Nettuno, Venerdì sera, 6. VII. 1928
Cara Marta,
ritorno ora da Roma, dove ho ricevuto a breve distanza l'una dall'altra due tue lettere, la prima per espresso e l'altra no, datate difatti entrambe del 4, mercoledì. Vedo che ti ha sdegnato moltissimo la lettera dei padrini avversarii; ma era da spettarsela. Pensa che, se Papà fin dal primo momento che questi due padrini si presentarono a lui avesse ricusato d'accettare la sfida, essi avrebbero scritto su per giù le stesse cose al loro rappresentato, cioè a Zopegni. Infondo, il prof. Geraci ha condotto le cose in modo da arrivare, o meglio, da rimetterle al loro punto di partenza, annullando tutte le male fatte dei Signori Spotti a Roma, levandoseli dai piedi e dichiarando quello che i Signori Spotti a Roma non avevano avuto il coraggio di dichiarare, che cioè il signor Zopegni era un calunniatore confesso e che, come tale, non meritava altro trattamento di quello che aveva avuto. Era naturale che i padrini avversarii non potessero accettare questo giudizio e dovessero dire quello che hanno detto nella loro lettera a Zopegni; ma. ripeto, questo l'avrebbero sempre detto, al primo rifiuto di Papà di battersi con un indegno calunniatore. Ciò che è mancata del tutto è stata l'assistenza a Papà da parte dei suoi padrini; e questo purtroppo lo sappiamo. Se essi seguivano il mio consiglio di mettere Papà a disposizione d'uno dei padrini avversarii, ricusando ogni soddisfazione cavalleresca allo Zopegni per indegnità, ora questi padrini avversarii non avrebbero potuto negare la qualifica di gentiluomo a Papà. Non avendolo fatto, le cose ritornano, per merito di Geraci, al punto d'inizio, da cui Papà - secondo le sue intenzioni - non avrebbe dovuto scostarsi: vale a dire, "m'infischio della vostra qualifica di gentiluomo, io sono e resto un uomo onesto; un vigliaccone ha calunniato pubblicamente mia figlia e io l'ho scazzottato in pubblico; seguiterò a scazzottarlo se mi ricapita tra i piedi; non m'intendo di cose cavalleresche e andate a farvi benedire tutti quanti."
Questo, infondo, viene a essere il riassunto di tutta la vertenza; rimesse a posto le cose e tolte di mezzo le persone che, invece di chiarirle, le avevano ingarbugliate, per spocchia, per sciocchezza e per vigliaccheria. Appunto per tutte queste considerazioni io ho approvato l'ultima lettera che Geraci ha fatto scrivere a Papà in risposta a quella dei padrini avversarii. E mi pare che ormai non ci sia più nulla da fare. Piuttosto, c'è da far questo: che Tu, Marta mia, ti stia tranquilla, senza più dartene pensiero, a riposarti l'anima e il corpo e ad attendere fiduciosa e serena alla tua cura. Ti sono grato delle indicazioni che dai su come passi la giornata. Ora so quando fai l'inalazione, quando il bagno, quando la polverizzazione, quando pranzi, quando ti riposi.
È certo che, finito questo calvario...a metà agosto, ci sarà aperta la via in Germania per grandi cose e grandi fortune. E io ne sono felicissimo, credi, Marta, per Te. Non penso ad altro. Ho comprato a Roma tanti libri su Beethoven, per quell' idea che Tu sai; e son dietro a leggerli. Verranno visioni magnifìche e cose non mai viste. Riposarmi? Come vuoi che mi riposi così lontano?
Spero che riuscirò a finire il "Lazzaro". E poi...e poi...
Scrivimi, scrivimi. Salutami la mamma e Cele e Tu abbiti i miei più cari saluti e tutta la mia cordialità.
Luigi Pirandello
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