L'arte di Lamberto Ciavatta - nato a Nettuno nel 1908 e residente a Roma - non è un orologio di precisione che segna le ventiquattrore e poi ricomincia da capo, com'è la pittura tecnicogrammata. Se si potesse aprire la cassa di questa, si troverebbe dell'unto per farla andare. Nelle creazioni di Ciavatta invece è sempre impresso un principio conoscitivo, perché questo tocca la quintessenza della biologia e dell'etica il cui titolo potrebbe essere: chi siamo? Basterebbe tale qualificazione, rara in un artista vivente, per fare su lui un ampio discorso.
La sostanza materica nelle opere sue è indivisibile dalla niente riflessa in quella. La forma organica rivela la volontà tormentata di sapere qualcosa di questo uomo. Il patimento che la corrode e la speranza che la sostiene sono agenti. L'economia dei modellato corporeo, tra umano e subumano, ha un centro che si sposta convulso per cercare l'unità, e ne risulta una condizioni ideosa strettamente congiunta con la condizione dell'uomo attuale. Pittura di conflitto puro. La figurazione nasce da uno stato di necessità, anelante ad una sintesi per ritrovare noi stessi, noi dei momenti risolutivi della crisi di civiltà. Nella figurazione si muovono simboli di destino, ma nello sforzo che essa fa per enuclearsi, si sprigiona dall'ombra la luce.
Contrariamente a quanto accade nella pittura " povera ", il contenuto non è irrigidito dalla fisicità, ma permeando di luce il tessuto espressivo, si espande nell'universale. L'espansione non è mossa da virtuosismo mediato da una moda strisciante, ma dal desiderio d'un'esistenza diversa che vuoi lasciare dietro di sé i residui. Insisto sull'elemento volontaristico nell'arte di Ciavatta giacché i suoi soggetti hanno un fine sempre ricercato e mai raggiunto. Nell'intervallo i soggetti percorrono il cammino sinuoso delle nostre esperienze amare. C'è sempre in quest'arte infatti una chiave semantica che gira nella serratura per aprire il cancello della prigione dietro il quale la figura è prostrata nell'umiliazione. La crisi della forma lui la ricongiunge ad un pensiero affatto intenzionale, ma chiaro, incombente, perentorio e duro. Noi uomini della civiltà meccanicistica siamo rimbecilliti da manipolazioni subdolamente coatte. Ma l'artista, ci indica le vie per le quali, dolorando, possiamo riconquistare la libertà. Nessuna consolazione ci possiamo aspettare dalla sua figurazione come quella che ci viene dalla figurazione del classicismo tradizione, ma una mediazione nel ritrovare la nostra già avvilita dignità. Sotto questo aspetto l'iconologia di Ciavatta assume un alto carattere politico come quella, in senso più stretto, di Picasso.
Pittura nella pittura, logica e metalogica. Le flessioni del pensiero sono portate alle ultime conseguenze dalle flessioni lineari e colorifiche. Il tema è mentale, sollecitato all'esterno da bagliori di cromatismo. Nell'arte designata oggettual-concretista si punta su questo, solo su questo, e non oltre. Ma quella pseudo arte non può aver coscienza del suo stato, non si può aspettare che un avvenire breve, occasionale ed effimero. Nell'arte di Ciavatta al contrario si affaccia uno stato transeunte, di mutamento, dalla memoria allo stordimento d'una nuova esistenza, alla natività o alla morte, comunque ad una " durata ". Gli organi fisio-anatomici della figura sono volutamente imperfetti, poiché sono in condizione di trauma, organi ammaccati da bastonature subite. Ma tutto intorno si svolge una circolazione di segni e di crome che cercano salvezza. Narrata con linguaggio serrato, la vicenda si sposta fulmineamente dalla servitù al riscatto e viceversa, ma l'artista, rinvigorendo le arterie del protagonista con sangue nuovo, offre all'uomo corrotto del nostro tempo una possibilità, solo che l'uomo voglia capire chi esso sia, la Genesi o Hiroshima. La metafora visiva allora facilita la comprensione di ciò che si potrebbe essere, natura, società, storia.
Sotto questo aspetto Ciavatta è criticamente sulla tangente di Van Gogh che, commentando il suo stesso dipinto " Caffè di notte " del 1888, così ha scritto: " E' un luogo dove ci si può rovinare, diventar pazzi, dove e la potenza delle tenebre ". Cotesta paura di Van Gogh emana da una folla di occhi che spiano dai fanali, dai vani delle porte, dalle connessure del pavimento. Anche in Ciavatta si osserva la sinistra occulta pressione degli elementi cicchi sull'uomo in loro balia, la rovina, la pazzia, la tenebra. Riferisco un tipico modello d'arte ciavattiana. E' uno degli esemplari di Crocefissione da lui predilette, e in esso sono condensati i concetti testé esposti. L'opera è sotto i miei occhi. Nel contemplarla, la mente slarga sulle Crocefissioni del Rinascimento e del Barocco nelle quali il martirio di Cristo è compromissorio del dramma diluito nel bello, mentre il suo martirio non fu affatto bello. La bellezza, il decoro, l'ornamento, l'apparato sono di ostacolo alla nostra totale partecipazione fideista. Questa contaminazione dell'orrore da parte del bello estetico inoltre, attiene a tutta l'arte sacra contemporanea, incapace di sentire ed esprimere sacralità. La nota " Crocefissione " di Guttuso per es. è una bellissima affollata scena da opera di Verdi, interessante per prospettiva, volumetria, scorci, cromatismo, sintassi, ma in quella scenografia un'esposizione inopportuna di meravigliosi culi di donne e di cavalli in primo piano offende il martirio colante sudore e sangue. Qui la forma è così prevaricatrice, che il contenuto ne rimane schiacciato.
Ciavatta, mettendo il contenuto allo stesso livello della forma, ha dipinto una " Crocefissione " contestuata di orrore talmente transitiva, che immediatamente desta in noi echi di altri orrori da noi vissuti. Cristo è già morto e la pia donna, forse la Madre ai suoi piedi - nessun altro - sono stati carreggiati avanti in uno spazio incombente sul nostro viso. I tratti anatomici del corpo magro di Cristo sono spenti. Maria ha umili radici paesane scavate sul volto contratto dal raccapriccio. Dal lato destro di entrambi i corpi, l'uno morto e l'altro mal vivo, emana una luce di gesso, e dal lato sinistro si addensa disgregata la tenebra. Cristo e Maria sono incorporati nel fondale (un particolare di significato cosmico). Il fondale è una landa solitària devastata da cataclismi, rugosa, putescente di pozzanghere, maculata da decomposizioni verde-cupo, giallo-creta e grigio-crepuscolo, colori riverberati sulle membra del Crocefisso e della Madre. Il tutto sotto una lacca lievemente diffusa come secrezione che si va aggrumando.
Nel ciclo olii del periodo " II Caos " da una parte si pronuncia una coagulazione di fermenti umorali di conflitto, di violenza dell'uomo sulla natura, di nostalgia della morte totale; dall'altra si profila un conato post-informale che vuoi risalire alla superficie.
Nella silloge degli olii " Sento il mio tempo " siamo alle origini della creazione dell'universo la cui sostanza magmatica è ancora involuta ma che prende faticosamente pallide parvenze di forma tra sprazzi e tachismi rapidi di luce nella quale prevalgono fuochi lunari.
Nell'olio " Rinascita " la rinascita avviene attraverso flussi albari che invadono illuminando l'oscurità in cui sono avvolte teste e gambe di donne. Uscite da oscuri cunicoli, esse procedono sconvolte e curve sotto il peso d'un mondo incomprcnsibilc, avendo della forma umana solo le sagome. Ma è quell'illumuiazione bianca di prima mattina che le sospinge verso la vita.
Nel materico " Maternità " non vi aspettate neppure un'eco del Perugino. Qui la madre e il bambino sono incarnati in propaggini e filamenti della terra, prolungati da un filamentoso groviglio della stessa terra. I due se ne stanno prostrati dentro un'incombenza di nebbia, qua densa, là forata da cavità. Le gambe della madre sono in pieno sfacimento, un braccio è ligneo come ramo non gemmato. Ma nudo, penduto, opulento per contrasto è un suo seno con un capezzolo ristoratore. Cotesta figura noi l'abbiamo semiveduta in un sogno incoerente ma coerente con una semiidea, che la vita ci tiri giù nella nostra incompiutezza.
Nel coke " Risorge la vita ", come in " Plasma di' Adamo ed Èva ", si ripropone la stessa tematica dei soggetti sopra indicati. Il tema è tormentato non solo dal desiderio coerente di ispezionare le origini vitali, ma anche dalla ricerca assillante della forma che era stata smarrita. Compito questo della scienza. Ma il fatto sorprendente è che un artista si sia impossessato dello stesso compito trasferendolo in una semiologia materica nella quale brillano occhiate, girano cerchi, spuntano ali di chiarità, e da nodi e spiragli traboccano liquidi colliri.
" Rinascita della figura ". Vi si ripropone un'idea, un fine, una tecnica. La forma è strisciante come arida erba su vecchi muri maculati di salnitro. Oppure appare una frastagliatura mobile fatta dal vento sulla sabbia. In effetto sono moti di pensiero incontrollabili in cerca d'una destinazione, d'una nuova via dell'esistere. Il disegno, come dì consueto, è della preforma che preannunzia lo sviluppo della forma. La forma perciò non può essere volumetrica pur aspirando al volume. Lo stesso accade nell'attività onirica nella quale l'immagine è avvolta in una rete e da questa si divincola. In quest'opera non si tratta di fantasmagoria ma di anticipo di realtà. E la realtà è che siamo ansiosi di veder chiaro nella nostra esistenza. La ricerca d'una nuova forma dell'essere uomo è ambigua e aggrovigliata? Importa che la si ricerchi. In " Rinascita della figura " v'c un'esasperazione nello sforzo del farsi umana. Il segno è così incisivo che la figura sembra un graffito sopra una parete di grotta neolitica. Perché poi rinascita?, chi l'aveva prima soffocata e murata? Non lo domandiamo all'astrattismo cui ripugnava una bocca così facile a mentire, mani pronte ad uccidere, piedi a calpestare la libertà dei popoli nei cataclismi di due guerre mondiali. Non lo domandiamo a Morandi che fin dal 1915 (badate, in pieno corso della prima sfuriata belliga), rifiutando la figura del primo impresisonismo di Manet, Cézannc, Degas..., sperimentò per primo un neo-figurativo con fianchi di donna che erano liquide onde, seni che erano duri ciottoli. Non lo domandiamo neppure agli artisti della corrente COBRA la cui figura era così disgregata che bisognava cercarne i pezzi per ricomporre l'umana immagine. Lo domandiamo alla dissennatezza nazista che per ben due volte, a poco tempo l'una dall'altra guerra, ha tentato di pupazzettare l'uomo con terra e sangue. La figura rinasce con Cia-vatta. Come? Lo stile d'impianto " nuovo espressionismo ", privo della terza dimensione, forgia un groviglio intricato di materia fatta di terriccio, cenere, scorie ed altro residuo inorganico da cui un gruppo prefigurativo di donne va riacquistando definizione. Nei punti di transizione le teste sono come frutti ammaccati, i lineamenti dei visi ectoplasmatici, le gambe impigliate quasi radici nella terra cieca. Ma già si distinguono i fori degli occhi, delle narici e quelli ovoidali delle bocche, occhi che guatano lontano, narici che fiutano a riconoscere l'aria come animali, bocche che vorrebbero chiamare. Non guardateci, donne ,non fiutate il nostro odore, non dite chi siamo. Aspettate. A poco a poco avverrà il " transfert ". Domani chi sa. Se Ciavatta dipingesse con la tecnica materica un Lazzaro risuscitato uscito fuor dalla tomba, gli cascherebbero brandelli di carne disfatta e se ne post-formerebbero degli altri. Ma nel suo viso sarebbe impressa non più la paura di morire, ma quella di ritornare a vivere. Qui nel centro del sistema.
" Omaggio al Concilio Ecumenico Vaticano II ". Qui tutto è grigio e roso: essere e natura. La tecnica è sempre sfilacciamento e dipanamento della linea. L'impressione è di soffocamento più d'un Lacoonte. Innumerevoli buchi si aprono tra stria-ture ragnate su fondo nero. E' questo il senso del cristianesimo? Prima del Concilio? E dopo? Ciavatta ha detto con m. 1,20 X 1,50 di tela ciò che s'è scritto e si scrive su decine di chilometri di carta.
Del " Cristo dei minatori " e del " Padrone del mondo post-atomico " ho già scritto piene pagine. Lo scritto poi è stato coperto da un indifferente fazzoletto ricamato da parte di qualche altro critico come se niente fosse. Tutto ciò che ho significato in quelle pagine e in particolare nell'opera " Cristo dei minatori " (decisiva nel linguaggio modernamente escatologico di Ciavatta), è quanto si poteva e doveva dire. Chi non vuole esimersi dallo scavare in profondità, può leggere ciò che è stato detto. Posso aggiungere quanto appresso. L'elemento semiologico del " Cristo dei minatori " del 1965 è bidimensionale. Perché? Perchè l'incontro con Cristo non avviene più da parte dell'uomo, ma della materia cosiddetta inorganica componente dell'universo. Da ciò deriva l'omogeneità, la compattezza, la chiusura, la privazione della trama, in uno spazio sintattico breve, oppresso. L'assoluto del Cristo è stato mozzato da condizionamenti. Nel caso, il carbone è infrastrutturale in quanto elemento transitivo di natura che partecipa anch'esso della creazione. Ma il fondamento gnoscologico dell'opera è il seguente: poiché una volta Gesù sfuggì alla pietre dei farisei che volevano lapidarlo ed ora è il carbone a sostituirsi alla pietra non per ferire ma per consolare il Divino morente, esso carbone assume un ruolo metalogico in un sistema di rapporti con la crisi. Pertanto l'opera non è affatto una tabula murale, e il dato materico non è una combinazione aggiuntiva alla contaminazione dei molteplici componenti pseudocristiani societari. B. Croce spiega le ragioni del perché " non possiamo non dirci cristiani ". " B. Roussell spiega le ragioni del perché " non possiamo dirci cristiani ". L. Ciavatta si pone nel mezzo con la ricerca d'un semanticismo concettuale come protesta indiretta contro i cristiani dell'occidente. L'opera, sebbene sia priva di misticismo convenzionale, è tuttora verginale, che soffre ed ama, che nel plasma bianco fuoriuscente dal materico unificato col corpo di Cristo, rivela l'ansia di un nuovo stato dell'essere cristiani. Penetrando con la contemplazione in quest'opera, sì pensa, si soffre, si odia e si ama; e piacerebbe ad ogni comunità d'avanguardia che, oppressa, soffre, odia e ama.
Ed ecco un'altra " Crocefissione " del 1959 che non conoscevo. Cristo crocefìsso per Ciavatta, Cristo crocefisso per l'umanità. Cristo, sempre lui. Oggi più ancora Lui. Se l'artista ritorna con insistenza su questo tema, deve intendere la necessità di estrarne tutto il significato. In questa pittura Cristo è solo, nessun parente o discepolo o soldato. Ma una folla intricata e convulsa di rovi spinosi di rosa lo assedia, lo assale, lo incorpora, lo morde a sangue. Tra non molto Egli sarà cancellato e ne rimarrà un mito come Giove. A dissolverlo nel nulla si affrettano vigorose istituzioni, molli costumi, politica ed arte, economia e carro armato, menzogna e gas, legge del più forte e del più debole. E allora Ciavatta, non potendo dipingere una crocefissione senza senso, ha dipinto il ricordo nel simbolo della rosa di quattro petali disposti in croce, come la rosa dei mistici guerrieri rosacroce il cui motto era " per crucern ad rosam ". Poi doneremo la rosa di Ciavatta al comandante d'una squadriglia di bombardieri con testate atomiche. Lui l'odorerà e darà il via.
" La Guerra " olio 1967 - In questa pièce un nero abisso divide due masse calcinate, una in alto e l'altra in basso, prodotte da deflagrazione nell'atmosfera. Nell'una massa e nell'altra la cosa umana s'è disintegrata e vi si profilano teschi, orbite vuote, bocche come congegni di serrature che scattano nel segno dell'O come orrore, scheletri combusti, e una pioggia sottile di tossico cade nel baratro puro.
Olio " Noi accusiamo ". Folla di donne nude con corpi scattanti, seni vigorosi e pronti, gesti arpionati, è uscita da una condizione oppressiva per chiedere chiarezza nella giustizia. Esse irrompono sulla scena con la consapevolezza della primigenia capacità d'essere madri vere, e non vorranno che escano dal loro sesso degli ominidi gobbosi come ce ne sono tanti. Non è la prima volta che donne si spogliano nude all'assalto. Ne guidò un manipolo Madame Teroigne alla presa della Bastiglia, facendo sventolare la bandiera davanti al basso ventre dal quale erano usciti i suoi figli uccisi.
" Concetto di spazio-tempo = Cristalli infranti -1969-1970 ". E' una creazione concettuale espressa in termini di matematica pura propria della pittura informale, e tuttavia creazione e non " composizione ". Ancora una volta richiamo la necessità di eliminare dal linguaggio critico il vocabolo acritico " composizione " rifiutato da Goethe che - diceva -gli dava l'idea del cuoco in cucina. Dunque creazione. In quale senso? Vediamo se ho colto l'intuizione dell'artista. C'è un'area cristallina, e oltre di essa, traspare una vaporosità d'atmosfera divisa in zone umide quali brandelli di nuvole. Al di qua sulla limpida superficie nasce una serie di cerchi concentrici e intersecati l'uno nell'altro che tendono a salire ed espandersi nello spazio. Qual'è l'idea significante di questa circolarità spaziale? Risponde per me un maestro dello spazio-tempo, Einstein: " Io posso, col calcolo infinitesimale, numerare tutte le quantità concepibili dalla mia mente, ma mi troverò sempre davanti a un Ente indeterminato e inconoscibile ". Tale Ente è l'aspirazione di Ciavatta ed ogni cerchio è un anelito. E si può aggiungere un pensiero di Leonardo: " Io conto fino a tre. Che cosa è questo tre? E' l'ultima frazione del tempo che andò e la prima frazione del tempo che viene ". E se io contassi fino al milionesimo miliardo? Che cosa viene? Ciavatta tenta di saperlo. I suoi cerchi sono da prima imperfetti nello sforzo di salire nello spazio, ma ve ne sono tre concentrici perfettissimi, uno nato dall'altro, in mezzo ad orizzonti che segnano il giro dell'universo dal finito all'infinito. Qualche cristallo alla base di partenza è stato infranto, e va bene. Ma i cerchi salgono nella " durata ". Qui la metafisica è presente ma assimilata all'assoluto senza spazio e senza tempo, ed è diversa dalla metafisica nell'arte a partire dal 1913. Che importanza può avere un sasso lanciato dal materialismo dialettico? " Naufragar m'è dolce in questo mare ".
L'esegesi degli ultimi esemplari di Lamberto Ciavatta in particolare, mostra che i componenti creativi non sono una sua rèverie, sono invece caratterizzati da maschia energia che si slancia sopra una curva da... a, ad un quid indeterminato, trascinando con sé le forze cieche che tentavano di trattenerla sull'orlo dello spirito. Egli ama perseguire il moto della discesa e della risalita psichica e sintattica. Il suo problema investe la struttura interna che prosegue nella comunicazione esterna. Propone una revisione totale dei valori nella quale l'uomo e la materia si scambiano il potere. Assistendo a questo scambio, il nostro cervello è in subbuglio. L'ombra d'una minaccia ci segue lungo confusi corridoi per i quali piedi e ruote vanno a caricare e scaricare un futile destino. Non vi sono misure corte nelle sue metafore come in quelle del sottonaturalismo dell'arte neo-concretista che tracciano perimetri all'idea e alla lingua. Le sue apparizioni vengono dall'altra riva in cerca dell'Io lungo una successione di momenti nel breve spazio grafico e di millenni nell'evoluzione temporale. All'altra riva, nelle opere di cui si tratta, c'è misticismo de/ Blauer Reiter, immanenza nella logica Nabis, tellurismo e processo inconscio. Attiro la riflessione del lettore sull'inconscio di Ciavatta così evidente nelle opere sopra commentate. Concetto e forma echeggiano la tipologia del psicanalista di fama Jung là dove postula una geografia di linee, angoli, cerchi, cadute e slanci nei mandala (danze sacre) che sono proiezioni di linee, angoli, cerchi, cadute e slanci che si fanno e si disfanno nell'inconscio ineffabile. Altrettanto si può dire della vocazione di Ciavatta ad un particolare tipo di mimesi. Linee, angoli, cerchi, cadute e slanci, rigurgiti, sbavature e bagliori coloriferi, chiusure ed esplosioni di segni sono proiezioni fuori dall'alveo della psiche dell'artista e della collettività del tempo nostro. Altra tendenza dell'inconscio è immergere il soggetto nell'oggetto e viceversa come nella figurativa di Ciavatta appunto, e come conferma la sottostruttura della società attuale. In altre parole Ciavatta ha dipinto, con più significativo impegno, l'antico detto: corruptio est generatio. L'uomo in lui non si lascia affogare completamente nella materia, è un mazzo di fiori gettato per terra e calpestato da innumerevoli piedi, ma accade che i semi, dispersi nel terreno, rifioriscano, e l'artista racconta l'indistruttibilità della vita. In tutta l'antologia la sua nuova figura raramente è definita nei tratti anatomici, perché vi interferisce l'elemento materico variabile a sorpresa. Anzi in questo materismo come nei modelli " Sento il mio tempo ", la figura, coinvolta in un cataclisma, stenta a ritrovare un centro di sviluppo focale, cosicché non si sa se quelle nere tortuose striature siano sprazzi o braccia, se quelle cavità siano pozzi o bocche, lo sa lui Ciavatta ma non ce lo dice chiaro e tondo, però lo sappiamo lo stesso, osservando in questa società quante sono le nere tortuose striature sul parlato e scritto, quante bocche non meritano di stare al posto biologico giusto, ma in altra parte del corpo. E allora non sentiamo anche noi il nostro tempo? Non lo sentiamo al centro d'un sistema? Ma l'arte di Ciavatta è della rinascita da un controsistema. Si rinasce dall'impurità materica e la rinascita è unita a gridi selvaggi. La madre terra posa con un sospiro impolverato nel vedere chi, chi ha partorito, e intorno si moltiplicano le disarmonie delle perifrasi. Con la vibrazione interna della materia, reiteratamente si torna a partorire la vita nel dolore. Il grembo è il protagonista dell'azione. Si rifletta in proposito che l'azione stilistica di Ciavatta si distingue nettamente dall'aclion painting di Kline, dal drippin di Pollok, e il suo materico non è quello dei Tapies, Domela, Magritte, Dubuffet, Burri. In costoro prevale la fisicità esterna priva di dinamismo in uno schema di superficie. L'azione di Ciavatta invece nasce dall'interiorità della materia e dell'uomo. Materismo, idee e figure subiscono inopinati mutamenti, che, nel significato, potrebbero essere decisivi per la distruzione o la salvezza secondo la loro azione e reazione. Infatti, con illumi-nazioni intuitive fulminee, egli ferma sulle tele pensieri, presentimenti, sospetti e brividi in azione semiologica. Obiettivamente, se vi può essere un artista d'avanguardia che possa dire qualcosa di nuovo scavando nel sottoterra dell'uomo del nostro tempo, è lui e l'ha detto. Da tutta la sua densa iconologia prende il volo un messaggio. Io lo raccolgo e lo trasmetto. A chi? Non so. Non certo agli artisti oggettualisti che lo nasconderebbero dentro un loro meccanismo. E neppure al giornale che lo accantonerebbe dopo le chiacchiere e i delitti. Indicato sarebbe lo spazzino che fa pulizia alla città, ma lui, poveretto, non lo riconoscerebbe nel mucchio. Che ne dite se lo lancio sul grande industriale Cav. di Gran Croce Annibale Comesichiama? Ma no. Non sapete che ha tutto un suo riffe e raffe con la produzione di aerei da bombardamento? E allora ditemi a chi. Sono tanti gli inviluppi di vipere verdi sparsi sul tragitto che la destinazione uomo ne sarebbe ostacolata. D'altra parte vedo al disopra passare il vento che va spargendo la semenza là dove vuole. Prendilo tu, vento, che te ne vai verso le alture dei Vaticani e dei Quirinali, e se passi per il Colosseo, non svegliare le belve addormentate.
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