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CRITICA STORICA
E STILISTICA NELL'ARTE
DI LAMBERTO CIAVATTA

a cura di

ARCANGELO JURILLI

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Premessa

Come il lettore avrà notato, nel titolo di copertina con intenzione è anteposta la critica storica a quella stilistica. Tutti i rapporti di idee, sentimenti, istinti, volontà, azioni, eventi si svolgono dentro un circolo di realtà. La storia è germinale, generatrice di sistemi. L'effusione del segno, venuta dopo, è già distanziata ma pur sempre organicamente coordinata con la realtà di natura.
Dunque resta fermo che un sistema di condizioni storicistiche è dominante nella creazione dell'opera d'arte. Questa opera è la pianta fertile di fiori e frutti, affondata con le radici in un centro profondo di umori terrigni. C'è sempre un centro propulsore: il cuore centro degli affetti e delle passioni, la bocca centro di baci e di sputi, il sesso centro dell'estasi e della procreazione. Solo talune correnti d'arte attuali sono prive di centro, come appresso vedremo. Si spiega pertanto che il dipingere è già aver dipinto, cioè aver vissuto in un'interiorità pensata, goduta e sofferta: ed è una tattile verità che Raffaello sarebbe stato grande anche se non avesse avuto le mani.
Stabilita una sopra-sotto-individualità che si chiama artista, la storia ha una rivivescenza in lui mediante passaggi palesi o nascosti in alto e in basso, ciò che in termine moderno viene detto transfert. Lamberto Ciavatta è l'esempio probante d'una circolarità di rapporto materia-spirito-forma interna-ricerca-forma esterna. Mi piace scrivere di lui che coltiva l'arte del nucleo della vita, dell'orlo della coscienza, dell'invocata fecondità, dell'anelito d'una nuova esistenza e della rodente domanda: quale?
Ho cercato di dare spazio alla critica adeguandomi alla spazialità ideosa e stilistica di questo artista nel quale vi sono strani abissi e folate di vento devastatore della natura e dell'uomo, mentre so bene che tra scuole correnti e tendenze dell'arte e della critica oggi, lo spazio è bloccato da immobili gelidi cristalli di grotta, in contrasto con la spazialità degli ultimi settantenni di storia mondiale. Ma anche il circolo tracciato da Giotto su foglio bianco e mostrato al Pontefice come simbolo dal finito all'infinito e ritorno non fu che una bravata, perché quel circolo venne interrotto dagli eventi storici di quegli anni. Negli anni nostri poi il viaggio circolare è ridotto ad una mera " ciambellanità ". Ciavatta riprende il segno giottesco ed io lo seguo da presso.
Nelle prime pagine di questo saggio Lamberto Ciavatta non è affatto nominato. Eppure, per contrasto, la sua sagoma si profila da una vicina lontananza. Il lettore che in quelle pagine è condotto lungo una successione di non, proverà l'impazienza d'incontrarsi con una serie di si. Ma il lettore deve riflettere: che senso avrebbe avuto il " Paradiso " della Divina Commedia, si fa per dire, un passaggio ordinato di nuvole migranti colorate di teologia,

se non fosse stato articolato con le negazioni dell'" Inferno "? I due primi capitoli segnano il tragitto sinuoso del serpente che si insinua nell'iconologia con trapassi, correlazioni, analogie, assalti e rotture.
Già da queste prime note il lettore può scorgere un metodo critico nello stabilire le antitesi. Ho inteso elevare una solida costruzione in una zona deserta. Primo atto dell'architetto è quello d'ispezionare il terreno, sabbia, sterpi, pietre e soprattutto profondità. Ecco perché, come già detto, si vuoi discendere prima chi Ciavatta non è, per passare poi a spiegare chi egli è, affinché dall'opposizione emerga più vivida la verità. La tecnica esplicativa non è nuova. Ancor prima di Dante, l'ha impiegata Cristo in talune sue parabole, in certi atti della sua vita e particolarmente nella sua stessa morte e resurrezione. Narrano gli Evangeli che un giovane viveva tra le tombe d'un cimitero ed era posseduto da spiriti demoniaci. Lo menarono a Gesù che scacciò i demoni dal suo corpo trasferendoli nei porci. E dunque, prima dell'intervento carismatico, preesistevano le condizioni avverse, il cimitero, il suo ospite e i porci. Non vorrei stradire, Ma siamo sinceri: non esistono anche adesso quelle condizioni? i vasti cimiteri magari senza tombe, i suoi abitanti, i porci grufolanti tra le immondizie?
All'arte corrente si potrebbe adattare il giudizio di Daniele: " tu sei stata pesata sulla bilancia e sei stata trovata mancante - 5, 23, 27 ". Mancante: mancante in una plastica mercificata da sottosviluppo nella quale i centri di percezione appetiscono solo necessità elementari. E' un lavoro per ordigni,

lavoro per trovarobe, per capomastro, per lineaio e colorajo. Sono mostre in cui lo sperimentalismo (?) posa gli oggetti - reticoli, scacchiere, scomparti, griglie, progetti programmati per designers - col marchio della precarietà come nelle fiere dei paesi. Vi domina il dio montaggio, signore di automatismi ridotti a frazioni pulciose, il cui limite critico è il micron verbiloquio, agghindato sì ma futile. Natura morta, veramente morta. I mattini dell'arte sono mancanti di freschezza e di luce, e abbondano di secchezza e sudore sopra un volto vecchio.
Ma Ciavatta solitario, meditativo, necessitato, visto che la parola dipinta oggi è una sfrontata coi pugni sui fianchi, dato che la forma sembra fuoriuscita non già dalla fronte attraverso le dita, ma dai buchi del corpo, dipinge il limite della parola quale può essere il silenzio rattenuto oppure il grido. La sua tematica si svolge nei modi dell'epica il cui carattere essenziale è l'eroismo dilatato fino a lontani confini. Nella sua opera l'uomo è soggetto passivo, vittima d'umiliazione nella notte della storia. Ma lo stesso uomo inizia dal sacrificio un tentativo di liberazione, getta il bastone del cieco e si scrolla dell'80% di tutto il sebo tropaico di cui era incrostato. Questo artista ha l'inaudito coraggio, dati i tempi, di non girare al largo dal divino come fosse un campo minato, e di versare nei suoi modelli effusioni di sacralità. Ma sono tanti coloro che,, rannicchiati dietro i limiti, non discernono altre possibilità che non siano quelle della lunghezza del proprio naso.
Così non sono molti gli illuminati da una cultura seria il cui interesse possa esser attirato sull'opera di Lamberto Ciavatta che del resto non ha un fine istante, ma teso ad un domani indeterminabile, quando le linee delle azioni e i colori degli impulsi saranno immuni da esibizioni nevrotiche troppo facili per non essere diagnosticate come sintomi gestuali e verbali d'uno stato abnorme. Infatti in questo stivale che si chiama Italia attualmente scorazza il miles gloriosus (il soldato millantatore) di ogni estrazione, e appunto il millantatore artista o letterato che sia. Lamberto Ciavatta non ravvisa una ragione soggettiva ed obiettiva di non fare arte, e di fare qualche altra cosa che sta dietro. Che cosa sta dietro l'arte? Si vedrà nel prossimo capitolo " Inondazione antiumana ".
Concludo la " Premessa " riallacciando la fine del tracciato col principio. Non è solo lo stile, ridotto a tecnicismo operativo, a prevaricare sull'idea-contenuto, e spesso a sostituirsi ad essa; ma questo squilibrio adualistico pesa più grave sul semanticismo della parola del critico. Nella comune critica delle opere d'arte (ed anche in quelle di Ciavatta purtroppo) si nota il soverchiamente dell'elemento cronocale e ambientale su quello formale, ed anzi talvolta nessuna critica sulla mimesi e lo stile: quali sono le dimensioni, i volumi, i toni, i rapporti, i passaggi lineari e cromatici, le armonie, i valori che hanno consentito all'artista di raggiungere un plenum nella sua opera d'arte? Niente. Spesso da parte del critico accadono delle superfetazioni (un feto sopra un altro feto), un feto verbale sopra quello che era stato concepito prima con linee e colori. In questo caso ci sono due concepizioni da parte di due mariti diversi e di diverso carattere, l'artista e il critico. Allora quest'ultimo surrogatore nell'opera d'arte, reclama arbitrariamente per sé non solo il suo bambino ma anche quello dell'altro, mentre si vede e si legge che il primo è sano e il secondo è minorato. Si dorrebbe invece tener presente il concetto unitario cui sono pervenuti moderni filologi di fama, secondo i quali il contenuto e la forma l'idea e il simbolo, il soggetto e l'oggetto sono una cosa sola. E' ormai ovvio. Chi si occupa di esegesi sull'arte di Lamberto Ciavatta, più che su quella di ogni altro artista, dovrebbe tener presente tale postulato, altrimenti egli e la sua arte ne uscirebbero diminuiti per la metà.
Ed ora andiamo a vedere perché il "matrimonio " tra Ciavatta e una prostituta, non sì può fare.




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