una spilla d'argento.
Fra quegli infelici c'era anche un uomo di mezza età, il volto ricoperto di lividi, al quale i compagni di lavoro avevano salvato la vita sottraendolo dalla lapidazione degli abitanti d'un paesino per aver bestemmiato il nome del Profeta: il padrone se lo rivendeva, perché convinto che la presenza d'un bestemmiatore avrebbe attirato sulla sua casa l'ira di Allah.
Ogni creatura di quel recinto era la dimostrazione patente di un atto di viltà, dì cattiveria, di bigotteria, di intolleranza.
C'erano due povere ragazze le quali erano state avviate al concubinaggio appena adolescenti e che ora, poco più che ventenni, erano già larve di donne: avviate presto alla prostituzione, ne avevano subito tutte le conseguenze nel corpo e nell'anima. Oltre che flaccide, sformate e brutte erano diventate sboccacciate, triviali, ladre, mezzane e veicoli di male... Ammiccavano a mercanti ed inservienti e facevano dei gesti e delle movenze così turpi che un inserviente non potè fare a meno di colpirle con lo scudiscio. La povera Teresa si era strette le due creature, perché non vedessero quello spettacolo così ripugnante, ma l'inserviente la costrinse con cattive parole a lasciare liberi i ragazzi per dar modo ai compratori di osservarli meglio.
La compravendita degli schiavi avveniva allo stesso modo con cui si procede da sempre per gli animali nelle nostre fiere.
Gli schiavi venivano esaminati minuziosamente dalla testa ai piedi, senza nessuna reticenza. Se ne esaminavano gli occhi, la dentatura per tema che non vi fossero denti guasti. Venivano denudati fino alla cintola per esaminarne le fattezze e la robustezza; si osservavano attentamente braccia e mani e li si costringeva a camminare avanti e in dietro per osservarne l'in cedere. Infine venivano interrogati per conoscerne la provenienza e per accertarsi del loro grado di conoscenza della lingua turca.
Il prezzo variava a seconda dello stato fisico e delle prestazioni che avrebbero potuto offrire.
Le giovani schiave sapevano bene di essere destinate al concubinaggio, ma consideravano la cosa perfettamente naturale; il numero delle concubine accresceva la considerazione del padrone agli occhi della gente, tanto più che il Corano ordina che il maomettano possa avere non più di quattro mogli, ma non pone limiti al numero delle concubine.
Quasi sempre queste vivono in modo vergognoso; perloppiù vengono acquistate per brevi periodi e poi rivendute per profitto.
Il continuo scambio di padrone le rende presto brutte, flaccide, di animo volgare. La loro degradazione morale è inimmaginabile!
Mercanti senza scrupoli le acquistano sovente per farne delle prostitute e ricavarne danaro. Solo se hanno avuto un figlio dal padrone non possono essere rivendute ed i figli avuti dal padrone non sono schiavi, ma liberi.
Spesso le giovani schiave erano rivendute o perché ladre e sfacciate, o perché il proprietario non era più in prospere condizioni finanziarie per mantenerle.
Prima dell'inizio dell'asta, i clienti osservano attentamente dal banco del banditore la mercé umana che vorrebbero comprare, poi, iniziata la vendita, si recano nel serraglio umano per fare agli infelici l'esame sopra descritto.
Decisa la scelta, il cliente si recava dal capo banditore a chiedere il prezzo della schiava prescelta. Conosciuto il prezzo, cercava di svilire il valore della schiava attribuendole un gran numero di difetti, proprio come fanno i sensali nelle nostre fiere: si affannava a dimostrare che la schiava non era bella, che non aveva il corpo bene sviluppato, che non conosceva la lingua... e tante altre imperfezioni. Il banditore, dal canto suo, sottolineava e ribadiva, invece, le virtù e le fattezze della schiava, oggetto della compravendita.
Quando, finalmente, l'accordo era stato raggiunto, l'atto veniva stilato, firmato dall'acquirente e controfirmato da almeno due testimoni. Col versamento della somma pattuita, la schiava diventava proprietà dell'acquirente.
All'alba del 14 giugno 1795, Ali Turi condusse Teresa, Leonardo e Assuntina al mercato degli schiavi per le operazioni preliminari necessarie per procedere alla vendita degli stessi, dopo averne fissato il prezzo.
Per Leonardo, destinato alle forze armate turche, il prezzo di acquisto era solamente simbolico: il valore d'una sterlina. Lo stesso prezzo si richiedeva per Assuntina la quale, per l'età che aveva, doveva essere considerata solo come un peso per l'acquirente. Per Teresa si stabilì il prezzo che di solito si pagava per una schiava troppo avanti negli anni per farne una concubina, ma non troppo anziana per accudire alle faccende di casa; il prezzo fu ridotto anche perché la donna non conosceva la lingua turca.
Ismael Kania, seguito da Turi, si accostò ai nostri tre schiavi, senza badare agli altri che stendevano le mani imploranti verso l'ufficiale di marina. Prese per mano Assuntina e si avviò con tutti gli altri al tavolo del capo banditore che si alzò deferente e cerimonioso.
- Voglio acquistare questi tre schiavi!
Il banditore aprì la bocca per tessere, come d'uso, le lodi sulla forza e sulle fattezze di Teresa, ma il capitano tagliò corto:
- Stenda gli atti!
I due aiutanti stilarono in duplice copia i tre documenti che furono firmati dal capitano e dai due testimoni, Ali Turi ed il suo migliore amico, pure in forza a il Califfo,
Dopo che Ismael Kania ebbe pagato la somma richiesta, gli furono consegnati gli originali dei tre documenti. -Sempre tenendo per mano Assuntina, il capitano uscì per primo da quella sentina di miserie, seguito da Teresa e da Leonardo; Ali Turi ed il suo commilitone chiudevano il corteo.
Appena fuori del mercato, Teresa, in un impeto di commossa riconoscenza, afferrò la mano del capitano e glie la baciò più volte con trasporto, mentre copiose lacrime le solcavano il viso.
- Teresa, - disse allora il capitano - così non va: ora appartieni alla mia famiglia!... Ali Turi vi accompagnerà a casa per presentarvi alla mia famiglia. Ci rivedremo più tardi.
- Dio vi benedica! - esclamò ancora una volta Teresa!
- Dio commosso! vi benedica! le fece eco Leonardo, pure lui
- Salarti aleikum! esclamò sorridendo la piccola Assunta.
Al saluto della piccola, il capitano, che si era già mosso di qualche passo, ritornò indietro e, sorridendo, accarezzò la bionda testolina, dicendo in italiano:
- Ciao, Assuntina. |