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NEPTUNIA
di G. BROVELLI SOFFREDINI

a cura di
OSCAR RAMPONE

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6 - DAL SECOLO XVII FINO AL 1859


I ricordi del lido di Nettano, nello sfarzoso secolo decimot-tavo, traggono spunto dal pontificato di Innocenze XII. Questi con Bolla del 23 giugno 1692, iniziò il governo, annullando gli abusi e i privilegi, che, per il passato, avevan goduto i parenti e nipoti dei Papi, a danno dei sottoposti.
Per quanto, tale provvedimento dovesse arrecare vantaggio ai sudditi della Camera fiscale e del diritto baronale su i feudi, tuttavia, per Nettuno, si ebbero effettivi miglioramenti, urtando le riforme contro l'avanza degli effituatari camerali, tesorieri e governatori locali.

96) INNOCENZO XII E IL PORTO

II Pontefice Innocenze XII, vecchio di 83 anni, pur nutrendo buona volontà, si lasciò sopraffare da un'eccessiva buona fede e dall'inettitudine ed insipienza di alcuni suoi Ministri di Corte nella scelta tra due ingegneri, uno all'opposto dell'altro, in fatto di scienza, incaricati per il progetto di un nuovo porto o per il restauro dell'antico Neroniano. Quando il Pontefice si avvide dell'errore commesso, il danno era già manifesto e la morte gl'impedì di riparare al malfatto. (Ademollo).
Dove un tempo fu l'antica Anzio Volsca e Romana non esistevano che poche rovine; e i naviganti, che approdavano al diruto Porto Neroniano, chiamavano la località " Capo d'Anzo ". Eravi un' unica torre di difesa militare, costruita nel 1647, per la quale la Comunità di Nettuno contribuì con cinquecento scudi Romani (Chirografo di Innocenze XII -1645 - Archivio di Stato). Un cenno storico, quasi contemporaneo a quell'epoca, rilevava :
" Non altro era ridotto questo luogo, cotanto celebre ne l'antichità, se non che un malsicuro ricovero a piccole barche, che da Napoli facevano il loro traffico con Roma. Avvenne però che il Cardinale Pignatelli (di famiglia Napoletana) venuto da Napoli per la via di mare, approdasse per infortunio di tempo in quella spìaggia e veggendo che appena potè salvar la vita per le difficoltà di ancorarsi, propose di farvi costruire un piccolo Porto, quante volte dato si fosse la sua elezione al Papato ". (Archivio privato).
Ricorderà il lettore le promesse fatte dal Pontefice Clemente Vili nel suo Breve del 1594, dopo l'acquisto del feudo di Nettuno, le quali si riferivano al miglioramento del territorio, al restauro del Porto Neroniano o alla costruzione di altro porto in Nettuno. Tali promesse impegnative, per il periodo di centoquattro anni, non furono mantenute. Innocenze XII (Pignatelli) mosso, non già dai patti espressi nel chirografo, da tempo dimenticati, ma, per motivi fortuiti, provvide alla, costruzione del porto.
Il Muratori, negli Annali d'Italia, parlando d'Innocenze XII, Io dichiarava propenso afavorire il Porto di Civitavecchia, ove stabilì privilegi e costruì edifìci per il commercio, li detto annalista, nell'anno 1697, desunse che il Pontefice " era intento a fabbricare ed imprese.... in benefizio dei suoi sudditi "; ed aggiunse:
" A questo fine, nel mese di aprile (1697), niuno il potè trattenere che con lieve accompagnamento non passare a Nettuno, bramoso pure di provvedere Roma e lo Stato Ecclesiastico di un buon Porto nel Mediterraneo e far divenire questo anche Porto franco... vicino Nettuno gli era stato rappresentato per più comodo a Roma e di miglior aria che Civitavecchia. Dappertutto ricevette superbi regali dai Baroni Romani e più degli altri ne profittarono i poveri. Diede egli ordine che non già a Nettuno, ma al vicino Capo d'Anzo si fabbricasse il Porto ed assegnò ad opera, tale delle rilevanti somme e massimamente per fabbricarvi un Forte capace di ripulsare le inscienze dei Corsari di Barberia " (Muratori).
Da una relazione storica contemporanea all'epoca, rilevasi che il Pontefice " tornato in Roma ordinò al Tesoriere Cardinale " Corsini che con ogni celerilà facesse dar mano a tutti i lavori per " vedere in breve tempo un ricovero per le Navi minute ".

Innocenzo XII, giunto in Nettuno nell'aprile del 1697, fu ricevuto con molti onori: salve di artiglieria e festeggiamenti. Si svolse la simbolica offerta dei sette pani o " focacce di grano ". I Canonici della città di Anagni inviarono, per l'occasione, l'Abate Marco Gigli, Anagnino, che attese ai cerimoniale.
Il Pontefice, grato del pensiero, volle essere edotto sul significato della caratteristica cerimonia. Chiamato il Gigli e preso uno dei sette pani, osservo che era, spianato, in forma di pizza dorata, ed avente impressa, nei centro, una pentola, emblema blasonico di innocenze XII.
I pani furono presentati al Pontefice entro un piatto composto di giunchi, il cui fondo era argenteo con dorature ai bordi; nel mezzo appariva lo stemma dell'apa con iscrizione di lapislazzulì, oltre ai ritratti di sei Pontefici Anagnini, e intorno leggevansi i nomi dei Cardinali di Anagni. Sopra ciascuno dei ritratti era posto un pane. Il dono venne consegnato al maestro di Camera, Cardinale Cenci.
Terminata la cerimonia, da Nettuno si proseguì il cammino al Capo d'Anzo, in corteo composto di dodici Cardinal, dei due ingegneri Carlo Fontana ed Alessandro Zinaghi, delle Autorità camerali e cittadine, seguite da numeroso popolo.
Giunto Innocenze XII sul posto, preoccupato dalla gigantesca voluta dell'antico porto e dal dispendio enorme che si prevedeva, in aggravio all'erario dello Stato, opinò di non aderire al savio progetto dell'ingegnere Fontana di avvalersi del seno formato dal molo destro dell'antico porto, riparando i tratti ove era più danneggiato; e preferì, invece, attenersi all'altro disegno, apparentemente più economico, secondo le concezioni dell'ing. Zinaghi, uomo assai scaltro ed appaltatore del Peso dei pesci in Civitavecchia (Ademollo - Gita Papale del XVII secolo). Esso progettò un nuovo molo, il quale, partendo dalla metà meridionale del sinistro Neroniano, volgesse ad oriente, descrivendo così un seno angoloso.
Ordinato il nuovo Porto, il Pontefice partì per Roma; ferma-tosi a Carroceto, fu ivi accolto dal Principe G. B. Borghese, che fece costruire appositamente un magnifico Palazzo in legno, ove alloggiò il Pontefice, per cui venne imbandito un lauto banchetto, tributandosi insieme splendide onoranze.
L'avvenimento, riprodotto in disegno con incisione dell'epoca, è descritto, col suffragio dei relativi documenti dall'Adeniollo (Gita Papale del Secolo XVII).
La costruzione Neroniana non fu restaurata; ma al molo orientale di essa venne addossato il nuovo molo secondo le direttive dello Zinaghi. L'opera non corrispose all'attesa, non già per colpa del Pontefice, ma di chi Io trasse in errore, sotto pretesto di fare economie. Per l'opposto, la spesa, superò quella, che sarebbe abbisognata pel restauro del porto Neroniano, e non si ottenne alcun risultato positivo di miglioramento. I motivi subdoli vinsero gli sforzi dell'arte proba e cosciente; talché, a causa delle correnti marine e dei venti, il nuovo porto fu costantemente invaso dall'arena, insufficiente alla salvezza dai naufraghi, e dannosissimo alla spiaggia e costiera di Nettuno.
Sopra tale argomento dovrò, poi, ancora tornare. Da documenti che devono essere nell'Archivio Comunale di Nettuno, rilevasi che, nel 1700,

" il vecchio porto, il nuovo molo e nulla più assumevano il nome di Porto d'Anzio, non v'erano case d'abitazione e nessun abitatore. Il Pontefice comperò dieci rubbia circa di terreno, misurato dall'agrimensore sperandio, considerate nel territorio di Nettuno, gravate dei diritti di pascere. In quel terreno fu edificata una Chiesa, una Torre, casipole per ricettare i custodi e gl'inservienti del Porto, i soldati e i gabellieri, un'osteria ed un luogo destinato a sostenere i servi di pena adoperati nei servizi più faticosi del Porto. Ivi fu dedotta l'acqua e posta una fontana.., la cui iscrizione tuttora si legge. Ed in questa guisa si venne a poco a poco a formare una nuova borgata, la quale non ebbe altro territorio se non le dieci rubbia della valle Panfìli; e neppure ebbe un nome proprio, né assunse il nome dell'antica città mille anni prima distrutta, ma prese il nome dello stesso Porto, chiamandosi Porto d'Anzio. II Porto e le case e l'aggiunto territorio con i suoi abitatori venne affatto staccato dal Governo generale e dall'Amministrazione dello Stato non che dalla Terra di Nettuno. Imperocché Innocenze XII per sollecitudine verso la sua opera, affidò la Giurisdizione sul Porto di Anzio al Cardinale Benedetto Panfili, col titolo di protettore e sopraintendente generale del Porto d'Anzio con ampia ed illimitata facoltà. E statuì che dopo la morte del Panfili quel governo e quell'amministrazione si devolvesse ad una congregazione o commissione particolare che doveva comporsi nel modo che egli nello stesso Breve preordinava. " (Archivio Comunale di Nettuno).

Il documento citato manifesta che con la compera delle dieci rubbia furono perduti i diritti di pascolo, che gravavano sopra quelle zone, e il Porto distaccato da Nettuno, effettivamente e gìurisdizionalmente, senza aver tenuto conto del donativo di settecento nibbi di bosco alla Camera, giusta il Breve Pontificio 1594. Compiuto il Porto, che assunse il nome d'Innocenziano, dopo lamorte del Pontefice, il Cardinale Benedetto Panfili, sovraintendente del Porto d'Anzio con unica giurisdizione, proseguì il suo ufficio fino all'anno 1724. Nettuno, per usufruire dell'utilità del Porto, doveva necessariamente sottostare agli ordini severissimi dell'amministrazione autonoma e contentarsi di quelle limitate concessioni ad arbitrio degli ecclesiastici, sopportando pazientemente la mancanza, nel paese della vendita di pescagioni, che si limitava al solo Porto, per comodità di commercio dei signori tesorieri amministratori e del Castellano.
Nominato Pontefice Clemente XI (Albani), la Camera si rese inadempiente a quanto fu prescritto riguardo ali'amministrazione del porto d'Anzio, commettendo abusi, per cui grave danno ebbe a risentire la popolazione di Nettuno, siccome rilevasi dal documento appresso trascritto:

" Ill.mo e R.mo Sig. Tesoriere Generale di N. Sìgre-Agosto 1704 - Giuseppe Pizzi Tesoriere di Marittima et Campagna et affittuario dì Nettuno umil.no oratore di V. S. Ill.ma riverentemente gli espone, come il Castellano del Porto d'Anzo pretende contro la forma dei Bandi di comprare dalle Tarlane et altri ordegni Pescarecci il Pesce che capita in d.Porto franco della gabella del X.mo dovuta all'Orat.re e di assoluto possesso per prendersi tutto o in parte del Pesce per servitio suo e de soldati senza nemmeno permettere che gli Marinari Pescatori domandino la licenza di vendere il Pesce ali'Affitto et al Vice Gover.re come è stato solito et inveterato et tal pretenzione il med.o Castellano la fonda con dire " II Papa vuole che il Porto sia franco d'ogni dazio o Gabella. " Ma perché questa pretenzione è area et senza alcun fondamento, perché la gabella la paga il venditore et non il compratore et esso vuole che il venditore gli venda a tanto meno nel qual caso fa egli da Affitto mentre riscuote quella gabella che dovrebbe riscuotere l'affitto medesimo et ciò pretende praticare tanto nel Pesce quanto nell'altre mercatie, ma quanto anche fusse sussistente la sua pretensione, il che non si crede, in tal caso dovrebbe succumbere la Ben.a Camera poiché il Porto è stato fabbricato doppochè l'Oratre ha preso l'affitto di Nettuno, onde si supplica la somma bontà e retta giustizia di V S. IH.ma voler ordinare al d.to Castellano che si astenga di operare in simil forma e non permetta che li poveri Pescatori et altri venditori habbino a soggiacere alle pene comminate nei Bandi contro chi frauda la Gabbella, come è successo ora ad un povero Pescatore poi che avendo venduto un tanto meno quel Pesce o altra mercantia considerata la Gabella, l'Orate non puole a meno di non far punire il venditore per il frauda quando e fuori del Porto e così li poveri Pescatori e t al tri venditori restano gravati per colpa del d.o Castellano - G. Pizzi Tesoriere di Marittima et Affitto di Nettuno. " (Arch. privato).

Le patenti di sanità per i legni di mare, che partivano al Porto di Anzio, si rilasciavano dalla Comunità di Nettuno. Un modulo dell'epoca lo attesta. Esso porta impressi due stemmi del Papa Pignatelli (Innocenze XII) e l'altro della Comunità di Nettuno. Nel mezzo campeggiano le due figure dei titolari della chiesa di Nettuno. Segue poi il testo:

" Comunità di Nettuno -A tutti e singoli si certifica che si parte la questa Terra e suo molo d'Anzo.. che perciò dove capiteranno se gli può dare libera e sicura pratica.... in questa, predetta Terra non vi è sospetto di male contagioso e si vive in perfetta sanità... e col solito grande sigillo della stessa Terra lo muniamo. -Nettuno il giorno.... (Archivio particolare).

97) INDUSTRIA DELLA PESCA IN NETTUNO

A rimuovere un complesso di contingenze lesive, e, nel lodevole intento di dare incremento alla pesca, provvide il Pontefice Clemente I, siccome, tra l'altro, è notizia nel seguente comunicato testuale, dell'epoca:

" L'U.mo Serv.re et Orat.re di V. S. IH.ma riverentemente le rappresenta come laS.ta mem.adi Clemente XI con suo speciale Chirografo in data p.mo febbraio 1708, fu aggraziato di poter fabbricare due barche dette Tarlane pescarecce quali di continuo pescassero nelli mari di quella spiaggia di Nettuno e Romana et poter tagliare in quelle macchie tutto il legname necessario per la costruzione di dette barche e fu anche aggraziato del pagamento del decimo del pesce e finalmente dichiarato affatto esente et immune dal detto decimo del pesce che si fosse pescato da dette due Tarlane tanto rispetto alla R.nda Camera Apostolica quanto al di lei affittuario prò tempore, come V. S. IH.ma compiacerà benignamente riconoscere dalla copia dell'annesso Chirografo, et volendo ora l'Oratre prevalersi alle benigne gratie esposte in esso: supplica umilm.te V. S. Ill.ma per la permissione del Taglio dei legnami ed anche della detta esentione da osservarseli. " (Arch. privato).

Le concessioni venivano da Roma indirizzate al Vice Governatore di Nettuno

" Ill.mo et Ecc.mo Sig. Sforza Vice Governatore di Nettuno. In esecutione d'un Chirografo segnato da Nostro Signore e dell'Istromento già stipulato vedrà V. S. dall'ingiunto foglio quanto si è stabilito con Cotesto Sig.re.... ond'ella lo farà chiamare a se e gli comunicherà il medesimo foglio facendoglielo sottoscrivere alla presenza di più testimoni et notare con ritornarcelo per di qua affine di farlo conservare fra le altre scritture della R.a camera. Seguito poi che sarà la predetta sottoscrizione V. S. assieme con qualche Persona perita e di fede si porterà sul luogo, ove dovrà farsi il taglio degli alberi per la fabbrica delle due Tarlane, etfattili contrasegnare diligentemente coli'assistenza della persona che a tal'effetto sarà da Lei deputata, permetterà al Sig.re... il taglio degli alberi a tenore dell'ordine che V.S. avrà dato Roma 15 Marzo 1708-Aff.mo sempre Card.le Marini Tesor.re Gener.Ie Di N. Sig.re (dopo nostro scritto) et farà che assista detto homo perché si tagli se non quello che V. S. havera ordinato ". (Corrispondenza privata)

98) SBARCHI AL PORTO INNOCENZIANO

Vivendo Clemente XI, nel Porto Innocenziano approdavano feluche e navi, che portavano a bordo militari Spagnoli e Siciliani ingaggiati in occasione delle guerre del tempo.
Alcuni anni dopo la pace di Utrecht, la pubblicazione della detta Bolla " Unigenitus " di Clemente XI provocò aspre discordie contro la Sede Papale. Filippo V di Spagna. a sostenere il suo ministro, Cardinale Alberoni, detestato dal Papa, piombò sulla Sicilia, ove regnava Vittorio Amedeo di Savoia. Negli Annali del Muratori si legge ( 1714) :

" Durarono intanto, anzi ogni di rnaggiormente si accendevano le controversie tra la S. Sede e quel Rea! Sovrano, sostenitore risoluto dell'appellata Monarchia di Sicilia. Clemente XI emanava Bolle contro la detta Monarchia, Cagion fu questa che non pochi Siciliani si ritirassero in Roma con aggravio non lieve della Camera Apostolica ".

In Nettuno un cittadino, avendo funzione di console di Spagna, così riferiva alle autorità in Roma, in merito a notizie di guerra pervenute a sua cognizione:

" Nettuno 14 Luglio 1714 Siamo qui pieni di nove Spagnole che pure in Roma si sapranno, ma le più fresche verranno da noi che siamo più vicini alla Sicilia. Questa mattina sono venuti in Casa due marinari d'una feluca proveniente da Porto Longone sopra di quali vi era un Capitano Spagnolo e mi hanno riferito che nel Porto vi stava detto Capitano che desiderava abboccarsi meco. Come console sollediamente per poi proseguire il suo viaggio, onde vi ho mandato immediatamente mio figlio e li ha conferito che lui era spedito dal Comandante di d.a piazza di Gorgone con dispacci per l'Armata, che a quest'ora sperava giunta in Messina, mentre havevano già la nova esser in possesso di Palermo che tirava avanti a quella volta avendo trovato resistenza solo che in Trapani che lo stavano battendo per ridurlo alla resa. Che in Sicilia vi erano solo che m / 3 (tremila) soldati Piemontesi in difesa, e che quel Vice Re era partito per Messina. La causa poi del dispaccio di detto Capitano era per dar l'avviso ali' Armata che affrettassero l'impresa, mentre vi erala certezza che la flotta Inglese si ritrovava alle strette proseguendo a questa volta, si giudica però che non si verrà ad hostilità veruna tra esse armate perché essendo l'Inghilterrai impegnata a mantenere la tranquillità d'Italia quando la Spagna agisce contro li Stati dell'Imperatore, non essendo a Sicilia di esso non li viene a rompere il trattato; queste però mi paiono pie meditationi, perché ritrovandosi li Spagnoli con una si poderosa Armata non si contenteranno di fermarsi in Sicilia, ma vorranno proseguire contro il Regno di Napoli bastandoci all'impresa solo della Sicilia la metà dell'Armata, tanto più che non l'hanno trovata in stato di difesa, il che dimostra l'intelligenza che vi è della Savoia. Ciò che sia lo vedremo, come spero appresso, il meglio è che non vi sono Corsari in Mare tra esse nationi permettendoci hine inde pacificamente li trafichi, sentendosi però infinità di legni Turcheschi. "
" II suddetto Capitano fatto il suo discorso et inteso che quivi erano ristesse nove e regalato mio figlio d'un poco di tabacco e quattro canditi da farsi una bevuta con l'acqua fresca, come ha detto immediatamente ha montato su la sua feluca in proseguimento del suo viaggio convenuto tanto favorevole che non ho veduto in quest'estate un'altro simile. "

Un'altra lettera del primo Agosto 1714 dice:

" Nettuno P.mo Agosto 1714.......Qui si sentono sempre più giulive le nove dei Siciliani che approdano qui dicendo, che stanno così tutti contenti che li pare ritrovarsi più nelle feste che nella guerra " (Corrispondenza Privata).

Un notevole avvenimento s'ebbe nel 1725 al Porto Innocen-ziano. Le Maestà Brittanniche (Giorgio I, della casa d'Annover, con i figli, nati da Sofia Dorotea di Zeli, di lui moglie, vennero al Porto predetto, per vedere le galee Pontifìcie di Benedetto XIII. In tale occasione, il Commissario Apostolico di Velletri impartiva le seguenti istruzioni, in verità oltremodo preoccupanti, al Capitano Sopraintendcnte in Nettuno:

" Ill.mo Sig.re Persistendo le Maestà Bri tarmiche nella risoluzione presa di portarsi al Porto d'Anzo per li 8 del Cor.te ne porgo a V. S. l'avviso, acciocché quando non abbiaaltro in contrario Ella si pongaall'Ordinecollasua squadra per incontrarle alle sei miglia ove dividono le due strade che una porta a Nettuno e l'altra al Porto non sapendo quale di questa faranno in tale congiuntura.
Ma perché mi preme, che quest'Incontro riesca con decoro non solo vorrei che V. S. facesse buona comparsa con buon Abito et Cavallo, ma ancora se fosse possibile vorrei, che li soldati avessero i vestiti compagni, et perché mi ricordo di averne veduti nella Fortezza di Nettuno degl'abiti Torchini colle Mostre gialle, potrà Ella parlare al Sig. Castellano per averli imprestito per tal funzione, dopo la quale potrà restituirglieli, avvertendola però a non aspettare che il Re arrivi ove si trovaranno accampati i suoi soldati, ma Ella dovrà distaccarsi due Tiri d'Archibuggio dalli med.mi e presentarsi a piedi allaCarrozza delle sud. te Maestà con esporre loro, che Ella si trovava per mio ordine con i suoi soldati per servirle, nel viaggio sino al Porto.
" Così si compiacerà di eseguire quando non le pervenga altra Ord.ne in contrario, et intanto procuri, che si aggiusti anche la strada in quei luoghi, che vi fosse di bisogno con che aff.te mi confermo Velletri P.mo Ottobre 1725 G, De Cavalieri Com. Apost.o " (Corrisp. privata)

Segue un'altra lettera di risposta al
" detto Capitano in Nettano Ill.mo Sig.re Ho ricevuto in questo punto che sono ore 14 la lettera di V. S. alla quale rispondo che le Maestà loro Brittaniche persistono nel sentimento di essere dommattina 8 del Conte al Porto d'Anzo per vedere le Galere di Nostro Signore. Le Maestà loro partiranno d'Albano tra le 12 e 13 ore et si porteranno addirittura al Porto, ove monteranno sopra la Capitana et colla med.a si faranno condurre per mare sino a Villa Costaguti nella quale si fermeranno a Pranzo. Il giorno poi si porteranno colli propri Calessi aNettuno per osservare la Terra et il Palazzo Pamfili et poscia di là s'incamineranno di ritorno ad Albano. V. S. dunque prenderà le sue misure per essere puntuale di ritrovarsi colla sua squadra alle sei miglia della Macchia per servire le Maestà loro, le quali subito che vedrà giungere mon terà da cavallo e si porterà alli piedi delle med.e e dirle che si trova là :con una squadra di soldati con ordine mio per scrivere le Maestà .loro Reali, dopo quel complimento montara a Cavallo et si porterà accompagnando le loro Maestà. In quanto poi alii Corni da Caccia ho pensato che basterebbe portare solamente la Tromba et avendo parlato con Masignano questo si mostra prontissimo a compiacermi tanto più che deve portarsi domattina di buon ora al Porto, essendovi stato chiamato dal suo padrone; onde V. S. potrà parlare al Sig. Castellano se vuoi compiacersi di permettere, eh'Egli cavalchi colla sua squadra per sonare la Tromba, e lo pregerà anche in mìo nome per facilitare il favore nel qua! caso basterà, ch'ella faccia trovare un solo Cavallo con sella per condurre seco d. Masignano se poi non si potrà avere ne pure un Cavallo da solla, ci vorrà flemma e farne di meno. Si compiacerà di ricordare al Sig. Castellano della Fortezza che sia pronto per la salva Reale, che dovrà fare nel giungere che faranno le Maesà loro in Nettuno e lo stesso farà Ella pure del suo Baluardo nel med.s tempo che giungeranno come si è detto le Maestà loro.... Favorisca di far subito recapitare le accluse lettere e specialmente quella diretta al Sig. Castellano del Porto. Le raccomando che la squadra de soldati sia per grazia ben in ordine acciò faccia la sua comparsa, e sopratutto sia pontuale da ritrovarsi all'arrivo che faranno le Maestàloro alle sei miglia. Questo è quanto ho dovuto replicare in risposta alla sua lettera, e desiderando di poterle rimostrare la mia cordialità mi confermo-Velletri 6 ottobre 1725 - Card.le Cavalieri Comm. Apost. - D. N. S. (dopo nostro scritto) alla quale soggiungo che se il guardarobba di Villa Cos tagliti non fosse stato avvisato di preparare l'alloggio per le Maestà loro, le quali devono fermarsi a Pranzo come ho detto, V. S. si porti subito dal med. e li significhi quanto le ho rappresentato, acciò facci trovare all'ordine, il Palazzo et Cucina et ogni altro bisognevole. - Ho ordinato che domattina sia pronto a Villa Costaguti un carro con diversa caccia però dica al Guardarobba che la prenda in custodia, con il mio arrivo disporrò tutto " (Archivio particolare).

Non occorre, certo, eccessiva fantasia per darsi conto, a tenore ed indole delle missive surriferite, che il compito d'onore raccomanda togli, dovette certo essere cagione di seri imbarazzi al malcapitato destinatario.
In verità, non dovettero essere facili incombenze, quelle di adattare, alla meglio le vecchie divise, da tempo rinchiuse negli armadi della Fortezza, e far premura al Castellano per averle nonché andare in cerca di Masignano per far sonare la tromba, e correre, insomma, qua e là, per sollecitare, specialmente, i preparativi per il pranzo reale.

99) MAL GOVERNO TRAFFICO CON CONCA E CAMPOMORTO

 

Nel primo ventennio del secolo decimottavo, il governo del paese di Nettuno fu in balìa di un deplorevole disordine e delle più sfrenate cupidigie.
I Comandanti delle armi, il Capitano e i Castellani delle varie Torri erano meschinamente retribuiti; avevano, per lor provvigione, al massimo, sessanta lire al mese, e i torrieri, quaranta. Per giunta, tali meschine retribuzioni, spesso non venivano corrisposte dagli Affittuari Camerali; dal che derivavano questioni, innanzi ai Tribunali, con non lieve pregiudizio del paese, al quale veniva a mancare il servizio della difesa.
Le cose pubbliche erano malamente amministrate, e i Governatori abusavano della loro autorità, defraudando, al pari degli
affittuari Camerali, i cittadini, i quali venivano, senza giuste ragioni, sottoposti a dure pene. Una lettera del 12 gennaio 1718 riferisce

" Martedì mattina bavera ricevuto le mie lettere sopra le carcerature e perché ancora stanno in secreta vi prego a far cognoscere a Superiori li trapassi che fa il Governatore che per levarsi le proprie passioni non vole sen tire che stanno male e per non cacciarli con sicurtà e fa questi processi causa propria e per quel che si vede fa da tiranno e quando da Giudice " (Archivio privato).

Il Paese era sotto un incubo continuato, senza che le Autorità superiori, sebbene fatte consapevoli, si decidessero a porvi riparo. I governatori furono sempre scelti tra forestieri inviati qua e là per i Feudi, secondo il volere degli Affittuari Camerali.
Accadevano frequenti liti fra soldati Corsi, sbirri e bargello; ma le Autorità locali si chiudevano prudentemente dentro il Castello, non avendo il prestigio per sedare le risse. La sanità pubblica era del tutto trascurata, mancando medici e farmacisti. A tali negligenze, non bastava sopperire con la buona volontà di non pochi cittadini, i quali si rivolgevano continuamente a persone conoscenti e parenti in Roma, affinchè facessero presente, alle Autorità competenti, la necessità d'inviare aiuti sanitari. Pur tuttavia, anche essendo inviato il personale richiesto, esso doveva impiegare due o tre giorni di viaggio, a cavallo, e servendosi di pesanti e malandati calessi: cosicché sovente il soccorso giungeva, quando il malato era già morto o agonizzava.
Il 10 gennaio 1718 sollecitavasi da Nettuno:

" Mando il cavallo da sella per il medico nuovo acciò preghiate il Sig. .. a mandarlo subito che si trova malata la moglie di... con qualche pericolo, nel medesimo tempo procuratemi un giovane speziale e pregatene il Sig.... che in ogni caso mi mandi il suo per dieci o quindici giorni sino che finisce questa persecutione. "

In una seconda lettera, ad intervallo di due giorni, si scriveva:

" Si mandano due cavalli per il medico e per lo speziale che doveva mandarmi, V. S. faia come lo pregai almeno di mandarmi il suo giovane per dieci o quindici giorni sin che terminasse questa tirannìa, ma ancora non si e veduto né l'uno né l'altro e hier sera si spedì di nuovo alle Castella per un medico per la Sig. che sta molto male e si incontra giusto che non ha né medico e speziale per bona grafia di questo ladro governatore. "

In una terza lettera del 22 gennaio 1718 si ripeteva:

" II medico e lo speziale pergratia sollecitateli a venire perché qui si more, come si vede per niente e per non poter curare l'infermi. " (Corrispondenze private).
Al savio lettore, i commenti !
Pur, verificandosi, nell'epoca, le pecche lamentate, tuttavia fra Nettano, Conca e Campomorto si svolgevano importanti traffici. Il S. Offizio, proprietario della tenuta di Conca, comperava terreni macchiosi e paludosi, di proprietà di cittadini Nettunesi, in contrada Intossicata. Nella tenuta di Campomorto si effettuavano pagamenti di Eida del bestiame Nettunese, e si acquistava gran quantità di fieno, prendendosi anche in fitto terreni per pascolo. I pagamenti delle fide si eseguivano in Nettuno, nei giorni di S. Bartolomeo, di Natale, e nel Carnevale. Il giorno di S Bartolomeo aveva luogo una fiera con relative funzioni religiose e divertimenti pubblici.
I Nettunesi, nella tenuta di Campomorto, con bestiame proprio, curavano la produzione di burro di eccellente qualità. Un proprietario ne poteva ricavare ogni settimana circa libbre cinquanta, che vendevansi a baiocchi quindici per ogni libbra. Si produceva ancora un buon formaggio chiamato " Tarantelle ", che si spediva, in Roma entro barilozzi, perché non svanisse di sapore e di odore. (Corrispondenza privata).
Gli animali appartenenti ai Nettunesi pascolavano insieme con quelli di pertinenza del Capitolo di S. Pietro, proprietario della tenuta. Però, data la grande quantità dei capi di bestiame, avveniva no confusioni, alcune volte casuali, e, tal'altra, scientemente provocate, con pregiudizio dei Nettunesi. L'allevamento dei suini era rilevante. V'era chi, da solo, domandava il pascolo della ghianda per duecentocinquanta capi, che si vendevano, poi, in Roma, al campo. Le istanze relative al pascolo, nel detto lenimento, s'indirizzavano al Commissario Apostolico residente in Velletri il quale, spesso accedeva in tenuta, rendendone avvisati i Nettunesi, perché ivi si trovassero per Decorrenze dei loro affari. Essi cittadini effettua vano, in Roma, polizze di subaffitto, in riferimento globale a terreni di Nettuno, Conca, Campomorto e S. Lorenzo. Alle volte i subaffìtti erano parziali, basandosi il prezzo del canone sul prodotto. Avveni va, però, che l'Affittuario Camerale, sublocando, faceva mescolare il bestiame proprio con quello del subaffittuario ad intento doloso.
(Corrispondenza privata).

Nel 1713, nella tenuta di Campomorto, si propagò l'infezione bovina. Si reclamava da Nettuno alla Sacra Consulta, la quale non provvedeva a frenare, con energici mezzi adeguati, il diffondersi dell'epidemia. I proprietari funestati nel frangente, fecero accedere i buoi nei terreni Nettunesi, ancora immuni dall'infezione: così che, il flagello assunse proporzioni maggiori. Ciò avvenne col "' beneplacito della Sacra Consulta, del Cappellano e del fattore di tenuta. Le Autorità non si peritavano di esercitare malaugurati %i favoritismi, concedendo inconsiderate licenze, a tutto danno del bestiame Nettunese.

Nell'agosto 1713 si scriveva

" Haverò a caro sentire cosa si sia fatto di bono nell'Istanza fatta alla sacra Consulta per provvedere al timore che ho del male delle vacche e perché ho messo che sopra di ciò siano usciti bandi rigorosi, ho scritto al Sig... che me ne favorisca d'uno perché qui si campa alla cieca e senza guida in tutte le cose non essendovi più giustizia né Corte, se non stavo accorto sarebbe infettato tutto il Territorio di Nettuno ".

Si stipulavano in Nettuno Chirografi, per mano di Notaio, con i quali i Nettunesi costituivano Procuratori persone della parentela in Roma per la compera della spiga nella tenuta di Campomorto. (Archivio particolare).
Continuava, frattanto, l'industria della pesca, in Nettuno: e si confezionavano sarde salate ed ottima tonnina.
La produzione del lino si esercitava su vasta scala, vendendosi il prodotto in Roma, ove anche srnerciavansi orzo di qualità finissima e vini rossi squisiti. (Corrispondenza privata).

100) SCAVI ARCHEOLOGICI DEL CARD. ALBANI

Di quanto parlai, riguardo ad Anzio, nell'epoca Imperiale, e dei sontuosi edifici costruiti nella città e nel proseguimento di Nettuno, fino ad Astura, fanno prova, gli oggetti d'Arte rinvenuti dal Cardinale Alessandro Albani, nepote di Clemente XI. Sotto il pontificato di Clemente XII (Corsini), l'Albani ebbe facoltà di poter eseguire scavi nel vastissimo territorio perla ricerca di opere d'Arte e vantaggio della Storia. Il suddetto Cardinale, con Istromento del 15 dicembre 1733 atti Callosi, Segretario della Camera, vendeva, a Clemente XII, per il prezzo di seimila scudi romani, gran parte di quanto aveva rinvenuto. Clemente XII, fatto l'acquisto, con chirografo del 27 Dicembre 1733, incaricò il suo furier maggiore, Cardinal Alessandro Capitolino, degli oggetti d'arte, che possono compendiarsi nei seguenti: statua del Dio Anubi; Berenice stolata; Pastore che versa latte da un vaso; altro pastore, che si trastulla con un capretto; satirello danzante; statua in marmo Egizio raffigurante Esculapio, posta sopra di un'ara con bassorilievo; simulacro di Giove, pure in marmo Egiziano; vaso di metallo che, secondo l'iscrizione, venne, in origine, donato da Mitrade Eupatore; un plinto in bigio, con iscrizione; mosaico raffigurante Èrcole vinto da Amore; vaso di argento con bassorìlievo, riproducente il giudizio di Oreste nell'Areopago; statue di Nerone e di Meleagro appoggiato ad un trono con la testa del cinghiale caledonio; e ciò, oltre molti altri oggetti di minor valore.
L'Albani pose nel Museo della propria villa le seguenti opered'arte trovate in nettano: Statue di Èrcole, di Esculapio, di Giove, di Pallade; un busto di Adriano, di Settimìo Severo, di Faustina Augusta, insieme con altre statue; altri busti, erme, iscrizioni e colonne, dei quali molti andarono venduti in Germania. L'albani costruì una villa avanti al Porto Innocenziano, servendosi degli avanzi di antiche costruzioni, come rilevasi da una lettera del 12 Dicembre 1726, scritta al Governatore di Nettuno, ora nell'Archivio di Stato. Acquistò dal Capitolo e dall'Ospedale di Nettuno i terreni a canone come risulta da Istromeno 7 Ottobre 1726, Atti Giorgi, nel quale vi era il patio " che se nel cavar terra e lavorarla si " trovasse oro, argento monetato e non monetato, pietre preziose, " statue, colonne, metalli, bronzi et altro antico, si debba spartire " perché così di patto e non altrìmente ". Si trovano infatti, cose pregevolissime; ma nessuna precisa memoria si è potuta rintracciare negli archivi capitolari e dell'Ospedale, riguardo la pattuita " spartiùone ". (Soffredini storia 1879).
Il lettore, che ha percorso questa mia narrazione storica, può ben darsi conto sull'importanza di questo suolo vetusto, che, sebbene orbato di tanti cimeli, testimoni di un'antica e nobile origine, potrebbe ancora, dal suo seno, offrire ai cultori dell'arte e della scienza, altro materiale storico preziosissimo.
In ambito al tema trattato in questo passo, ricorre spontaneo un accenno al rinnovamento del Calendario Anziate precesareo e dei fasti consolari dipinti sopra intonaco: quale fortunato esito, avutosi cinque anni or sono, si deve all'illustre archeologo Gioac-chino Mancini, che effettuò ricerche nel terreno degli Aldobrandini in Anzio. Egli ne fa ampia tradizione paleografica in un estratto di notìzie edito nel 1921, e afferma che il calendario Anziate è il più antico di tutù i calendari romani, che finora si conoscano, meritando, perciò il primo rango dovuto alla sua vetustà, per essere, cioè l'unico calendario, prima di Giulio Cesare, che l'antichità abbia tramandato.
Lasciando, ora, tale digressione, riprendo il filo della cronistoria di Nettuno, durante il secolo decimottavo.

101) BATTAGLIA DI VELLETRI 1744

Verso la metà del Secolo XVIII l'Italia trovavasi in condizioni ben miserevoli, sotto gioghi stranieri.
La casa Borbonica dominava nel regno dell due Sicilie. Neglette erano le arti, l'industrie e il commercio. La giustizia non era che una farragine di leggi fondate sui privilegi oppressivi.
Il feudalismo stangava egoista e tiranno. Le comunicazioni erano scarse; tutto era trasandato e corrotto; si viveva nel disordine della cofusione e nei contrasti più fieri tra fastigi e miserie. L'Italia gemeva, così, dilaniata da estranei domini.
In condizioni sì tristi, risentivano danni anche i paesi dello Stato Pontifìcio. La Comunità di Nettuno indarno invocava lo sgravio di contributi straordinari fortissimi, imposti perii passaggio e accantonamento, nel paese, di truppe estere emiste, d'ogni arma, laddove che tali contribuzioni spettavano alla Camera, la quale pur percepiva lauti proventi del feudo di Nettuno, colpendo i fondi rustici e gli urbani.
Truppe Spagnole, da Nettuno passavano a Campomorto, per giungere a Velletri. La seguente lettera, recapitata a Nettuno, ne da cenno:

"Ill.mo Sig. - sono debitore di rispondere a più lettere sue ed una del giorno di ieri, ma doverà compatire perché col passaggio di queste benedette truppe Spagnole per le provviste di fava, orzo, paglie etfìeno per Velletri e Cisterna si sta sottosopra Io sono in tenuta e con il Sig.ri Compratori per li conti generali e vi staranno molti giorni e dinami aspettiamo il libro mastro eloro concio si che dopo domani potrà venire con suo comodo per aggiustare li conti e facilmente Domenica con il Sig. Commissario si portaremo in Nettuno per la necessità di farsi la barba... Campomorto 14 Giugno 1735 - Chiappi ". (Archivio particolare)
La Comunità di Nettuno, non avendo veruna entrata nel proprio bilancio per pagare l'ingiusto contributo, fu costretta ad imporre balzelli ai cittadini, per far fronte ai vari pesi Camerali e Comunitativi. Stralcio il seguente periodo da un'istanza della Comunità di Nettuno, indirizzata alla Congregazione del Buon Governo e dello sgravio in Roma:
Lamed.a Comunità per supplire e pagare li pesi Camerali e Comunitativi li conviene imporre ogni anno una colletta di scudi Milleduecento sopra li beni e teste di Cittadini, che non avendo la d.a Comunità entrata veruna si piangea lagrime di sangue per pagarla e massime in questi annai calamitosi ".
(Archìvio Comunale 1739).

L'imposizione delle gabelle si estendeva per tutto il territorio e tenute vicine, che giornalmente importavano in Nettuno cereali, foraggi e bestiame. In un'atto consigliare del 3 settembre 1741, redato per mano di notaio, come era d'usanza, si legge:

" Vedendosi sempre più che il grave peso della data o sia Colletta dì questa Comunità, riesce dì grande incomodo a tutto il Popolo per essere ridotto tanto miserabile soffrendo per ciò continue sbirrate et esecutioni, derivando ciò per essere la nostra Comunità senza entrata alcuna e continuando in tale stato a pagarsi della Colletta così rigorosa andrà in rovina fra poco questa nostra Patria, quindi è che hanno pensato li Sig.ri Priori etConsiglieri tanto più che vedono assai diminuita la Gabella di mezzo baiocco sopra le carni e che perciò non è sufficiente a supplire agli debbiti Comunicativi et Camerali, s'impone una Gabella da un baiocco sopra ogni somma tanto delle robe che s'introducono quanto di quelle che si estraggono o per transito o per terra o per mare o per travaso da una Barca all'altra per mare nel Porto d'Anzo. " (Archivio Comunale).

Si dovevano imporre gabelle della Comunità, per ristorare l'esausto erario e affinchè il forestiero, desideroso di fabbricarsi una dimora nel paese, non venisse distolto, dietro considerazione dello stato bisognevole della Comunità.
Quest'ultima non poteva imporre gabella senza il consenso della Congregazione del Buon Governo, la quale, sebbene conoscesse lo stato finanziario del paese aggravato da ingiusti balzelli, discaricavasi, lasciando arbitro il Consiglio. Questo adunavasi al suono della "pubblica campana ", posta in cima alla Torre della Rocca, che tuttora vedesi: componevasi di cinquantaquattro persone, tra consiglieri e " capi di famiglia, " più due ecclesiastici. L'atto Consigliare veniva redatto-come s'è fatto cenno - per mano di notaio presente alla deliberazione. Riporto l'infrascritto brano, desunto da un altro atto consigliare, che spiega i motivi dell'imposizione delle Gabelle: "per animare ancora la Nobiltà Romana a " costroire fabriche in quella amena riviera di Mare per la quale " Data (gabella) più d'uno invogliato se ne astiene per non " assoggettarsi al pagamento o peso d'un cenno passivo"

(Archivio Comunale).

Dolorose vicende sopportò Nettuno nel 1744, in occasione della memoranda battaglia di Velletri contro gli Austriaci, per la contesa del Regno delle due Sicilie.
Il comandante austriaco Lobhowitz divisò rivolgere la marcia contro Roma, mettendo a ribellione la campagna Marittima per entrare più agevolmente nel territorio di Napoli.
Re Carlo di Borbone, conosciuto il piano nemico, diresse le proprie forze a Velletri, ponendo a capo di tutto l'esercito napoletano il valoroso fiammingo, Conte Ganger. Gli Austriaci seminavano terrore in quel di Velletri, saccheggiando le abitazioni, trucidando e menando strage col ferro e col fuoco. Le schiere del Re e delDucadi Castropignano resistettero, però, all'assalto. Nelle vie di Velletri si combatteva strenuamente; e, mentre gli Austriaci si ritenevano ormai padroni del campo, il 10 Agosto 1744, affrontati con estremo coraggio dai Napoletani e Veliterni, furono costretti alla fuga, cosicché molti perirono, precipitando dalle balze. Sui luoghi di combattimento rimane uccisa una terza parte dell'Armata sconfitta, mentre le rimanenti truppe venivano inseguite dal Comandante Ganger.
Perché il lettore conosca le condizioni in cui versava Nettuno, durante tale avvenimento guerresco, riporto la seguente lettera scritta il 7 Giugno 1744 da Nettuno a Roma:

" Venerdì mattina pervennero qui da Velletri da m/5 (cinquemila) uomini trafanti e Cavalli con m/2 (duemila) Cariagi tra muli Barrozze et Carretti et a tale effetto fummo anche noi paesani istimati asimil careggio di barrozze, muli Cavalli rispettivamente per sgravare le note barche Spagnole e condurre le Robbe e viveri in Velletri come già fecero la notte seguente;ora lascio a Lei considerare ilt imore e lo spavento che recarono a tutto il Paese queste gran truppe e la confusione al primo arrivo fu tale che non si vedeva gente che ' non piangesse e ci convenne qui al Pubblico colla meglio sollecitudine che si potè far portare al Porto molte barrozze di fieno dove risiedeva il corpo maggiore di Cavalleria et fanteria per non dar mano alii grani come già avevano incominciati et in conseguenza ancora fossimo obbligati mandar de gran viveri per le soldatesche ancora a quali non poteva questo povero Paese massime per il grano, di modo che se non sopraggiungeva il grano venuto da co testa Annona oggi si sarebbe stato senza pane e quello che più dispiace è che deve questo suddetto distaccamento ritornare altre due o tre volte per scaricare affatto queste barche si dubbita ancora che debbono venire altre barche parimente con provvisioni, ora se Dio guardi venissero qui gli Usseri per impedire simil scarico come già si dice, veda Lei in che mare di guai ci ritrovassimo che non solamente si starebbe a rischio di perderle robbe ma ancora la vita e l'onore rispetto alle donne e l'assicuro che qui non si fa altro che piangere e sospirare, ne si sa che strada prendere e i dubita che venendo in appresso malanni non possiamo essere più in tempo di fare qualche debita risoluzione (Archivio particolare) ".

Chiudo ora il capitolo, facendo menzione che, nel 1745, il Pontefice benedetto XIV, sotto la dirczione dell'architetto Romano, Carlo Marchìonori, ultimò la fabbrica del Duomo di Nettuno, rimasta sospesa dopo la morte di Clemente XII il quale aveva fatto contribuire l'Erario nella somma di scudi quattromila per la prima costruzione.

 

102) PRIMORDI DELLA NUOVA ANZIO

II piccolo territorio del Porto Innocenziano isolato dal vasto territorio dei Nettunesi, veniva considerato proprietà
della Camera Apostolica con persone addete al servizio del Governo e, da questo, salariate. I Nettunesi proseguivano, da soli, ad esercì tare iloro diritti civici soprattutto il lor territorio vastissimo, siccome cittadini indigeni.
II Ponetefice Clemente XII aveva nominato il nepote Neri Corsini sopraintendente del Porto Innocenziano, con propria ed assoluta giurisdizione. Le dieci rubbia comperate da Innocenze XII formarono, però una terra aparte da qualunque al tra giurisdizione ed immune da gabelle o dazi. Se, per caso eccezionale, il Governatore di Nettuno sostituiva il Tesoriere del Porto esso esercitava il suo ufficio come "Uditore del Porto. " Tutte le spese per pubblica utilità, nel piccolo territorio portuale, erano pagate dalla camera, mentre quelle per Nettuno si pagavano dalla Comunità. L'amministrazione del Porto dipendeva dal Tesoriere Generale; quella di Nettuno dalla Sacra Consulta e dal Buon Governo. (Sommario dal n. al 18 di Albenese).
Progredendo il commercio e l'industria dellapesca nel Porto Innocenziano, il piccolo territorio adiacente cominciò a popolarsi. Si aggiunga poi, che, per le continue bellicose vicende, alcune famiglie di naviganti, nell'intento di avere un'asilo tranquillo, ospitarono ivi, costruendo piccole abitazioni.
La città memorabile per i suoi superbi ricordi, il soggiorno predilletto dei Romani, inghirlandata dei suoi fasti si destava dal sonno millenario, destinata a risorgere nella solatia riviera.
Dalle secolari e silenziose rovine, segni di una sublime origine di eccelsa grandezza e potenza, si rievoca il nome di Anzio, che divise con Neptunia i magnifici allori.
Nel 1733, alcune famiglie, in conseguenza della guerra sorta tra il Re di Spagna Filippo V e Carlo VI d'Austria, si partirono da Gaeta, loro patria, e vennero ad ospitare in Anzio, che, da borgata, cominciò a divenire un piccolo paese. Il Pontefice Benedetto XIV (Lambertini), nel 1746, venuto da Casti Gandolfo a visitare il Porto Anziate, lo trovò abitato da trecento persone, tra esse compreso il personale amministrativo e giudiziario. Diede ordine che si costruisse una nuova Chiesa a S. Antonio e vi nominò un Parroco, avente giurisdizione sul piccolo territorio, che comprendeva la Casa Camerale, vicino alla Chiesa, un'osteria comune, poche case, alcune capanne addossate fra loro, un piccolo cimitero, una, fontana, un' arsenale; più gli edifici Panfìli, Aldobrandini, Albano e Corsini. (Rasi-Allegati).
Formatesi così il piccolo Anzio, ed aumentando sempre di abitatori, proseguì ad essere separato da Nettuno, fino al principio del secolo decimonono.
Nei due paesi, fieri delle loro origini vetuste, emergono ancora le memorie dei loro fasti immortali nella storia e nelle tradizioni. Un comune destino presiedette alle loro vicende e alla loro rinascita; ambedue, prediletti dalla natura, allietati da orizzonti splendidi, nel bacio delle glauche onde Tirrene; adorni dapprima, di palagi Cesarei e, poscia, vegliati da severe Torri merlate; ambe due vissero nel cielo dei secoli e fioriscono oggi nell'auspicio di sorti sempre più avventurate.

103) LE FORTIFICAZIONI E LORO FUNZIONAMENTO PER LA DIFESA

 

Le fortificazioni del Castello di Nettuno, come già dissi innanzi, si mantennero sempre nella stessa forma caratteristica, conservando la loro primitiva posizione e costruzione. Le mura perimetrali aveva sulla cresta un passaggio chiamato " marcia ronda ", che girava intorno al Castello, ed era interrotto in tre punti: a ponente, da Palazzo Segneri, a tramontana, dal Palazzo Camerale; sul mare, dal Palazzo Panfili-Doria. Era perlustrato, di giorno e di notte, da soldati Corsi, in modo da poter comunicare rapidamente con la guarnigione, che stazionava alla porta, nel corpo di guardia, sia per il cambio della ronda, quanto per gli opportuni avvisi d'incursioni di pirati. Attreversavansi, all'uopo, alcuni cavi o sbocchi praticati sotto le abitazioni del Castello, per cui, dalla marciaronda, si giungeva all'interno del paese detti cavi o Gavoni erano due; uno con lo sbocco sulla via del Forno a Soccio, l'altro sulla via del Baluardo. Eravi un terzo passaggio con relativa scala per salire dalla marciaronda. Desso tuttora esiste in fondo alla piazza della Rocca (oggi Cesare Battisti) e conserva tuttora il nome di Gavone. La marciaronda era difesa a parapetto ed aveva ambrasure, merli e fuciliere. Il Castello aveva un solo ingresso, sito verso ponente, sotto il palazzo già del Cardinal Borghese, poi divenuto Camerale, di prospetto all'odierna Piazza Umberto I. Detta entrata era abbastanza larga per facilitare il transito dei carri, pedoni e vetture; ed era munita di una porta, chiamata "dell'avanzata " e di un ponte levatoio. Per una lunghezza di venti metri, il passaggio era chiuso lateralmente ed in avanti con uno steccato in legno formato di rastrelli.
Nell'interno eravi il corpo di guardia e la guarnigione armata per la sorveglianza del transito dei pedono e delle vetture. A mezzo di un'altra porta chiamata "l'entrone ", di prospetto alla piazza della Rocca, penetravasi nell'interno del Castello.
Al disotto dei rastrelli passava il fossato, che aveva due sbocchi marini: uno alla parte di levante e l'altro a ponente, dai quali riservami le acque del fiumetto della Mola, le quali, passando sotto l'angolo rientrante del palazzo Camerale, verso tramontana, giungevano alla Macina pubblica, situata nell'interno del paese. Tali acque normalmente venivano immesse nel fossato, quando non occorrevano al servizio civico sopra cennato.
Il ponte levatoio si alza a due ore di notte e si abbatteva ai primi albori, previo suono di tamburi. Per tutta la notte il paese era rigorosamente chiuso, e la chiave della porta era custodita gelosamente dal Castellano, comandante il presidio.
Le Torri di difesa nel territorio di Nettuno erano le seguenti; a levante del Castello a partire dalla Torre di Fogliano, la Torre di Foceverde, la Torre e Fortezza di Astura, le Torri e Baluardi del Castello di Nettuno, il Forte Sangallo, il Fortino e la Torre d'Anzio, la Torre delle Caldane e quelle di S. Lorenzo e Vaianico.
La milizia per la difesa del litorale si componeva di soldati a piedi e a cavallo; in parte Corsi e in parte terrazzani. I soldati a cavallo perlustravano la spiaggia da Nettuno a Fogliano e da Nettuno al Vaianico.
Al Comando delle Milizie erano proposti: un vice Governatore delle Armi col grado di Colonnello, che dipendeva da un Governatore e Commissario delle Armi residente in Roma; e, in graduale sottordine: Capitani, Tenenti, Alfieri, Aiutanti, Sergenti, Tamburini e Caporali.
Ogni quindici giorni, tutti gli ufficiali delle milizie si radunavano nel loro Circolo, ove il Colonnello leggeva if regolamento contenente ordini e doveri per ogni subalterno. Il Regolamento conteneva un'apposito Capitolo d'istruzioni per ogni singolo grado militare. Per la paga ai militari e per le divise era addetto un Tenente; per il vitto e pulizia, un Alfiere; per gli ordini e rapporti, un Aiutante.
La difesa di tutto il litorale pontificio s'integrava, dunque, con le varie Torri medioevali di sopra nominate e col servizio di legni di mare chiamate Feluche, ancorate in vicinanza del lido. Due Castellani, uno residente a Civitavecchia e l'altro al Fortino, nel Porto Innocenziano, erano incaricati di visitare tutte le Torri del litorale pontificio per il loro mantenimento. Ogni Torre aveva per guarnigione tre soldati, dei quali il capo-posto faceva l'inventario del materiale, prendendo in consegna artiglierìe, armi, munizioni e attrezzi; e si compilavano, così due copie del relativo verbale: una per il Commissario del Mare e l'altra per la Camera Apostolica. Ciascuna settimana il Capo della Torre dava rapporto dello stato di consistenza al Commissario del Mare, informandolo riguardo alla sanità del personale e funzionamento della Torre.
Nei casi di comunicazione urgenti, il capo-posto spediva in collegamento un soldato alla prossima Torre, dalla quale, per mezzo di altro soldato si avvertiva il presidio della Torre seguente; e così, da un'altra, fino a quelle ove doveva giungere l'avviso. Era severamente vietato che nelle Torri si desse asilo a forestieri, a persone sospette e a donne. Era soltanto permesso ai soldati di potersi assentare, a turno, con obbligo di tornare sul posto, all'imbrunire. Ogni mattina all'alba, e per un'ora, il Capo era obbligato di fare un 'accurata ispezione si sorveglianza esterna; e tale operazione di scoperta si ripeteva a mezzogiorno e a sera, sulle ventitré ore fino ad un'ora di notte. Dopo ciò, un soldato subentrava nella vigilanza, rimanendo nella Torre fino alle ore tre della notte. (Stampe dell'epoca).
I segnali di giorno, in caso d'allarme, così risultavano stabiliti:

" I Tosto che la Torre scoprirà uno o più legni e si assicurerà per i loro movimenti, velame, costruzione che veramente sono i nimici porrà la Bandiera rossa e Bianca che è stata consegnata ad ogni Torre, la terrà inalberata fintante che la Torre di diritta e sinistra abbiano contestato con la stessa Bandiera, allora la calerà e starà sempre in osservazione dell'Inimico. II Se l'Inimico si dirigge verso la sua Torre, allora tornerà ad issare la med.a Bandiera accompagnandola con tre tiri di Cannone, affinchè le Torri vicine possono immediatamente soccorrere. Questo segnale deve essere fatto con sicurezza che l'Inimico si dirigga alla Torre e mandi la lancia in Terra armata affinchè i bastimenti possono venire a rifugiarsi sotto la torre medesima. Ili Se la Torre vede poi che l'Inimico si dirige alla via Ponente allora isserà la bandiera con il Bianco superiore e la terrà inalberata fin tanto che verrà corrisposto dalla Torri immediate .
I segnali di notte erano i seguenti: Tosto che la torre alla calata del Sole riconosca che alla vista della med.a via sìa un legno che per la sua Navigazione si renda sospetto osservato bene per la sua Navigazione, natura velame ecc. II capo posto con consenso del deputato di Sanità il quale deve riconoscere bene il legno faranno ad un'ora di notte la fiarata ed un colpo di Cannone quale segnale deve essere ripetuto dalle Torri di diritta e sinistra. II Se poi nel decorso della notte osservasse che il legno sospetto si dirigesse alla md. Torre e mandasse la lancia armata, allora farà di nuovo la fiarata accompagnandola con due uri di Cannone affichè le Torri immediatamente usino maggior vigilanza e si aiutino una con l'altra. Ili Se accadadesse nella notte far tale segnale ne darà parte il Deputato di Sanità al Commissario da cui dipende ed il Capoposto al suo rispettivo comandante individuando le circostanze dell'accaduto ed i connodati del legno sospetto ".

Era severamente proibito di abbandonare la Torre, in cui dovevano rimanere sempre non meno di due sodati, se qualche delinquente veniva arrestato e condotto alla torre vicina, i soldati dovevano riceverlo e ritenerlo prigione. Se un bastiemento era costretto per tempo burrascoso (pagando l'ancoraggio al Feudatario) di rifugiarsi in vicinanza di una Torre, il Capo posto era in diritto di ritirare presso di sé la patente del Basticamento. Questo veniva, poi riconsegnato al titolare, impiegandosi il medesimo sistema.
Se la Tarlane od altre barche pescavano in mare, in tempo di divieto, i relativi Capo posti, per farle desistere, esplodevano un colpo di mortaretto; indi uno salve col cannone; e se non smettevano, si tirava addirittura a palla. Non si adottava, però, Io stesso sistema con i Trabaccoli Camerali, ai quali era lecito pescare quando volevano, esonerati di presentare le patenti di sanità e di sottostare a qualsiasi imposizione. Essendo essi di pertinenza della Camera Apostolica dovevano godere di ogni privilegio ed esenzione.
Per la revisione delle patenti di sanità che aspettava ai capi delle Torri, questi erano retribuiti, in emolumenti, con pesce dato dai marinari, che veniva diviso in due porzioni; metà al Capo, e l'altra, spartita fra due soldati. Le artiglierie, armi e munizioni ed attrezzi erano sotto la responsabilità del Capo della Torre, che

insieme coi due soldati, doveva verifìcare due volte la settimana, le cariche di polvere chiamate "Padrone " e per i cannoni; tanto quelle a palla e a mitraglia, quanto quelle per salve da farsi per saluti e segnalazioni. Se si trovavno suscite o tarlate, i soldati dovevano riattarle; se inumidite, nei giorni di sole dovevano esperie all'aria aperta finché non fossero asciutte e ogni due ore rivoltarle, perché il sole penetrasse in esse.Era severamente proibito guastare le " padrone " per prendervi polvere; d'introdurne più di una nel cannone, perché era assicurato che una sola " padrona " era sufficiente lanciare la palla a congrua distanza.

Il Baluardo nella parte di levante del Castello, detto di San Rocco, era destinato per esplodere colpi di mortaretti e di cannoni per saluti, salve e festeggiamenti. I saluti si facevano tanto all'arrivo, che alla partenza di personaggi di riguardo.
Era munito, ogni anno, di libbre venti di polvere a grana fina e di libbre cinquanta di quella grossa, sotto la prudente distribuzione del Vice Governatore delle Armi. Era privilegiato, per i primi segnali d'allarme, alle altre Torri in caso di pirateria; e, se accadeva di notte il segnale, si faceva per primo un fuoco e si esplodeva un colpo di cannone a salve; non bastando questo si tirava a palla.
il giorno richiederà alli Torrieri delle novità, che sono accadute et avanti sera farà la scoperta di quei bastimenti che sono a vista. Le felughe quando abbino motivo di tirarsi in terra nella spiaggia di notte accenderanno il fuoco e spareranno tre colpi di fucile uno appresso l'altro avanti di accostarsi alla spiaggia. Le Felughe si appresteranno alle Torri di Notte e chiameranno per vedre se li torieri faran buona guardia. Quando le Felughe vedran le mezze Galere si faran conoscere dalle Felughe con una fiamma bianca alla Tenda di Maestra. Le Felughe non potranno imbarcare alcuno e solo li soldati e Battitori che avran bisogno di essere trasportati da un luogo all'altro.
Per li terrieri - Li Torrieri daranno obbedienza alle Felughe destinate alla guardia della spiaggia che avviseranno di ogni novità quelli che la comandano come ancora alle altre persone che avrai cura e guardia alla medesima spiaggia.
Ciascun Tornerò dovrà fare la mattina e la sera la scoperta dalla cima della Torre. Un Tornerò volendo parlare ad una Feluga di Guardia tirerà un colpo di spingarde e quando la Feluga non avesse udito tal primo segno replicherà altro simile colpo. Accadendo che un Terriero vegga di notte la Feluga di guardia fare il Fuoco e delle fumate con intervallo come che questo sarà segno di essere in quelle acque bastimento sospetto, perciò la Torre più vicina tirerà due colpi di cannone uno appresso l'altro e tutte le Torri accenderanno il fuoco in cima per dimostrare che è veduto il segnale, altrettanto dovrà fare il Torrieri qualora scopre un bastimento sospetto, che non fosse scoperto dalle Felughe di guardia. Allorché li Torrieri udiranno tirare tre colpi di fucile e vedranno accendere il fuoco vicino a terra sarà segno che la Feluga di Guardia vorrà tirarsi nella spiaggia. Li Torrieri conosceranno di giorno le Felughe di guardia dalla Bandiera Rossa, che vedranno in cima all'albore. Alli pescatori che sogliono pescare nella spiaggia non si permetterà che si allargano in mare fuori della vista del Tornerò ". (Archivio privato).

104) VITA CITTADINA DELLA META' DEL SEC. XVIII AL SEC. XIX

 

Nettuno, più invidiata che amata, seguiva il suo aspro destino, pur lasciando, dietro di sé, profonde e luminose orme, attraverso i secoli della sua suggesti

va ed interessante storia. In tal periodo di quarant'anni, i cittadini non degenerarono dalle tradizioni oneste e laboriose dei lor padri. Agricoltori solerti ed industriosi, sebbene dissanguati, impoveriti ed oppressi dal vassallaggio, pur menando una travagliata esistenza, tenacemente spargevano d'ansiosi sudori le zolle feraci avute in retaggio e smunte senza tregua dall'avanie dei despoti.
Da ora segno al lettore su quanto ho potuto desumere da un Bando di osservanza di Capitoli dell'affitto camerale di Nettano, ed emanato dal Tesoriere Generale della Camera sotto il Pontificato di Clemente XIV. (Archivio particolare).
Ogni novennio avidi Affittuari Camerali si succedevano, arbitri di tutto, abusando dei soverchi privilegi, loro accordati in forza delle facoltà inerenti ai Tesorieri Camerali. Il commercio dell'introduzione ed estrazione di cereali e generi di prima necessità era vincolato dalla licenza consecca a talento dei superiori.
Seguivano ordini severissimi, riguardo alla privativa del Forno Camerale e rigorosa proibizione ai cittadini di dare il pane ai propri lavoranti giornalieri, se non fosse comperato dal forno suddetto. Rigide ordinanze si emanavano per la privativa del Macello Camerale. Se, per esempio, un cittadino voleva vendere una bestia, morta accidentalmente, doveva prima ottenere, non senza sopprusi, la licenza in iscritto dall'Appaltatore del Macello Comunale.
Simili restrizioni vigevano per la privativa dell'Osteria Camerale. Nessuno poteva vendere al minuto vino che non fosse prodotto dai prori terreni; e ciò per evitare concorrenza alla vendita "privilegiatissima " nell'Osteria Camerale. Il vino proveniente da vigneti propri si poteva vendere, con licenza rilasciata dall'affittuario e dal Ministro Tesoriere, previo pagamento di un testone a botte. Conseguita la licenza, si proibiva severamente, sotto pene inquisitorie, di dar commestibili ed il comodo per mangiare a coloro che accedevano nell'osteria stessa. Affinchè non si comprasse vino forestiero, facendolo figurare come prodotto delle proprie vigne, s'imponeva ai cittadini, possessori di vigneti, di denunziare ogni anno, all'epoca del raccolto, la quantità ricavata; e, non denunziandola, si perdeva il diritto di poter avere la licenza di vendere il vino.
Si concedeva, per uso civico, che il bestiame dei Nettunesi pascolasse nelle difese Camerali; ma tale agevolazione, sostanzialmente risultava vana, perché, mentre si proibiva ai cittadini e alla Comunità di far pascolare bestiame forestiero nelle loro difese, si concedeva ampiamente al solo Affittuatario Camerale di poter, in esse, fidare ogni sorta di bestiame esotico, di modo che, difettando il pascolo, gli utenti non potevano convenientemente fruire della concessione suddetta. Non era nemmeno consentito che il bestiame dei cittadini potesse essere portato fuori delle difese, o venduto, qualora non fosse intervenuta apposita licenza dell'Affittuatario Camerale e del Ministro Tesoriere; e tale permissione veniva accordata, dietro pagamento della gabella. Mancandosi a siffate osservanze, incorrevasi nella perdita della metà per ogni capo trasportato altrove o venduto.
Nella caccia autunnale, colui che uccideva palombi o palombelle era obbligato a vendere tutta la selvaggina all'Appaltatore Camerale, a prezzo d'arbitrio di quest'ultimo; e ciò, sotto comminatoria della confisca completa della cacciagione e pagamento di una penalità di scudi dieci.
Si concedeva, altresì, per diritto civico, di poter esaminare i terreni della Camera, con patto che, per ogni nibbio di terreno seminato si corrispondesse All'Affittuario Camerale un nibbio di grano o d'altro cereale. I cereali dovevano essere consegnati bene stacciati e mondi di paglia, sotto comminatorie, in caso d'inosservanza, di una penalità di scudi cento. Avvenendo che, per deficienza di riparo, o, per tracotanza dell'Affittuatario Camerale, il terreno seminato del cittadino venisse invaso dal bestiame in fida (intromesso nelle difese) i padroni dei capi in questione erano esonerati da ogni risarcimento in vista del privilegio goduto dall'Affittuatario.
Non potendosi tagliar legna nei boschi Camerali, sebbene ve ne fosse diritto, tal divieto rendeva impossibile di poter cingere di solidi ripari il terreno e seminato dal cittadino. Tutti coloro che pescavano nel mare di Nettuno, sia indigeni che forestieri, dovevano corrispondere il decimo del pesce catturato all'Affittuatario. Il trasgessore incorreva nella pena di pagare venticinque scudi. Nessun cittadino, inoltre, poteva pescare nel fiume di Astura riservato aU'Afiìttiiatario Camerale, ne uccidere il pesce con l'erba " mora ",sotto pena di scudi cento .Fra le varie industrie esercivasi quella serica, non inclusa nel bando menzionato. Si piantavano gelsi, si allevavano bigatti; e i bozzoli, in apposite ceste, s'inviavano in Roma. La seta era di qualità buonissima.
SÌ esercitava ancora l'industria dello zolfo, che si estraeva dalla miniera scoperta nel secolo XVI da Marcantonio Colonna, nei pressi delle Caldane. Il prodotto spettava alla Camera e andava così a beneficio dell'Affituario Camerale. Era considerata produzione di Nettuno l'industria nelle due ferriere di Campoleone e di Conca, ove si lavorava il ferro nelle fucine, per mezzo di un macchinario messo in movimento di forza idrica. La ferriera di Campoleone apparteneva alla Casa Doria-Pamfili, l'altra al S. Offìzio. Ambedue erano ritenute dell'Affittuario Camerale. (Soffredini, autografo 1772).

Il ferro grezzo proveniva da Rio nell'isola d'Elba; e pervia di mare, giungeva in Nettuno, e veniva consegnato al destinatario nella località verso levante, chiamata "Alto di San Rocco e Vena del ferro ". Le polizze dei caricamenti del ferro sulle Tarlane, si rilasciavano alle Autorità di Nettuno. Il modulo seguente viene estratto da un'antica polizza:

" A di 10 di marzo 1771 in Rio " nell'isola D'Elba-Ha caricato. ..una volta tanto in questa spiaggia " di Rio, il padrone Vincenzo Bonomi di Gaeta per conto e risico " et ordine del sig. Domenico Pilotti di Roma sopra la Tartana " Immacolata Concezione ". Centi di Vena di ferro: tredici: per " condurre aconsegnare in questo suo presente viaggio in Nettuno " all'Alto di San Rocco... l'appiè nominata Mercaiitia... allapresen-" zadell'infrascrittoPadrone..."seguelafìrma. (Archivio privato).
Passo ad altri elementi descritti sincroni, di suggestivo interesse. A divagare le angustie cittadine, massimamente nelle stagione stiva, non mancheranno pubblici divertimenti di certani, ciurmatori e saltimbanchi. Nella circostanza festiva della Madonna del Cannine, alti personaggi e cavalieri delle Galee Pontificie ancorate nell'Innocenziano, venivano ad assistere, con vivo compiacimento, a grandiosi spettacoli pirotecnici con risproduzioni della Fortezza del Sangallo e di soggetti umoristici vari.
Le famiglie più agiate andavano orgogliose di poter ricevere nelle lor case i distinti ospiti, offrendo loro un modesto " rinfresco con agro di cedro et all'altri quattro biscottini ".

Nettuno non poteva offrire più di quanto faceva con ingenua e spontanea sincerità; ma il trattenimento assumeva un aspetto di sontuoso simposio, di grande importanza; e gli alti personaggi con pompe di grande imponenza assistevano ilari " a corse di barbari et altri di cavallacci, pedoni, somari et muli ". Lo spettacolo di giuochi di acrobati e funamboli, che assai sollazzava la semplicità dei cittadini, aveva principio sull'imbrunire del giorno, nell'interno del Castello, e protaevasi fino a tarda ora della notte. Questa straordinaria concessione del Governatore provocava lamentele del Castellano e delle guardie assegnate al presidio, le quali, costrette a vigilare per l'ordine pubblico e sicurezza dell'ingresso al Castello, venivano private del riposo notturno, dovendo, poi, la mattina di buon'ora, aprire l'ingresso per gli urgenti lavori della metitura.

Stralcio un brano della particolare corrispondenza d'un Castellano dell'epoca:

" Siccome dopo avere tenuto le porte aperte per sei sere per comodo alla gente di fuori di veder questi balli in corda non volli più tenerle aperte e Lunedì che le mandò a chiedere il Castellano della Fortezza gliele negai, perché già l'aveva veduti altre volte, ne si poteva aprir tanto tardi la mattina per la mietitura come gli mandai a dire e poi quella sera v'erano i Contumaci, e così esso prese questa negativa tanto a male che nulla più...".

Il risentimento del Castellano dellaFortezza, ispirato da rivalità, mise nell'imbarazzo il malcapitato comandante del presidio, che ebbe a sopportare incresciose querimonie.
La guarnigione del Castello accedeva nelle tenute di Conca e Campomorto per rintracciare malfattori, che, arrestati, venivano condotti alle Carceri Camerali. Essi provenivano dalle tenute vicine, recando offese agli abitanti del Borgo che non era vigilato di notte. La chiusura notturna del Castello cagionava danni notevolissimi agli abitatori nel Borgo sito fuori del Castello. Essendovi, putacaso, un malato grave, questi non poteva giovarsi della visita del sanitario. La chiave si riteneva gelosamente dal Castellano, che tranquillamente riposava; ed era arduo destarlo per urgenti bisogni.

Dal seguente reclamo d'un Vicario di quel tempo, il lettore potrà farsi un'idea dei gravi inconvenienti cennati:

" Ritrovandosi il Borgo della Terra di Nettuno fuori delle Porte di detta Terra, le quali si sogliono chiudere inviolabilmente alle ore due di notte, che essendo il detto Borgo popolato specialmente di donne Nettunesi e forestiere, quini è che in tempo di notte quando le porte suddette sono chiuse et i soldati et sbirri sono rinchiusi nell'abitato di detta Terra, non di rado succedono dellì scandalie sconcerti, particolrmente de malviventi contumaci che vivono ritirati nelle circonvicine macchie e tenute, li quali sicuri di non essere impediti da Ministri di Giustizia commettono impertinenze e violenze contro le povere donne... e spessissime volte accade anche di notte che vi sia bisogno di Viatico e questo non si suole amministrare perché la porta sta chiusa e non è così facile il poterla aprire presto dovendosi prima svegliare il Portinaro e poi il soldato di guardia, li quali uniti insieme vadino a pigliar le chiavi e supponendosi qualche tempo per far questi funzioni può pericolare l'ammalato... Di più anche le donne partorienti possono passar pericolo perché la Mammana abitando dentro la Terra in qualche urgenza non possono per le cause suddette... Per la medesima causa in qualche accidente straordinario non può né il Medico né il Chirurgo accorrere ad alcuni che hanno bisogno della loro assistenza e questi vanno a morire senza veruno aiuto. "
(Archivio particolare).

Nettuno oltre a non aver alcun diritto sul Porto Innocenziano, non era in grado di poter accaparrare, nemeno un spina di pesce.
II piccolo territorio del Porto trovavasi ancora staccato dal Governo dello Stato e da Nettuno, dipendendo dalla giurisdizione di un apposito Tesoriere Camerale. Le autorità ivi addete simulavano si non conoscere che per l'ingordigia di avidi amministratori e dei venditori Camerali, il paese di Nettuno, era privato della vendita del pesce. Dai priori della Comunità si esponeva, pertanto, reclamo alla Sacra Consulta:

"Rappresentiamo all'È.V.R. che la Popolazione di questa terra di Nettuno situata sul mare dove vedasi giornalmente pescare il pesce senza d'aversene porzione alcuna ed in ogni sera trasportarsene via gran quantità, quando secondo l'antichissima consuetudine passata in legge ogni Negoziante di Pesce è tenuto per giustizia e dovere nei giorni di mercoledì venerdì e sabato, vigilie e quatragesima di portare in Piazza una cirigna di pesce a sortita del peso di circa libbre quaranta... che il Sig. Vice Governatore medesimo gli spedì Precetto penale per dovere egli portare detta cirigna nei consueti giorni mai li stessi deridendose del Tribunale e di noi non sono si punto mossi ad una tale ben dovuta osservanza perché si presumono delle di loro Protezione, Patcndi e dell'Arme appesa a di loro negozi, col far stare la Terra " affatto priva di pesce e necessita dovere i Terrazzani mangiare pessimi salumi e a caro prezzo... ( ricorderà il lettore il diritto di privativa della Pizzicheria Camerale). Ora preghiamo acciò li istessi negozianti si facciano stare a dovere, mentre oltre un tale diritto ancorché Forestieri godono tutti quell'usi come li Cittadini anzi dì più esentati essi dalle Collette et pesi che pur sarebbero tenuti per la rata del tempo vi dimorano e sgravare in parte i poveri terrazzani cotanto aggravati... Nettuno 23 febbraio 1780".

105) INVASIONE DI TURCHI E PIRATI NEL 1792 - 1793

 

I turbamenti politici della Francia e i fatti accaduti dopo la morte di Luigi XVI cominciavano a smuovere il sentimento delle altre genti d'Europa, impressionando quei desposti, che, alla giustizia e alla libertà, avevano sostituito il vassallaggio. Dopo gli avvenimenti Francesi con la presa di posseso dello Stato d'Avignone e con l'avvento di Basville, la Corte Pontificia si die moto per rinforzare le milizie e le fortificazioni marittime. Il 5 luglio 1792 giungeva espressamente in Nettuno il Tesoriere Camerale ad ispezionare le Torri di Levante fìno a Terracina. Venne così aumentato il numero dei soldati di guardia e di artiglieria, distribuendoli fra le diverse Torri di Nettuno e Astura, ed aggiungendosi nuovi ispettori della spiaggia. Il lido era infestato da pirati Turchi; galee di Civitavecchia perlustravano il mare Nettunese. I Comandanti le armi in Nettuno, come sudditi dello Sato Pontificio, erano più che mai in continuo orgasmo per la difesa del litorale, essendo le truppe tuttora insufficienti e non ancora perfettamente istruite nel maneggio delle armi. Il 22 novembre 1792 un Comandante Nettunense così scriveva a Roma:

" Le nuove venute ier l'altro da Civitavecchia sono tali che fanno veder quasi una grossa truppa su questo litorale, mentre suppongono che il Consiglio Guerra tenuto in Telone abbia risoluto lasciando la Sardegna come non abbondante dì generi e molto fortificata, venir immediatamente al nostro Stato e da questo a Napoli, dalla quale risoluzione avvisate le navi che erano alle acque di Spezia queste si uniscono alli molti altri legni usciti e prossime a uscire da Tolone e siano per seguirla in guisa che a Civitavecchia si sollecitano vi e più le operazioni che si stanno facendo e secondo la data di ieri o oggi le Galere erano per uscire. Io vorrei sperare che mai sia ciò per seguire ma peggio se mai per ora, giacché non bastano tre altri mesi per mettere in stato di buona difesa il litorale. In Civitavecchia e'è da fare, del resto non vi dico niente s'hanno da imparar gli esercizi, anzi non è completo il numero della Truppa, pochi artiglieri cominciano adesso a imparare il maneggio della Cannone".
(Archivio particolare.)

Il 6 Giugno 1793 lo stesso Comandante scriveva da Nettuno:

"Gran truppa qui. Quanto ne abbiamo al Porto e Nettuno con li rispettivi Uffìziali Montini, Vìscardi, Pescatori, il giorno 14 corr.te marceranno per Roma e qui quartierono nel Palazzo Panfili in cui, lasciati a Terracina una sola compagnia, stazionerà tutta quella truppa di Fanteria e Cavalleria che il giorno 13 corrente dev'esser qui col suo Tenente Colonnello ed altri rispettivi Uffìziali, Da questo quartiere si spediranno quotidianamente li distaccamenti per la guarnigione della Fortezza e Porto d'Anzo, a tal effetto in Fortezza ci si allocherà un uffiziale per comandare li soldati ad esclusione di Castellar il quale nondimeno ivi rimane d'abitazione e d'ispezione per la sanità. Tutto ciò è stabilito, al quale effetto ieri avemmo il detto Tenente Colonnello Ronca ripartito stamane il quale ha disposto e preordinato, ma il detto Palazzo Parafili l'averanno ? ciò è in questione tuttavia e sebbene il medesimo ha detto che nell'enunciato giorno verrà, pianterà sentinella e chi sta dentro il Palazzo, fuori, e chi sta fuori, dentro; pure il Contestabile Dona scrive che senza suo ordine nulla si rinnovi e che l'affare si sta ora trattando, conforme conferma Monsignor Tesoriere con consentanea lettera. La venuta di questa Truppa io la reputo un guaio per tutti i versi e stazionerà per quattro mesi cioè sino a mezzo ottobre. Per li soldati Nettunesi si è ottenuto che tutti rimangono qui bensì levati dal Battaglione di Castello ed incorporati al cosiddetto Battaglione di Terracina o sia Tartaglioni, se a capo poi a quattro mesi dovessero marciare a Terracina si farà qualche altro imbroglio ".

Lo stesso Comandante il 27 Giugno 1793 indirizzava parimenti da Nettuno a Roma:

" La Truppa ritarda qualche giorno a venire da ieri giorno destinato, perché ancora non è all'ordine, forse l'avrem domenica o lunedì; gran lavori in questo Palazzo Camerale ove appena son rimaste le Camere a Tartaglioni " (II " Tartaglioni era affittuario Camerale del Feudo di Nettuno}. Prosegue lo scrivente: C'è voce che tra oggi o domani saranno qui le Galere e staranno fisse tutta l'estate. Due prede di legni con carico di grano e seta son successe in queste vicinanze, fatte da sciabecco Turco, della prima avemmo l'equipaggio al Porto che scappò con barchetta, era legno Sorrentino ".

Il giorno 8 agosto 1793 il suddetto scrivente trasmette a Roma un'imnressionante notizia:

" Avete sentito che sollevatisì i Galeotti in Civitavecchia si sono impadroniti d'una Galera colla quale sono sbarcati a Maccarese. Ordine qui per staffetta di Segreteria di Stato in data di ieri che s' inseguiscano se comparissero, come si suppone qui o altrove i turba armata e si uccidano impunemente sonando a tale effetto campane a armi; manca sto guaio.... "
(Archivio particolare).

La difesa militare nel litorale di Nettuno, sul finire del secolo decimottavo, costituiva speciale oggetto d'interessamento da parte delle Autorità Pontificie. Il Castello di Nettuno e le sue fortificazioni erano divenute una piazza d'armi, e v'erano a presidio, numerosi soldati. Per ispezionare la regolare difesa del litorale venivano in Nettuno alte personalità competenti. Quantunque, però, le condizioni del momento non permettessero festeggiamenti, le Autorità di Nettuno vollero ricevere i personaggi incaricati dando loro attestato della più lusinghiera cordialità.
Il 15 di Agosto 1793 fu ospite in Nettuno il nepote di Pio VI (Braschi) D. Luigi Duca di Nemi, che, cinque anni dopo accompagnò lo zio prigioniero in Siena quando ei fu relegato dal Direttorio Francese, dopo l'occupazione dello Stato Ecclesiastico, Accompagnarono il Duca il Generale delle armi pontificie e la sua Signora, Cavalieri, Prelati e molti altri distinti personaggi. La grande sala del Palazzo Camerale fu splendidamente addobbata con drappi, a guisa di un sontuoso padiglione, ove si diede agli ospiti un lauto banchetto, festeggiamenti e danze, nelle quali, graziose giovani Nettunesi presero parte, vestile nel caratteristico costume orientale. Gl'intervenuti assistettero inoltre ad esercitazioni militari, maneggio d'armi e a pubblici divertimenti. Vi furono corse nel sacco, la corsa di barberi alla Fortezza, e, alla sera, magnifici fuochi pirotecnici, confezionati nel Palazzo Dona Parafili da artisti Romani. Le abitazioni erano pavesate con drappi, e, alla sera, illuminate con candele allo steccato o marciaronda, (di prospetto alla Piazza del Borgo, pittorescamente illuminata a vari colori), eranvi due orchestre: l'una con istrumenti a fiato e l'altra a corda, che rallegrarono gl'insigni ospiti, mentre globi aereostatici si innalzavano tra il plauso del popolo festante. "
(Corrispondenza privata).


Un notevole interessamento offriva in quel tempo Nettuno per l'evoluzioni militari, che vi si compivano per provvedere alla difesa del litorale, dati gli eventi procellosi che andavano manifestandosi. Fu constatato che il servizio della milizia funzionava regolarmente, e, pertanto, il Generale delle Armi Pontifìcie per premiare e stimolare l'attività dei vari comandi, promosse a grado superiore gli ufficiali ivi addetti. Così infatti il 6 giugno 1795 Pietroantonio Soffredini nettunese, da Vice Governatore delle Armi venne nominato Capitano del Corpo di Truppa, dal Conte Pietro Caddi Tenente Generale delle Truppe Pontifìcie.
Si domandavano ansiosamente dal Comando delle Armi di Nettuno, notizie a Roma riguardo agli eventi politici, mentre era in esame il progetto trasmesso dalla Francia alla Sede circa un concordato, che venne poscia concluso e firmato da Giuseppe Bonaparte, nel 1801.

Ai preparativi militari nel litorale di Nettuno si accoppiava la preoccupazione, allarmatìssima, d'invasioni di pirati Turchi.
Il Castellano della Torre d'Anzo scriveva da Nettuno a Roma quanto accadeva nel litorale

" Nettuno 13 agosto 1801 - Li guai sono piuttosto da mare a danno del Commercio. Siamo pieni di Turchi. Vidili ieri sulla Torre d'Anzo quattro sciabecchi ed una mezza Galera Turca dar caccia a più bastimenti. Ne predarono uno verso S. Lorenzo carico di carbone; a due grossi Pinchi Siciliani appena poterono scapolare e prender Porto, ma uno combattendo perde mezza poppa, finalmente tutti li 5 legni riuniti andettero a perseguitare col loro cannone e con le lancie due Martigave grosse ed una Fé luga che s'erano rifugiate sotto la Torre delle Caldane. Premetto che per le Torri manca la polvere e poca ce n'è al Porto, basta Paluzzi soccorse un poco e tra il fuoco della Torre e delle barche reggevano queste ancora all'ore ventitré e mezza et intanto ebbe l'equipaggio il modo di votarle rapportando le robbe in terra, due le sbucarono, ma un Padrone non volle sbucare la sua che a notte i Turchi si son presa. Rimangono anche oggi li detti legni Turchi bordeggiando per quest'acque e si ha relazione che ve ne sono dell'altri. "

I corsari Turchi avevano i lor legni di mare armati di cannone; perseguitavano Pinchi e Martigave bastimenti dello Stato Pontificio. Riuscendo, talvolta, ad eludere la vigilanza dei presidi delle Torri, clandestinamente approdavano saccheggiando le campagne nei pressi di Nettuno, catturando bambini e quanto loro capitava. La popolazione viveva nel più terribile orgasmo; bastava un minimo sentore d'invasione, che tutti fuggivano lontano. Accadeva sovente che malviventi davano falsi allarmi e, alle prime avvisaglie, il popolo fuggiva abbandonando le abitazioni, che, rimaste deserte, venivano depredate dai malandrini.
La pirateria, sul finire del secolo decimottavo, cagionò danni al commercio di esportazione di cereali da Nettuno per Livorno e Genova, dappoiché l'infestazione dei predoni, sul mare, interrompeva la navigazione

" 20 agosto 1801 -Turchi, Inglesi e Pirati d'ogni specie. Oggi abbiamo qui dirimpetto due grossi Sciabecchi Turchi che bordeggiano e però alcune barche non si partono dal " Porto. "

Una lettera del 17 giugno 1802 scritta da Nettuno a Roma dava ìa seguente impressionante notizia:

" .... rapporto al timore dei " Turchi che ci assediano da mare fanno li sbarchi con le lancie. Giorni sono doppo le ore 8 entrarono in una casa vicino le Grottacce e vi presero un ragazzo di circa 15 anni mentre il padre stava mondando il grano, né fece in tempo a fuggire, il povero padre se lo vide rapire. lerl'altro con 8 lancie sbarcarono in Caprolace sfasciarono la Chiesa di S. Andrea, maltrattarono e gettarono li utensili e sfasciarono la cassa del Cannone. Ieri sera ne avevamo alla vista 9 grossi sciabecchi. L'artiglieria gioca, la poca Truppa è in vigilanza, li 6 Dragoni a cavallo che abbiamo battono la spiaggia, ma pure c'è ragione di temere non già per l'interno del Paese, ma per le persone fuori e per le robbe e più per la salute se commerciassero ".
(Corrispondenza privata).

Nel 1813 l'Impero Francese dominava e il Porto Innocenzia-no e Nettuno erano sotto tale dominio. Il 5 ottobre una flottiglia inglese si schierò dirimpetto al Porto, e, dopo vivace cannoneggiamento, obbligò il presidio a cedere. Seguirono saccheggi e desolanti, vandaliche devastazioni. Il Fortino e le Torri d'Anzo furono minati e fatti saltare in aria dagli Inglesi. Ripristinato il Governo Pontifìcio, il Fortino, però, venne riedificato.
In tal'epoca venne emanato un Editto Notificazione, che incoraggiava la coltivazione e piantagione degli olivi, assegnando agli agricoltori un premio di baiocchi dieci a venti per ogni pianta posta nel terreno ed " assicurata nel suo vigore da, un triennio. " (Corrispondenza privata).

106) UN CITTADINO LETTERATO - L'ARCHIVIO DI NETTUNO

 

Le critiche condizioni dell'epoca funestavano l'animo cittadino attraverso un ritmo di vita ansante, pregno d' angoscie e di umori. Ma, al di sopra delle miserie umane, una segreta e suggestiva possanza largita alla storica ed incantevole riviera, trasportava ad elevatissimi ideali lo spirito cittadino, memori degli aviti esempi. Salvatore : Brovelli nato in Nettuno nel 1787, dotato di rara intelligenza si distinse tra le personalità colte del suo tempo, dando alla luce notevoli opere letterarie e fìlosofiche. Scrisse " il sistema filosofico di Belle Arti " Ediz. Milano 1814 " il saggio filosofico politico sul Matrimonio " Ediz. Milano 1821 " Della Monarchia " Ediz. Roma 1821. I suoi scritti su temi legislativi furono pubblicati da vari giornali letterari dell'epoca e dall'Effemeridi di Roma. Fu poeta e conoscitore di più lingue; tradusse dall'Inglese nell' idioma italiano, con uno stile puro ed elegante, l'inno di Thomson, dedicandolo alla Contessa Sforza Cesarmi, e lasciò ancora taluni scritti religiosi per la festività del Maggio in Nettuno. Dimorò lungamente a Milano, patria dei suoi avi e morì nella natia Nettuno, nel 1823.
Notevole interesse presentavano alcune leggi di pubblica amministrazione riguardo alla marina pontificia per il litorale di Nettuno e del Porto d'Anzio. Pio VII aveva pubblicato un regolamento di commercio, sotto la direzione del Cardinal Consalvi, diviso in quattordici capitoli per navi e bastimenti, e per quanto era inerente al commercio e alla navigazione. Per la regolare osservanza di quanto sopra il 23 febbraio 1827, Giuseppe Soffredini, Nettunese, veniva nominato, dalla Congregazione Militare, Capitano della Marina Pontificia.
L.a giurisdizione civile e criminale era, però, affidata a persone esotiche che spesso abusavano della propria autorità in modo riprovevole e ìgnominioso. Accadevano frequenti estorsioni e scandali, che eccitavano il furore del popolo onesto e laborioso. Con l'abuso delle funzioni giurisdizionali si otteneva qualsivoglia intento; e minaciavansi vendette a chi reclamasse.
L'Amministrazione della Comunità trovavasi sotto l'incubo di draconiane imposizioni. Si decretò, fra l'altro, che l'archivio antichissimo di Nettuno dovesse passare in Albano. L'ordine emanato provocò il giusto risentimento cittadino, e si fecero, quindi opposizioni d'ogni specie contro tale ingiusto divisamente dal Gonfaloniere del Comune, il quale scrisse all'Avv.to Calcedonio Soffredini dimorante in Roma:

" Nettuno 9 aprile 1823 - Avendo saputo da lettera da Lei scritta a suo Signore Fratello che per amor di Patria si è prestato ad agire onde ottenere la grazia che non sia trasportato in Albano cotesto Archivio, non manco di ringraziarla vivamente di questa sua ottima disposizione animandola ancora di non perder di vista quest'affare, che verrà certamente al suo bramato effetto... In vista di ciò raddoppio le mìe preghiere a V. S. Ill.ma e sia certo della comune riconoscenza di questi suoi Cittadini ".

Mercé le premure del suddetto legale, l'ordine inquisitorio fu annullato e l'antico Archìvio restò in Nettuno. Il Gonfaloniere, a nome della Comunità volle ringraziare il benemerito cittadino con la seguente lettera in data 11 Aprile 1823:

" Non abbiamo " termini sufficienti per ringraziare V. S. Ill.ma dell'usata attività presso l'È.mo Cardinal Segretario di Stato onde far conseguire a questa sua Patria la implorata conservazione del proprio Archivio che a momenti dovevasi trasportare in Albano. Di questo suo impegno sarà sempre memore Nettuno, che, con esultanza, rammenterà l'ottima disposizione di un suo Cittadino per amore e vantaggi della sua Patria. Ella sia sicura della perenne nostra riconoscenza ed obbligazione. "

La piccola zona territoriale assegnata al Porto Innocenziano e suoi abitatori, come dissi antecedentemente, proseguiva ancora ad avere una Giurisdizione a sé sotto il dominio di Prelati Tesorieri e Commissari del mare. Nel 1827 gli abitatori del Porto in Anzio furono uniti alla Comunità di Nettuno. A testimonianza di tale avvenimento, trascrivo quanto venne asseverato in un Albanese di divisione, scritto dagli Avvocati Filippo Bruni e Benedetto Sinibaldi, pubblicato poco dopo l'enunciata epoca ed esistente nell'Archivio Comunale di Nettuno.

" Art. 18 - Nella statistica della popolazione dello Stato a pubblicata sotto Pio VII nell'anno 1817 non si fa menzione del Porto di Anzio ma solo di Nettuno. Il Porto d'Anzio non era Comune né aggregato o appodiato ad un Comune. Ma nell'anno 1827 fu creduto espediente riunire le due popolazioni in una e nella statistica in quell'anno pubblicata sotto Leone XII appare per la prima volta il Porto di Anzio riunito a Nettuno.
" Art. 19 - Pertanto non prima del 1827 i due paesi furono
riuniti, gli abitatori del Porto di Anzio fecero parte del Comune di Nettuno per universale aggregazione ed a scrizione fatta consenzienti i due popoli e per l'autorità del principe. Che se talmente in atti recentissimi al nome di Nettunesi fu aggiunto il nome " Anziati " quest' appellazione fu indotta non solo a discernere le due popolazioni che erano divenute una sola, quanto ad accrescere lo splendore del Comune ed appagare l'ambizione dei Cittadini che in tal guisa rinnovavano il nome di " una città estinta undici o dodici secoli avanti ". (Archivio Comunale)

107) RESTAURAZIONE DELLE MURA CASTELLANE

 

Cominciarono, nell'epoca stessa, a sorgere discussioni sempre più animate riguardo al restauro delle Mura Castellane, ed a chi spettasse il risarcimento: se al Comune di Nettuno o allo Stato Pontificio. Giuseppe Soffredini scriveva a Roma, al suo germano, avvocato Calcedonio, il 6 dicembre 1827:
Colla posta di ieri vi mandai una mia riguardante un affare di somma importanza. Ecco i consigli che concernono l'affare delle mura castellane o sia della causa in Rota. Uno di essi consigli è molto forte e perciò non fiderei di rilasciarlo in mano di Monsignor Commissario ma solo glielo farei sentire.... "
( La Sacra Rota era il Tribunale Ecclesiastico ove si svolgeva la questione che ha la sua particolare istoria, così appresso succintamente descritta).
Fino al secolo decimottavo, col denaro della Camera Apostolica i Prelati Commissari delle Armi proseguirono a restaurare e mantenere le mura di fortificazioni del Castello di Nettuno. Oltre al risarcimento, dalla stessa Camera si pensava all'estetica delle mura, mondandole dall' erbaccie che vi nascevano. Una lettera lo attesta: " per la ripulitura delle mura dalle erbe e radiche, si erano " costantemente, ogni anno, pagati dalla Camera scudi tre e baiocchi cinquanta ". E se tale lavoro veniva trscurato, i Priori della Comunità reclamavano per l'inadempimento:

"Ecc.za Rev.ma - È solito, che dalla R. Camera si facciano pulire ogni anno di questi tempi (aprile) le mura Castellane di Nettuno per togliere dalle medesime le erbe rinascenti che oltre alla pessima vista producono della cattiva aria. Ci facciamo quindi un dovere di menzionare l'È. V. pregandola ordinare l'esecuzione di tal lavoro che molto conferisce all'indennità delle mura e alla salubrità di questo locale... Nettuno 16 aprile 1816 ".

Sul feudo di Nettuno, la Camera esercitava tutti gli atti ed attributi che si riferivano ad un vero ed assoluto possesso. Derivava conseguenzialmente che l'onere del restauro delle mura, ad esso incombeva. Sul principio del secolo decimonono l'obbligo, però, non fu più mantenuto; e il Castello di Nettuno né risentiva deperimento sempre più gravi. Le mura, nella maggior parte site entro mare, avevano sofferto danni considerevoli per i colpi impetuosi delle onde inaline: così da minacciare mina. Le acque del mare si introducevano sotto il paese e le mura si andavano distaccando dal masso calcareo sopra i! quale torreggia il Castello, mettendo in serio pericolo la vita dei cittadini. Il fatto costrinse i Priori della Comunità a reclamare il restauro delle mura alla Camera, che, in principio, si oppose, ma, venuta a miglior riflessione assecondando le giuste pretese della popolazione, si accinse al restauro. Imponeva, però, che contribuisse, per una parte, la Comunità di Nettuno.
Quest'ultima fece comprendere che agli utili del Feudo andavano uniti gli oneri; e, d'altronde, i terrazzani, numericamente scarsi e ridotti in miserevole stato finanziario dagli Affittuari Camerali, non erano in grado di concorrere nella spesa. Di più dimostravasi che, da oltre un secolo. La Camera, aveva provveduto a sue spese per il restauro delle mura di fortificazioni. E davano di ciò prove eloquenti, gli stemmi di Urbano VITI e del Cardinale Cesi, posti sopra le mura con le relative iscrizioni al proposito.
La vertenza litigiosa proseguiva il suo corso, quando sopravvennero nuove leggi e cambiamenti di governo
Caduto l'impero Napoleonico, Pio VII tornò nella sua sede in Roma. Dopo la fine di Murat, nello Stato Pontificio, si emanarono disposizioni intese ad ordinare il Governo. I membri
pontifìci erano di diversi pareri; prevalse, però, il partito di coloro che, attaccati alle antiche consuetudini, nulla avrebbero accettato di quanto era stato portato dalla Rivoluzione.
Pio VII per consiglio del Cardinale Consalvi, con un " motu proprio " emanato il 16 luglio 1816, sistemò le amministrazioni, concentrando le giurisdizioni. Le Comunità regolavansi con un Consiglio che deliberava e con una magistratura che amministrava, Dopo tali innovazioni di leggi e di Governo, la Comunità di Nettuno tornò di nuovo a reclamare il restauro delle mura, ma la Camera, e, per essa, il Governo Pontificio, si oppose, adducendo le disposizioni del " Motu Proprio " emanato da Pio VII. Aboliti i diritti baronali, la Camera rinunciava ai diritti feudali sul Castello e territorio di Nettuno; restava, tuttavia, proprietario del Feudo il Governo Pontificio che sostanzialmente, però s'impersonava nella stessa Camera. Nettuno, da Feudo Camerale, restava così, in proprietà pontificia.
La Comunità lottava, tuttavia strenuamente per l'accogliamento della propria Lesi. Il Governo Pontificio proseguiva ad esercitare ancora atti di dominio sopra le fortificazioni del Castello nominando Commissari e Comandanti delle Armi e munendole di presidio e di armi. Era assolutamente impossibile, ora, che la Comunità contribuisse per il restauro, atteso che la popolazione di 1110 abitanti, non aveva che soli mille nibbi di terra, mentre il Governo pontificio cinquemiladuecento, possedendo,in più, fondi urbani, il Palazzo ed edifici annessi e proseguendo ancora a percepire il decimo del pesce (diritto baronale), che dava annualmente un gettito di circa duemila scudi romani. Il governo Pontificio usufruendo di tutti questi proventi dai suoi beni in Nettuno doveva, quindi, assumere gli oneri e i doveri relativi.
Nel 1827, presa maggiormente a cuore dalla Comunità la vertenza litigiosa delle mura Castellane, si ricorse, come altra volta innanzi alla benefica influenza di un degno cittadino di Nettuno, residente in Roma, affinchè s'interponesse validamente a far cessare uno stato di fatto, che dava adito ad assillanti preoccupazioni per i veri, civici interessi:

" Fate rilevare che necessita ora decidere a chi spetti il restauro delle Mura, perché se questa volta la Comune paga, sarà sempre pel tratto successivo tenuto a pagare. Finalmente date molto risalto alle premure che adopera il Tesoriere per annullare il Rescritto di S. S. dicendo che se conoscesse di aver ragione la Camera nulla gli premerebbe poiché egli non ha avuta mai altra premura per la Comune di Nettuno che di guardarla di cattivo occhio. Se potete farmi sapere qualche cosa sarebbe bene - Nettuno 20 Novembre 1827 -V. Fra.lìo Giuseppe Soffredini. "

La Camera Apostolica aveva, fra gli altri, per suo accanito difensore l'Avv. Carlo Fea, ostilissimo a Nettuno. A nulla valsero i reclami della Comunità e le premure dei mentovati cittadini. Il Governo Pontificio persisteva nel suo intransigente rifiuto; e fu d'uopo, quindi, convenirlo in giudizio avanti al Tribunale della Rota. All'animosità orgogliosa e alla deliberata incomprensione di quei Ministri, che dì " cattivo occhio " vedevano Nettuno, sopravvenne, però la giustizia e il diritto. Una strenua difesa del giureconsulto Calcedonio Soffredini in collabolazione con l'altra dei legali Aw.ti Di legge e De Mattheis, ebbero esito vittorioso. Il Tribunale della Sacra Rota emanò sentenza definitiva, in virtù di cui spettava al Fisco governativo di fare le opportune riparazioni alle Mura Castellane, perché il Castello di Nettuno e suoi abitanti non avessero detrimento alcuno. (Albanese contro la Camera- Arch. Comunale)

108) VENDITA DEL FEUDO DI NETTUNO

 

Fin dal 1823 s'iniziarono questioni sul diritto del pascolo spettante al bestiame dei cittadini Nettunesi. Una memoria documentata venne, all'uopo, inviata, dalla Comunità di Nettuno, al Tesoriere Generale della Camera, Bellisario Cristaldi, comprovandosi l'antichissimo esercizio del pascolo di animali suini senza pagamento di fida nel quarto di levante del Territorio di Nettuno. Le vessazioni degli affittuari Camerali impedivano, però, tal diritto; né la Camera cercava di provvedere al riguardo.
La rivoluzione di Francia aveva già scosso l'Europa; movimenti popolari ridestavano in Italia le antiche idee di libertà e di unità nazionale. Fu eletto pontefice Gregorìo XVI (Cappellari). Ventigiorni dopo la sua elezione al Pontificato, il 21 Febbraio 1831, con istromemto rogato per gli atti dell'Argenti Segretario e Cancelliere Camerale, la Camera Apostolica vendeva al Principe D. Camillo Borghese la proprietà feudale di Nettuno. Sopra il feudo esistevano, non pertanto, i diritti civici. Eseguita la vendita, sorsero nuovamente dure questioni, e la Comunità di Nettuno, coadiuvata dal giureconsulto Calcedonio Soffredini e dal fratello Giuseppe, iniziò causa contro la Camera Apostolica in nome delle mentovate ragioni, e, specialmente in pertinenza al pascolo. La controversia durò circa venti anni, e, come riassumerò in fine, ebbe termine dopo la metà del secolo decimonono.
I due fratelli presero veramente a cuore l'aspra vertenza; e, il primo in Roma, il secondo in Nettuno lavoravano indefessamente e reciprocamente conferivansi le loro idee, mediante attiva corrispondenza.
Durante lo svolgimento della diuturna questione, quando Calcedonio Soffredini veniva nominato, dal Ministero di Grazia e Giustìzia, Presidente del Tribunaledi I. Istanza in Roma:
" Cittadino il Comitato della Repubblica Romana vi han ordinato Presidente del Tribunale Civile di prima istanza di Roma con l'onorario mensile di scudi ottanta. L'amor di Patria da cui siete animato, mi è garante che sarete per rìspo ndere degnamente alla fiduciaeia che in voi si pone Salute e fratellanza -13 Marzo 1849 - II " Ministro di Grazia e Giustizia - G. Lazzarini. "

Poco dopo veniva nominato membro della Commissione Consultiva degli Impiegati:

"Onorevole Cittadino il Triunvirato volendo avvalersi della vostra imparzialità e dottrina, vi nominava a membro della Commissione consultiva degli Impieghi - Salute e fratellanza - 24 Aprile 1849 - Per il Triunvirato - A. Saffi " (scritture private).

109) INTORNO AL RESTAURO DEL PORTO NERONIANO

 

Ai 27 di Ottobre 1847, il Pontefie Pio IX (Mastai) si recò al Porto di Anzio, e, dopo aver visitata la Chiesa, trovatala non sufficiente per la cresciuta popolazione, ordinò che se ne costruisse una più ampia, assegnando una cospicua somma. Si recò, poscia, a Nettuno, ma la sua visita non portò giovamento alcuno al paese, poiché fece presto ritorno alla prediletta Anzio, ove esaminò il bacino dell'antico porto Neroniano. Montato su di una lancia, ispezionò le rovine dello stesso porto e il molo, mostrando di assecondare il sentimento pubblico circa l'utilità del restauro del Neroniano di cui piùinnanzi ebbi occasione di parlare.Fin dal 1827 la dotta personalità G. B. Rasi, Console Generale del Re di Sardegna, applicavasi per utilità pubblica in chiare dissertazioni sulla necessità del restauro e ripristinamento dell'antico Porto Neroniano nelia nuova Anzio. Faceva, perciò vive richieste all'Avv.to Calcedonio Soffredini per avere pubblicazioni e studi editi su tale argomento
" per rendere grato, ed efficace e utile il mio nuovo decisivo lavoro sul porto di Anzio, essendosi alzato un " gran sipario. " (Corrispondenza particolare).

Il Rasi nutriva speranza e certezza sul restauro per le ragioni impellenti dell'utilità pubblica e per le sue lucide dimostrazioni sul modo facile di ripristinare il Porto Neroniano. (Rasi - opuscoli).
Dopo il Rasi, nel 1830, l'Avv. Carlo Fea trattò sul detto restauro, pubblicando importanti opuscoli, nei quali si dimostrava con saggi ragionamenti, l'opportunità del risorgimento dell'antico Porto di Anzio, per il vantaggio ed onore di Roma e per la salvezza dei bastimenti e relativi equipaggi. (Fea-opuscoli).
S'iniziarono, perciò, pratiche ad interessamento della Comunità di Nettuno insieme cogli abitanti del Porto di Anzio per il detto ripristinamento, allo scopo principalissimo dell'incolumità dei naviganti e dell'incremento del commercio: ciò che non raggiungevasi col Porto Innocenziano. (Archivio Comunale).

Il Comune di Nettuno pubblicò le relative argomentazioni a cui si unirono altri di particolari studiosi. Da una pubblicazione desumo quanto appresso

" Della eccellenza, utilità e necessità del Porto Neroniano in Anzio scrisse e pubblico in Roma nel 1847 (Ediz.ne Società Editrice Romana) un importante ragionamento il ch.o Giuseppe Soffredini di Nettuno. Dal quale ragionamento sembra che la posizione intermediaria di questo Porto (Neroniano) per eguai distanza di circa ottanta miglia tra Gaeta e Civitavecchia ne renda necessaria l'esistenza per l'incolumità dei naviganti e Sicuro rifugio dei bastimenti. Il piccolo molo Innocenziano per aver la bocca a levante, viene sbarrato nell' ingresso e riempito nell'interno coi detti banchi d'arena ad onta delle cure del governo pontificio per eliminare questo danno non emendabile per natura; così la spiaggia cresce sempre e va usurpando ciò che era mare. Si fa principalmente consistere il restauramento del vasto porto Neroniano nel collegare con una " nuova fabbrica le parti del svio antico molo, che sorgono ancora " in vari punti della bocca grande fin sotto il promontorio di ponente, nell'estrarre le arene che ingombrano porzione del bacino del porto nel rafforzare la scogliera e gradatamente fortificare l'altro molo Neroniano che verso levante con direzione a tramontana percorreva fin dove era il grande navale e dove si vede l'attuale arsenale " (Pubblicazioni dell'epoca).

Ma le opposte idee di varie persone - fra cui ingegneri ed architetti per preconcetti ad altri motivi, opinarono in contrario. Si pubblicarono opuscoli in critica e confutazione dei ragionamenti; e, mostrandosi di non ravvisare un carattere d'impellenza o di utile necessità nel sopperire all' insufficienza del Porto Innocenziano, il restauro non venne mandato in effetto; ed ogni pratica, per ragioni facili a comprendersi, rimase lettera morta.
L'antico Porto Neroniano, di cui gli avanzi e le formidabili costruzioni in quel tempo non erano del tutto scomparse, potevasi restaurare con dispendio non grave. La naturale bellezza del bacino e l'importanza dell'opera avrebbe certamente fatto rifiorire e assurgere la nuova Anzio ad un grado assai più elevato, cui davale diritto i suoi memorabili fasti navali e monumentali e l'imponenza storica del suo passato.

110) FERDINANDO II DI NAPOLI AL PORTO INNOCENZIANO

 

Dopo il ritorno di Pio IX in Roma, Ferdinando II, la Regina Maria Cristina di Savoia ed i figli giunsero, per mare, da Gaeta al Porto di Anzio, per recarsi, lo stesso giorno a Castel Gandolfo, a far visita al Pontefice Pio IX che ivi dimorava. Alla sera i Reali sarebbero dovuti ripartire, ma un mare burrascoso impedì il ritorno a Napoli, che venne differito al giorno cinque del mese di luglio, per ordine giunto da Caste! Gandolfo (Coppi-Annali).
L'avvenimento è narrato dettagliatamente in una corrispondenza privata da Nettuno a Roma e merita di essere trascritto:

" Nettuno 12 luglio 1851 - Dal giorno 2 erano qui i nostri Dragoni, i finanzieri a Cavallo ed un distaccamento di Cavalleria Francese con un Colonnello e il Capitano della Gendarmeria..,. non prima delle ore 3 di notte potei conoscere che era imminente la venuta del Re. Volai subito al Porto in uniforme e feci mettere in ordine la lancia con un buon numero di marinari.... Sul far dell 'alba del di 3 si vide scendere colla direzione a questa volta una fregata a vapore, era il Tancredi Napoletano con altro legno di seguito. Mossi subito dal Porto con un mare quasi burrascoso ed oltre un miglio lulgi arrivai quando i due vapori davano fondo alle ancore..Esaurite le discipline sanitarie col comandante del Tancredi fui gentilmente invitato ad ascendervi insieme ai miei compagni e fummo trattati di caffè.... Destatesi il Re e venuto sopra coperta accettò con singolarissima bontà gli atti d'ossequio che gli feci ed a me e ai compagni concedette l'onore di baciargli la mano. Secondo il concerto preso, quando fu pronto di venire al Porto di nuovo uscì la mia lancia tanto per indicare a quelle del vapore l'ingresso, quanto per prestarsi ad ogni bisogno essendo sempre il mare molto agitato; ed alla circostanza imbarcò varie persone del seguito coll'equipaggio reale. Nel mio ritorno al Porto trovai giusto pochi momenti prima il Cardinale Antonelli a cui mi presentai per ossequiarla e ricevere i comandi che avesse voluto darmi e lo accompagnai nel recarsi che fece fino alla punta del Molo.
Verso le 7 antimeridiane il Re scendeva colla Regina e tutti i suoi figli ed i personaggi di Corte nello scalo sotto la Chiesa di S. Antonio preparato in fretta con tappeti e parati...
Tutti partirono subito per Castello accompagnati dai Dragoni nostri e francesi ed il Colonnello di questi andava allo sportello del Re. Successivamente il mare si fece sempre cattivo. Una delle lance del vapore meno grandi di queste del Porto si rovesciò ma senza perdita dei marinari imbarcati, poco dopo la partenza del Re; nel giorno 4 le onde erano furiose. Nonostante la mia lancia potè fare una forza e non senza pericolo, condurre al Vapore una lettera urgente venuta per staffetta da Castello e prendere risposta. Alle pomeridiane del 5 fu di ritorno il Re essendosi sufficientemente calmato il mare. Dopo aver assistito all'imbarco montai nella mia lancia e pregai il Comandante della fregata di dire aS. Maestà che l'uffiziale del Porto era sotto bordo per ricevere i reali comandi. Il sovrano ordinò che ascendessi e così m'ebbi l'incarico di distribuire l'elemosina di 300 ducati lasciati per i poveri del luogo.... e per la marineria di pesca napoletana, oltre 40 ducati per i marinari della lancia del porto. Dopo di ciò il Re, quando io prendeva commiato si degnò dire con molla bontà " ora appartiene a noi di fare gli onori " quindi postosi sul ripiano della scala della fregata di cui scendere
dovevasi, concedette a me ed al mio compagno di baciargli la mano e nel distaccarsi la lancia del porto dal vapore fece salutare la Pontifìcie bandiera che io aveva dallo sceltissimo suo concerto musicale marittimo. Tornato in porto mi presentai di nuovo al'E.mo Segretario di Stato per informarlo della seguita partenza del Re ed anch'esso poco dopo andò via col fratello, " (Corrispondenza privata)

111) LA NUOVA ANZIO DISTACCATA DA NETTUNO

II nome di Anzio Volsca, Romana, Imperiale, che spartì con Neptunia la gloria tornò di nuovo a risonare sulle glauche onde dell'incantevole riviera, chiamato dall'eco secolare dei suoi fasti e delle sue memorie storiche.
Gli abitatori avevano elevato l'animo a maggiori speranze, essendo il Porto distaccato da Nettuno e distinto col nome dell 'antica città Volsca Latina, memorabile Competi trice di Roma. I nuovi Anziatì supplicarono Pio IX di essere amministrativamente disgiunti da Nettuno, ossia che il loro paese, allora nascente, fosse dichiarato Comune autonomo.
Il collegamento con Nettuno non ebbe, parvero, a intralciare le future sorti della nuova Anzio; e, sebbene in quel tempo la separazione non fosse reciprocamente remunerativa, i Nettunesi, per un sovrano e suggestivo volere, non dissentirono, e rimasero isolati intorno al loro storico Castello, nella memoria dei loro aviti ricordi. Proseguendo nel ritmo di vita agricola ed operosa e dedicando al loro ubertoso territorio le cure alacri e le pratiche di quell'arte, che nel Lazio ebbe validi cultori.
Il Pontefice Pio IX ammirato del soggiorno di Anzio e sospinto da sensibile acquiescenza, statuì, dunque che quella terra, separata da Nettuno avesse a formare un nuovo Comune col 1." gennaio 1857.
Istituì una Congregazione di porporati per definire le controversie che potessero derivare da un tale distacco, specialmente circa la distribuzione dei rispettivi tenitori, stabilendo con sovrano decreto, che l'immensa zona territoriale (nella quale erasi già imcamerata un'unica potestà), fosse divisa in quattro parti, di cui una appartenesse al nuovo Comune e le altre tre a Nettuno. (Albanese; sommari di procedura legale e Archivio Comunale).
Anzio divenne, così, Comune autonomo, unitamente al Porto Innocenziano; malagiurisdizione, con sede di Vice Governo, restò in Nettuno, per cui la nuova Anzio corrispondeva annualmente le spese consorziali (Preventivo 12 giugno 1869 - Archivio Comunale).

112) LA TRANSAZIONE DEL 1859

 

Diviso il nuovo Anzio da Nettuno ed avuto il suo territorio separato, proseguiva ancora la li te promossa dalla Comunità Nettunese contro la Camera Apostolica, peri diritti del pascolo e della semina, riservati ai cittadini, sopra tutto il territorio feudale.
La lite ebbe finalmente il suo termine e trascrivo in tema un autografo appunto legale di quel tempo

" La causa fu vinta in prima " istanza avanti il Tribunale dell ' A. e C., andò in appello al tribunale in appello al Tribunale della piena Camera, ove essendovi presente monsignor Batoli avvocato del Fisco, vedendo il Tribunale a se contrario, domandò un differimento permeglio difendersi. Il Bartoli fece nascere legge pontifìcia la quale dichiarava che queste cause dovessero essere decise dalla Congregazione di Revisione, la quale, essendone presidente il Cardinale Alberghini, emanò opinamento contro i Nettunesi. Ripristinatasi la causa, essendo Presidente il Cardinale Spinola fu vinta dai Nettunesi. Per la legge fu proposta avanti il Consiglio Supremo di cui era Presidente il Cardinale Decano Micara veggendo la Camera che andava a perderla venne a transizione e il 22 Marzo 1859 stipulavasi 1 ' Istromento di transazione col quale si cedeva afavore dei Cittadini e Comune di Nettuno nibbi di terreno millequattrocento tre ntasette in corrispettivo dei loro antichi diritti sul territorio excamerale venduto. Stipulato ITstromeuto di transazione, per mezzo dell'Ingegnere Cavalieri incaricato dalla Congregazione Cardinalizia, si assegnavano al nuovo Comune di Anzio Rubbi trecento ttanta di terreno ".
(Appunto legale e Archivio Comunale 1859).

Con questo vasto sipario, chiudo le rievocazioni dei vari cicli storici, risalienti verso epoche ultra-millenarie, a dignità e appannaggio di quest'ammaliante Riviera di Nettuno e di Anzio, cui l'ombra delle spade e l'ala del tempo non mai poterono spegnere ed offuscare il sorriso, ravvivata, com'essa è, da perenne primavera.
Un'alba novella e trionfale andava sorgendo per la nostra grande Italia; un'era feconda di rinascenze, che doveva unire in vitale flusso, e trasfondere in un sol palpito, entro il magnanimo cuore di Roma capitale tutte le aspirazioni purissime della generosa penisola educando la stirpe al culto di un sentimento alto di nazionalità, ognora più temprato e corrusco, attraverso le insidie e le lotte più ardue, vittoriosamente superate.
Le graveolenze crepuscolari, gl'incubi delle nebbie plumbee non perdurano a lungo sul sacro suolo Italico. Il suo fato, dal solco immutevole, si oppone: v'e il suo destino infrenabile, di redenzione e conquista, che sa oramai le vie e i valichi per librarsi al di sopra d'ogni più densa e opprimente foschia: il suo destino lucido, come la natura luminosa; come il ciclo splendente in aurore, tramonti; come il sorriso eterno dei lidi avventurati, simili nei naturali incanti, a questo, che, attraverso i periodi secolari evocati, il lettore avrà potuto meglio conoscere ed apprezzare.





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