Almeno una volta nella sua vita ognuno
ha sognato di avere le a li;
il timido quelle della tortora,
il coraggioso quelle dell'aquila;
ma io volevo di più,
ed ho scelto quelle del rondone.
Fra le cupole di cielo che s'incurvano sulle città d'Italia, una delle più azzurre è quella di Nettuno.
E' un cielo ridente, vicino ed amico, un grande anfiteatro alla rovescia, in cui si svolgono spettacoli colossali di nuvole. Regista e coreografo: il vento.
In certi giorni di autunno o primavera, passano nell'azzurro bianchi cirri che, spinti da un soffio continuo ed uguale, assumono .forma eguale. Sembrano, ad esempio, tartarughe in fila che avanzino lente, attratte da una mèta oscura ed irresistibile, o navi con vele d'argento sulla rotta dell'infinito. Altre volte, le nuvole salgono compatte come una muraglia, dietro l'arco dei monti che va da est a nord - ovest, e nascondono il sole che, tuttavia, ne ravviva gli orli.
Il vento si diverte a modellare, questi orli, con inventiva mutevole e bizzarra, così che puoi vedere in essi profili di vegliardi dalla candida barba ricciuta trasformarsi in buffi volti dal grosso naso o dalla bocca spalancata, in alberi, coccodrilli, leoni o draghi. Non di rado il grande coreografo gioca con le nuvole leggere: le allunga, le sfiocca in veli sottilissimi, le modella in arabeschi, le raccoglie in volute, o dirada in estrosi drappeggi di rara eleganza.
D'inverno succede, ma non spesso, che il cielo venga nascosto da un fitto sipario di nuvole. Anche qui, a volte, interviene il coreografo: scatena tremende mischie e battaglie di orrida bellezza e, nello stesso tempo, solleva paurosamente il mare.
Ma qui, a Nettuno, a differenza di altre città meno fortunate, dove il cielo si copre per lunghi giorni, e pare che il sole sia andato a finire in un'altra galassia, dopo un giorno o due al massimo, di solito torna il sereno. Nell'aria lavata dalla pioggia brilla una luce cristallina che inonda la città e ne accende i colori. Si scorgono allora, sulla destra, Anzio adagiata sul mare e, sulla sinistra, la sagoma severa di Torre Astura e la " leonessa " del Circeo.
GLI AEREI
Ogni giorno, la cupola azzurra viene tagliata da linee bianche che avanzano decise. Fanno pensare a rette tracciate lentamente col gesso sulla lavagna. Sono aerei di linea che, da varie parti del mondo, vanno a scaricare a Fiumicino un ricco campionario umano, o da Fiumicino lo smistano a varie parti del mondo, oppure sono aerei militari che viaggiano verso mète a me ignote. Penso che il trovarsi soli nello spazio, chiusi nel silenzio di un jet supersonico debba inebriare più di qualsiasi vino e di qualsiasi droga. Volano così alti che non se ne avverte il rombo e, se non fosse per la loro candida scia che si staglia contro l'azzurro, passerebbero inosservati.
Quando lassù non c'è vento, queste bianche ferite restano a lungo, ma di solito si aprono, si arricciano capricciosamente, diventano nuvole e pian piano si dissolvono.
Verso sera, l'aspetto degli aerei e delle loro scie diventa più suggestivo. Il sole, per noi già tramontato, ma che lassù arriva ancora, li indora e trasforma in favolose comete.
I GABBIANI
Nelle giornate di maltempo, quando il mare biancheggia ed assale le dighe, stormi di gabbiani incrociano alti sulla città.
Con ali tanto possenti, quanto pigre, sfruttano le correnti d'aria che, come fiumi invisibili, attraversano il ciclo. Vi scivolano sopra. Ma spesso lo stormo forma un carosello di ali distese, che s'innalza sempre più e sembra avvitarsi nell'aria.
I gabbiani sono grandi amici dei naviganti, li accompagnano quando partono, gli vanno incontro quando arrivano. E allorché, sui pescherecci che tornano, gli uomini scelgono il pescato e buttano a mare lo scarto, a poppa è tutto un festoso sfarfallìo di ali.
Con l'eleganza delle sue forme e la forza delle sue ali, il gabbiano ha conquistato, da tempo immemorabile, il cuore dell'uomo. È' entrato nella mitologia ed ha invaso le arti.
Ma non è molto di casa, il gabbiano, qui a Nettuno. Resta assente per lunghi periodi. Ritorna col maltempo, o quando un banco di piccoli pesci si accosta alla riva. E tuttavia ne passa sempre qualcuno, frettolosamente, piuttosto al largo, forse un esploratore che chiamerà i compagni non appena avvisterà la preda.
I RONDONI
Anche se solo per un quarto dell'anno, i veri padroni del cielo di Nettuno sono i rondoni. Volano innumerevoli ad altezza, velocità e direzioni diverse. È un incontrarsi, un inseguirsi, un intrecciarsi, un mescolarsi rapido e vigoroso.
Spesso, quando s'inseguono, i rondoni vengono giù e risalgono in fulminea impennata, altre volte scendono in modo buffo, incrociando le ali sulla coda, oppure calano elegantemente con le ali avvicinate in alto, così da far pensare a quelle semichiuse di una farfalla, o alle braccia alzate di una danzatrice. A volte si riuniscono in gruppi di venti, trenta e anche più, e improvvisano un chiassoso carosello in cui ognuno di essi emette il suo " srii ".
Osservando queste creature leggere e giocose, viene fatto di pensare che uno Stravinski avrebbe potuto tradurre in musica il loro volo possente, estroso ed acrobatico ed il loro gridìo festoso, mentre un Diagilev avrebbe potuto riattingere dalla musica il movimento, per riplasmarlo nel raffinato linguaggio del balletto.
Si è spesso dato il primato della potenza di volo ai rapaci. In effetti, specialmente gli avvoltoi e i falchi, rimangono in cielo per ore. Tuttavia, in proporzione, la potenza alare dei rondoni è di molto superiore. Simili ai gabbiani, i pigri avvoltoi volano senza sforzo perché planano: sono alianti perfetti. Spesso si rincorrono nel cielo e pare che giochino. In realtà bisticciano, e cercano di strapparsi vicendevolmente la preda dagli artigli.
I rondoni, invece, creature liete, giocano sul serio. Ricorrono alla planata solo per brevi tratti. Battono continuamente le ali, cosa che richiede uno sforzo di gran lunga superiore a quello dei rapaci. Sembrano ansiosi di velocità, tesi a superare se stessi.
Il rondone è stato creato per il volo rapido e possente, come il canguro o il levriero per la corsa. La sua figura in volo ricorda l'arco teso con la freccia incoccata. La linea curva delle ali, dalle penne dure quasi taglienti, offre all'aria la minima resistenza; in proporzione all'apertura d'ali, il corpo è piccolo; la coda è un perfetto timone; la testa, fatta per tagliare facilmente l'aria, è schiacciata; gli occhi, nerissimi e grandi, hanno vista acutissima; la bocca è larga perché gli insetti vi entrino facilmente. Le zampe sono retrattili come i carrelli degli aerei, ma talmente corte che, se un rondone cade a terra, si trova in difficoltà.
Infatti, a differenza degli altri uccelli, non è capace di spiccare il salto che precede il volo. Così le sue lunghe ali, pur essendo articolate da muscoli d'acciaio, battono goffe ed impotenti il suolo. Si ha l'impressione penosa che suscitano tutti gli animali eleganti fuori del proprio elemento; ad esempio, un cigno, un pinguino, una foca, un pesce.
Diversamente dalle rondini che si posano sui fili del telegrafo o, quando raccolgono argilla per il nido, sul greto dei fiumi, i rondoni non si posano mai, salvo che per entrare nel nido. In realtà le quattro dita, tutte volte in avanti, non solo non gli consentono la presa, ma nemmeno di stare ritti sulle zampe. Possono soltanto aggrapparsi tenendo la testa in alto, e lo fanno puntellandosi anche con la coda.
Vi è un momento in cui le loro ali battono così rapide che l'occhio non l'avverte. È' quando precipitano in picchiata, per poi salire ad angolo acuto, a velocità incredibile. A volte si afferrano e precipitano insieme; pare che si azzuffino e, invece, si amano, perché il rondone si accoppia in volo.
Il rondone fa il nido ovunque gli sia possibile, ma preferisce i coppi dei tetti, e specialmente quelli terminali. Così, quando esce dal nido, si lascia cadere nel vuoto e quindi stacca il volo. Per entrarvi è egualmente facile perché le zampette hanno artigli robusti. Quando, aggrappato al coppo terminale, sta fermo con la testa in su prima di entrare nel nido, le sue ali pendono, e fanno pensare a quelle lunghissime, attaccate alle spalle di certi angeli che appaiono in antichi dipinti. Ma spesso infilano la stretta entrata del nido a grande velocità, lasciandoti lì perplesso a chiederti come facciano a non farsi male.
Questi passeracei, che arrivano a Nettuno in aprile e ripartono alla fine di luglio, sono cacciatori formidabili. Il peso degli insetti che mangiano in una giornata è superiore al loro stesso peso. Volatori instancabili, liberano il cielo da milioni di insetti nocivi. Cacciano tenendo aperta l'ampia bocca ed arrivano a grande velocità sulla preda, la quale, prima di accorgersene, è già nello stomaco. Il loro volo sembra volubile, ma ciò è dovuto al fatto che sono sempre sulla traccia degli insetti.
Una volta mi capitò di trovare un rondone per terra. Non so come fosse caduto. Batteva goffamente le ali. Faceva pena. Lo raccolsi e lo guardai. Era bello e severo: tutto nero con una macchia bianca sotto il collo: un uccello in abito da sera. Lo lanciai in aria e subito riacquistò tutta la sua agilità. S'impennò, sfrecciò via cambiando continuamente direzione, quasi giocasse col cielo. Festeggiava la ritrovata libertà ubriacandosi di azzurro.
Questi esseri meravigliosi, che mangiano in .volo e bevono a volo radente dai laghi e dai fiumi, non somigliano a nessun altro pennuto. Se a dirmelo non fosse stato il dott. Carlo Prola, autorevole naturalista che fa documentari per la tivvù (molti di voi avranno visto quello sul pettirosso girato qui a Nettuno), e non ne avessi trovato conferma in " Uccelli d'Europa " dell'ornitologo Bertel Bruun, edizione Mondadori, mi rifiuterei di credere che, se si fa eccezione del periodo della cova - e ciò vale particolarmente per la femmina - i rondoni non si fermano mai. Sono in volo giorno e notte e quando vogliono dormire lo fanno planando.
Anche la morte del rondone sembra inventata. Mi è stato assicurato che è vera, ma questa volta non ho prove a sostegno. Vera o falsa che sia, è così bella che ve la ripeto.
È una fine eroica. Quando sente che le forze cominciano a mancargli, il rondone invece di fare come tanti altri esseri viventi che si appartano e attendono in silenzio la morte, si ribella.
Parte in quei pazzi voli che richiedono il massimo sforzo. Piomba verso terra, poi, fulmineo, inverte la direzione. Sale in verticale con uno slancio irresistibile. Più su, sempre più su per poi sfrecciare giù e risalire ancora e ancora, fino a quando non gli scoppia il cuore: un infarto, sì, proprio un infarto.
Allora il rondone compie il suo ultimo tuffo verso la grande estranea, la grande nemica su cui non ha mai posato zampa: la terra.
TEMPO DI MIGRARE
Fine luglio. Il cielo è nuvoloso. La pioggia è appena cessata. Alto sul Borgo, uno stormo di rondoni. Migrano a migliaia. Volano in processione e puntano alla lontana Africa.
Questa volta il loro volo non somiglia a quello di sempre: è lento e planato. Sembra triste, quasi rispondesse di malavoglia al prepotente richiamo d'oltremare.
Dànno l'addio agli antichi tetti del Borgo ed al cielo di Nettuno che, per tre mesi, hanno solcato in evoluzioni sfrec-cianti e giocose.
Volano contro vento, come le cavolaie che osservavo in Africa. Queste candide farfalle ubbidivano anch'esse ad un misterioso ed irresistibile richiamo. Erano così fitte e leggere che facevano pensare allo sfarfallìo della neve. Il loro passaggio durava alcuni giorni.
Ma non andavano a trovare il cielo di un altro continente. Ubbidivano alla legge inesorabile della riproduzione. Andavano a deporre le uova per morire subito dopo. E il ciclo si chiudeva.
Il volo candido e lieve delle farfalle pareva lieto e andava verso la morte, quello nero dei rondoni sembra funereo e va verso la vita: ingannevole questione di colore.
Questi rondoni che partono lasciano qui gli ultimi nati, quelli che, nei caroselli chiassosi dei giorni scorsi, si sono irrobustite le ali, in preparazione del volo d'oltremare. Saranno gli ultimi a partire. Come faranno a trovare la strada? Mi vado sempre più convincendo di qualche cosa che ho intuito da tempo, vale a dire che ciò che noi nella nostra ignoranza chiamiamo istinto altro non è che l'attuazione di quanto è programmato nei geni.
In altri termini mentre noi non possiamo trasmettere attraverso i geni molte delle nostre esperienze, gli animali una volta che le hanno fatte le passerebbero geneticamente ai figli.
Ciò spiegherebbe non solo perché questi rondoni, che ,, partono dopo che gli adulti se ne sono andati, sanno perfettamente la loro mèta, ma anche perché le ceche di anguille, vanno direttamente al loro fiume, o perché i tessitori sanno cucire il nido.
Quando gli ultimi rondoni se ne saranno andati, solo i . pipistrelli radar - guidati voleranno sul nostro capo. Sentiremo la loro mancanza. Né varrà a consolarci il pettegolo chiacchierìo dei passeri che al crepuscolo si raccoglieranno sui lecci per raccontarsi le loro piccole avventure. Nel cielo deserto vedremo passare ogni tanto, col loro volo ondeggiante, le cutrettole dirette anch'esse al convegno del crepuscolo.
Addio rondoni, liete creature dell'estate. Coi vostri folli voli avete rallegrato l'azzurro; le vostre ali ardimentose sprigionavano gioia. È' solo fine luglio, ma la vostra partenza ci porta già un presentimento d'autunno che tinge il cielo di malinconia. |