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IL BASEBALL, LA SUA

STORIA E NETTUNO

Maria Antonietta Marcucci
Luciana Della Fornace
Sante De Franceschi

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PREFAZIONE di Mada Ferrara


"ANTONIO MARCUCCI - Ricordo di un amico"

Ci sono almeno tre buoni motivi per scrivere di Tonino Marcucci e il NETTUNO BASEBALL: il primo è dato dall'importanza che Tonino Marcucci ha nella storia del "Nettuno-Baseball"; il secondo dal ricordo di Tony "atleta-uomo" che è vivo in me, ma soprattutto la considerazione che Marcucci, osannato e conteso sulle tribune dalle folle di baseballisti negli anni cinquanta, è un simbolo per il "Nettuno-Baseball" che deve essere conosciuto da chi si avvicina a questo sport, oltre che come il punto di forza della squadra, anche come il primo vero catcher italiano. E se'si vuol sfatare, per una volta almeno, il "nemo propheta in patria", si dovrà cominciare con il conoscere a fondo l'uomo Marcucci, prima ancora che l'atleta e il catcher eccezionale.

Ragion per cui questo Tonino Marcucci e il Nettuno-Baseball, costruito in ore e ore di conversazione, vuoi offrire una chiave di lettura completa e sincera, senza rinunciare, per questo, ad un taglio agile ed accattivante, che ne consiglia la lettura anche a chi si pone al di fuori della cerchia dei "baseballisti arrabbiati".

Tony Marcucci ha attraversato buona parte della storia del Nettuno baseball, dalle origini agli anni cinquanta, con la sua presenza attiva, la sua sensibilità; averne raccolto le confidenze e i ricordi equivale ad una esaltante incursione nella memoria sportiva del baseball nettunese; dal 1946 in poi, ci rimanda gli echi degli anni passati dal Nettuno-baseball trionfante negli anni cinquanta, in una galleria di ricordi, dove a volte basta un piccolo tocco per delineare, suggerire, far tornare alla mente.

In questo senso la figura di Tonino Marcucci vuole essere soltanto un "pretesto letterario" per un discorso più vasto, lo spaccato di un'epoca e in una società ancora traumatizzata da una guerra particolarmente patita sulla propria pelle. Marcucci è un misto di modesto e di orgoglioso, è ricco di calore umano, ma anche "terribilmente" di autocontrollo; eppure se Tonino non fosse di una sensibilità e di una bontà singolare, verrebbe voglia di considerarlo uno snob, oltre che un gentlemen, come lo definì Mister Mc Garity; sono queste le impressioni di chi lo ascolta nelle sue pacate conversazioni.

Ma chi è dunque Tonino Marcucci?

Quasi a leggere, nel periodo più glorioso della sua attività agonistica ricca di una serie di titoli italiani, un che di profetico, Marcucci racchiude in sé due volti e due identità, un fascino discreto che può ammaliare ma anche impaurire.

E se questo costante sdoppiamento, come Psicanalisi insegna, altro non è che un talismano di vitalità contrapposto all'orrore per la morte, avremo scoperto anche il segreto dell'attività frenetica dal 1946 al 1959 di questo atlèta che è insieme capitano, allenatore e tecnico, fratello, padre-consigliere degli uomini della sua squadra e il miglior catcher, per classifica ufficiale.

Siamo nel 1959: e qui spicca tutto il suo orgoglio che rasenta la superbia; impegni di lavoro non gli permettono di partecipare agli allenamenti e, consapevole di non poter più dare il massimo contributo alle fatiche dei suoi compagni per donare il meglio di sé, non esita: abbandona l'attività agonistica. "Se devo fare l'atleta preferisco dare il tutto, non la mezza misura; gli uomini di mezza tacca non li sopporto. Odio la mediocrità". Sono parole sue.
E Tonino non solo lascia il baseball come atleta, ma il suo è un distacco totale e, anche se estremamente doloroso, definitivo; poiché mai sarebbe sceso in campo senza maschera, corazza e schinieri.

Mentre scrivo mi si accende il ricordo di lui, quando andavo a fargli visita in una clinica di Roma.

Tony mi riceveva con la sua spontanea naturalezza che me lo aveva reso fratello e che esaltava il suo garbo, la gentilezza di tratto e la sincerità di rivelarsi nei suoi veri, autentici aspetti, senza alcuna presunzione quasi disconoscendosi per quello che egli era stato e per quello che contava nel mondo del Nettuno-baseball.

Mi sia concesso un altro spaccato in omaggio ai miei ricordi; è del 1978. Si passeggia lungo il corridoio della Clinica; beffarda la "morte di malaffare" è in agguato.

Mentre Tony parla con voce sommessa, la mia immaginazione si abbandona ad un gioco che va a ritroso: vedo un "diamante verde" e Tony atleta nel 1947, una meraviglia di questo sport ancora poco conosciuto in Italia e arrivato con gli americani; ecco l'atleta: un corpo bello, proporzionato, orecchie piccole, occhi vivaci, muscoli alla seta, lo sguardo dei vincitori, vent'anni da compiere in novembre, selezione naturale, frutto di una volontà che ha del prodigio. Girando nei giardini dello sport, quando senti vibrare qualcosa davanti ad un campione, ti rendi conto che hai incontrato un vincitore o per lo meno un grande.

Nessuno stupore dunque, quando i suoi denti bianchissimi annunciano un bel sorriso e questo messaggio: "Si, cara Mada, a cinquant'anni ho dato il via alla corsa senza ritorno intorno al diamante della vita sua; mi sono state concesse soste in casa-base di un gratificante eccezionale e per questo ora so che posso arrivare oltre quel muro".

Tonino era un gigante mentre parlava con tanta dolcezza del suo passato "a quota mille", nel suo presente tanto incerto; c'era in lui la dolcezza di chi porta nel cuore un grande amore, la forza che un uomo riceve dalla presenza della sua donna, la donna che ama.

"L'inferno, cara Mada, incomincia nel giorno in cui ci è concessa una chiara visione di tutto ciò che avremmo potuto realizzare, di tutti i doni che abbiamo sciupato, di tutto quello che potevamo fare e non abbiamo fatto". Una frase pronunciata quasi in un sussurro perché filtrata dai giorni dì dolore fisico trascorsi in Clinica per combattere il "morbo di malaffare" e che avevano mitigato la disperazione, velandola di triste saggezza.

"Se gli amici del "diamante" mi udissero si meraviglierebbero a sentirmi parlare di delusione e di amarezza. Per loro io sono stato fortunato, un baseballista di successo che, come atleta, aveva tutte le ragioni di essere soddisfatto, felice. Storie! Tutt'al più un atleta può trovare una certa serenità nel rassegnarsi all'imperfezione cui è destinato".

Ma neanche questo stato d'animo impedisce a Tony di continuare a parlarmi del suo baseball che gli è rimasto nel sangue. L'entusiasmo è quello di sempre e le energie c'è da credere che non siano state toccate dal tempo e dagli avvenimenti; così è con un sorriso per metà beffardo e per metà compiaciuto che porta avanti la conversazione: "Si, Mada, sono anch'io un eroe, ho anch'io una mia epopea perché ho lasciato un segno nella storia del Nettuno-baseball.

Lo sai che quando nell'inverno del 1944 i "G.I." della V Armata Americana erano aggrappati alla testa di ponte di Anzio battuta dai cannoni di Kesserling, la parola d'ordine e la controparola di riconoscimento venivano cambiate ogni giorno e spesso più di una volta al giorno? Accadde che la prima parola adottata fosse "Yankees" e la seconda "Ruth"; nella disperata situazione di quei giorni, dunque, una grande squadra e un grande campione del baseball assursero a simbolo di resistenza e di valore. Il motivo del significato profondamente simbolico che questo gioco ha per tanti americani, deve cercarsi nel fatto che la storia del baseball è intimamente connessa alla storia della Nazione.

Uomini politici, giornalisti, scrittori, sono stati in gioventù giocatori o addirittura campioni di baseball e ne menano vanto: perfino i divi di Hollywood non godono altrettanta popolarità di un famoso "batter" o di un grande "pitcher" allo zenit della propria fortuna. Un Babe Ruth ai suoi tempi, un Joe Di Maggio, sono obbligati spesso a non consumare i propri pasti in pubblici locali per evitare la folla dei numerosissimi ammiratori.

Così come una storia, ugualmente, uno studio etografico degli Stati Uniti è impossibile senza tener conto dell'esistenza del baseball.

Se l'interpretazione "epica" de! gioco deve considerarsi storicamente americana, per essere il baseball nato e cresciuto in seno alla nazione americana, l'esperienza c'insegna che essa è comunque suscettibile di trapianto in ogni altro paese dove lo sport trova .occasioni di diffondersi, in quanto è presente "in nuce" nella natura stessa del baseball, senz'altro il meno istintivo tra gli sport esistenti, il "meno naturale", il più complesso ed intimamente permeato di fantasia creativa, di coralità ed insieme di individualismo sportivo.

È questa possibilità di individualismo che ti tenta e ti esalta, ma è anche la convinzione della funzione altamente formativa oltre che ricreativa che questo sport può avere che ti affascina.

Il baseball è, infatti, un esercizio educativo completo: è una scuola di lealtà, perché non ammette né finte né inganni, è una scuola che stimola e sviluppa la personalità del singolo.

In questo senso il baseball finisce per essere un gioco non soltanto di muscoli, ma soprattutto di cervello, di azione, di ragionamento, d'impeto e di autocontrollo.

Così il baseball insegna ai giovani ad avere le proprie idee, ma anche a rispettare quelle degli altri; può divenire una palestra di educazione democratica come nessun altro gioco: una palestra che appare oggi fondamentale e tanto più necessaria nella formazione delle giovani generazioni. E non solo dei giocatori, perché il baseball coinvolge, insieme all'impegno individuale di chi gioca, anche la partecipazione attiva, corale di chi assiste ad una partita come spettatore. L'aspetto formativo di questo gioco sembra però totalmente ignorato dai mass-media; ti dirò anzi che il baseball merita l'oscar per lo sport più ignorato dalla televisione italiana.

Come ti dicevo, è lo sport meno "naturale" tra gli sport esistenti; infatti se ad un gruppo di ragazzi che giocano in un prato diamo una palla, vedremo nascere con facilità la struttura normativa essenziale del football. Se spingiamo in acqua un bimbo robusto e agile constateremo che d'istinto saprà trovare l'economia del nuoto. Ma solo uomini che abbiano conservato vivo nella piena giovinezza lo spirito agonistico dei giochi dell'adolescenza ed insieme l'abbiano saputo disciplinare in schemi atletici complessi e cavallereschi possono dare vita a buone squadre e disputare partite da epopea.

Il desiderio di essere uno di quegli uomini ha fatto scattare la molla dell'atleta che era in me quando nel 1946 il tenente Fasano mi parlò della sua squadra di softball È infatti nella squadra della Pubblica Sicurezza di Nettuno che nel 1946 giocai la prima partita, in seguito, per anni, sono stato capitano del Nettuno B.C.; una squadra formata da ragazzi eccezionali, tutti di grinta, disposti a dare fino all'ultimo respiro pur di arrivare alla meta prefissa, consapevoli tutti che l'errore del singolo è, a differenza di quanto avviene negli altri giochi di squadra, sempre determinante ai fini del risultato.

Ed ora eccomi qua, in ginocchio, davanti ai miei ricordi!

Ti racconterò un episodio che mi porto nel cuore come un talismano contro la malinconia: - 1954, Anversa - Campionato Europeo - Contro tutti i pronostici vince l'Italia, battendo anche la Spagna che vantava su di noi ventennale tradizione baseballistica di vittorie e di gloria. Il Comandante del "Capo Noli", una nave italiana ancorata nel porto di Anversa, ottiene dal Presidente della Federazione, Steno Borghese, l'onore di festeggiare la vittoria in "territorio" italiano e gli azzurri vengono accolti in coperta dall'equipaggio schierato al suono dell'Inno Nazionale: io ero tra quegli "azzurri".

Nei suoi dolci occhi di meridionale malinconico, costretto a recitare il ruolo dell'allegrone per l'amore che portava alla sua Maria Antonietta, era possibile cogliere il balenio di due lucciconi frutto della commozione per l'episodio raccontato.

Un raccapriccio di morte mi cade in grembo. Si rimarca, sugli alberi che fanno corona nel giardino della Clinica, il trillo dell'allodola; le magnolie hanno un fogliame tuttora trepido che ancora non è giunto al colmo. Era uno di quei momenti che ti puntano alto il dito della verità: "sei quel che ora pensi, sei quel che ora dici".

Tonino uomo-atleta, solitamente, era schivo da ogni atteggiamento esibizionistico; la soddisfazione, la gioia gli si consumavano dentro, difficilmente trasparivano all'esterno: ma quello era un momento magico.

Questo era Tonino Marcucci, un "atleta uomo", individuo in guanto oggetto di considerazione o determinazione nell'ambito delle sue funzioni e dei rapporti della vita socio-sportiva.

L'andar scrivendo di Tony Marcucci si conclude con un proverbio lapidario ma struggente: "Nulla risveglia quanto il vivere in compagnia della certezza di morte".

Era luglio 1977, una Nettuno accaldata da un'estate lucente in cui tutto ha sapori insoliti, che avendo come cornice il mare e il deh, riesce felicemente, a far incontrare la confidenza con il ricordo, senza alcuna stonatura.

Tony, il personaggio epico, pur nei suoi schemi, non era semplice; aveva al "suo arco molte corde: intanto l'innocenza, nonostante le numerose aurore contemplate, poi la saggezza, quindi tutte le esitazioni, le ansie e le paure dell'uomo coinvolto da una forza, distruttrice di gran lunga più forte della volontà stessa dell'uomo, conservando sempre, contemporaneamente, un sottofondo di coraggio e di candore, trapunti, ad ogni passo, d'ironia.

A scriverlo sembra facile, ma a mascherarlo, in quel viso straordinariamente sereno come di un bimbo appena appena approdato all'adolescenza, era un'impresa, se non impossibile, certo molto ardua.

Con il suo entusiasmo controllato e con il dominio dei propri nervi, da lungo tempo provati, dimostrava di essere un uomo che aveva conservato vivo nella piena giovinezza, lo spirito agonistico dei suoi giochi giovanili ed insieme l'aveva saputo disciplinare in schemi atletici complessi e cavallereschi.

Si camminava sul lungomare; la nostra non era una passeggiala, perché Tony, lui, l'uomo che per natura era tranquillo, ora non sapeva passeggiare, ma voleva camminare, parlare, fare, vivere... E per sentirsi vivo doveva parlare anche del "suo baseball", che portava nel sangue.

"Macia cara, ho scelto il baseball e ne sono rimasto stregato perché, dal punto di vista psicologico, la principale caratteristica del gioco è una disciplinata creatività fantastica ed io fin da ragazzo avevo bisogno anche di questo, perché c'era in me vivissima una fantasia effervescente, nonostante la mia timidezza. Dal punto di vista tecnico è necessario che il giocatore, al momento della prova, sia dotato di una complessa e umanamente perfetta preparazione atletica, perché nel baseball non si può barare o semplicemente ovviare, ad una inadeguata preparazione con gli artifici e le astuzie dell'esperienza. Alla fine è il gioco stesso che immediatamente denuncia se nel giocatore c'è decadenza, poiché alla prova, egli deve possedere la forza del lanciatore di giavellotto, lo scatto del centometrista, il senso di posizione e di spirito di squadra del calciatore, l'occhio del tennista, l'astuzia del rugbysta, la precisione del campione di golf. Questo gioco è tutto positivo; anche l'esperienza emozionale di piacere che da una vittoria, tende alla scoperta di un piacere assoluto che, una volta sperimentata, trasforma qualitativamente l'esperienza successiva e ti da la possibilità di individuare il piacere della ricerca della soluzione dei problemi tuoi, personali e sociali. E l'uomo che in questo momento cammina al tuo fianco, ha avuto bisogno di essere tutto questo per dare il massimo dì sé stesso nella vita dì ogni giorno".

Le sue parole erano scalfite in una tensione inferiore che simboleggiava una dolorosa condizione umana; tutto in lui suggeriva una ospitale sede per un'ardua esistenza.

Come posso trovare la forza per continuare a scrivere di te, fratello Tonino? È un impegno terribile che si esaurisce nell'atto stesso di impugnare la penna.

Il tuo nome ci rimanda il ricordo di "verdi diamanti" dove amiamo pensarti.

Mada Ferrara





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