Al di là di tutto il semanticismo di componenti ciechi della natura in balia d'un destino che non si sa quale potrebbe essere tra dieci anni oppure l'anno prossimo; per chiarire le opposte posizioni di chi opera sulle alture e chi nei bassifondi; per sapere quali siano le pietre d'angolo edificabili dell'opera d'arte dopo dodici anni dalla fondazione senza fondo dell'avanguardia sul cui trono si mise a sedere Rauschemberg che ha ceduto Io scettro ad altri, uno ogni anno; credo sia arrivato il momento di addurre qualche esempio esplicativo d'una cultura insita nelle immagini affinate dalla modernità. Scegliamo pertanto tre tipi di artisti che, per contenuto e per forma, possiamo considerare quali rari uccelli - non pappagalli - liberati dalla gabbia fisico-antropologica, e sono Chagall, Vlaminch e Ciavatta. Da tale confronto si potrà dedurre che l'arte non è accomodamento, edonismo, bluff, automatismo, popismo del pensiero, istrionismo stereotipato, anarchia senza dialogo e senza scopo; è invece progresso, umanismo, intelligenza, riflesso del Dio vivente nella natura, Mare Chagall nacque nel 1887 a Vitebsk nell'Unione Sovietica, tuttora vivente a Vence in Francia.
La sua famiglia d'origine ebrea era di umile condizione sociale in quella Russia divisa tra la dominazione di casta e la servitù della gleba. Fin da bambino Chagall vide la povertà e la solitudine ferme giorno e notte sulla soglia di casa, ma la sua famìglia e lui stesso si raccoglieva intorno all'anziano che leggeva la " Torà " e i " Profeti ".
Trascuriamo le vicende che lo portarono da Vitebsk a Pietroburgo e a Parigi (" Avevo bisogno di Parigi - scrisse - come un albero ha bisogno d'acqua); il ritorno in patria alla vigilia della prima guerra mondiale; le nozze con Bella da lui cantata con delicata novità di poesia; la grande rivoluzione che afferrò anche lui rivoluzionario della forma; il ritorno alla lumière liberto di Parigi che lo indusse a rifiutare un viaggio di studio nella grassa Roma. Ciò che importa è indagare sulla struttura interna operativa nel complesso.
La sua inventiva - sullo stesso piano espressionistico di quello dì Ciavatta - è invece estrosa, mol-tiplicata da echi. Come nei testi di Ciavatta, in quelli di Chagall in principio era la parola e la parola non s'è fatta carne, ma v'è sempre una tensione per cercarla. Sono ìn Isaja delle locuzioni aderenti in pieno alle frasi dipinte dall'uno e dall'altro, come: " Ti lembo della veste del Signore riempiva il tempio "; " II Signore manderà la magrezza nei grassi e li consumerà "; " Egli ti volterà sottosopra ". Ora nel meccanismo linguistico chagalliano e ciavattiano si riscontrano le stesse assunzioni immaginative, più accentuate in Ciavatta, laddove per es. il lembo della breve veste del Cristo crocefisso riempie il cosmo che lo circonda. Nelle loro sillogi le figure sono smagrite e consunte o rivoltate sottosopra, oltre alla linea che anela ad ascendere e al colore di mutazione orfica oppure drammatica.
Nelle sequenze dei due Maestri la luce brilla e svia, il profilo è elegante e svaga lungo una poetica non priva di malinconico presagio, le dimensioni sono musicali, con toni bassi in Ciavatta, alti in Chagall, e svolgono motivi che toccano la soglia della trascendenza. Come nell'arte auditiva, vi sono nell'arte visiva dei due transizioni per legame, e ad un tempo, variazioni di segni estradi gli uni dagli altri che vanno a preformare un'idea. Ha mi significato il fatto che Chagall dipinse gli scenari per " L'uccello di fuoco " di Strawinsky. E Ciavatta ha dipinto la grande scena della " Battaglia atomica " in cui un nembo di creature stravolte dal fuoco viene proiettato nell'atmosfera. Il loro tempo mentale è una lunghissima serie di attimi espressi con tachismi che vanno, girano intorno e ritornano. Il segno, la linea, il punto allungano la durata di natura amica-nemica degli eventi.
La critica sull'opera di Chagall e su quella di Ciavatta è incauta. La materia può rifiutarla, lo spirito accettarla, e basta. Non si è compreso il simbolo dell'abisso puro sempre sospeso sull'uomo in basso e in alto, dell'esprit della verticalità che si appunta nell'astrazione. Con queste due esperienze siamo nella fase latente della preveggenza. Non è ancora la fase fenomenica, e tuttavia dai morti disseminati tuttora su vaste zone i due artisti hanno raccolto una luce: d'aurora l'uno, d'eclissi l'altro. La " scuola dello sguardo " fisico inutilmente prende le misure filologiche, perché l'espresisonismo è in loro smisurato. Tutto in loro è flessibile di possibilità sul piano dell'estetica e su quello umano-disumano. Occorre cultura e penetrazione critica per comprendere il genio inventivo di questi illuminatori delle nostre oscurità.
Maurice Vlarninck nacque a Parigi nel 1876 ed è morto nel 1959. Nella storia dell'arte moderna egli è l'esponente di quella corrente che al principio del sec, XX va sotto la denominazione di fauve con caposcuola Matasse, intesa come categoria della conoscenza e dell'espressione. Quale ne è il senso? L'animus che ha determinato negli artisti di quegli anni uno stile fortemente agente era diffuso nell'ambiente storico. Siamo alla vigilia della prima guerra mondiale, negli anni che Vlarninck lancia i modi formali sotto la spinta delle tensioni politiche e sociali. Le stesse motivazioni erano comuni ad altri artisti di analogo orientamento che avevano adottato la stessa tecnica di comunicazione emotiva. Corinth pittore tedesco dipinge la violenza, Hartung tedesco ha una maniera convulsa, Mare tedesco - caduto in combattimento a Verdun - costringe la natura e rivelarsi quale potenza avversa, Wouters belga imprime nelle immagini densità e irruenza, Derain francese dipinge uno stato febbrile, Matisse francese fa dei colori zonali una fortitudine esuberata, Soutin franco-russo visualizza la luce in colori parossistici.
Poiché le condizioni storiche di quei tempi si sono successivamente aggravate, si spiega l'analogia dell'artista francese con l'artista italiano Ciavatta per l'accensione dell'interna forza della natura umana ed extraumana. La natura per loro non è più sostanza azzimata com'era stata nel primo impressionismo, ma soggetto attivo dotato d'appetizioni. Aborrendo la statica, il loro lirismo emerge veloce da profondità nascoste. I loro simboli sono riflessi dell'inconoscibile, ed è per la violenza del conoscere che la linea e la croma sono mordenti. Si direbbe che ci sia dell'animismo nei loro elementi. Il globo delle stagioni girando, si. ferma per partecipare ad un'operazione ideo-natura. All'idioma istantemente transitivo di entrambi penso si possa adattare per Vlarninck una strofa del poeta Aiken: " La verde terra s'incanta nella sfera d'aria / immergendosi in un vortice di fiamme / E un sole lontano in una conchiglia chiusa / sulle mura disegna cerchi per me ". E per Ciavatta potrebbero esser appropriati i versi di Goethc: " Voi (gli dei) ci spingete nella vita, / consentite all'uomo di diventare colpevole, / e poi Io abbandonate alla pena / perché la pena sì sconta sulla terra ".
Lo stile di Vlarninck getta ondate di crome sulla sensibilità, lo stile di Ciavatta sospinge la linea fino al primo delitto dell'uomo Caino, e l'uno e l'altro rappresentano la natura come fosse quella della prima età. L'impianto classicheggiante è respinto come ordine, ed ogni pennellata è una metanimia nell'acceso contrasto. Il vitalismo compie sulla corposità gesti inusitati della sua presenza. Gli oggetti di natura, sia cosa sia uomo, sono apparizioni incombenti sulla vista in Vlarninck, sulla mente in Ciavatta. |