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I CORSARI DI
TORRE ASTURA

di Antonio Pagliuca

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20 - Una provvidenziale spedizione


Benché giovanissimo, Leonardo era stato nominato, a ventitré anni, Capitano di Corvetta e gli era stato affidato un veloce brigantino, armato di parecchi cannoni; con esso ispezionava il tratto di mare da Finike ad Antalya.

Era un comandante accorto, intelligente, deciso, anche se taciturno. Non faceva pesare la sua presenza ai marinai, ma amava ispezionare la sua nave molte volte al giorno ed anche di notte. Non ammetteva disobbedienze, ma non negava permessi a chi ne avesse avuto bisogno: era amato e temuto allo stesso tempo ed era considerato un " signore " per i tratti che lo distinguevano e per la preparazione di cui dava prova. Non si potrebbe, tuttavia, negare che una piccola parte della stima che godeva derivasse anche dal fatto di essere un familiare del contrammiraglio.

Essendo il suo brigantino di stanza ad Antàlya, Leonardo avrebbe potuto dormire sempre a casa, in un appartamento che condivideva con Azim, ma, quando gli toccava, dormiva sulla nave, come facevano i suoi ufficiali subalterni.

Un giorno il brigantino comandato da Leonardo, anziché sostare all'ancora nei pressi di Finike, attraccò all'unico molo del porticciolo di questa città. Il fatto apparve subito strano agli abitanti della cittadina che a frotte corsero al porto per osservare da vicino la bella nave, dai cui fianchi sporgevano una ventina di temibili bocche da fuoco.

Ne discese l'ufficiale in seconda, accompagnato da una pattuglia di quattro marinai, che recava un ordine urgente al comandante della guarnigione di giannizzeri di stanza a Finike.

L'ordine era quello di far imbarcare un plotone di giannizzeri e rifornirli del vettovagliamento necessario per una missione di tre giorni; il comandante del brigantino avrebbe dato successivamente le ulteriori disposizioni; comunque il plotone di giannizzeri sarebbe stato rafforzato dai marinai del brigantino.

Imbarcati soldati e vettovaglie, il veliero riprese la rotta dirigendosi ad est, verso Antàlya, città che non toccò per correre a vele spiegate verso Alanya.

Comandava il plotone dei giannizzeri in missione il tenente Ricci Sebastiano, al cui fianco non poteva mancare il fido Soydan Nedim che rivestiva il grado di sergente maggiore.

Con l'affidare il comando dei giannizzeri al tenente Ricci, corbagi Mahmut Belgin era certo della buona riuscita della missione; ne era garanzia anche la partecipazione al suo fianco del temuto e temibile Nedim, spauracchio del reggimento.

Affidandogli l'incarico, il comandante gli aveva detto semplicemente:

- Va' e fa', come sempre, il tuo dovere!

- Non avrà di che lamentarsi! - rispose il giannizzero italiano.

Il plotone si avviò marciando verso il vicino porto di Finike, preceduto dai quattro marinai del brigantino; chiudevano il reparto i due ufficiali, quello della marina e quello dei giannizzeri.

Dalla cabina di comando, Leonardo osservò l'arrivo e l'imbarco dei giannizzeri che furono sistemati negli alloggiamenti interni della nave. I marinai, che non desideravano fraternizzare con i giannizzeri, avvicinarono le loro brandine per jj lasciare più spazio ai venti giannizzeri che, come di consueto, cominciarono a ridere, scherzare grossolamente ed alzare troppo la voce.

Ricevuto l'ordine di far parlare sotto voce i giannizzeri Nedim col megafono trasmise l'ordine ai suoi. Al suono di quella voce, le diciannove teste calde dei giannizzeri si abbassarono e le loro sghignazzate si affievolirono fino al punto di diventare cicaleccio.

Data la stagione, sulla tolda faceva molto freddo: i monti erano ricoperti di neve ed una gelida tramontana tagliava il viso e rendeva paonazzo il naso di chi si esponeva all'aria aperta.

In attesa della cena, i marinai a riposo ed i giannizzeri si sdraiarono e, solleticati dal calduccio, si addormentarono. L'aiutante in seconda scese negli alloggiamenti della nave, salutò Sebastiano che se ne stava solo soletto nel quadrato degli ufficiali, invitandolo a salire dal comandante, se lo avesse desiderato: comunque, gli riferì che Io stesso lo voleva a rapporto la mattina seguente per impartirgli ulteriori ordini.

Sebastiano fece ringraziare il comandante per l'invito e dichiarò che sarebbe salito da lui, nella cabina comando, per le ulteriori comunicazioni.

Era notte da quattro ore ed il brigantino filava ormai sulle gelide acque del Mediterraneo orientale da otto ore, quando apparvero a sinistra di Antàlya i tre fari alimentati ad olio e di cui andava fiera la popolazione. La nave, però, proseguì la sua corsa verso est nord-est in un silenzio rotto appena dal sartiame che cigolava sfregandosi negli anelli, a ridosso delle alberature.

Tre quarti di luna splendevano luminosi nel firmamento, in un ciclo azzurro cupo, ma Sebastiano non riusciva a prendere sonno: ripensava all'ultimo viaggio sul mare. Era allora un giovanetto forte, robusto ma estremamente infelice; si era fatto fare prigioniero per aver modo di ritrovare la mamma ed aveva lasciato il padre sulla spiaggia di Nettano a singhiozzare disperatamente. Come ufficiale dei giannizzeri era libero ed aveva molti amici, ma, per quanto si fosse adoperato per sapere dove vivesse sua madre, non era riuscito a saperlo. Due o tre tentativi di ricerca in grande stile erano falliti ed avevano contribuito a rendere più acerbo lo scoramento dal quale era spesso oppresso.

Ora, per la seconda volta, viaggiava per mare, ma, forse, stava allontanandosi ancora di più dal luogo dove sua madre era tenuta schiava. Un groppo alla gola lo scosse dal dormiveglia che il calduccio gli andava procurando: sentì il bisogno impellente di salire a prua per rinfrescarsi le guance che gli scottavano.

La notte era già alta e silenziosa, quando si fermò sulla tolda, presso il parapetto. Immobile, si mise a contemplare il ciclo trapuntato di astri. Quel silenzio, quella distesa di acque inargentate dai raggi di luna, quel cielo turchino lo commossero ancor più. Fra pochi giorni - pensava - il mondo cattolico avrebbe celebrato il Natale!..,

- Signore, mio Dio! - sospirò.

 



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