Il confine di Nettuno è segnato, ad est, da Astura, località molto apprezzata fin dai tempi dell'antica Roma. Era una volta terra dei Volsci che si dedicavano alla pirateria.
Nell'anno 416 di Roma, il console Caio Menio vinse in Astura una grande battaglia contro gli anziati, i veliterni ed i prenestini.
Assoggettati i volsci, Roma fece di tutto il lido fino ad Anzio, ma principalmente in Astura, un luogo di ozi raffinati per patrizi e imperatori, e in ville sontuose profuse tesori di arte e di bellezza.
Fra queste ville, una di Marco Tullio Cicerone, il quale ne possedeva ben 18, ma prediligeva quella di Astura, che sorgeva sul mare ed aveva alle spalle una selva di querce e cerri millenari tanto decantati dal grande oratore.
Era qui che Cicerone si riposava dalle sue fatiche, era qui che meditava e preparava eloquenti orazioni che sarebbero state tramandate ai posteri, era qui che si abbandonava al piacere della lettura, o alla tristezza e al pianto per la morte di sua figlia. Fu qui che scrisse il suo Trattato della Consolazione, proprio per trovare conforto alla perdita della sua Tulliola. E molte delle 396 lettere indirizzate da Cicerone al suo grande amico Tito Pomponio Attico parlano delle delizie di Astura. " Non vi è nulla di più sereno, splendido e ameno ", egli scriveva, " Astura è un paradiso ".
Infine, fu qui che, nel 43 a.C.( Cicerone si rifugiò quando lo cercavano i sicari di Antonio, dai quali fu poi ucciso (alcuni dicono in Astura, altri in Formia).
Augusto e Tiberio vi contrassero la malaria, malattia che doveva restare misteriosa per altri 19 secoli, ed alla quale veniva dato un nome buffo: " languidezza di forze ".
Nell'anno 41, nelle acque di Astura, l'imperatore anziate Caligola vide nella remora, che con la sua ventosa si era attaccata al timone della nave, un presagio di morte. Molto probabilmente la remora non voleva dire proprio niente. Comunque, quattro mesi dopo, sul Palatino, Caligola fu ucciso dagli uomini di Cassio Cherea.
Dopo la florida epoca romana, Astura sprofondò nel buio del Medio Evo. Le sue ville ed i suoi templi vennero messi a sacco e a fuoco dai pirati.
Non si trova più traccia di Astura fino al 987, quando il conte Benedetto Tuscolani e Stèfana sua moglie donarono all'abate Leone del Monastero di Sant'Alessio parte dei terreni posseduti in Astura. E i monaci vi costruirono chiesa e monastero. Estinta la famiglia dei conti Tuscolani, Astura passò a Leone e Manuele Frangipane loro parenti.
Il nome dei Frangipane restò legato ad Astura più per opera di un poeta che degli storici.
Nel bagaglio culturale di diverse generazioni di italiani vi è la poesia di Aleardo Aleardi che parla del Castello di Astura. Io stesso me la sono recitata tante volte, ed evocato dalla magia del verso, mi son visto riapparire " ermo, bruno, sinistro ", il castello d'Astura, e i corvi che ne cingono " volando le torri ". Ho sentito il vento imitare " il suono di cadente scure ", e ho visto l'onda " di sangue incolorata ", che " sempre ne flagella il fondo ". Corradino giovinetto mi è apparso " pallido e bello e colla chioma d'oro ", mentre toccava " la sponda dopo il lungo e mesto remigar della fuga. Avea la sveva stella d'argento sul cimiero azzurro, avea l'aquila sveva sul mantello ".
Ed ecco " sul perfido ponte... in sembianze di blando ospite ", il traditore Giovanni Frangipane, che poi - dice sempre l'Aleardi - l'arresterà nel sonno per consegnarlo a Carlo d'Angiò che, in Napoli, il 22 ottobre 1268, lo farà decapitare.
Le forti tinte di questa poesia, che s'imparava a memoria alla seconda ginnasiale, impressionavano talmente noi ragazzi, che io e i miei compagni di classe fummo portati a odiare un vecchio professore, anche se era il più buono del liceo - ginnasio, solo perché si chiamava Frangipane.
Suggestionati dai versi dell'Aleardi, lo vedevamo in una luce sinistra, e lo immaginavamo dedito a chi sa quali pratiche mostruose.
Gli facemmo tanti dispetti: se usciva dall'aula durante le ore di lezione, al ritorno gli poteva capitare di sedere sul bagnato, perché avevamo messo del liquido sulla sedia, o di non riuscire a scrivere, perché vi era dell'olio nel calamaio, o di trovarsi schernito sulla lavagna in scritte e disegni caricaturali, oppure di accorgersi che il suo nero cappello duro era tutto sporco di gesso.
Eppure non diceva nulla: si limitava a guardarci con i suoi occhi stanchi e addolorati.
Gli rendemmo la vita difficile, e ne sento ancora il rimorso, tanto più che ora, essendomi interessato alla Vicenda di Corradino, mi son dovuto convincere che l'Aleardi si lasciò prendere la mano dalla musa, e distorse talmente la verità, che la sua poesia potrebbe essere considerata un falso.
Anche se molti storici lo affermano, secondo me Giovanni Frangipane non è un traditore.
Chi erano i Frangipane? Appartenevano ad un'antica, grande famiglia dalla quale - dice il Tommaseo - ebbero origine gli avi di Dante Alighieri. Erano così potenti da costringere, nel 1118, papa Gelasio II a fuggire in Francia, ove morì l'anno dopo, nell'abbazia di Cluny. E tuttavia sostennero validamente Innocenzo II contro l'antipapa Anacleto. In una lettera scritta nel 1218 papa Onorio III esaltò " l'invitta fedeltà di generazione in generazione dei Frangipane per la Chiesa romana ".
I Frangipane erano signori di Astura dal 1141. L'ebbero in enfiteusi Leone e Manuele, e vi costruirono la rocca. Del castrum di allora con più chiese ed altri edifici, e cinto di solide mura, non restano che miseri ruderi; ma la rocca, più volte restaurata, s'impone all'attenzione di chiunque da Nettuno guardi verso il Circeo. È il più bell'esemplare di torre pentagonale fortificata. La progettò l'architetto Mariano di Giacomo, detto il Taccola, però venne poi modificata dai Colonna.
Ma veniamo ai fatti. Com'è noto, il 22 e 23 agosto 1268, a Scurcola, presso Tagliacozzo (Abruzzi), avvenne la battaglia tra le forze di Carlo d'Angiò e quelle dell'adolescente Corradino di Svevia, sulle cui esili spalle pesava una responsabilità più grande di lui. Sedici anni son pochi per guidare un esercito.
Dopo la dura sconfitta, Corradino, con alcuni nobili tutti travestiti da contadini, tentarono dì riparare in Toscana.
E qui conviene dare la parola agli storici:
Collenuccio Pandolfo (1444-1504), nel suo Compendio della Istoria del Regno di Napoli, dice che " Corradino, con il duca d'Austria, meschini giovani accompagnati da Galvano Lanica e Galeazzo suo figliuolo ed uno scudiero, investiti in abiti d'asinari, avendo errato tre dì per i boschi, né sapendo dove andare, finalmente pervennero per lor malasorte, nel bosco d'Astura, in Ripa Romana, .sopra la marina, ove vedendo una piccola barca di pescatore lo pregarono (sic) li volesse condurre ai lidi di Siena o di Pisa ".
Occorrevano dei viveri, per i quali il pescatore chiese del danaro che essi non avevano. Gli diedero un anello perché lo vendesse, cosa che egli fece. Ma era inevitabile che egli parlasse dei " due giovani di bello aspetto ma malvestiti " che gli avevano dato l'anello prezioso. Ottenuti i viveri, il barcaiolo " se ne tornò alla marina e dati de' remi in acqua... s'inviò al cammin disegnato. La fama di questa cosa... pervenne alle orecchie di Giovanni Frangipane... il quale subito s'avvisò uno di quei giovani esser Corradino, il quale Carlo d'Angiò con molta diligenza faceva cercare. Onde subito armato un galeone, lo mandò alla volta della barca del pescatore e raggiuntala, presi i poveri signori, li condusse all'Astura.
" La fama velocissima della presa di Corradino andò a Carlo, ed egli per non perdere tale preda, con mirabile cele-rità cinse Astura per mare e per terra colle genti d'arme... e tanto fece che l'ebbe nelle mani, e con lui tutti i suoi compagni... ".
G. A. Summonte (1540 - 1602) nella sua Storia della città e del Regno di Napoli, narra che " Corradino ed i suoi compagni arrivarono alla spiaggia di Roma sconosciuti in abiti di contadini, presso una terra chiamata Astura, la quale era di due fratelli della famiglia Frangipane, l'uno chiamato Pietro e l'altro Giovanni... Ivi fermatisi alquanto patteggiarono una barca, ove entrati sconosciuti, uno dei fratelli signori del luogo, veggendo belli giovani e di gentile aspetto, avendo già inteso che l'esercito di Corradino era stato rotto ed egli esser fuggito, giudicò esser Corradino un di quei giovani e con questa occasione poter divenire ricco col prenderli e darli in mano a Carlo (come poi fece) ".
Ludovico Muratori (1672-1750) nei suoi Annali d'Italia, dice che Corradino e compagni " presero travestiti la via della maremma con pensiero di tornarsene a Pisa. Arrivati ad Astura noleggiarono una barchetta, ma perché furono riconosciuti per persone di alto affare, Giovanni Frangipane li prese... ".
Ferdinando Gregorovius, storico e poeta tedesco (1821 -1891), nella sua Storia della Città di Roma, dice: " Corradino fuggì per la campagna, traversò la via Appia e si mise per le maremme sotto Velletri e giunse al mare vicino ad Astura... I fuggiaschi si misero in un battello sperando di giungere all'amica Pisa, ma Giovanni Frangipane, signore del castello... cacciò nelle loro tracce dei rapidi vogatori, forse lo fece di proprio impulso, forse perché erano state pubblicate lettere del Papa e di Carlo con l'ordine di catturare i fuggitivi. Arre-statigli nel mare li condusse al castello di Astura... ".
Sempre secondo il Gregorovius, il Frangipane si trovò sottoposto a due pressioni, quella di Roberto di Laveno, ammiraglio di Carlo, in nome del quale egli chiese che gli fosse consegnato Corradino, e del cardinale Giordano da Ter-racina che chiedeva, a sua volta, la consegna dei prigionieri, come " scomunicati della chiesa e malfattori presi nel suo territorio... ".
Finì per cedere al più forte, cioè all'ammiraglio, che li consegnò, poi, a Carlo, in Genazzano.
Ora, torniamo alla poesia dell'Aleardi. Se la confrontiamo con quanto hanno detto gli storici, ci accorgeremo che Corradino in fuga s'era guardato bene dall'indossare il cimiero azzurro con la stella d'argento e il mantello con l'aquila sveva. Era, infatti, vestito d'asinaro. Non era giunto all'Astura remigando, ma per via terra. Inutile aggiungere che chi visitasse il castello, invano cercherebbe di distinguere nel soffio del vento il tonfo della bipenne che recise il capo a Corradino, né tanto meno potrebbe scorgere il sangue nell'onda che flagella il fondo del castello.
Ma non basta: sul castello d'Astura non vi sono stati mai corvi, perché dove vi sono i gabbiani, i corvi non ci sono.
Anche la bella fine della poesia, in cui la madre di Corradino chiede all'aquila sveva che torna al suo Reno se ha visto suo figlio ha una base falsa. Infatti, Corradino fu esumato e sepolto nella chiesa del Carmine, solo dopo che l'imperatrice Margherita, sua madre, si recò a Napoli e fece intervenire l'arcivescovo Anglerio.
Come si vede, l'Aleardi non ne ha azzeccata una, e tuttavia, fino a questo punto, non vi è nulla da obiettare perché, non essendo egli uno storico, non ha alcun dovere di rispettare rigorosamente i fatti. Con la sua fantasia, può volare anche più alto dell'aquila sveva che torna al natio Reno.
Invece, non mi sembra giusto che Giovanni Frangipane sia stato tramandato ai posteri come un infame, il quale avrebbe accolto Corradino da amico ed ospite, per poi tradirlo ed arrestarlo nel sonno.
E vero che l'Aleardi non è uno storico, ma generazioni di studenti gli hanno creduto, e probabilmente molti di coloro che hanno scritto di Corradino sono stati influenzati dall'Aleardi.
Con tutta la buona volontà, non mi pare che nel nostro caso si possa parlare di tradimento. Si tradisce un parente, un amico, un alleato, qualcuno cui si è vincolati da un contratto o da una promessa. Ora, mentre i Frangipane erano legati tanto a Clemente IV che a Carlo d'Angiò, non avevano legami con Corradino, ed anche se è vero che in epoca lontana avevano avuto dei favori dagli Hoenstaufen, poi si erano guastati ed erano stati in cattivi rapporti con Manfredi, zio di Corradino, ucciso due anni prima nella battaglia di Benevento.
E Corradino doveva saperlo, altrimenti, giunto all'Astura, invece di noleggiare una barca (su questo tutti gli storici concordano), si sarebbe rivolto allo stesso Frangipane.
Giovanni Frangipane lo arrestò e lo consegnò agli uomini di Carlo, re amico, il quale, come aveva fatto Clemente IV, aveva dato ordine di arrestare Corradino. Giovanni Frangipane, dati i suoi rapporti col Papa e col Re, doveva ad essi obbedienza. Come mai l'aver eseguito i loro ordini sarebbe tradimento?
Piuttosto, non si sarebbe invece il Frangipane comportato male, sia verso Carlo che verso Clemente IV, se avesse lasciato fuggire, o avesse addirittura protetto lo " scomunicato " Corradino?
Si tenga presente che Corradino, che rivendicava il regno di Puglia e di Sicilia, e sosteneva la dottrina della separazione della chiesa dallo stato, rappresentava tale un pericolo per Clemente e Carlo che, secondo lo storico Guldenfingen Costan-tiense nelle sue Croniche d'Austria, quando Carlo chiese a Clemente che cosa dovesse fare di Corradino prigioniero in Napoli, il Papa gli avrebbe risposto: " Vita Corradini mors Caroli, mors Corradini vita Caroli ".
Concludendo, io non ho inteso difendere gli angioini contro gli svevi. So bene che la fine degli Hoenstaufen ha ritardato la marcia della civiltà. E per quel che riguarda Corradino, sono anch'io sensibile alla triste sorte del nobile giovinetto, la cui morte commosse l'Europa.
Ho voluto soltanto difendere la memoria di un uomo bollato con troppa facilità col marchio di traditore, o forse ho voluto fare ammenda dei dispetti che feci ad un povero professore dagli occhi tristi che si chiamava Frangipane.
Che cosa avvenne poi del castrum di Astura, della stupenda selva di colossi arborei e della sua rocca?
Erano passati 18 anni dall'arresto di Corradino, quando, inviato da re Federico di Sicilia, arrivò con la sua flotta Ber-nardo da Sarriano, che espugnò Astura e ne mise a sacco ed a fuoco il castello.
Nella sanguinosa battaglia, il figlio di Frangipane cadde
ucciso da un colpo di lancia. *
Dopo di allora, Astura seguì la sorte di Nettuno e passò ai vari feudatari che si avvicendarono ad ogni successione di papa.
Andò prima ai Gaetani (1303), poi ai Malabranca, sotto i quali, nel 1328, la rocca venne incendiata ancora una volta da una flotta siciliana; nel 1329, per volere del papa Giovanni XXII venne divisa a metà fra i Malabranca e Margherita Colonna, la quale, nel 1355, donò la sua parte all'ospedale di Santo Spirito. Divenne poi degli Orsini (1372), dei Colonna (1424), dei Borgia (1501), tornò ai Colonna (1503), passò ai Carafa di Napoli (1556), fu ripresa dai Colonna e da questi venduta, nel 1594, alla Camera Apostolica, che ne mantenne il possesso fino al 1857, quando la cedette al principe Camillo Borghese.
Da allora è passato oltre un secolo che ha visto grandiosi avvenimenti: gli stati d'Italia uniti in un regno, due guerre mondiali, la repubblica. Il Lazio è passato dal papa al re e dal re al popolo.
Il feudo di Nettuno, una volta considerato il granaio del Lazio, si è andato sempre più restringendo e impoverendo. La immensa sua selva millenaria che Cicerone amava venne distrutta nel 1887.
Il grande feudo venne diviso, sminuzzato, ceduto. Astura è stato acquistato recentemente da una società immobiliare e vi è chi teme che anche ad Astura la speculazione edilizia possa sbarrare il mare.
Fortunatamente - dicono altri - fino a quando vi è il Poligono, Astura rimane zona di rispetto e non si tocca.
Coi tempi che corrono - dico io - non si può mai sapere.
Che cosa avvenne poi del castrum di Astura, della stupenda selva di colossi arborei e della sua rocca?
Erano passati 18 anni dall'arresto di Corradino, quando, inviato da re Federico di Sicilia, arrivò con la sua flotta Bernardo da Sarriano, che espugnò Astura e ne mise a sacco ed a fuoco il castello.
Nella sanguinosa battaglia, il figlio di Frangipane cadde ucciso da un colpo di lancia. Dopo di allora, Astura seguì la sorte di Nettuno e passò ai vari feudatari che si avvicendarono ad ogni successione di papa.
Andò prima ai Gaetani (1303), poi ai Malabranca, sotto i quali, nel 1328, la rocca venne incendiata ancora una volta da una flotta siciliana; nel 1329, per volere del papa Giovanni XXII venne divisa a metà fra i Malabranca e Margherita Colonna, la quale, nel 1355, donò, la sua parte all'ospedale di Santo Spirito. Divenne poi degli Orsini (1372), dei Colonna (1424). dei Borgia (1501), tornò ai Colonna (1503), passò al Carafa di Napoli (1556), fu ripresa dai Colonna e da questi venduta, nel 1594, alla Camera Apostolica, che ne mantenne il possesso fino al 1857, quando la cedette al principe Camillo Borghese.
Da allora è passato oltre un secolo che ha visto grandiosi avvenimenti: gli stati d'Italia uniti in un regno, due guerre mondiali, la repubblica. Il Lazio è passato dal papa al re e dal re al popolo.
Il feudo di Nettuno, una volta considerato il granaio del Lazio, si è andato sempre più restringendo e impoverendo. La immensa sua selva millenaria che Cicerone amava venne distrutta nel 1887.
Il grande feudo venne diviso, sminuzzato, ceduto. Astura è stato acquistato recentemente da una società immobiliare e vi è chi teme che anche ad Astura la speculazione edilizia possa sbarrare il mare. Fortunatamente - dicono altri - fino a quando vi è il Poligono, Astura rimane zona di rispetto e non si tocca. Coi tempi che corrono - dico io - non si può mai sapere.
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