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CRITICA STORICA
E STILISTICA NELL'ARTE
DI LAMBERTO CIAVATTA

a cura di

ARCANGELO JURILLI

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Il contenuto e lo stile

E' ovvio che, se in queste pagine contenuto e stile sono trattati in una unità espositiva, è per necessità di metodo nella " esplication perceptif de texte ". Secondo la concezione crociana - da ritenere quella giusta, accettata e proseguita da filologi e critici qualificati - contenuto e contenente non sono separabili senza provocare una mutilazione nella struttura. Cosicché l'emozione di Ciavatta nell'oppressione e liberazione dell'uomo, e da ricercare criticamente nello sbocco del segno e della croma e solo in quello. Che ci sia molto nero negli animi dei pittori tedesco Liebermann e inglese Bacon, quella radice interessa la critica estetica non meno che la critica psicologica E così, che ci sia molto bianco nell'idealismo di Ciavatta, questo interessa il critico che interviene nella sua vita mentale volgendo l'indagine sull'economia morfologica del testo.
E' stato detto che Ciavatta è un solitario. E' vero per un verso, non è vero per un altro: è solitario nel senso indicato da Leonardo, " sii solo se vuoi essere tutto tuo "; ma egli moltiplica sé stesso nelle immagini dell'uomo che soffre, nella natura che lo opprime, nella rigenerazione dell'uno e dell'altra. Comunque è proprio la sua inclinazione all'intimità solipsista che, nel raccoglimento e nella meditazione, nel cruccio e nell'amore, lo spinge alla comunicazione con l'umano attraverso la forma. Io critico scruto nella sua segnica e vedo che la linea cerca l'uomo e lo abbraccia stretto fino allo spasimo, vedo che la macchia lo morde col bacio, vedo
10 sforzo sanguinoso che fa il tachismo per liberarlo dalle punte acute della natura avversa. E' la semantica di questo artista la protagonista del dramma, è lei che fruga nell'anima e nella materia. Spesso nelle sue opere s'incontra l'ineffabile che emana dalle mirici di materia cosiddetta inorganica. Il critico sprovveduto vi passa sopra indifferente, ma, se non è schedato in cassetti di cultura (o di interessi), deve soffermarsi per verificare se vi sia e quale sia una sensibilità elementare riposta nelle umili cose. E' vero o no che per il biologo Hoekel, per Lucrezio, per l'animismo greco e orientale si tratta rispettivamente di scienza e di fede? Ciavatta, con gli arbusti spinosi che avvolgono il corpo crocefìsso di Cristo e lo feriscono, col minerale che da un plasma bianco bacia le sue piaghe, unifica i due componenti della forma scoperta e del contenuto nascosto. Questa è dunque la riversibilità del concetto nello stile senza la quale non vi può essere arte possibile.
Dov'è un linguaggio ivi non può non esservi un contenuto, anche quando pare che non ve ne sia alcuno. Contrariamente a quanto si ritiene, in molta arte corrente il vuoto di contenuto è solo apparente.
Il vuoto, sia nello stile sia nella niente dell'artista, è il pieno del vuoto, cioè il tutto negativo, il no dell'Opposto Dio.
Ecco perché, fomentata da una certa critica, in molti artisti si sprigiona la frenesia di fare il pieno del non di sé stessi nelle loro composizioni (non creazioni), non già dall'interno ma dall'esterno. Per affinità più comprensiva, così è il discorso politico nel quale un contenuto di verità cade in un vuoto di parole scelte per programmare la negatività. Pertanto lo stile, per la sua stessa facilità a sgomitolarsi dalla mano oggi più di ieri, dovrebbe trovare il critico sempre pronto a ricomporre i fili sfuggiti dalle dita, ciò che purtroppo non avviene anzi... Anzi tutto per le smorfie sulle tele e niente per l'anima e la società.
La critica non dovrebbe incontrare difficoltà neppure nell'indagine sulla complessità eterogenea magari contraddittoria dello stile. E invece il critico se la sbriga col qualificare eclettico l'artista, come è stato detto per Ciavatta. Che significa? L'umano e lo stile sono sempre uno. Sarebbe eclettico Picasso che è passato dal periodo bleu a quello rosa, dalla negritudine della Costa d'Avorio al classicismo, dall'espressionismo al surrealismo? Sarebbe eclettico Dante che è trascorso dal sonetto all'epica, dalla teorizzazione alle armi, dall'agiatezza alla mendicità? Anima e forma, mente e storia non possono non essere mute-voli e l'artista ne è il ricettacolo immediato. Altra incomprensione critica è l'antieroe: i soggetti di Ciavatta si muoverebbero in un'antieroismo. E' probabile che tale valutazione sia sorta dalla visione dello stile istante nel reale, rude, violento, vittimale. Ma si sa che l'eroe nella storia è quasi sempre una vittima come nella tragedia greca, come nel martirio dei santi nel Rinascimento, e così nelle crocifissioni di Cristo di Ciavatta. Bisogna guardarsi intorno per vedere un " nuovo realismo " sottoposto a peso e misura, pressurato e incassato come mercé e spedito a destinazione secondo le indicazioni dell'antieroico mittente. All'opposto nelle immagini di Ciavatta sempre si accampa un Eros a livello supercoscienziale. Nessun eroismo è possibile con la vacuità dello spinto, con l'antiestetismo e l'antimentalismo secondo un derivato della filosofia nordamericana. Ritengo invece necessario, direi fatale il ritorno alla circolarità del classicismo di cui Ciavatta si sarà rivelato un antesignano, quando, tra non molto, farà conoscere la sua nuova figurazione che ora tiene nascosta.
Semmai qualche lettore rimanga perplesso circa il vuoto pieno di negazione, si adduce l'esempio d'una " scultura " (?) esposta in una delle aule della Biennale 1972 a Venezia che, nella distruzione dei valori, è uno dei grossi calibri nel bombardamento silenzioso dell'arte. La scultura non è un " radiale " (?) marmoreo, cementizio, ferro-stagno o altro materico come ora si usa, no, questo è già vecchio, ci vuole una più fresca giovinezza, e chi è più giovane del vecchio uomo? Ed ecco un preadamo in processo di formazione, uno senza bocca per parlare, senza orecchie per sentire, un minorato, un subnormale, un mongoloide insonima. Lo hanno noleggiato a pagamento, lo hanno fatto sedere immobile in un canto, solo dal respiro si poteva capire che un manichino non era. Era invece - secondo il giudizio d'uno dei dirigenti al vertice - " opera e comportamento ". Va bene. Ma va bene davvero? O non si tratta di scollamento in qualche lobo del cervello raziocinante? Non si capisce infatti il significato dei due termini: opera come messaggio?, quale messaggio?, comportamento come intenzione, gesto, condotta? Ma nell'opera non è insito un comportamento? Vidi una opera in una mostra a Roma dal titolo " I genitali di Uranio ". Allora non capii, ma adesso so: era un messaggio alla sessualità, era il comportamento di questa. Non c'era niente e nessuno nel quadro, solo i genitali, della moglie di Uranio neppure l'ombra. Se ci fosse stata, è probabile che qualche osservatore del quadro le avrebbe fatto dei segni d'intesa attraverso l'atmosfera. E allora? Un messaggio all'omosessualità? No, intorno c'era il vuoto abissale. Capisco: messaggio e comportamento del genitale maschile nel vuoto sessuale d'una donna di cinquant'anni con molti mariti dietro di sé. Su quale sintassi si può criticamente operare se si parte da un vuoto e si arriva ad un altro vuoto? (in effetto non si parte e non si arriva). Lo stesso è del mongoloide.
Da una parte si rileva lo svuotamento umano del soggetto esposto, ed anche dell'autore artista (artista?), dall'altra l'assenza dell'elemento serniologico che non rivela un segno nell'immobilità dell'uomo-stipo. Impossibile un codice d'interpretazione, impossibile qualunque trasferì. Il vuoto è pieno di non, pieno di dissociazione coscienziale, di demenza lucida, di delirio tranquillo, di chi fumando la sigaretta, aspetta, tra i gravi problemi della società, il momento opportuno per accendere la miccia innescala in uno dei buchi dell'arte. E quale momento più opportuno d'una Mostra Internazionale tra la storia e la poesia di Venezia? Avanti allora, non col raggiro, ma con l'azione diretta del martello contro una scultura di Michelangelo.
Pare che talune classi sociali ritengano pertinente ai loro interessi la dissezione dell'arte - che nel processo di ogni civiltà è stata l'espressione della più alta libertà, quella dello spirito. A ben riflettere, il processo di disintegrazione figurativa e stilistica affretta il- processo di disintegrazione civile della collettività, e bisognerebbe esser sordi per non sentire il suggeritore dentro la buca del palcoscenico. Ma perché si è fatto tanto chiasso per il caso dell'" opera " e del " comportamento " relativo al minorato di Venezia, quando le città sono gremite di gallerie dalle cui pareti pende una densa folla di minorati? Non solo, a quanto pare siamo tutti minorati. I militanti in un partito non ritengono minorati quelli d'un altro? Una classe non cerca di mozzare la lingua e di ridurre all'immobilità l'altra classe? E non è lo stesso d'una nazione che vorrebbe togliere tutte le libertà ad un'altra? Ecco perché gli artisti non sono più in grado di scolpire dei " Laocoonti " o di dipingere delle " Aurore ", e invece esprimono tutto il nulla che c'è da dire, seguiti dai critici che scrivono ciò che gli detta il disco. Ed ecco come si spiega la reazione in atto d'un Lamberto Ciavatta, e più ancora sarà spiegata in un non lontano domani, quando l'incomunicabilità tra uomo e uomo avrà sbarrato altre porte. Emerge chiaramente dalla sua iconologia un gran disgusto per il corpo, per tutti questi stomachi, per tutti questi intestini, per tutte queste lingue e mani e piedi, irrefrenabili ma inconcludenti, per tutto questo inganno, odio, violenza, per tutta questa silenziosa indifferente disperazione. Credo di essere consapevole del dramma che si svolge nel suo interno nel proposito di dare una forma moderna al classicismo tradizionale, capace d'un discorso chiaro, severo, unitario. Vi si sono cimentati Picasso, Dalì, Guttuso, Magnelli... La questione merita d'essere approfondita scavando in profondità fino alle radici dell'essere e dell'esistere.
L'ostacolo per una nuova organizzazione ideale dell'arte supera tutti gli altri, quando proviene dalla stessa soggettività intima e nascosta dell'artista, talché, contagiato dai molteplici eventi umani, incapace di intendere le ragioni delle sue sofferenze irriflesse, egli non ha più modo di esperire la libertà, ed è per questo che suole proiettare una sovrabbondanza di brani divisi, di frammenti distorti, di residui e particule di pensieri quali simboli di sensazioni, di malessere, di sforzi intenzionali. Tentiamo di illuminare con una torcia culturale cotesto sottofondo, anche se, come credo, sia la prima volta che venga impiegato un tipico mezzo di ispezione critica. Chiamiamo qui accanto la psichiatria (scienza dell'anima malata) per avere un quadro diagnostico nella ricerca di stati clinici nell'arte attuale come si desumono dal linguaggio nel quale si rivelano precipitazioni di processi psichici abnormi. Si tralasciano per brevità l'eziologia (cause pregresse) e ambiente che pure hanno potere di condizionamento. Nei caratteri generali la tipologia è costituita da individualità nevrotica instabile, da disposizione a mentire anche a se stesso, da alterazione del pensiero, dalla frattura della logica, da spinte all'impulso incontrollato del momento, dal complesso di frustazione, esilio e nebbia in un clima di epidemia di massa. " La debolezza della mente - afferma Rondenwald - può manifestarsi in un'intera collettività ". Bunk riferisce che un suo paziente architetto gli aveva confessato che non riusciva a costruire nella mente che sagome di prigionieri con mucchi di pietre che erano abbozzi di teste umane. Altro itinerario sono lo stile e la tecnica della deformazione surrealista ed espressionistica. La scienza assegna alla sfera dei disturbi psicofisici la stilizzazione forzata, bizzarra e stravagante. E' un raccontare " catatonico coi trampoli " - aggiunge Bunk. Il soggetto non ha più memoria del passato organizzato col presente. La sua immaginativa s'invetra. Attraverso un vetro vede porzioni di cose, di esseri umani che ripugnano ad assumere una forma intera stabilizzata. Per Esquirol e Ballet il neodadaismo indica l'ultima fase regressiva del balbettio infantile linguistico che non trova la via della piena espressione, e perciò non può non essere niente: " Dada il n'est rien rien ".
Al di là dal vetro espressivo la psichiatria vede un contenuto di realtà aberrante, nitida nell'iperestesia del segno e del colore. Certo v'è una graduatoria sulla scala degli accidenti fino a quelli estremi che la scienza qualifica " primarj ". E' ovvio che il comportamento dell'attività distorta nel linguaggio appartiene al grado secondario. Ma la morbosità umorale degenerativa nell'eccesso del sensorio è ben precisata da De Santìs che ne assegna il culmine nel terzo e quarto decennio di vita. L'indagine è stata fatta con prelazione della poetica decadente francese. Ecco come si esprime Rimbaud: " Lunga, immensa, ragionata sregolatezza, il poeta è diventato folle ". E' evidente un nesso analogico con la decadenza dell'arte contemporanea in cui l'Es prevale sull'Io, e il discorso visivo denunzia strappi schizoidi. A quell'età indicata da De Santis dunque sì è all'apice del diagramma diagnostico tracciato da Kraeplin: paranoja ad andamento nembolare: "vi si distingue il tipo pseudo superiore del pittore, dello scultore, del poeta ", nei quali l'intelligenza assume " strani comportamenti maniacali ". Kraeplin inoltre parla di " spasmo linguistico ", di " filoneismo esterno esacerbato ", e De Santis di " automatismo dell'idea coatta ". Infatti molti sono gli artisti che hanno la vocazione irresistibile al parossismo dell'espressione non già come fioritura creativa, ma come costrizione interna ed esterna.
Pertinente alla questione è la psichiatria del comportamento di Ludwig Binswanger nel libro col titolo " tre forme d'esistenza mancata ". Le tre for-me sono l'esaltazione fissatrice e fissata, la stramberia esibita e il manierismo uniforme. Sono queste, secondo lo scienziato, che vuotano di ogni significato l'esistenza. Il riferimento, per quanto non diretto, è esplicito e immediato all'arte e ad artisti contemporanei, particolarmente in relazione al manierismo quasi generalizzato, il più vasto insistente e stucchevole nella storia dell'arte. Infine, se lo studioso volesse approfondire il fatto psicologico e semantico, potrebbe studiare l'opera di Jasper che è passato dalla pittura da lui coltivata alla psichiatria esistenzialista. E potrebbe estendere l'ispezione fino a Freud che nelle opere d'arte ha rintracciato tipi associati nella frustrazione.
Tutte le nutazioni di riferimento qui fatte trovano convalida nella seguente documentazione. Dalì: per due anni, 1937 e 1938, è stato portato (lo ha detto lui stesso) alla rappresentazione della patologia freudiana. Rouault: ha dipinto " les fleures du mal " nelle prostitute di Parigi. Suthcrland: ha preferito il totemismo dell'Oceania. Duchamp: ha preferito invece la fontana-orinato]o. Matta: ha scelto la figurazione demonologia. Mirò: la larva, il protoplasma, la placenta villosa. Picasso: la morbosità delle forme rattrappite o iperlunghe del periodo blu. Ensor: ha espresso l'angoscia nelle sue visioni. Kokoscha e Tangui: hanno figurato allucinazioni. Utrillo: ha dipinto sotto il potere dell'alcolismo. Dix, Bechrnann, Baumcistier, Campendonk: qualificati dell'arte degenerata. Van Gogh: prima si è reciso un orecchio e poi si è ucciso. Kirchner: suicida anche lui. E si trascura lo strenuo, sghignazzante anarchismo di Picabia e degli altri artisti della " Section d'Or ". Pare che gli artisti del secolo corrente, dominati da forze oscure dell'inconscio e da forze palesi perverse della collettività, non possiedano da padroni la forma e il colore, ma ne siano posseduti da servi. Bisognerebbe volgere una domanda e svolgere una risposta in una tesi: Quali sono le radici psicofisiche individuali e sociali che fanno impeto nelle magiche visioni? Forse considerava tutto questo il maestro del suprematismo russo Malevic nel suo libro " II mondo della non rappresentazione oggettiva ". E per tener lontane le influenze malefiche, ha creduto che nel mondo moderno fossero sufficienti alla ricostruzione il quadrato, il triangolo, il cerchio, ma... Per lui il glorioso Rinascimento italiano che ha aperto una epoca nuova all'umanità, è stata una fabulazione per l'uomo del nostro tempo, ma... Ma gli stessi dirigenti dello Stato sovietico lo misero in un dorato esilio.




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