Il califfo, lo sciabecco sul quale furono imbarcati i tre infelici nettunesi, era una nave da guerra, armata di sei bocche da fuoco, robusta e veloce; era dotata degli alberi di trinchetto, di maestra e di mezzana e munita di vele latine quadre; dalla prua sporgeva, quasi orizzontalmente, l'albero di bompresso. Col vento in poppa ed a vele spiegate avrebbe potuto raggiungere una velocità che a quei tempi poteva essere considerata eccezionale.
Il comando della nave era stato affidato ad Ismael Kania, un quarantenne di statura media, tarchiato, dal colorito scuro. il collo taurino ne rivelava la forza fisica, mentre la fronte alta e gli occhi mobili e vivaci erano i segni distintivi di una intelligenza spiccata. Le fossettine che gli si formavano sulle guance quando rideva, ne rivelavano allo stesso tempo la giocondità e la predisposizione alla bontà.
" Nostromo " del Califfo era un ex giannizzero, napoletano di nascita, dal colorito scuro e dagli occhi intelligenti; poteva avere un'età compresa fra i trentacinque ed i quaranta anni. Essendo stato rapito dai turchi nei pressi di Sorrento quando aveva quattordici anni, ricordava mediocremente l'italiano, ma parlava correntemente il turco. Salvatore Faccendini, così per l'anagrafe, aveva frequentato la moschea con i turchi e con i giovani rapiti, non solo per apprendere la lingua, ma anche e, soprattutto, per imparare il Corano e gli insegnamenti che ne derivano. Raggiunti i diciotto anni, era entrato in servizio effettivo in una compagnia di giannizzeri per essere istruito nel maneggio delle armi e nell'arrembaggio. Si era distinto sul campo di battaglia combattendo per il sultano contro i russi.
Quando la Sublime Porta (2) decise di sostituire i poco sicuri marinai greci con sudditi di altre nazionalità e con soldati appartenenti alle varie armi, il nostro Salvatore Faccendini chiese ed ottenne di essere trasferito alla marina.
Non poteva più vivere con i giannizzeri, fanatici bigotti in moschea e diabolici furfanti in ogni altro luogo! Quanto ad astuzia non si sentiva affatto da meno di loro, ma il sottofondo cristiano e l'indole fondamentalmente buona non gli permettevano di sopportare ancora gli eccessi di quei ribaldi contro le donne, considerate dai mussulmani esseri spregevoli e dai giannizzeri animali inferiori, nate solo per appagare i loro istinti.
Per la difficoltà di pronunciarne correttamente cognome e nome, Salvatore Faccendini era conosciuto da tutti come Ali Turi e veniva registrato con tale pseudonimo anche negli atti ufficiali e nei registri di bordo.
- AH Turi! - gridò il Comandante.
- Eccomi, capitano. - rispose l'interpellato, facendosi largo fra la folla di marinai che, come lui, si erano messi ad osservare il trasbordo dei tre poveri nettunesi dalla lancia allo sciabecco.
- Ti affido i tre prigionieri. Da loro un po' di cibo e sistemali alla meglio in un cabina della stiva. Ad eccezione di te, nessuno dovrà accostarsi ai prigionieri.
- Agli ordini, comandante! - concluse Ali Turi salutando Ismael Kania che accarezzava sorridendo i riccioli d'oro di Assuntina la quale si sforzò di rispondere con un vago, incerto sorriso alla carezza del comandante.
- Signò, - fece Ali Turi rivolgendosi a Teresa - niente paura! Il comandante è buono, ve ne site accorta " e i turchi non so' " cchiù i fetenti " d'una volta. Essi pure credono in Dio. Venite con me, che vi darò qualcosa da mangiare " a vuie e a chisti quagliuncelli " Che belli! " Comme se chiammano? ".
- Il più grandicello, il maschietto, si chiama Leonardo e questa qui - e si stringeva la piccina mentre parlava -, Assuntina.
- Quanti anni lena piccerella?
- Quattro anni finiti.
- Povera 'uagliuncella... San Gennaro mio!
- Ma voi... voi credete a San Gennaro?! " Dio mio, fosse vero!...
- Signo', non vi sbagliate! Ho detto " San Gennaro " così, senza motivo. Io sono un fedele suddito di Allah e di Maometto, suo profeta! Non mi mettete nei guai! Andiamo.
Così dicendo, il buon napoletano li condusse o, meglio, li spinse verso il cassero dì poppa e poi, attraverso un boccaporto, giù nella stiva dove, oltre ai locali necessari per quel tipo di nave, c'erano anche alcune cabine vuote.
I tre prigionieri furono condotti in un cabina e fatti sedere intorno ad un solido tavolo rettangolare. Suo malgrado, il nostromo dovette legare con una robusta catena i piedi di Teresa e di Leonardo. Avrebbe dovuto legare anche Assuntina, ma questa lo guardava con occhi così spaventati, che quello non ne fu capace.
Ali Turi, dopo aver raccomandato calma e rassegnazione, uscì chiudendo a chiave la porta.
Restati soli, i tre diedero libero sfogo al loro dolore, all'accoramento che li torturava. Teresa, stringendosi al petto le due testoline scosse dai singhiozzi, balbettò:
- Da questo momento io sono la mamma vostra e voi siete i miei figli. Da questo momento anch'io avrò il vostro cognome, Petrucci. Leonardo, mi capisci? Io non sono più Ricci Teresa, ma Petrucci Teresa, mamma vostra.
Mentre i due ragazzi la guardavano senza sapere cosa rispondere, Teresa proseguì:
- A Nettuno io ho un altro figlio, il mio vero figlio che tu conosci bene, Leonardo; sì, a Nettuno ho lasciato Sebastiano - e qui l'angoscia della povera madre si convertì in singhiozzi - che è vostro fratello e che è restato col padre a Nettuno.
Le due creature, gli occhi lucidi di pianto, fissavano ora con amore e con commozione la nuova madre, alla quale si ritenevano già strettamente legati.
Ali Turi li ritrovò, con gli occhi lucidi, stretti a Teresa che aveva in braccio Assuntina.
- Mbe', che storie so' cheste! Nu giovinetto ca chiagne e na mamma ca tene ll'uocchie russe!... Non vedete che fate chiagnere pure 'a piccerella? Fatelo p'Assuntina!... Sedetevi e mangiate! V'ho portate 'e ccose chiù sapurite ch'aggio truvato... Vedete: pane, cacio, olive. 'O cuciniere sta facendo pure 'o cafè. Leona, te piace 'o cafè?... A mamma foie piacerà certamente.
- Grazie, grazie, signore. Dio ve ne renderà merito.
- Che merito! che merito!... Signo', si nun v'aiuto io, chi ve pò ajutà? E poi: non chiamatemi più " signore ", ma soltanto Ali, Ali Turi. Io sono il nostromo di questa nave... Mo me ne vaco, ma tornerò ogni tanto. Chiudo la porta perché, sapete, signo', comme so' i marenare, specialmente quelli turchi... Ma nisciuno vi toccherà con un dito... Il comandante ha fatto un discorsetto convincente a tutti quanti. Guai! E chillo nu' scherza... Mangia, Assunti. Ti piacciono le olive? So bbone? Il capitano è bbono e tene nu core accussì - ed accompagnò la frase con un gesto significativo, - ma quanno s'arrabbia non lo ferma manco il Profeta.
- Chi è il Profeta? - chiese Assuntina a mamma Teresa.
- Assunti - le rispose direttamente AH Turi - quando nomino il Profeta sfatte accorta! Il Profeta è nu ddie... è il dio dei Maomettani!
- Ma no! - esclamò rinfrancato- Leonardo che a scuola aveva imparato tutto sull'Islamismo - il Profeta non è un dio! Il dio dei maomettani è Allah!
- Quest'o ssaccio meglio 'e te! - intervenne un po' risentito Ali Turi, ma ho detto Maometto per dire 'na cosa granda... Vedi, signo, - aggiunse rivolgendosi a Teresa - basta poco per distrarre i guaglioni. Acquetatevi pure voi e fateli parla, pe non farli chiagnere.
- Dio vi benedica, Ali Turi.
- Pure a vvoi, signo'. Ma mo debbo andare. A più tardi.
La presenza del buon uomo aveva fatto dimenticare un momento ai poveretti il triste stato in cui si trovavano ed aveva dato loro una vaga, indefinibile speranza alla quale la brava Teresa si aggrappò scongiurando in ginocchio la Madonna: " Madonna addolorata, ora stiamo pari: a Te tolsero il Figlio e l'uccisero; a me, oltre al marito, hanno tolto l'unico figlio, l'anima della mia anima. E' ancora vivo, ma che sarà di lui?... Io piango qui su questa nave, per averlo perduto; egli a Nettuno piange col padre per avermi perduto; siamo membri di un unico corpo, ma le scimitarre di questi infedeli ci tengono divisi!... Non so quel che attende me e queste due creature innocenti... Salvali., salvaci, Vergine Santa delle Grazie! Li affido a Te, così come Ti affido il mio Sebastiano... Salvaci, Madonna mia! "
Durante l'accorata supplica di Teresa, le due creature erano restate in piedi sconvolte, mentre grossi lacrimoni imperlavano le loro gote. Assuntina, frattanto, l'aveva abbracciata coprendola di baci. Teresa se la strinse ancora un volta al petto. Si rialzò seguitando a tempestare di baci il visetto e la testolina della piccina.
Col permesso del capitano dello sciabecco, i tre prigionieri nettunesi venivano condotti, per un'ora al giorno, sul ponte per respirare l'aria pura e per sgranchirsi; tale permesso, eccezionale per quei tempi, fu strappato al comandante non tanto da un istintivo atto di bontà, quanto perché in Leonardo e nella piccola Assunta gli pareva di vedere i suoi due figli adorati, Azim di un anno più giovane di Leonardo e Selma coetanea di Assunta.
Durante le ore di libertà, nessuno poteva avvicinare i prigionieri, ad eccezione di Ali Turi il quale doveva sorvegliarli anche durante quell'ora di libertà. Il permesso non era valido durante le soste de Il Califfo.
Il quarto giorno dopo il rapimento, il comandante Ismael Kania andò a vedere i tre prigionieri mentre stavano con Ali Turi sul ponte a respirare l'aria pura. Accennò un inchino a Teresa, accarezzò un attimo i riccioli di Assunta ed ordinò ad Ali Turi di fargli da interprete. Vaghe notizie sui prigionieri il comandante le aveva avute dal nostromo che gli aveva già riferito quel che era riuscito a sapere dai colloqui con essi.
Dopo aver raccomandato alla donna pazienza e rassegnazione, l'esortò a non farsi vedei piangere dai figli: tanto lui che Ali Turi erano convinti che Leonardo ed Assunta fossero realmente figli della donna. Con sincerità il comandante imprecò contro la guerra e contro le nefandezze - disse proprio così - da essa provocate. Confessò che scopo delle razzie e dei rapimenti era quello di procurare soldati al Sultano e danaro all'erario.
Rassicurò la donna dicendole che ormai in Turchia gli schiavi erano ben trattati ed erano considerati quasi come membri delle famiglie che li avevano acquistati; aggiunse che Leonardo era destinato a servire il Sultano nell'esercito o nella marina, ma che prima avrebbe dovuto frequentare la moschea per apprendervi la lingua turca e per studiare il Corano. Chiese anche se il cibo fosse sufficiente e di loro gradimento e se i ragazzi avessero qualche preferenza.
Teresa rispondeva con calma ed ascoltava un po' preoccupata ed un po' divertita la traduzione che andava facendo Ali. Turi il quale immetteva nella traduzione colorite espressioni personali ed esclamazioni di lode nei confronti del comandante e di conforto nei confronti di lei e dei ragazzi.
Ad un tratto il capitano - che era, come suoi dirsi, una buona forchetta - confessò di aver mangiato più di qualche volta tipici piatti italiani preparati da schiave italiane e di esserne stato entusiasta. Fece chiedere a Teresa, se anche lei sapesse far da mangiare.
- Rispondigli (3) - disse Teresa ad Ali Turi - che non solo so preparare i cibi italiani tradizionali, ma che mi è facile rifare tutte le specialità culinarie che ho preparato per il .Principe di Nettuno!
Ali Turi tradusse quel che la donna andava dicendo con tale enfasi e chissà con quali esagerazioni che il comandante chiese sorpreso e meravigliato:
- E' vero?
- Come, non è vero, signor comandante?... Non vede che la vostra prigioniera ha anche i modi delle persone dabbene?... Dove ha potuto imparare le belle maniere, se non in case principesche?
- Bene, molto bene! - concluse il capitano nel congedarsi dai quattro con un ampio sorriso - di questo parleremo ancora.
Il comandante era appena scomparso che Ali Turi sbottò:
- Signo', avete vinto un terno a lotto!... Signo', 'San Gennaro protegge voi e questi guaglioni.'... Signo', avete fatto la vostra fortuna!
- La nostra fortuna?! Signor Turi, non mi tenga sulle spine, si spieghi meglio.
- Dico che avete vinto un terno al lotto! Non fatemi dire altro; so io! Lo conosco bene il comandante, io!... Viva Maometto e... viva pure San Gennaro! Non posso dirvi di più. Solo, vi ripeto: " Signora Tere', avete vinto un terno al lotto! ".
Così dicendo; prese con impeto la mano di Assuntina e ricondusse tutti sotto coperta, al loro alloggiamento.
Il caro napoletano gongolava per la gioia, come se il terno al lotto lo avesse vinto lui!
NOTE
(2) Nome con cui i Turchi indicano il governo dell'Impero Ottomano.
(3) Si noterà anche in seguito che i personaggi del nostro romanzo, specialmente i più umili, passeranno dal " voi ", al " lei " ed al " tu " a seconda dello stato d'animo del momento, non badando affatto alle preoccupazioni del genere. |