"La casa di Abdullah Kania, padre del capitano della marina militare turca Ismael Kania, era situata alla periferia di Antalya e consisteva in un grosso edificio principale, le cui finestre posteriori si affacciavano sul mare, e di altri due edifici più piccoli.
Le tre costruzioni erano circondate da una solida staccionata alla quale era addossata un'alta, fitta siepe di bosso che non permetteva agli occhi indiscreti di curiosare nell'interno del recinto. Al di sopra della siepe facevano mostra di sé le folte chiome di molti alberi:' pioppi, ippocastani, platani, peri, meli, peschi, fichi.
Al centro del porticato, che sorreggeva la facciata della casa, c'era l'ingresso principale che si apriva sulla strada più importante della città.
Dal portone centrale si accedeva agli appartamenti privati della famiglia Kania, mentre, dalle altre due porte, a destra ed a sinistra dell'ingresso principale, si entrava ai negozi dei-piano stradale, gestiti dal personale della stessa famiglia. Nel bazar, a sinistra del portone, si trovava ogni ben di Dio: dall'ago ai tappeti, dalle lanterne ai narghilè; nell'altro negozio, a destra, si vendeva la minuteria per la pesca e l'attrezzatura leggera per le imbarcazioni. Gli affari andavano a gonfie vele per l'afflusso dei mercanti e degli abitanti delle città vicine; si spingevano ad Antalya viaggiatori e mercanti di Finike, di Kemer, di Burdur, di Isparta, di Side, di Alanya, ex fortezza pirata, e, perfino, di Mersin, cittadina vicino a Tarso, patria di San Paolo.
L'edificio principale era formato dal pianterreno e dal primo piano. Era una costruzione nuova, abbellita, oltre che dal porticato, da cinque ampie finestre, sormontate da lunette finemente arabescate con motivi floreali, cari ai turchi; sui davanzali facevan mostra di sé vasi di terracotta, pieni di fiori.
II vecchio Abdullah, un po' per curiosità ed un po' per esaudire il desiderio del figlio Ismael, attendeva gli schiavi nettunesi sotto la prima arcata del portico, seduto sur una panca di pietra e fumando tranquillamente la vecchia pipa. Con la scusa di attendere il marito, anche Ayla, la moglie del capitano, si era messa alla finestra dello studio del marito, al primo piano, per veder comparire i nostri.
Ad una cinquantina di metri da casa, Ali Turi credette opportuno di ricordare ai tre schiavi che per far buona impressione avrebbero dovuto salutare con deferenza il vecchio, ma in modo dignitoso, schivo di cortigianeria.
Arrivati che furono davanti al vecchio, Teresa ed i ragazzi si inchinarono sorridenti ripetendo il saluto augurale:
- Salàm aleikum!
- Aleikum salami - rispose il vecchio inchinandosi e toccandosi il petto - Siate benvenuti nella mia casa. Entrate..
I nostri schiavi ed Ali Turi seguirono il vecchio in un salone lussuoso, adorno di pochi ma pregevoli mobili; il pavimento era ricoperto di ricchi tappeti di velluto e di seta e le pareti erano adornate da arazzi meravigliosi.
Abdullah si sedette su una comoda, ricca poltrona, ricoperta di raso, ed invitò i convenuti a sedere sui cuscini sparsi sui tappeti, alla maniera orientale. Ali Turi, invece, gli si pose a fianco, in piedi.
Dopo averli osservati attentamente per qualche istante, il vecchio esclamò soddisfatto:
- Bene: sono proprio come me li ha descritti mio figlio... Ringrazierò Allah, se nei loro confronti non dovrò modificare il giudizio che me ne sono fatto!
Ali Turi, intanto, traduceva con qualche esagerazione il monologo del vecchio che così proseguì:
- Per amore del misericordioso Allah e per intercessione di Maometto, suo profeta, io e tutti i miei vi considereremo membri della famiglia... Tu, Teresa, lavorerai in cucina con la fedele Belkis; è un po' ciarliera, ma è pulita ed ordinata... Assunta farà compagnia alla mia nipotina Selma, la quale ha bisogno di un'amichetta con cui giocare... Il ragazzo pascolerà le mie pecore e le mie capre quando qualche mio pastore dovrà essere sostituito, se no, starà in casa con mio nipote Azim, col quale frequenterà la moschea per le lezioni di Corano e per apprendervi la nostra lingua in modo da esser preparato ad entrare a suo tempo al servizio del nostro amato sultano... So che siete stanchi ed affamati. Ali Turi vi condurrà da Belkis, perché la conosciate e perché vi dia da mangiare. Andate! incomincio
- Il buon Dio vi benedica, signore... Teresa -.
- Andate e fate mangiare i ragazzi... è carne che cresce... - concluse il vecchio.
Ali Turi fece un marziale saluto al padrone di casa ed uscì con gli schiavi per condurli alla casa della servitù prima che da Belkis. La casa della servitù era situata all'interno del recinto, ad una decina di metri dalla casa principale. Pur essendo meno spaziosa, si presentava in ottime condizioni per essere stata costruita molti anni più tardi. Al pianterreno c'erano la cucina, i ripostigli ed i magazzini; al primo piano numerose camerette, ammobiliate con gusto. In ogni cameretta c'erano uno o due lettini di ferro. Sotto ogni materasso, di lana, c'era un pagliericcio di foglie di mais, molto spesso, che serviva ad attutire la rigidezza del tavolato sul quale era disteso. Numerosi armadi a muro, coperti da tendaggi, nascondevano gli effetti personali e le cianfrusaglie di chi ci abitava.
In detta casa abitavano soltanto donne e ragazzi, perché gli uomini addetti ai lavori agricoli alloggiavano con le loro famiglie nella terza casa, a duecento e più metri dalle prime due.
I primi due edifici erano circondati da un giardino variopinto, chiuso da un'alta staccionata che serviva da confine all'orto ben coltivato che si estendeva dalle due case anteriori fino alla terza casa.
Molti anni prima, l'abitazione assegnata a Teresa ed ai ragazzi era l'harem della famiglia Kania; con l'andar del tempo gli uomini di casa Kania erano diventati monogami; si contentavano, cioè, di una sola moglie che abitava nella casa del marito, anche se in un appartamentino a parte.
Ayla, prima ed unica moglie del capitano e nuora del vecchio Abdullah, prima di presentarsi ai nuovi arrivati, volle truccarsi e farsi bella per far migliore impressione su quelli che avrebbero dovuta servirla.
I nostri, frattanto, avevano fatto già la conoscenza della vecchia Belkis che da quando erano arrivate le nuove bocche - così chiamava le persone per le quali avrebbe dovuto far da mangiare - non aveva smesso di incoraggiare Teresa, di dar buffetti sulle guance di Leonardo e di coprire di baci la piccola Assunta che palleggiava come si trattasse d'una bambola di stoffa.
L'accattivante e rumorosa cordialità della vecchia domestica - non più schiava da quando, venti-anni prima, era stata affrancata dal vecchio Abdullah - mise a suo agio Teresa ed impressionò favorevolmente Leonardo ed Assuntina che le sorridevano in cambio delle sue dimostrazioni di affetto e di simpatia.
La moglie del capitano, la signora Ayla, entrò sorridendo tenendo per mano la sua piccola Selma, coetanea di Assunta.
Si inchinò, toccandosi la fronte, ed esclamò:
- Ben venuti in casa nostra. Salàm aleikùm.
- Aleikujn salàm - risposero, contracambiando, gli italiani .
- Bella madre e bellissimi figli - disse Ayla ad Ali Turi che non lasciava un momento la compagnia per fare da interprete.
- Gli italiani son tutti così! - rispose con un punta di orgoglio il simpatico napoletano.
- Me l'ha detto mio marito. Mi ha detto anche... A questo punto la signora Ayla fu investita da un profluvio di parole, di frasi brevi e perentorie che dovevano essere un supplemento alle lodi espresse agli italiani dalla padrona di casa. Belkis era un terremoto: parlando ad Ayla si interrompeva per accarezzare Assuntina; smetteva con le carezze a questa-per invitare Selma a dare un bacetto alla " sorellina ".
Ali Turi, pur così sveglio, non riusciva a tradurre tutto, perché lo scambio, le interruzioni, le riprese del discorso erano "tali e tante che sembrava di stare al mercato, invece che in una casa.
Quando Dio volle, Belkis si decise a trascinare in cucina Teresa con gli altri per offrir loro da mangiare. Per alcuni minuti i nostri nettunesi avevano dimenticato di essere degli schiavi!
La piccola Selma, intanto, si era accostata ad Assuntina che sorbiva un piattino di brodo e le sorrideva... Erano diventate già amiche!
Alla fine del pranzo, Ayla condusse suo figlio Azim dagli schiavi italiani per fargli conoscere soprattutto Leonardo. Anche Azim era un bel ragazzo: aveva i capelli corvini e gli occhi vivaci e neri. Il sorriso dì simpatia che rivolse a Leonardo accrebbe l'aria di cordialità che si era già creata nell'ambiente.
Chi più godeva dei rapporti che si stavano stabilendo fra liberi e schiavi era la povera Teresa che aveva preso ad amare le due creature di amore veramente materno.
Dopo il pranzo, i nostri presero possesso delle due stanzette loro assegnate; in quella più grandicella avrebbero dormito Teresa ed Assunta; nell'altra, in fondo al corridoio, Leonardo.
Quando entrarono nelle rispettive camere, tutti e tre trovarono sui lettini alcuni capi di biancheria e di vestiario provenienti dai guardaroba della padrona di casa e dei suoi figli Azim e Selma.
I tre furono lasciati soli, perché Teresa preparasse i letti e sistemasse le poche cose negli spaziosi armadi a muro.
Quando fu tutto al proprio posto, Teresa si inginocchiò e pregò: " Signore, ti ringrazio per averci protetti e per averci dimostrato finora la tua misericordia... Allontana da me e da queste creature innocenti il peccato e le malattie. Fa che ci manteniamo fedeli ai tuoi comandamenti ed al tuo Vangelo. Aiutaci ad essere sempre fedeli al tuo sacro Cuore... A te, Madre delle Grazie, consacro me e queste due creature... " - Mentre pronunziava queste parole, gli occhi suoi e quelli di Leonardo erano lustri e Assuntina si stringeva al fratello guardando ora Teresa, ora il fratello in viso.
Dopo una breve pausa, Teresa così proseguì: " Ecco, Vergine Santa, io te li consacro! " - Così dicendo si alza ed abbraccia i due - " Da oggi essi ed io siamo cose tue, creature tue...
Come faresti ad abbandonarci?... Madonna mia, fa che io e queste creature perdiamo la vita, piuttosto che la fede, unica nostra ricchezza fra tante cattiverie... ".
- Mamma Teresa, - esclamò commosso Leonardo - ti prometto che pregherò sempre la Madonna e che non mi addormenterò senza aver recitato prima un'.Ave Maria.
-- Anch'io dirò l'Ave Maria - fece di rincalzo Assuntina.
- Pregherò anche per mamma, per papa e... per Sebastiano.
Nell'udire il nome del figlio rimasto a Nettuno, la povera Teresa non potè fare a meno di stringersi al petto la testa di
Leonardo e di coprirla di baci e di lagrime.
Ma si riprese subito. Si asciugò gli occhi e condusse fuori i due per visitare con loro il giardino, l'orto e gli oggetti sparsi un po' dovunque.
Accostarsi al parapetto prospiciente il mare, i tre restarono fermi alcuni minuti ad osservare la distesa d'acqua le cui onde si infrangevano senza fragore sul litorale sotto di loro con un
C? t-'
ritmo regolare.
- Chissà quante di quelle gocce - pensò a voce alta Leonardo - avranno lambito la spiaggia di Nettuno!
, II povero ragazzo non potè terminare: un groppo gli aveva reciso la parola in gola.
L'anziana Belkis li distolse dalle loro amare considerazioni con un linguaggio misto di parole incomprensibili, di gesti significativi e di spintarelle invitanti a seguirla. Fece far loro il giro dell'orto per mostrare gli spiazzi di insalata, di cipolline, di piselli, di pomodori, di radiche gialle; ed ancora di cocomeri,. di meloni, di zucche, di fagiolini e di tante altre piante che i nostri già conoscevano o che non avevano mai veduto.
Ad un angolo dell'orto, c'erano il pollaio, popolato da galline di varie razze, e la conigliera ricca di conigli grandi e piccoli, neri, bianchi, grigi, rossicci... Non esistevano maiali né lì né in nessun altro posto della Turchia, perché il fedele maomettano, per espresso comandamento del Corano, non deve mangiar carne di maiale. Non c'erano neppure le viti, perché al maomettano è proibito bere vino e liquori derivati dal vino.
Già a quei tempi, comunque, per il contatto con gli usi e con le abitudini degli europei, si era molto attenuata la rigidità coranica; già da alcuni secoli il gran visir, Saìd Halìm Pascià, aveva introdotta l'idea che una prudente applicazione dei principi dell'Islam consente di far aderire la legge musulmana ai bisogni dell'età moderna.
Ai tempi del nostro racconto, la maggioranza dei musulmani colti che ricevevano un'educazione del tipo occidentale, e che, per motivi di guerra o di commercio, venivano a contatto della civiltà europea, si erano adattati ad una posizione di solo rispetto per la loro religione la quale, tuttavia, si era dimostrata un formidabile ed efficace mezzo di affermazione nazionalistica.
Mancar però, alle religione islamica quel misticismo che è alla base della religione cristiana: tanto è vero che la adesione al culto esterno, alla preghiera pubblica ed alle altre manifestazioni volute dal Corano, hanno più il sapore di rassegnato ossequio alla tradizione che di cosciente e spontanea compartecipazione spirituale: Allah è troppo lontano dalla Terra e sembra che voglia interessarsi poco degli uomini!
Fra Allah ed il buon maomettano non ci sono intermediari; l'" Iman ", che presiede la preghiera nella moschea, è semplicemente il cerimoniere che dirige le manifestazioni del culto: non è il sacerdote che, in tutte le religioni, è l'intermediario fra Dio ed il fedele.
Il discorso della montagna fatto da Gesù risulterebbe incomprensibile al musulmano, per il quale la religione è soltanto una professione.
La maggior parte dei sudditi dell'impero ottomano, scontenti del loro stato, pare che avessero deciso di approfittare dell'unica occasione di soddisfazione loro concessa a prezzo relativamente accessibile: il commercio della donna, a quei tempi considerata ancora la creatura più svergognata che viva sotto le stelle. |