PERSONAGGI
Cosmo Antonio Corvara Amidei - professore di lettere
Satanina Dolfì - la moglie
Lodoletta - la servetta toscana
Dolfìno - il figlio
Zia Menicuccia - la balia
Ferdinando - oste
Don Ciccio - falegname, primo avventore
Ercole - molinaro, secondo avventore
Amilcare Canestrelli - proprietario del quartierino
Iole - la nanerottola di Villa Borghese
Francesco Brovelli - il boaro
Due ferrovieri -
Primo soldato - solo voce
Secondo soldato - solo voce
Terzo soldato - solo voce
Due carabinieri
Delegato
SCENA I
La scena si svolge a Nettuno il 5 marzo del 1904, nella piazza centrale del paese, piazza Umberto I. La "Trattoria della Campana" sullo sfondo. Due avventori a un tavolino bevono vino e aspettano di essere serviti.
Entrano in scena, uno discosto dall'altro: il professor Cosmo Antonio Corvara Amidei, la moglie Satanina, il figlio Dolfino, la servetta Lodoletta e la balia, zia Menicuccia. Tutti hanno una valigia, una borsa o un sacco da viaggio.
C'è una sedia al centro del palco.
PROFESSOR COSMO ANTONIO CORVARA AMIDEI
(43 anni, è nato a Sorrento. E' calvo, mezzo cieco, naso schiacciato, fisico delicato, tono dimesso. Porta occhiali spessi. Ha in mano un cappello a falde, non nuovissimo. Ha un modo rassegnato di concludere i suoi discorsi: "E va bene". Buio. Una luce illumina solo lui. Gli altri personaggi restano in penombra. Poggia la valigia per terra).
Sono Cosmo Antonio Corvara Amidei., di Sorrento, classe 1861.
Professore di lettere.
Ma ora faccio il correttore di documenti al Ministero della Pubblica Istruzione, a Roma.
Dovevo fare il prete, dopo dieci anni di seminario e dopo ch'ebbi preso
i primi ordini religiosi, ma poi persi la vocazione e lasciai perdere.
Mi sono laureato in lettere e filosofia a Napoli.
Nell'ottobre del 1887 ho vinto il concorso per un posto di reggente nel ginnasio inferiore di Sassari.
(apre la valigia e ne tira fuori un libro. Lo sfoglia lentamente, lo chiude, guarda lontano)
E' là che un anno dopo incontrai Dolfo Dolfi,
professore di scienze naturali, che mi invitò a stare in casa con lui,
per farcì compagnia e dividere le spese.
Dolfo Dolfi era entrato tardi nell'insegnamento, senza titoli,
senza concorso, per protezione d'un deputato autorevolissimo,
dopo aver fatto l'esploratore in Africa e per tant'anni a Genova
il giornalista: s'era battuto una decina di volte, e ne aveva prese e date,
più date che prese.
Era libero pensatore, e aveva con sé una figliuola naturale,
a cui aveva imposto questo magnifico nome: Satanina.
Buona ragazza, Satanina. Ricordo che avrei voluto chiamarla più brevemente e graziosamente Nina, Ninetta; ma il professor Dolfo Dolfi non volle.
(imitando una voce impostata, imperativa)
Che Nina, che Ninetta! Satana, si chiama Satana:
Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vìndice
Della ragione.
(la luce si spegne sul professore e si accende su Satanina)
SATANINA
(31 anni, prosperosa, svaghita, sfacciata, vestita in modo appariscente. Ha una borsetta rossa, l'apre, cerca, ne estrae un pennellino, si incipria le guance)
Avevo 15 anni quando il mio povero papa mi portò a Sassari.
Gli facevo da mammina, non solo a lui,
che da quando non c'era più la mamma, aveva bisogno d'essere guidato come un bambino,
ma anche a quel professore curvo e pelato che si prese in casa con noi:
(scandisce) il professor Cosmo Antonio Corvara Ainidei.
Si andò avanti cosi tre anni.
(si incipria ancora)
Forse d'allora ho desiderato di andarmene alla ventura,
a conoscere il mondo.
Un bel giorno, e d'improvviso, il 16 marzo 1891, la fine.
Un colpo apoplettico fulminante, mentre faceva lezione....
Povero papà...e povera me!
(s'immalinconisce al ricordo del padre).
La luce si spegne su Satanina e si accende sul professore
PROFESSORE
(stringe a sé la valigia)
Non mi provai nemmeno a consolarla,
stimando che ogni mia parola sarebbe stata inutile.
Ma poi il direttore del ginnasio, i colleghi mi domandavano come intendevo di regolarmi
con quella povera orfana rimasta così, in mezzo a una strada,
senza diritto a pensione, senza alcun parente, né prossimo né lontano.
(quasi a giustificarsi)
Che dovevo fare ?
Risposi subito che l'avrei tenuta con me, c'era bisogno di dirlo?
Avrei fatto io da padre, che diamine!
(accorato)
Ne parlai a Satanina, e - con mio sommo stupore
sentii rispondermi anche da lei che non era possibile;
ch'ella non poteva più, ormai, rimanere con me;
che le conveniva andar vìa, al più presto, anzi subito.
- Dove? - Alla ventura! - E perché?
Avevo poco più di trent'anni e Satanina già diciotto.
Dunque, non così vecchio ancora io da farle da padre,
né così giovine lei da essere semplicemente mia figlia.
Chiaro, eh?
(Si guarda prima la punta delle scarpe, poi quella delle dita; deglutisce.
Ripercorre con la memoria quei momenti).
Intendono forse, il direttore e i miei colleghi ch'io dovrei...
sposar Satanina?
(sorride con amarezza)
Via, me lo dicono per ischerzo !
Devo parlarne per forza con Satanina, per convincerla che commetterebbe una pazzia,
una vera pazzia, a andarsene - com'ella dice - alla ventura.
(si guarda ancora le scarpe, si siede, si alza, è impacciato...)
E allora anche lei, Satanina, mi fa intendere che a un solo patto potrebbe rimanere con me:
a patto, sissignore !, di diventare mia moglie.
Temevo d'impazzire, o che tutti si fossero messi d'accordo per farmi una beffa atroce.
Non riuscivo in alcun modo a capacitarmi come quella giovinetta
potesse sentire sul serio la necessità di diventare mia moglie,
quasi che davvero la convivenza con me
potesse dar pretesto a ciarle in paese.
Io, piegato dai patimenti e dalla miseria, squallido, calvo, quasi cieco.
Lei, Satanina, così giovine, cosi fresca, cosi florida...
(ha come una vertigine)
Mia moglie? Possibile?
Andai a ridomandarglielo, balbettando...
SATANINA
(Irrompe sulla scena, si rivolge al pubblico, ignora la presenza del professore)
Sissignore!
Gli risposi di si, senz'arrossire, e che anzi,
se egli vi fosse disposto,
gliene avrei serbata eterna gratitudine.
PROFESSORE
(Si mette a piangere come un bambino, si rivolge verso Satanina, facendole con la mano cenno di tacere)
Per carità! Grata, tu?
Ma che dici?
E allora io? Una tal gioia, dunque, mi serbava la sorte?
Come crederci?
Come avrei potuto credere che la sorte mi avesse riservato te per moglie ?
(esce dalla scena)
SATANINA
(sempre ignorando la presenza del marito, guardandosi in uno specchietto)
Le nozze si dovettero affrettare, sia per la considerazione che da fidanzati
eravamo costretti a vivere insieme, sotto lo stesso tetto....
... sia per la speranza del direttore del ginnasio,
che, col matrimonio, il professor Corvara Amidei si potesse scuotere dal beato istupidimento
in cui era caduto.
Ma questa speranza fu vana. Dopo le nozze
- celebrate solo civilmente il 14 marzo 1892, non potendo il professor Corvara Amidei
sposare anche davanti a Dio, per i suoi precedenti impegni con la Chiesa -
l'istupidimento crebbe con la beatitudine.
(vezzeggiandosi)
Non vedeva che Satanina; non pensava che a Satanina,
non sognava che di Satanina;
non avrebbe neanche più pensato a cibarsi, se Satanina stessa non ve lo avesse costretto;
tanto gli bastava la gioia di vedermi....
Fu allora che mi vidi costretta a scrivere a quel deputato tanto amico
e protettore della buon'anima di mio padre, scongiurandolo di far valere la sua cresciuta autorità
perché il professor Corvara Amidei fosse tolto subito dall'insegnamento
e chiamato invece a prestar servizio più tranquillo
o in qualche biblioteca o al Ministero della Pubblica Istruzione, a Roma.
Così, due mesi dopo, Cosmo Antonio Corvara Amidei,
con molto dispiacere de' suoi scolaretti che, in fin dei conti, gli volevano un gran bene,
ma con piacere grandissimo del direttore del ginnasio e dei colleghi,
partì per Roma, "comandato" al Ministero.
Io ero già incinta.
Che patimenti durante il viaggio di mare fino a Civitavecchia !
Ma fu maggiore la gioia di rimetter piede nel continente,
Il pensiero di Roma, vicina. Ah, che bollore improvviso!
(si spegne la luce su Satanina e si accende sul professore)
PROFESSORE
(armeggia con la valigia chiusa)
Al Ministero, mi relegarono nella stanza degli scrivani, come correttore. Ma non correggevo nulla.
Quei miseri impiegatucci alla giornata avevan fiutato subito con chi avevano da fare.
Fossi stato, putacaso, un vecchio ladro di bella reputazione, allora sì: inchini e scappellate;
ma un povero galantuomo come me,
perché rispettarmi?
Non che mi facessero nulla, eh !
Qualche scherzetto innocente, per passare il tempo,
quando mancavano le pratiche da ricopiare.
Degli errori poi, che essi commettevano ricopiando, la colpa - si sa - era appioppata a me,
al professor Corvara Amidei.
(ricorda e fa parodia dei suoi colleghi e di se stesso)
- Mi raccomando, signori miei; lasciatemi riveder le carte. Attenzione! Lei, ragione, con una "g" sola la scriva, per piacere, mi raccomando!
- Meglio abbondare, professore, meglio abbondare quando si tratta di ragione.
- E va bene!
(sospira, stringendosi nelle spalle, allungando il collo e socchiudendo gli occhi dietro le lenti doppie).
E va bene! E va bene!
E ormai tutti gli scrivani, fra loro, non mi chiamavano altrimenti
che "Il professor Vabene".
Ah, ecco, dunque è vero, sì, avevo preso questo vezzo, senz'accorgermene,
per la lunga abitudine di rassegnarmi ai colpi del destino avverso.
Ma il mio pensiero fisso era per lei e quasi me la vedevo,
là, nelle stanze dell'umile casetta presa a pigione
in Via San Niccolò da Tolentino....
SATANINA
(Sì avvicina dalla penombra ed entra in luce, va accanto al professore, si intenerisce)
II 15 di agosto del 1893, venne felicemente alla luce un maschietto, Dolfino.
Un solo piccolo guaio: di allattare da me quel figliuolo proprio non me la sentivo.
(ammicca, come a far intendere che di fare la donna di casa proprio non le va giù)
E Dolfino lo mandammo a balia, lontano, a Fara in Sabina,
da questa zia Menicuccia.
PROFESSORE
(La guarda quasi con dolcezza, vorrebbe farle una carezza, ma si trattiene)
Pazienza! Feci a meno del sigaro, del caffè e di qualche altra coserella,
per pagar le spese del baliatico.
Ma, come fa il saltimbanco, quando fa lavorare un suo pagliaccetto gracile, pallido, come grida?
(Imita una voce gracchiante)
" Ancora più difficile, signori!
Stiano a vedere: si passa a un esercizio ancora più difficile! "
Ma il più difficile, ancora non era venuto.
M'aspettava il giorno 20 maggio dell'anno 1894.
Con un cartoccio di schiumette sotto il braccio
(quanto piacevano le schiumette a Satanina!)
rincasavo come, al solito, alle ore diciotto e mezzo precise.
Ma quella sera Satanina in casa non c'era.
(Ricorda, con apprensione)
E dov'è?
Ella non suole mai andar fuori a quest'ora.
Qualcosa, certamente, dev'esserle accaduta;
perché, né la tavola nel salottino da pranzo è apparecchiata,
né in cucina c'è alcunché preparato per il desinare:
i fornelli, spenti; e tutto in ordine, come a mezzogiorno.
Ma che mai può essere accaduto a Satanina?
Forse qualche improvvisa chiamata della balia di Dolfino ?
E sarebbe partita così, senza neppure avvertirmi al Ministero ?
(cresce la concitazione)
Ridiscendo la scala quant'è lunga, per domandare al portinaio qualche notizia;
ne domando anche ai bottegai lì presso, alla servetta dell'inquilino che sta accanto:
nessuno sa nulla.
Vado al Telegrafo e mando alla zia Menicuccia un telegramma d'urgenza,
con risposta pagata; seguito a gironzolare, di qua e di là, dove mi portano i piedi,
con la testa che mi gira come un molino; e non m'accorgo neppure che s'è fatto buio.
Il giorno dopo, all'alba arriva finalmente la risposta della balia.
Negativa, L'ultimo filo di speranza, così, è spezzato.
Poche ore dopo, viene Lodoletta per far la spesa giornaliera e rimettere in ordine la casa.
(Le luci si spengono, Satanina esce di scena, rimane il professore, si siede con la valigia sulle gambe)
LODOLETTA
(Toscanina, tozza, ma svelta; muso duro e linguacciuta; entra in scena quasi correndo. Parla come se si rivolgesse al professore).
Che provi un pò, sor padrone, che provi un pò a cercarla giù,
dove stanno que' certi... 'un so... son forastieri, che fan le pitture.
So d'uno che le faceva... 'un so, il ritratto.
La sora padrona ci andava 'gni mattina, ci andava.
E poi, il dopopranzo...
(Il professore rimane a bocca aperta, ripone a terra la valigia, poi comincia a passarsi le mani nocchierute su le gambe, pian piano, zitto)
Vole, sor padrone, che vada giù io a sentire? In due salti... 'onosco lui, il pittore francese.
(Lodoletta corre giù per le scale, si sentono i passi veloci, il professore rimane.
Presto Lodoletta ricompare)
Eh, mi pareva assai! - Ito via, anche lui. Da ieri. Sicché, via, 'oincide. Imbecille, vah!
Poteva starsene qua, col su' sposo che la trattava 'osi perbenino,
tranquillo là, poer'ormo, come una tartaruga.
Su via, sor padrone, si faccia animo, su! 'un stia 'osi, si dia uno sfogo.
'Gnorantaccia, sa! L'amore... Sa com'è?
(il professore la guarda in volto, poi si gira dall'altra parte, si schermisce, quasi sì vergogna, si toglie il cappello, col fazzoletto si asciuga la fronte, fa gesti come per dire : eh no! non lo so io come l'amore. Com'è?)
L'è come il latte messo al foco, che prima si gonfia, poi alza il bollo
e scappa via......
Su, su, coraggio.
Si provi un po' a votarsi il core, sor padrone... 'un stia 'osi!
(Il professore, a queste ingenue, amorevoli esortazioni, tentenna appena il capo; non dice nulla. Lodoletta esce di scena)
PROFESSORE
E va bene... E va bene...
(Ripete tra sé e sé)
II ritratto...
Il pittore francese...
Ci andava ogni mattina...
L'è come il latte messo al foco, che prima si gonfia,
poi alza il bollo
e scappa via......
(Quelle tre idee: del ritratto, del pittore francese e di Satanina che ci andava ogni mattina, gli si fissano nel cervello, come tre stellette di carta, di quelle che piglian -vento e girano. Gli s'annebbia la vista; trema tutto; perde i sensi; si accascia sulla sedia, e resta lì, immobile).
SATANINA
(all'estremità del palco, sfacciatamente, facendo ruotare un fazzoletto che ha tra le mani, petto infuori.,
gambe allargate)
Eh già! Andai via con Renè:
quattr'anni a Parigi, a Nizza, a Torino, a Milano. Quella era vita...
Eh!
Si sa come va il mondo!
Una donna sola, bella, bisognosa d'amore... e di danaro.
(ammicca, lascia intendere che ha avuto più uomini e molte avventure).
Esce di scena. La luce si spegne su Satanina e si accende su Dolfino
DOLFINO
(11 anni, gracile, minuto, vestito con un cappotto corto su pantaloncini corti., una coppoletta in testa, su una spalla una sacca ripiena. La poggia per terra, si toglie la coppoletta)
Mi chiamo Dolfino, come il mio nonno, Dolfo Dolfi.
Ho undici anni. Sono nato a Roma, ma mi ha cresciuto zia Menicuccia a Fara in Sabina.
Fino all'età di otto anni sapevo che la mia mamma era morta nel mettermi al mondo.
(il tono della voce si addolcisce al ricordo)
Ma, due anni fa, un bel giorno,
mentre mio padre si trovava all'ufficio,
avevo veduto entrare in casa una certa signora, bella, elegante, profumata,
la quale, fra molte lagrime, aveva avuto il piacere di assicurarmi che non era vero niente,
perché la mia mamma, invece, eccola qua, viveva ancora.
Era lei, proprio lei, che mi voleva bene, oh tanto!
(si stringe le braccio, al petto, si rimette la coppoletta, si mette seduto, abbassa la testa, la luce si spegne)
LA BALIA, ZIA MENICUCCIA
(Anziana., grossa, fazzolettone in testa, abito lungo, aria bonacciona. Si avvicina a Dolfino. Ha un borsone, che apre e ne trae un fazzoletto da naso)
L'ho allevato come un figlio, con il mio latte, questo fringuello.
Poi sono rimasta vedova e sola e il professore mi ha voluta con lui a Roma,
prima da governante e ora da serva.
Quella sciagurata, Iddio mi perdoni (si fa il segno della croce),
lo aveva lasciato per andarsene appresso ai suoi capricci.
Un bel giorno, rientrando in casa con la spesa giornaliera,
me la son vista davanti, vestita alla bizzarra, incipriata, imbellettata,
con il bambino tra le braccia.
Era venuta a trovare il figlio per star con lui.
(si infuria)
Ma gliene dissi, eh !
Se gliene dissi quattro, a quella malcostumata !
e le strappai dalle braccia il mio bambino.
Il povero Dolfino, atterrito, a quella scena orribile,
aveva dovuto mettersi a letto, assalito da una violentissima febbre.
(con cattiveria)
Mala femmina !
(Le luci si spengono, zia Menicuccia esce di scena. Rimane Dolfino, seduto sulla sedia, testa abbassata)
PROFESSORE
(La scena si illumina)
E va bene !
(si ravviva)
Ora ho preso un mese di licenza.
Sono a Nettuno per appigionarvi un quartierino alla vista del mare.
E' per Dolfino (gli si avvicina, gli poggia affettuosamente la mano sulla testa, gli stropiccia il cappello).
Ha undici anni e par che li abbia proprio per forza, tirati, tirati su dalle più minuziose cure.
Povero ragazzo, così gracile, così minutino.
E va bene !
La primavera è nociva ai malati di petto.
Il medico m'ha consigliato di condurre Dolfino al mare, almeno per il primo mese,
durante il quale l'aria di Roma sarebbe stata per lui troppo sottile.
(sospira)
E va bene !
(sorride)
(Esce di scena. La luce si abbassa)
SCENA II
Si illumina la "Trattoria della Campana". I due avventori al tavolo., don Ciccio il falegname e Ercole il molìnaro. Ferdinando l'oste. Il professore si avvicina. Guarda i due avventori. Osserva incuriosito l'osteria. L'oste versa vino (Cacchione) da una brocca a due avventori. Passano due soldati in divisa di artigliere).
DON CICCIO
(rivolto a Ercole, seduto di fronte a lui, parla di vicende comunali)
.... E così da tre anni non se ne viene fuori e continuano a rimanere nel borgo,
in quelle stanzacce del palazzo baronale.
Ogni volta che qualcuno propone di acquistare un vecchio palazzo
e rinnovarlo alla bisogna, per farci il nuovo municipio,
D'Andrea fa di tutto per lasciare le cose come stanno.
Ci sarebbe quello di Turchi in piazza Umberto,
in confine con via dell'Archetto e via delle Rimesse, che lo darebbe per 80.000 lire.
ERCOLE
Già, ma se è per questo, c'è anche il terreno del Mazzanti, davanti la stazione,
per costruire un bel palazzo municipale, in zona centrale.
E c'è l'offerta di Borghese di vendere i Granaroni.
Nell'ultimo consiglio, Ottolini ha fatto la proposta di acquistare
quella parte del palazzo baronale dove stanno ora.
Bartolomeo Catanzani ha mostrato la lettera del principe Giuseppe Borghese,
che ha fatto l'offerta d'un contratto d'enfiteusi.
Si paga un tanto all'anno e fra trent'anni il palazzo è del Comune.
Ma D'Andrea s'è fissato per quella costruzione sulla via di san Rocco,
quella di Caffoni, dove i Fratelli delle Scuole Cristiane stavano facendo un grande convento.
DON CICCIO
E anche il cavalier Combi, il sindaco, sarebbe d'accordo, perché il paese cresce e tra pochi anni,
vedrai, anche il Pantano sarà tutto una fila di villini.
D'Andrea ha detto che bisogna elevare in alto le proprie mire e scorgere un po' l'avvenire.
Ottantamila lire le spendi per comprare il palazzo Turchi,
e poi per farci le stanze e gli uffici del comune
e le scuole e le Poste e la Caserma dei Carabinieri!
Ci vogliono altre 130.000 lire ! E viene sempre un lavoro fatto male,
perché da un palazzo di abitazioni non ci puoi fare un palazzo municipale.
Lo vedi che il mondo sta cambiando
e tra poco anche Nettuno si allargherà fuori dalle mura del Borgo!
Laggiù, con 30.000 lire compri le fondamenta e il terreno e con 170.000 lire,
come ha calcolato l'ingegnere Talenti, fai un palazzo come si deve, bello, grande, sul mare,
in mezzo tra il Borgo e san Rocco.
OSTE
(rivolto ai due avventori)
Ancora con questo palazzo municipale !
E' dal "95 che ne parlano, e ne discutono, e litigano. E ora costruiamo, e ora aggiustiamo, e ora
compriamo. E invece stanno sempre nel palazzo Colonna.
Che vi porto da mangiare ?
Oggi di primo ho la pasta coi ceci e le vongole,
il riso co' Ile regaglie e le fettuccine alle ova.
Per secondo: abbacchio, carciofi alla giudia e frittura di pescato.
Co' 'n litro di Cacchione so' du' lire e mezza a testa.
DON CICCIO
(all'oste)
Ferdina', ieri m'hai dato il riso co' lle regaglie. Ma 'lle regaglie non l'ho digerite manco col Carpenè
Malvolti.
Oggi mi fai du' fettuccine col ragù.
ERCOLE
(si infila il tovagliato al collo)
Va bene fettuccine anche per me.
Ma per secondo vorrei quella coratella co' le puntarelle in salsa.
OSTE
(con le mani sui fianchi)
Eh, caro molinaro, le puntarelle te le dò co' la salsa, ma fa tre lire tutto.
'Sto porco l'ho visto io che mangiava ghiande all'Acciarella.
PROFESSORE
(si avvicina al tavolo, osserva, si toglie il cappello, parla alla coppia di avventori e all'oste)
Buongiorno. Signori, buongiorno.
IN CORO (l'oste, Ercole e don Ciccio)
Buongiorno a lei
PROFESSORE
Scusate.
Un quartierino modesto.
Dove posso trovare un quartierino di poca spesa, alla vista del mare ?
Sa, il medico me l'ha prescritto per mio figlio, che soffre di petto.
........ (si rimette il cappello, sospira, si guarda intorno)
E va bene !
DON CICCIO
(fa per ricordare, si gratta la testa)
Un quartierino modesto?
ERCOLE
Di poca spesa?
DON CICCIO
In riva del mare ?
OSTE
Vedrai che qui a Nettuno guarisce, il tuo bambino.
Ne vengono tanti alla colonia delle suore spagnole.
Il mare gli farà bene, specialmente ora che non fa ancora tanto caldo.
ERCOLE
Forse in piazza Gelso, dai Censi.
Bisogna che te domandi a Callìope. Si nun lo sa lei, nun ce so' ne' camere,
ne' appartamenti, né pensioni, né mezze pensioni.
OSTE
Qui da marzo è già difficile trovare una camera così vicino al mare.
DON CICCIO
Si, ora che mi sovviene, come no !
C'è proprio qui sotto 'a la piazza, sulla destra, un villinetto (glielo indica)
E' quello dei Canestrelli.
Là, proprio sulla spiaggia, dov'è quella finestra aperta al secondo piano.
Là, di fronte alla scuola d'artiglieria.
(Sì abbassano le luci, si allontanano i personaggi, resta il professore. Si avvicina il proprietario dell'appartamento, Amilcare Canestrelli. Le luci illuminano entrambi)
SCENA III
(Piazza Umberto I, Amìlcare Canestrelli, sui 60 anni, grossi baffi, cappello con falde, vestito di velluto marrone, bastone in una mano)
PROFESSORE
Siete voi Amilcare Canestrelli ?
CANESTRELLI
(levandosi il cappello)
Per servirla. Cosa le occorre?
PROFESSORE
(si presenta, sì toglie il cappello, con enfasi)
Professor Cosmo Antonio Corvara Amidei, del Ministero della Pubblica Istruzione. Vengo da Roma.
E' vostro quel quartierino che mi hanno indicato, laggiù sul mare ?
(lo indica con la mano)
Quanto chiedete per il mese di marzo ?
Mio figlio ha bisogno di mare e di sole.
E' il medico che glielo prescrive.
Quanto mi chiedete?
CANESTRELLI
(sorridendo)
Quello? Ah, è proprio bello, sa !
Due camere e la cucina. Tutto esposto a mezzogiorno.
E il mare pare proprio che voglia entrare in casa.
Non si vede altro che mare.
A giugno prendo 250 lire, ma a marzo glielo posso dare per 150 ...
Mi da una caparra di 50 lire e il resto.... quando entrerà in casa.
PROFESSORE
Lo stipendio che mi danno al Ministero non è alto, ma questa spesa devo proprio farla.
E va bene.
(prende il portafogli)
Non meno di 150 lire ?
(non aspetta la risposta)
La caparra. Ehm. (sospirando)
(conta il danaro).
Ecco 50 lire.
CANESTRELLI
(prende il danaro, lo conta a sua volta e lo mette in tasca).
...e cinquanta.
Le altre 100 lire, quando ne prenderà possesso.
PROFESSORE
(incalzando)
Da domani.
Possiamo già venire da domani mattina ?
E' questa brezza primaverile che farà bene ai polmoni di Dolfino.
CANESTRELLI
(rassicurante)
Tutto è pronto.
Basterà mettere le lenzuola ai letti.
Oggi stesso mando la donna.
Vedrà che si troverà bene, professore.
E il ragazzo si gioverà di questo soggiorno alla riva del nostro mare di Nettuno.
(Si stringono la mano. Canestrelli si allontana)
PROFESSORE
Ora vado a vedere la spiaggia.
150 lire. Che almeno Dolfino ne tragga beneficio!
E va bene !
(inspirando profondamente, tra sé e sé, guarda il mare, volgendosi verso sud)
Ah! L'antica fortezza di Sangallo ! Che spettacolo !
E il monte Circeo, sembra un'isola nel cielo (la indica con il braccio alzato).
Quella è la torre Astura ! Che tristezza !
Sembra sentire ancora il lamento di Corradino.
Con la sua cattura finì la casa degli Svevi.
Il popolo tedesco avrebbe voluto quella torre come suo monumento nazionale.
E va bene!
SCENA IV
La scena si svolge di nuovo davanti l'osteria. Il professore siede a un tavolo.
L'oste gli si avvicina. Gli porge un bicchiere e versa il vino
OSTE
(porgendogli una sedia)
Venga a brindare, professore. Ha fatto proprio un bell'affare.
Questo è il nostro miglior Cacchione.
Ne avrà sentito parlare a Roma !?
Da San Lorenzo vengono a prenderne una botte a settimana.
(quasi declamando)
Anche D'Annunzio, quando è stato in Villa Borghese due anni fa,
con quell'attrice..
(con aria saccente)
Ah! Bella! La Duse. Fedora Duse
PROFESSORE
(correggendolo con garbo)
Eleonora. Eleonora Duse.
OSTE
(portando un piatto già pronto)
Pasta, ceci e vongole anche a lei.
Senta che specialità nettunese!
E poi?
Un bell'abbacchio al forno o la frittura di pescato?
PROFESSORE
Oh no! Mi vuole morto?
Mi basta bene codesta pasta coi ceci. E un mezzo bicchiere di vino.
Quel, come ha detto ? Cacchione !
OSTE
(mentre gli versa il vino in un bicchiere)
Anche al poeta gli piaceva mandarne a prendere una bottiglia di tanto in tanto.
Anche lui, sa. veniva a Nettuno per le cure marine di quella sua bambina così gracilina.
Cicciuzza la chiamava.
L'aveva avuta da una delle sue amanti, la principessa Maria Gravina.
E in quella villa, davanti al mare neroniano, ha scritto "La figlia di Doria".
PROFESSORE
(ancora correggendolo discretamente e sotto voce)
...di Iorio. La figlia di Iorio.
Voglio proprio andarci, a vedere il parco di lecci e di pini.
Il treno di ritorno per Roma parte solo alle cinque.
Ho ancora quattro ore buone.
Mi faranno entrare nella villa ?
OSTE
Eh si. Ma certo.
Basta pagare cinque soldi di biglietto a Iole, quella nanerottola che vi è di guardia.
(poi, imitando la voce gracchiante della nanerottola)
<Ehi, ehi. Si paga., si paga il biglietto. Cinque soldi>
Ah! Ah! Ah!
Le luci si spengono. Scompaiono gli arredi dell'osterìa e gli avventori.
SCENA V
La scena si svolge nel parco di villa Borghese. Il professore passeggia. Ammira il parco e gli alberi. Ascolta il canto degli usignoli.
PROFESSORE
(tra sé e se)
Ma perché mai? Io che non feci mai per volontà male ad alcuno.
Perché devo essere così bersagliato dalla sorte!
Io che m'ero inteso di far sempre il bene; bene lasciando l'abito ecclesiastico;
bene, sposando per dare il pane a un'orfana.
E lei invece, preferì andarsene sul marciapiede.
Satanina. Satanina.
Indegna !
Mi hai spezzato l'esistenza e ora mi tocca di veder morire questo figliolo, l'unico bene che mi è
rimasto.
(Si siede a terra sotto un grosso albero di pino, si toglie il cappello)
Ma perché ! Dio, no !
Dio non può voler questo.
Se esisti, devi essere buono coi buoni.
E chi, altrimenti, ha il governo del mondo, di questa sciaguratissima vita degli uomini ?
(Mentre così ragiona, una grossa pigna si stacca dal pino e lo colpisce sulla testa. Un grido soffocato. Rimane a giacere, quietamente, privo di sensi, quasi fulminato. Dopo qualche minuto si riprende., si trova in una pozza di sangue. E ne perde ancora, da una bella ferita, che dal sommo del capo gli va giù giù dietro l'orecchio. Ancora tutto intronato, riesce ad alzarsi in piedi. A stento si trascina. Arriva la nanerottola di guardia. Nel rivederlo in quello stato, col volto tutto imbrattato di sangue, strilla, inorridita)
NANEROTTOLA
(giovanetta, malvestita, spettinata, goffa) Gesù! Che ha fatto?
PROFESSORE
(leva un braccio tremolante e contrae il volto in una smorfia, tra di spasimo e di riso. Balbettando)
La,., la pigna.
La pigna che governa il mondo... già !
E va bene !
NANEROTTOLA
(tra sé)
E' matto!
(Ad alta voce, amplificando con le mani intorno alla bocca)
Boaro! Boaro!
Venite, aiutatelo, muore !
Portatelo all'Orsenigo, dai Fatebenefratelli.
(abbassa la voce)
Che lo ricuciano.
(guarda la ferita, si copre gli occhi)
Quanto sangue!
Questo muore. (si gira dall'altra parte, gridando)
Ehi voi, dalla ferrovia!
Accorrono il boaro e due ferrovieri, gli tamponano la ferita
BOARO
Ora ci pensa il dottor Perotti a lei.
Lo ricuce per bene e gli rifà la testa come nuova.
(ai ferrovieri)
Voi due aiutatemi. Prendetelo dalle spalle. Andiamo.
Ora prendo la barozza.
PROFESSORE
(Sorreggendosi la testa tra le mani)
E va bene!
SCENA VI
La scena si svolge nel quartierino preso in affitto.
Si vedono tre ambienti: due camere da letto e una cucina. Piove, soffia vento e fa freddo. Il camino è acceso.
Arredi modesti, ma dignitosi. Una finestra.
Sono passati quindici giorni. Piove e tira vento. Il professore ha una vistosa medicazione in testa, come un turbante. Se ne sta alla sponda del lettuccio di Dolfìno il quale, da che era sceso alla stazione di Nettuno, gli si consumava nel lento cociore della febbre, anche di giorno. Prima, almeno, a Roma l'aveva soltanto di notte, la febbre. La balia, per compiere l'opera, s'era ammalata d'angina e doveva starsene a letto, anche lei.
PROFESSORE
(Contrariato, ma rassegnato, guarda dalla finestra lontano verso il mare)
E vento, e vento, e vento!
Da quindici giorni non cessa un minuto, né di, né notte.
Fischia, mugola, ruggisce in tutti i toni.
Pare che voglia schiantar le case e portarsele via.
E questo mare furioso!
Lo sento come in casa.
E va bene !
(La balia, sofferente, respira con affanno, si lamenta. Cosmo le si avvicina con in mano la boccetta di
acido fenico e un pennello per le spennellature in gola)
BALIA
(timorosa, mette avanti le mani come a respingerlo)
Piano, per carità, signorino mio!
Piano, per carità!
Oh! Santa Maria degli Angeli!
(Si mette a sedere sul letto e spalanca la bocca, che pare un forno arroventato).
PROFESSORE
(spennella vigorosamente. Il vento sibila e le finestre sbattono).
Sputate! Sputate!
(richiude la boccetta di acido e borbotta tre sé)
Villeggiatura!
Già metà del mese è passata. Soldi buttati al vento. Senza i comodi di casa.
Questo ragazzo che mi sta sempre peggio. Ora anche la malattia della serva.
E va bene!
(La balia sputa e tossisce. Dolfino si gira e rigira nel letto, si lamenta).
PROFESSORE
(ravvivando il fuoco nel camino)
Questo ci ho guadagnato !
Io accendermi il fuoco, io andar per la spesa, io apparecchiar da mangiare...
E non poter condurre, neanche per un minuto, il ragazzo sulla spiaggia.
Qui, in queste tre stanzette, imprigionato, assediato dal mare e dal vento.
Troppo, eh?
(Si fa silenzio. Di tanto in tanto un sibilo di vento. Cosmo vaga per casa. Attizza il fuoco.)
SCENA VII
(Si sente bussare piano piano alla porta)
PROFESSORE
Chi è?
(va ad aprire. E' Satanina)
SATANINA
(Entra, si precipita, scarmigliata, cade in ginocchio ai piedi del professore, il quale indietreggia sbalordito; gli s'aggrappa alla giacca, gridando con enfasi. Si capisce che non è animata da un sentimento sincero)
Cosmo! Cosmo, per carità!
Lasciami veder Dolfino mio!
Perdonami! Salvami! Abbi compassione di me!
(Scoppia, così gridando, in un pianto dirotto, in un pianto vero, di lagrime vere, senza fine, e in singhiozzi anche, in singhiozzi non meno veri, che la scuotono tutta; e non si leva da terra, e si nasconde la faccia con le mani, seguitando a implorare)
Bacerò, bacerò la terra, dove tu metti i piedi, Cosmo, se tu mi perdoni, se tu mi salvi!
Non ne posso più! Voglio esser tutta del mio Dolfino, ora!
Lasciamelo assistere, curare, per carità!
(Cosmo casca a sedere su una seggiola, si nasconde il volto con le mani anche lui benché in quella
cameretta, veramente, per l'ombra della sera sopravvenuta, non ci si veda quasi più).
Suona la campana dell'Ave Maria
BALIA
(ad alta voce, facendosi il segno della croce)
Ave Maria...
(poi abbassando la voce)
...gratia plena. Dominus tecum...
(farfuglia la preghiera e sì segna, guardando di traverso Satanina)
Santa Maria...
DOLFINO
(chiama dall'altra camera, sbigottito)
Papà... papà..,
SATANINA
(scatta in piedi e corre dal figliolo. Lo abbraccia. Gli carezza la fronte. Lo bacia).
Figlio mio.
Dolfino.
(gli carezza la fronte, lo bacia)
C'è ora la tua mamma !
(con sincerità)
Non ti lascerò più. Avevi solo nove mesi quando t'ho visto l'ultima volta.
(gli bacia ancora la fronte)
Mi sono persa gli anni più belli d'una mamma,
quando un figlio va prendendo le forme di un bambino, e poi d'un ometto.
(ancora un bacio)
E un giorno dopo l'altro apprende a dire "mamma", e piange quando vuole il suo latte,
e ride quando gli togli le fasciature bagnate di pipì.
(Lo abbraccia)
Non voglio lasciarti più.
Mi sono persa i tuoi pianti...
...e i tuoi sorrisi.
Se hai sorriso qualche volta...
PROFESSORE
(Rimane inchiodato sulla sedia. Gli giungono dalla camera di Dolfino le tenere espressioni d'affetto che la madre rivolge al figliuolo, il suono dei baci che gli da. Gli sembra che d'improvviso un gran silenzio si sia fatto intorno, un silenzio misterioso, di fuori, come di tutto il mondo. Si toglie le mani dal volto e resta attonito, ad ascoltare. Un vetro si scuote, appena appena, alla finestra. Il professore sì reca dietro la vetrata a guardare la via illuminata di là dal prossimo giardino annesso alla casa degli ufficiali)
E' cessato!
II vento è cessato, tutt'a un tratto.
(in lontananza si sentono rumori di passi, vociare confuso, le voci [diversi dialetti] degli ufficiali che escono allegri dalla mensa).
PRIMO SOLDATO (VENETO)
...ndemo, ndemo ! Oggi sono arrivate le romanine !
SECONDO SOLDATO (LOMBARDO)
Si, sulla spiaggia, stanno tutte ad aspettare te!
TERZO SOLDATO (NAPOLETANO)
Uocchie chine e mmane vacante ! Ah! Ah! Ah!
(Cosmo va per accendere una candela)
SATANINA
(premurosa, avvicinandosi a Cosmo)
Lascia, faccio io!
Il lume dov'è? di là?
(Cosmo la evita e si dirige verso il figlio)
DOLFINO
(piano piano, riferendosi al profumo che emana da Satanina)
Papà, papà, io non la voglio... Fa troppo odore...
SATANINA
(correndo a prender e il lume)
Zitto, figliuolo mio, zitto...
DOLFINO
Papà, dove ti corichi tu?
Per lei non c'è letto... Tu devi coricarti qui, papà, senti? accanto a me...
PROFESSORE
Sì, bello mio, sì... Sta' zitto, sta' zitto...
(Silenzio)
E perché non torna Satanina?
Non trova forse il lume? Che fa?
(Il professore tende l'orecchio; poi avverte un fresco insolito alle gambe, come se qualcuno di là avesse aperto la finestra. Si leva dalla sponda del letto e va, al buio., in punta di piedi, a origliare, fino all'uscio della camera che ha la finestra bassa sullo spiazzo, davanti la caserma. Satanina sta affacciata a quella finestra e parla sottovoce con qualcuno giù)
PROFESSORE
(si accorge che Satanina sta parlando con qualcuno dalla finestra. Si porta le mani alla testa)
Come! Con chi?
Ah, spudorata! Ancora?
(si stringe in sé, felinamente, le si accosta, senza fare il minimo rumore, e le sente dire all'ufficiale che sta lì sotto)
SATANINA
(cercando di tenere bassa la voce)
No, Gigino, stasera no: non è possibile.
Domani... domani, immancabilmente...
(Silenzio, Satanina continua a gesticolare e mandare baci dalla finestra,
Cosmo si china, l'abbranca per i piedi, e giù! la rovescia dalla finestra, gridando)
PROFESSORE
(ad alta voce)
Signor tenente, se la pigli!
(Urla del soldato. Urla di Satanina. Al doppio urlo che gli risponde di sotto, dell'ufficiale e della precipitata, Cosmo si ritrae, raccapricciato, in preda a un tremor convulso di tutto il corpo. Si prova a richiuder le imposte, ma non può, poiché dallo spiazzo nuove grida si levano, di soldati, di ufficiali, d'altra gente accorsa. Traballando, col passo legato, si trascina fino alla camera del figlio. La balia si è alzata, gli va incontro, cerca di trattenerlo)
GRAN VOCIARE DALL'ESTERNO
PRIMA VOCE: Ma che ha fatto !?
SECONDA: E' caduta da quella finestra, quella di don Amilcare, fittata al professore di Roma !
TERZA: Portiamola al sanatorio. Chiamate il calesse !
QUARTA: No! Non la toccate, è peggio, correte all'Orsenigo, chiamate il dottor Perotti!
QUINTA: Ma come ha fatto a cadere da sola !
PRIMA: Arriva il Delegato. Dicono che qualcuno ce l'ha buttata apposta, di sotto
SECONDA: Era arrivata proprio quest'oggi. Col treno delle cinque. Una gran signora ! Vestita alla francese, tutta merletti e profumo!
TERZA: Sarà inciampata al pavimento !
QUARTA: Qualcuno è andato a chiamare il medico ?
QUINTA: Hai sentito ? Dicono che è stato il professore !
BALIA
(lo afferra alle spalle. Cosmo è come inebetito)
Oh! Santa Maria degli Angeli. Che è stato !?
Che sono tutte queste grida !
Che ha fatto, signorino ?!
COSMO
(si divincola, va ad abbracciare Delfino sul letto, con dolcezza)
Nulla... nulla...
Nulla... non ti spaventare...
Una tegola... una tegola sul capo a un tenente.
(Bussano furiosamente alla porta. La balia scappa a infilarsi una sottana. Corre ad aprire. Gente e soldati allagano vociando la casa ancora al buio, dietro a due carabinieri e al delegato).
BALIA
(balbettando, Impaurita., accende dei fiammiferi)
Abbiano pazienza, accendo il lume...
Per l'amor di Dio !
(Cosmo si tiene stretto con tutte e due le braccia Dolfino, che s'è inginocchiato sul letto).
DELEGATO
(gridando minaccioso, brandendo le manette)
Via! Venite con me!
PROFESSORE
(sconvolto, stupito)
Dove?
C'è mio figlio. E' malato.
DELEGATO
(Brusco, prendendolo per una spalla)
Con me! Senza storie!
(rivolto verso il pubblico)
Se le vogliono piglià giovanette e poi non s'accorgono
quando vanno a razzolà nei pollai degli altri!
PROFESSORE
(sconvolto)
Va bene. Ma questo figlio?
E' malato. A chi lo lascio? Sappia, signor delegato...
(abbraccia stretto il figlio in ginocchio sul letto)
DELEGATO
(lo interrompe con violenza)
Via! via! via!
Vostro figlio sarà condotto al Sanatorio Orsenigo.
Voi venite con me!
DOLFINO
(tremando)
Papà! Papà! Perché?!
PROFESSORE
(rimette a giacere Dolfino che trema tutto dallo spavento. Lo bacia. Trattiene le lacrime)
Non è nulla. Nulla, Dolfino. Fa' buon animo. Torno presto da te.
(Uno dei carabinieri, spazientito, lo agguanta per un braccio).
Anche le manette?
(Ammanettato, si china su Dolfino, di nuovo)
Figlio mio, questi occhiali...
DOLFINO
(tremante, atterrito)
Che vuoi, papà ?
PROFESSORE
(con dolcezza)
Strappameli dal naso, bello mio... Così... Bravo!
(rasserenandosi)
Ora non ti vedo più...
(Si volge verso il pubblico, cerca di dire qualcosa. Si stringe nelle spalle., protende il collo, ma l'angoscia gli serra troppo la gola. Le parole gli escono a mala pena, biascicate, incomprensibili, soffocate)
E va bene!
(Escono tutti, Cosmo rimane da solo al centro della scena, guarda fisso il pubblico a testa alta. La luce su di lui si spegne molto lentamente)
fine |