Quando pronunzi la parola estate
e ne senti la luce ed il calore,
più della bocca si spalanca il cuore.
La stagione di Nettuno è l'estate. Quando arriva, la città l'accoglie spalancando porte e finestre, imbandierando i balconi con vesti colorate di donne e bambini, aprendo ombrelloni festosi, e trasformando le terrazze in bar con sedie rosse, azzurre, verdi e gialle. L'accoglie col rigoglio di tutti i suoi giardini odorosi di caprifoglio, e le offre mazzi di rose, pennacchi di oleandri, mantelli di bougainvillee.
Nettuno le presenta così le chiavi della città. E l'estate ne prende subito possesso: fiumi di sole corrono lungo le strade, inondano tutte le piazze, frugano dappertutto. Se non è al mattino, sarà a mezzogiorno, al pomeriggio, o al tramonto, ma state certi che, al crepuscolo, ogni angolo avrà avuto il suo raggio di sole.
È, proprio quello che vuole la città, lasciarsi frugare, mettere in mostra tutto quello che ha.
I vicoli bui che per tutto l'inverno hanno covato malinconia e tenuto sottochiave i loro segreti, ora che il sole li carezza, si mettono improvvisamente a ridere, a cantare, a dire tutto a tutti. Così che finalmente riesci ad appurare che cosa c'era dietro quelle finestre e quei due portoni che avevi visti eternamente chiusi. In una casa c'erano due vecchine barricate contro l'inverno; nell'altra non c'era nessuno e la bella signora bionda, che asciuga i suoi lunghi capelli lasciandovi ridere dentro il sole, è arrivata solamente ora insieme al corteo che ha seguito l'estate ed ha riempito alberghi, case private e tutti i villini che erano stati lasciati soli a soffrire l'inverno.
Raggi di sole sono entrati, non solo in tutte le case, ma, dagli alti finestroni, si sono infilati anche nelle chiese. Sciabolate di luce hanno tagliato le navate, sono scese giù a curiosare, a vedere com'era fatta la faccia di quell'angelo o di quel santo relegato in una nicchia, e magari gli hanno improvvisato un pastorale d'oro, o accennato un'aureola.
Fasce di sole sono entrate anche nelle corsie dell'ospedale e, da un momento all'altro, decine di ammalati sono scesi dal letto, e hanno chiesto di essere messi in uscita.
Passa per le vie, l'estate, e trova tutti lì ad invitarla: " Venga, venga, s'accomodi ". E lei non si lascia pregare. Entra decisa da porte e finestre, gira per tutte le stanze, agita le tende, si china sul tavolo, si mette a leggere e volta veloce le pagine di quel libro d'inglese lasciato aperto vari giorni prima dal ragazzo rimandato a settembre; o ti fa trasalire con una porta sbattuta all'improvviso.
Sale in terrazza, e ai giovani sdraiati nell'isoletta d'ombra dell'ombrellone consegna messaggi tropicali di oasi e atolli, di danzanti hawaiane e collane di fiori, oppure il messaggio più prosaico, ma non meno gradito, della frittura di pesce della trattoria sottostante.
Chiama a raccolta i rondoni che arrivano veloci e formano, ora sulla basilica della Madonna delle Grazie, ora sull'antica chiesa di San Giovanni, rotanti ombrelli di ali irrequiete. E quello che filtra da questi ombrelli è un cielo più azzurro e più felice.
I balconi della città spettegolano con i panni stesi ad asciugare. Uno, con due pantaloncini e una vesticciola strappata, dice che lì ci sono tre bambini scatenati; un altro, con una enorme vestaglia, che lì c'è un donnone. Una serie di fazzoletti c'informa che tutta la famiglia s'è beccata .un bel raffreddore. Da un altro balcone, uno stenditoio ci fa sapere che quella sventata della signora ha messo insieme nella lavatrice panni di colore e panni bianchi, ed ha fatto un macello. Intanto, con l'aiuto del vento, le maniche lunghe di una camicia da uomo salutano affettuosamente la camicetta di organza rosa della signorina della casa accanto, che sembra schermirsi lusingata. Arriva a tempo la signora a portar via la camicia del marito.
I ristoranti, stanchi di stare al chiuso, vengono fuori e si sistemano con tavoli, sedie ed ombrelloni sui marciapiedi, o addirittura sotto apposite tettoie. E, siccome qua nessuno è fesso, pizzerie e bar si precipitano all'aperto, mentre spuntano tavolini, sedie ed ombrelloni intorno ai chioschi di bibite e gelati. Finanche le " cantine " spingono fuori qualche tavolo e sostituiscono con la frasca fresca, la frasca frusta.
LA PIZZERIA DA PEPPE
Una volta mi sono fermato a parlare con un pizzaiolo del Borgo. Scusatemi, ma prima di riferirvi quello che mi ha detto e quello che ho visto, devo aprire una parentesi per confessarvi che vado pazzo per la pizza, quella verace, però, quella realmente napoletana.
Come si sa, la pizza ha conquistato il mondo: la potete trovare in ogni capitale e in molte città dei cinque continenti. Ad esempio, la potete mangiare a Bagui capitale della Repubblica Centro Africana, e ad Anchorage, capitale dell'Àlaska. Però si è naturalizzata e, sapete com'è, non parla più napoletano. Ti dice sull'insegna che è di Napoli e, quando ce l'hai nel piatto, balbetta e non riesce a spiegarsi.
Non vi voglio far venire la malinconia, perciò non vi racconto di tutte le rivoltanti esperienze passate in diverse parti del mondo, accennerò solo alla più terribile.
Fu a Vlissingen, una fredda cittadina marinara olandese, che si allunga accanto a una diga, a un centinaio di chilometri dalla entusiasmante Rotterdam. Era passato mezzogiorno e l'appetito si faceva sentire. Lessi " Da Romolo - Pizza Napoletana ". " Be' ", pensai, " Romolo non è Gennaro, ma, non si sa mai, potrebbe essere nato a Napoli da una pizzaiola napoletana con marito romano ". Povero illuso, la pizza che mi portò il giovane Romolo era tale una schifezza, che non appena ne misi un pezzetto in bocca, mi affrettai a rimetterlo nel piatto. " Ma di dove è, lei? " chiesi indignato. Sapete di dove era? Di Brescia.
Ma torniamo a Nettuno.
Una sera m'afferra un violento desiderio di pizza. Mi dicono: " Vai da Giuseppe Calabrese, sotto il secondo arco del Borgo ". Ci vado e trovo un locale alla buona con piccoli tavoli ballerini e tovaglie e salviette di carta. Ordino una " margherita ". Passano pochi minuti ed ecco che, scortato da un mezzo litro di bianco, mi arriva un magnifico sole nel piatto.
La pizza è fatta a regola d'arte, è, infatti, " moscia " e ben cotta. Vi aggiungo un po' di pepe e l'assaggio: " 'a fine d' 'o munno ". Dopo il romano-napoletano che era bresciano ecco qui un Calabrese che è napoletano e la pizza la sa fare veramente. La divoro e faccio il bis. Poi vado a trovare il pizzaiolo nel locale del forno, all'altro lato della strada.
Dove si fanno le pizze ti aspetti, non dico chitarre e mandolini, ma una certa allegria. Invece, nel regno di Giuseppe, non si ride, si lavora svelto e in silenzio.
Giuseppe è il tipo mediterraneo: bassino, baffetti neri, occhi più neri ancora. Ha un berretto un po' di traverso, schiacciato come una pizza. È lì dietro il banco e si muove solenne, quasi celebrasse un rito. Non sfugge nulla ai suoi occhi attenti.
Il prodotto esce da una catena di montaggio della quale Giuseppe si è riservati l'inizio e la fine. Dalle sue mani parte la pasta e vi ritorna pizza, per il collaudo finale e la messa in piatto, o in carta, quando è da portar via.
Due donne prendono dalle tavole di lievitazione dell'attigua stanza pugni di pasta, li schiacciano appena e li passano a Giuseppe, il quale, la pasta non la batte. La tratta affettuosamente. La incipria, la palpa, la carezza ed essa si arrende: si rilassa e si distende. È il momento in cui Giuseppe la rovescia e le incipria, palpa e carezza l'altra faccia.
Durante l'intervista, il pizzaiolo guarda me e non il suo lavoro, ma le sue mani sanno cosa devono fare e la pasta pure. In mezzo minuto, il dischetto di 45 giri si è trasformato in un " long playing ". Sempre con aria solenne, Giuseppe lo lancia sulla pala, che è appoggiata al tavolo accanto al banco, e il disco di pasta vi atterra mollemente.
Qui entra in azione la moglie del pizzaiolo e, in pochi secondi, sistema sulla pasta mozzarella e pomodoro da soli o con alici, oppure funghi o anche vongole o cozze. Completa l'operazione, facendo colare dall'oliera la spirale d'un filo d'oro. -
Un'occhiata imperativa di Giuseppe, e un giovane aiutante solleva la pala e la infila nella bocca rossa del forno. Inverte il movimento di colpo, e la pasta scivola e si adagia sui mattoni roventi, accanto a grossi rami di pino da cui sale la fiamma, che scivola lungo la volta del forno e poi, attratta dal tiraggio, devia e gira come una nuvola rossa intorno alla pasta: l'avvolge senza lambirla, l'asciuga senza bruciarla e senza indurirla. A questo punto capisco perché la pizza verace esige il forno a legna.
Dopo trenta secondi, la pala entra ancora nel forno, si insinua sotto il disco di pasta, lo sposta verso sinistra e l'adagia facendogli descrivere mezzo giro su se stesso.
Ora la parte meno cotta è esposta direttamente al riverbero della brace e, in un altro mezzo minuto, l'uniformità di cottura è raggiunta.
Da quando la catena di montaggio si è messa in moto, sono passati meno di due minuti. La rapida gestazione è finita. La pala estrae dal ventre rovente del forno la pizza fumante e profumata, che passa il controllo di Giuseppe, ed approda come un sole ardente nel piatto, o si piega in due e si veste di carta, per arrivare ancora calda in una casa privata ed aprirsi come un eloquente libro.
Tutti i movimenti della catena sono precisi, ritmati. Ogni trenta secondi entra un disco di pasta nel forno, ed ogni trenta secondi ne esce una pizza.
Quando, in piena estate, il lavoro è più forte, dalle mani dì Giuseppe escono 350 e qualche volta anche 400 pizze per sera. Sapete quante ne ha fatte Giuseppe in 26 anni? Circa un milione. A metterle in fila si potrebbe andare e venire da Anzio 50 volte, o lastricare tutta la strada Nettuno-Latina.
" Ma facendo solo pizze ", chiedo a Giuseppe, " non riducete il numero dei clienti? ".
" Tutto il contrario ", dice il pizzaiolo; " qua vengono sei specie di clienti: quelli che hanno molta fame e pochi soldi, quelli che hanno magari molti soldi e poca fame, quelli che hanno soldi e fame ma, o vogliono spendere poco, o devono mangiare poco, o devono far presto. E finalmente i clienti, come voi, che vogliono la pizza verace e il resto non conta ".
" Allora, i clienti non mancano? ".
" Per fortuna, no. D'estate sono anche troppi ".
IL COMMERCIO
Con l'estate lavorano tutti, perché la città straripa di gente. Gli abitanti sono saliti a quarantamila e al sabato, quando in auto, treno e corriera, arrivano i " weekenders ", salgono ancor più.
Sono allegri, eccitati e giovani; tutti, anche i vecchi. Hanno fame ed hanno sete. Mangiano tutto, bevono tutto. Nei bar, nei chioschi, il personale si fa in quattro per servirli.
All'ora dei pasti, ressa nelle trattorie. Gente in piedi che aspetta impaziente che si liberi un tavolo. Nelle altre ore, i pizzettari e i gelatai hanno il loro bel da fare. Per le strade, ragazzini e fior di ragazze e ragazzi, azzannano rettangoli di pizzetta, o leccano, golosi, coni di gelato.
Dai negozi di oggetti balneari, buffi berretti, costumi da bagno e prendisole, cigni e coccodrilli di gomma; pinne, maschere e fucili subacquei, lenze e canne da pesca prendono la via del mare.
Si compera in tutti i negozi, si moltiplicano le operazioni bancarie.
L'albergo Astura che, oltre ad un bar, ristorante e hall decorosi, offre una terrazza cintata di verde, è arcipieno di vecchi e affezionati clienti che, fin da settembre, prenotano per luglio e agosto. L'albergo Scacciapensieri più moderno ed anch'esso con bar e ristorante accoglienti, è al limite della sua capacità. In tutta la città non si trova un buco da fittare.
" Ma allora ", penserete voi, " i nettunesì, con tutti i quattrini che incassano, sono ricchi ".
No, non è proprio così.
Sì, è vero, in un giorno, un chiosco può vendere anche più di mille coni, lecca - lecca e compagnia bella, oltre a centinaia di bibite. Così incassa cento e più mila lire.
Una pizzeria come quella di Giuseppe ne incassa ogni sera alcune centinaia di migliaia.
Le trattorie incassano molto di più. I proprietari di bar, i pizzettari incassano anch'essi fior di quattrini.
Tutti quelli che hanno qualcosa da vendere: edicole di giornali, negozi di alimentari, fotografi, parrucchieri, profumieri guadagnano profumatamente.
Ma quanto dura tutto questo? Comincia a giugno, tocca il massimo in luglio e agosto, cala di colpo e cessa col settembre.
Poco dopo l'albergo Scacciapensieri serra i battenti; .l'albergo Astura coglie l'occasione della stagione morta per rinnovarsi; gli appartamenti privati restano sfitti; la pizzeria riduce l'attività al sabato e la domenica; i chioschi chiudono anch'essi. Tutti quelli che hanno fatto il " tour de force " si mettono in ferie.
Siccome si è costretti a mangiare ogni giorno, i negozi di alimentari non chiudono, ma il loro lavoro retrocede ad un ritmo modesto. Gli altri negozi sbadigliano e vanno avanti coi quattrini accumulati nel periodo estivo.
LE SPIAGGE
Ma lasciamo questi discorsi bottegai e torniamo alla regina delle stagioni, alla magnifica estate. Andiamo a trovarla dove si svaga e fa sentire la pienezza delle sue forze e della sua vita: la spiaggia. È qui che l'estate regna, è qui che si lascia adorare dalla moltitudine dei suoi fedeli sudditi.
Sulle spiaggette dello Scacciapensieri, alle Sirene, al forte Sangallo, è sorta una fitta fungaia di ombrelloni. Sotto ed intorno ad essi, ferve la vita, si intrecciano i motivi che salgono dalle radioline, risuonano risate, gridi, richiami. L'altoparlante della direzione annunzia: " È stato trovato un bambino. Ha un berretto rosso ". La mamma, che già si disperava, corre a recuperarlo.
Queste migliaia di persone si potrebbero raggruppare
secondo la loro età:
Bambini in braccio alla mamma: guardano tutto con occhi nuovi, frignano o farfugliano; strillano quando fanno conoscenza con l'acqua salata.
Altri più grandicelli: con pala e secchiello scavano pozzi e costruiscono castelli di sabbia. Mettono nel loro lavoro grande impegno e serietà.
Adolescenti e giovani: smaniosi di muoversi, di provare i loro muscoli, giocano a tamburello, pallavolo, base-ball, calcio; oppure remano o nuotano e si divertono a mettere sott'acqua la testa delle ragazze che li accompagnano. Quando sono finalmente stanchi, si raccolgono intorno a una chitarra. Signori d'una certa età: leggono il giornale, fanno conversazione, giocano a scala quaranta o poltriscono sulla sdraia o sulla sabbia.
Signore di mezza età: lavorano all'uncinetto, fanno nuove amicizie, parlano di moda, dei figli, si scambiano autobiografie romanzate, si promettono visite che non avverranno mai. Si allunga sulle scogliere la fila delle belle statuine dei pescatori.
Chi si offre veramente al sole sono le giovani. Non gliene deve sfuggire nemmeno un raggio, il sole le deve abbracciare, avvolgerle tutte, rosolarle, cuocerle quanto più può, tanto ci pensa l'olio ad addolcire l'effetto. Dovranno diventare così scure da destare l'invidia delle loro amiche, e trovare nuovi ammiratori.
Ma tutti raccolgono raggi, ne fanno provvista, diventano salvadanai del sole, formiche solari, che accumulano per l'inverno luce e calore.
Quando pioverà e farà freddo, basterà pensare alla spiaggia di Nettuno, e dal proprio corpo sentiranno salire la vampa dell' estate. La quale dovrà tenere lontano tutte le malattie.
Meravigliosa stagione, l'estate. Quando ti parla con voce calda e suadente, ti devi solo arrendere: all'estate non si resiste.
Ma la sua tirannia non duole, perché l'estate non toglie ma dona, ti fa sudare ma ti disintossica, ti fa arrivare alla sera morto di stanchezza, ma al mattino dopo ti senti un leone; ti denuda, ma ti rende più ricco, perché ti dona una nuova libertà, quella dagl'indumenti.
Quando esci dallo scomodo guscio dei panni, ti senti subito bene ed eccitato. Il sole ed il vento ti lavano più delle onde. Ti senti improvvisamente un uomo nuovo, libero non solo da tutte le noie, ma anche da te stesso. È come se nella tua vita ci fosse stato un colpo di spugna. Ora che sei lì nudo, ti sembra di essere un altro; ma non sai quale altro. Un altro qualunque, a scelta. O addirittura tutti gli altri. Tanto qui nessuno sa chi sei e, se credi, puoi giocare ad inventarti come ti pare. Puoi essere Tizio con una persona, Caio subito dopo con un'altra, e Sempronio con un'altra ancora. Puoi essere l'artista che saresti voluto essere, il raffinato, il colto, il ricco, il nobile, l'enigmatico, il duro, il diabolico, o una delle tante altre creature che hai di volta in volta invidiato.
Puoi appartarti nella moltitudine, annullarti nel bozzolo del silenzio, o invece fraternizzare e parlare parlare delle tue avventure immaginarie, e moltiplicarti nelle tue invenzioni.
La vera livella non è quella che tutti sanno e di cui ha scritto anche il principe-attore Totò, ma l'estate che ti livella facendoti vivere. Ti livella perché dà a te, come a tutti gli altri sulla spiaggia, lo stesso sole, la stessa brezza, la stessa onda fresca.
Quel signore lì potrà avere tutti i miliardi che vuole, ma ora che è nudo è tale e quale a te, e non potrà mai avere un'onda diversa dalla tua, un refolo più di te di brezza iodata, una sabbia più fine. D'altra parte, non sei solo tu che ti puoi inventare, lo potrà fare chiunque a suo piacimento.
Se ti vuoi sentire anche meglio, prendi una barca e allontanati dalla riva. La placida remata accentuerà il fresco della brezza, e sentirai gioia nella tua pelle. Quando sarai al largo lascia i remi e guardati intorno. Ora tutto è diverso. Ovunque tu sia sulla terraferma (in casa, in città o in campagna) vi è sempre un ostacolo che ti chiude l'orizzonte (le pareti della stanza, gli steccati, gli alberi, i boschi, le colline, i monti). Sul mare, no: il tuo sguardo spazia tutt'intorno, e tu ti senti non solo libero come l'orizzonte, ma sano, forte e felice.
Sentirai di somigliare ai navigatori solitari, i quali sono soli per modo di dire, perché chi non ha fantasia non è navigatore solitario, e chi ne ha non è mai solo.
ISOLA VERDE
Ma, a Nettuno, l'estate non ha eletto domicilio solo sulla spiaggia. Ha un altro recapito all'Isola Verde.
Ve ne sono tante di isole verdi, nei mari del mondo, ve n'è una anche a Massaua, sul Mar Rosso; un'isola infernale, d'estate, e paradisiaca, d'inverno, dove il verde è fatto di mangrovie, e le tartarughe marine vanno a deporre le uova.
Ma il verde dell'isola di Nettuno non è fatto di mangrovie, ma di pini romani, e l'isola non sorge dall'azzurro del mare, ma dal verde dei prati. In quanto a tartarughe, non se ne parla nemmeno.
Sì, anche quella che regna qui è sempre estate, ma diversa da quella della spiaggia, diciamo che potrebbe essere sua sorella, una sorella gemella, magari, ma di uovo diverso.
E anche la gente che s'incontra qui è diversa da quella della spiaggia. Quella va pazza per il sole, questa ama l'ombra; quella spreme salute dalla salsedine, questa dalla trementina; quella lascia la casa e corre al mare, questa la casa se la porta dietro come le lumache ed i paguri.
All'Isola Verde vi arrivi uscendo dalla città e prendendo la strada per Velletri. Dopo qualche chilometro un cartello ti dice che devi deviare e, poco dopo, l'isola verde-scuro la vedi levarsi dal verde-chiaro dei prati.
È fatta di 120 ettari di pini romani - quelli che producono pinoli - un bosco cintato in cui è stato costruito un camping, ottima cosa, questa, perché ha fornito un eden agli amanti della natura.
Sotto le chiome dei pini vi è una fluttuante cittadina di tende e " roulottes " che d'estate supera i mille abitanti.
Ha tutti i servizi: luce, acqua, ristorante, tavola calda, pizzeria, mercatino del pesce. Questo per il reparto stomaco; per quello muscoli, vi sono: nuoto nella piscina, tennis, pallavolo, calcetto e danze; il parco giochi, per i piccoli. Tra gli sport sedentari, gare di scopone e bridge. Si gareggia anche in culinaria. E sabato e domenica: cinema.
Se poi qualcuno vuole un diversivo, salta in macchina, percorre sette chilometri ed è al mare.
Ma più che i divertimenti, (i quali, tutto sommato, li puoi trovar dovunque), ciò che attira sono le migliaia di chiome dei pini che si serrano insieme e non lasciano passare la vampa del sole che brucia tutt'intorno; sono i loro tronchi spesso biforcurti disposti in perfetti filari, che diventano colonnati chiusi dalle fitte chiome di aghi; sono questi tunnel di ombra che vanno lontano restringendosi sempre più fino ad arrivare laggiù dove il sole è fuori, come se non osasse entrare, come se avesse trovato scritto: VIETATO L'INGRESSO.
L'aria che si respira qui è anche più corposa di quella del mare, perché è satura di trementina. Sveglia un senso di benessere, e da una leggera ebbrezza.
Gli anziani amano passeggiare fra questi colonnati da soli, o in compagnia, per conversare piacevolmente e pacatamente. I giovani si dedicano allo sport; i bambini si costruiscono con la fantasia il loro Far West, dove le " roulottes " diventano carrozzoni disposti in cerchio per arginare l'assalto indiano.
Si raccoglie qui un mondo internazionale, perché quelli che si portano la casa dietro sono assetati di spazio e di mondo. Vengono, perciò, da ogni parte d'Europa. Così che senti parlare tedesco, francese, inglese ed anche altre lingue più difficili da capire.
Vedi ragazze dalle gambe lunghe, i capelli di grano maturo, gli zigomi alti, gli occhi verdi. Sono vichinghe e valchirie. I loro uomini pacati e sereni fanno tutto con calma. Sono di solito appassionati di archeologia, e sanno meglio di te che, accanto alla pineta, vi sono i resti di una strada romana.
In questo ambiente, se ne hai voglia, puoi imparare tante cose. Basta ascoltare questi stranieri tanto diversi da te. Parlano un buffo italiano incespicoso, ma con un paio di centinaia di vocaboli, riescono a dirti tutto, e a farti dare una sbirciatina in un mondo diverso dal tuo.
Al principio, si sa, queste famiglie straniere rispettose della " privacy " altrui, se ne stanno appartate, ma poi, rotto il ghiaccio, amano conversare e divertirsi.
A fine settimana, le gare, le danze e la buona cucina, insieme al fresco, richiamano molta altra gente e la pineta si tinge di sagra paesana.
I prezzi sono onesti, perciò, se hai la roulotte o la tenda e vieni qui in estate, l'Isola Verde non ti ridurrà al verde.
TRAMONTO
Al tramonto la spiaggia vuota s'immalinconisce. Gli ombrelloni chiusi diventano cipressi. Di lieto umore, invece, è il lungomare, mentre s'accendono le. prime luci. È l'ora della passeggiata fra il duplice filare delle tamerici, alcune delle quali sono riuscite ad afferrarsi per i capelli.
È una folla di ogni età che si muove divisa nei due sensi. I giovani chiacchierano ad alta voce, risuonano esclamazioni e commenti. Molti affondano, voraci, i denti nelle pizzette, altri danno linguate ai gelatini. Si scherza, si raccontano barzellette e si ride a tutta gola. L'aria è piena di " rocks " che salgono dai juxe box dei bar e del luna park che ha fermato i carrozzoni sullo spiazzale del porticciolo. Una frenesia di sedioli volanti, giostre, autopiste ed altre meraviglie in cui i bambini entrano con occhi ridenti e felici.
Il tempo passa, a quest'ora sono tutti intorno alla tavola a casa o in terrazza, ma la maggioranza è fuori. È così bello mangiare all'aperto, quando il ponentino corre fra i tavoli e ha una fresca carezza per tutti, quando nell'aria si sposano in effluvio, amatriciana ed arrosto, sarago ed ombrina, quando i camerieri lanciano sopra le teste dei clienti ordinazioni perentorie con piglio militare, così che una " zuppa di pesce! " finisce per somigliare a un " dietro front! ".
I ristoranti interni o sul lungomare, di piazza Mazzini o del Borgo sono invasi da una folla di uomini in " shorts " e camiciole o magliette, e donne in corto " osée " o in lungo castigato. Tutti sono abbronzati e in tutti canta la salute. È gente eccitata che chiacchiera e ride facile, che vuole mangiare bene e bere meglio, perché è convinta che la felicità è fatta anche di questo.
Si è fatto tardi. Indugiano canti e suoni isolati. Presto si spegneranno anch'essi. La luna è spuntata da tempo; ha aperto una strada d'argento sul mare, ha sostato brevemente come un grosso punto sulla " i " del grattacielo ed ha ripreso il suo eterno viaggio. Ora pende sul Borgo.
Al camping dell'Isola Verde o in città, dalle chiome dei pini o dalle finestre, entrano ridendo le stelle, ed a chi le sa ascoltare raccontano avventure del cosmo.
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