La vana gloria allettata da una sfrenata ambizione, corrose la Repubblica Romana, menandola alla schiavitù.
La proscrizione di Antonio che portò la morte del conservatore della Repubblica, non die salvamento a Roma, né oscurò la memoria dell'uomo grande; anzi, ad esso proclamò, invece, la gloria vera, e la reputazione fondata sopra i servigi eminenti resi agli amici, alla Patria e all'Umanità.
Colui che non curò gli applausi del volgo, fermamente volle proseguire la gloria incorruttibile eretta sul merito e sulla virtù, nel cammino dell'onestà. La raggiunse, sacrificando la quiete per l'atrui pace, e la vita per l'utile pubblico. I suoi ultimi scritti costituiscono gli estremi aneliti per la spirante libertà di Roma. Se i sanguinanti resti del grande, umanitario padre della patria resero sicuro Antonio della sua tirannide, la crudeltà ebbe riprovazione, perché Cicerone fu pianto dal senato e dal Popolo. Fu, alla fine, degna della sua vita, ed egli stesso desiderò la morte nel vedere Roma schiava di un dominio sfrenato e abominevole.
Dopo al morte di Cicerone, Bruto e Cassio si erano ritirati in Anzio, in attesa d'ordini del Senato e di nuovi eventi. Però lo spettro apparso a Filippi segnò la fine di Bruto. Sconfitto e deluso, egli si confisse contro la punta della spada di uno schiavo. Cassio si uccise; la battaglia di Azio e la dispersione cagionò il suicidio di Antonio.
Eguagliato il diritto fra plebei e patrizi, sorse una nuova carta a stregua dei maggiori censi; basata cioè sulla ricchezza; il dispotismo s'eresse sulla forza armata. I nobili Romani dell'antico tempo, con le guerre e proscrizioni, sparirono, dandosi alla pirateria. II popolo di Roma inebbriato dai pubblici divertimenti acclamava con riconoscenza Ottaviano, che, dopo tanti errori e crudeltà, dava la pace. Venne, così l'Impero.
25 ANZIO E NETTUNO SOGGIORNI IMPERIALI
Per l' antica Anzio sorgeva un'era luminosa e memoranda, che le donava un' aspetto novello. Cessate le discordie, il popolo di Roma ricco per le sue conquiste, lieto ed orgoglioso degli allori, andava in cerca di vita amena e deliziosa fuori dell'Urbe. L'ameno litorale d'Anzio e Nettunia fu preso di mira; e in esso s'installarono ricchi patrizi, nobili e non pochi Imperatori. Venne abbellito di ville, di teatri, di templi e di splendidi edifici il lusso dei Quiriti profondevasi in opere d'arte e di grandezza. Le ville erano situate fuori e dentro la città di Anzio, proseguendo per Nettunia, fino ad Astura.
Caio Cilnio Mecenate, uomo di rara prudenza, ricchissimo e autorevole consigliere di Augusto, ebbe sull'abitazione nel luogo nominato Caldane: antiche terme. Fu prefetto e governatore di Roma per volere del Cesare. Al suo grande protettore, volle erigere una statua, ponendola nella deliziosa sua villa, sita nella località predetta.
Agrippa, il creatore del Pantheon di Roma, prode guerriero, anch'esso consigliere dell'imperatore, costruì in Anzio sontuose ville tra cui una propria e un'altra per lo stesso Augusto, che vi dimorò nel 752 di Roma, dopo che ebbe assunto il nome di padre della patria. Augusto, per la cattiva condotta della figlia Giulia, fu costretto a relegarla a Ponza; isola che, da lontano, scorgesi sul l'orizzonte del mare di Nettunia. Un episodio, narrato da Svetonio sulla vita dell'imperatore, fa conoscere che questi soggiornò in Astura. Nell'accompagnare il genero Tiberio, che partiva per rilliria, giunto a Benevento, fu costretto a tornare in Anzio, e, quindi, in Astura, per malore sopravvenutogli. A nulla valse l'aria salubre di quel lido, poiché, aggravatesi gli convenne ripartire. Giunto a Noia, morì nella stessa camera, ove s'era estinto suo padre Ottavio.
26) TIBERIO IN ANZIO
NASCITA DI CALIGOLA
Tiberio, dotato d'intelligenza, ma - cattivo d'animo e crudele, succedendo ad Augusto, dimorò in Anzio. Ampliò la villa del predecessore, e ne costruì un' altra, per sé, lungo il mare.
Svetonio narra un fatto qualsi analogo a quello d'Augusto, accaduto a Tiberio, Questi, viaggiando per la Campania, giunto in Astura, cadde ammalato.
Riavutosi alquanto, passò al Circeo e poi al promontorio Miceno, ove il morbo si aggravò. Curato dal medico Charicle, nessuna cura valse, e morì in Capri, luogo da lui prediletto.
Caligola - figlio di Agrippina minore, moglie di Druso figliuolo di Tiberio - nacque ai 31 agosto del 765 di Roma, nella casa paterna.
La tradizione è di Svetonio il quale si oppone a quanto hanno tramandato Tacito, Plinio e Sesto Vittore, secondo cui Caligola sarebbe forse nato nel campo dei legionari, mentre Agrippina (minore) era in Germania, per aver seguito Germanico, dopo la disfatta di Varo. La nascita di Caligola in Anziate, è attestata da Svetonio, siccome dissi; e, che il detto Imperatore sia nato in Italia, lo conferma una lettera di Augusto, scritta da Roma ad Agrippina;
" L'altro ieri io ordinai a Talario e ad Asello che mi recassero qui piccolo Caio (dì due anni), se piace agli Dei, a diciassette di Maggio. Io mando con esso lui uno dei miei medici, a che, come ho scritto a Germanico, può ritener seco, se gli sembra buono. Addio mia cara Agrippina; badate alla vostra salute, affinché possiate trovarvi bene, quando vi incontrerete con vostro marito ".
Caligola amava molto la dimora Anziate, sopra tutti gli altri luoghi; anzi, sazio di risiedere in Roma, aveva divisato di trasferire 1' Impero nell'amena riviera d'Anzio e Nettunia e, da essa, ad Alessandria (Svetonio). Furono celebrati sicuramente in Anzio sacrifici e feste, allorquando Caligola venne creato Imperatore. In quella circostanza - dicono gli storici - furono immolate ben settan-tamila vittime; parte in Roma e parte nei luoghi limitrofi della Provincia. Caligola, dimorando in Anzio, si recò all'isola di Ponza, ove raccolse, con grande ossequio, le ceneri della madre, già ivi relegata e, portatele in gran pompa, le depositò nel mausoleo di Augusto.
Caligola, stando in Anzio condannò le due sue sorelle come ree di adulterio con Lepido: le relegò nell'isola di Ponza aggiunse minacele contro la cospirazione serpeggiante, dicendo " che aveva egualmente spade, come aveva isole ".
Una malattia al cervello lo rese pazzo. Volle essere reputato Eroe e adorato come un Nume. La sua follìa arrivò al colmo, imperversando in odiose crudeltà. Narra Plinio che, per l'ultima volta lasciata Roma, si recò in Astura, e, quivi giunto, con una nave salpò per Anzio, scortato da altre galee. Ad un tratto, durante il viaggio, la galea dove era Caligola si fermò, mentre le altre proseguirono. Nonostante lo sforzo di quattrocento rematori, restò immobile. In tale sorpresa, alcuni dell'equipaggio si gettarono in mare per conoscere la causa, e si avvidero che un pesce, chiamato dai Latini " remora " erasi attaccato al disotto della galea. Caligola imprecò contro tale evento, meravigliandosi che un piccolo animale aveva sfidato " un principe sì potente, padrone dell'universo ". La spada di Cherea pose fine alle crudeli follie del despota.
27) NERONE
Come attesta Svetonio, dopo la morte di Tiberio, l'anno 67 dell'era volgare, il 15 di Dicembre, Nerone nacque nel lido d'Anzio e Nettunia. Questo imperatore, al pari di Tiberio e di Caligola, da principio si mostrò probo, e fu appellato principe della gioventù. Diminuì i contributi, e la giustizia ebbe il suo corso. Ma, ben presto tralignò, purtroppo, dai felici governamenti iniziati.
Educato da Burro per l'arte militare e istruito da Seneca, ancor giovanissimo, preso d'amore per la schiava Atte, abbandonò sua moglie Ottavia, donna virtuosa e di nobile stirpe. Cominciò, quindi, a menar vita scandalosa di crapula. Di notte, travestito da servo, scorreva per le strade, per i postriboli e per le bettole; s'intrometteva nei giuochi, sfogava bestiali desideri, danneggiando e spogliando botteghe, battendo chi incontrava per via e minacciando chi resisteva. Rese pericoloso il transito per la città agli uomini illustri ed alle nobili matrone (Svetonio). Sconosciuto, se, nelle tenebre notturne, veniva malmenato, il percotitore era costretto a darsi morte per aver oltraggiato il Cesare (Livio). Fomentatore di fazioni popolari, usciva di soppiatto, scortati da gladiatori e da soldati, e andava nei teatri, creando confusione durante le commedie: tanto che si dovettero mettere le guardie, e molti pantomimi ed istrioni furono esiliati. (Tacito). Amante di cavalli, fu abilissimo auriga, suonatore di cetra, artista, poeta, cantore, avido degli applausi del popolo. Nessuno doveva, per qualunque motivo, uscir dal teatro, mentre dalla sua ugola sgorgava il canto, che gli adulatori paragonano a quello di Apollo. Avvelenatore di Brittannico, sacrilego al punto di violare la vestale Rubria ostentò tuttavia un'inocrita devozione votando a Giove la sua cuprea barba. Nella furia crudele e sanguinaria, tuttavia, egli conservò un solo nobile istinto naturale: l'attaccamento al suolo natio. Ironia del caso! Volle, per esempio, che in Anzio fosse una colonia militare composta da veterani, pretoriani, centurioni e della nobiltà più accreditata; arricchì la città di magnifici edifici, di ville decorate con superbi capolavori d'arte, la dotò di teatri e del Circo; e vi edificò la sua villa sontuosa e quella di Agrippina, sua madre, di cui accingiamo a parlare.
28) AGRIPPINA
Dopo i fatti d'Armenia, Nerone venne in Anzio. L'ambiziosa Poppea, rivale d'Ottavia non ancora ripudiata da Nerone , nell'intento d'assurgere a nozze imperiali, mise ogni impegno per accendere l'ira dell'imperatore contro Agrippina. Malgrado questa cercasse difendersi, non trovando mallevadori, soggiacque all'ira del figlio snaturato. Questi premedita di togliere di mezzo la madre; e pensa al veleno; poi affidandosi ad Anìceto, comandante la flotta Micena e di Anzio, fa da questi, costruire un vascello, di maniera, che, aprendosi una falla improvvisamente, per un congegno preparato, Agrippina affogasse, così mascherandosi l'empio delitto. Dell'atroce disegno, Nerone fu soddisfatto. Trovandosi alle feste della dea Minerva a Baia (chiamate " Quinquatrice ") fingendo rappacificarsi con la madre l'invita, ai festeggiamenti, col pretesto di volerli godere in di lei compagnia. Agrippina, scevra di sospetto, acconsente, e, salpa da Anzio, facendo vela per Bauli, villa Imperiale tra il Miceno e Baia. Colà Nerone, attese la genitrice: si recò incontro a lei sulla spiaggia; 1' abbracciò e la condusse seco. Nel lido era il vascello costruito da Aniceto, pomposamente ornato; Agrippina, forse presaga di qualche congiura, manifestò il desiderio di tornare a Baia per terra; e fu accondiscesa. Giunta al palazzo, fu dato un banchetto sontuosissimo, con passatempi e divertimenti per illuderla. Il convito si protrasse fino a notte tarda. Nerone die' ordini ad Aniceto di tener pronto l'altro vascello, differente dal primo, nell'intento di far sopire ogni sospetto nell'animo della madre. Come fu pronto, Agrippina s'imbarcò per Anzio.
Il mare era placido; udivasi il lieve mormorio dell'onda sulle rive. La notte lunare, quieta e serena, s'ammantava nella fulgidezza del ciclo stellato. Un volere arcano si diffondeva nell'aria, e la scena ammaliante indusse Agrippina a partire, ignara della perfida trama ordita dal figlio. Con essa s'imbarcarono Crepercio Gallo, che si mise al timone e una donna, Aceronia Palla, che stava ai piedi dell'imperatrice, parlandole dolcemente e rallegrandosi del ravvedimento del figlio.
Improvvisamente, dato il segnale, la coperta del vascello si apre; caricata di un enorme quantità di piombo precipitò con grande impeto e violenza, schiacciando Crepercio Gallo. Agrippina ed Aceronia furono protette dalle colonne del letto ove giacevano; le quali resistettero al peso. Ma poiché alcuni marinari, erano ignari della congiura il vascello non si aprì completamente; altri, consapevoli della trama, cercavano però, di farlo calare a picco da una banda, per annegare la vittima designata. I primi tentavano il salvataggio, controbilanciando la parte opposta, in modo che la nave non calasse rapidamente a picco. Gli altri, avendo scambiata Aceronia per la madre dell'imperatore, mentre implorava aiuto, l'uccisero a colpi di remo. Agrippina, ferita alla spalla, con l'aiuto di alcune barche accorse, riuscì a salvarsi.
29) MORTE DI AGRIPPINA
L'imperatrice giunse al lago Lucrino, vicino a Pozzuoli, e venne condotta alla villa. Nerone era in Anzio; aveva passato la notte insonne e inquieta in attesa della sorte della madre. Saputa che ebbe la di lei salvezza, s'intimorì, pensando che il malvagio attentato venisse scoperto. Via Agrippina, esso sarebbe perito. Nerone chiamati a sé Bruto e Seneca, prende la risoluzione di uccidere la genitrice; ed ordina ad Aniceto di compiere il misfatto. Questi si reca a Baia con una soldatesca di mare; va alla villa Imperiale; sì appressa alla soglia della camera di Agrippina. Forzata la porta, An iceto entra col soldato Erculeo, che colpisce Agrippina con un bastone. Alzatesi dal letto, seminuda, la donna dice al sicario: "ferisci il ventre, che diede alla luce il mostro" (Tacito). Dopo la morte della madre, Nerone divenne taciturno, oppresso da incubi e da presagi spaventevoli. Ma il popolo credendo al fatto che Algerino, inviato da Agrippina, come nunzio della propria salvezza, fosse venuto per uccidere Nerone, prestesto da questi ordito, acclamò l'Imperatore per lo scampato pericolo. Simulando, Nerone, mestizia e dolore, volle assistere ai sacrifici che si resero agli Dei e alle feste che si fecero in Anzio, al Circo in suo onore. Il ricordo di quei lidi, ove fu commesso il barbaro matricidio, era sempre a lui presente; e, perseguitato da orribili fantasmi, gli pareva udire le grida e i lamenti della madre. Lascia Anzio e va a Napoli; scrive lettere, incolpando Agrippina di molti delitti. Il Senato, ligio alle di lui mene ipocrite e adulateci gli rese nuovi onori e fece celebrare in Roma, e altrove, sacrifici e feste (Tacito),
30) OTTAVIA
Nerone, immemore di Atte, ripudiata che ebbe Ottavia, col pretesto della sterilità, prende per sposa Poppea, ed esilia la prima moglie nella Campania. Temendo l'odio del popolo che amava immensamente Ottavia, la richiama dall' esilio, e pensa di farla uccidere accusandola di convivenza e congiura insieme con Aniceto. Ammiraglio della, flotta, Anziate e Campana.
Sotto il peso di tale calunnia, fa relegare la sventurata donna nell'isola di Ponza, dove fu assassinata. La di lei testa portata a Roma, fu mostrata alla rivale Poppea, perché si compiacesse dell'orrendo spettacolo. Il popolo compianse la fine della vittima illustre, mentre il Senato, schiavo degli ordini Imperiali, celebrò pomposamente doni ed oblazioni agli Dei per la condanna di Ottavia. (Tacito).
31) FESTE IN ANZIO PER CLAUDIA AUGUSTA
Poppea nell' anno 63 dell'era volgare dimorando in Anzio, die alla luce una figliuola. L'avvento rese giubilante l'animo di Nerone, fu chiamata Claudia Augusta e simile denominativo venne attribuito a Poppea, Furono stabiliti festeggiamenti in Roma e in Anzio; venne decretato un tempio alla Fecondità, e si apposero al trono di Giove Capitolino le immagini delle Fortune Anziatine La letizia di Nerone fu di breve durata. Dopo quattro mesi la bambina morì e venne annoverata fra le Dee, destinandole speciale culto ed offrendo, i sacerdoti, sull'ara, numerosi sacrifizi in onore. Tutto il Senato Romano venne in Anzio ad esprimere condoglianze a Nerone (Tacito).
Per divagare il dolore imperiale si diedero, in Anzio, pubblici spettacoli sontuosissimi: combattimenti di gladiatori ai quali parteciparono quattrocento senatori e seicento cavalieri. Il Circo d'An-zio era gremito; i giuochi della gente Claudia e Domizia conferivano imponenza al programma.
L'attenzione del pubblico fu specialmente attratta da uno spettacolo nuovo, allorché molte donne, di nobile stirpe, stesero discinte sull'arena, unendosi con i gladiatori comuni in vorticosa danza oscena (Tacito). Un cavaliere illustre, sopra un elefante lanciato in corsa, si precipitò giù per una rapida discesa. Un'altro sotto le sembianze di Icaro, rilasciatesi, dall'alto, cadde vicino all'Imperatore, che rimase spruzzato del sangue del caduto.
Si rappresentò una commedia, " Incendium ", la quale consisteva nel saccheggiamento di una casa riccamente adobbata.
L'Imperatore fu presente a tutti i divertimenti e distribuì, invece di denaro, buoni, consistenti in case, giardini e poderi (Tacito).
32) INCENDIO DI ROMA
II cantore di Napoli, l'Imperatore dei laidi banchetti, l'uomo vestito da donna, la sposo di Sporus volle dare ancora una prova terribile della sua follia mostruosa. Nell' undicesimo anno del suo -------------' regno, mentre dimorava in Anzio avvenne il terribile incendio di Roma. Tacito mette in dubbio che fosse accaduto per colpa di Nerone, mentre Svetonio e Dione Cassio a lui l'attribuiscono. Si narra che, in una conversazione, Nerone dicesse a un greco: " bruci pure il mondo, mentre io vivo "; e che ufficiali di corte furono visti dar fuoco con un canapo a vari nobili edifici.
L'incendio con rapidità fulminea, s'espandeva per le strade di Roma; case, insigni monumenti d'antichità, superbi palagi templi, portici opere d'arte, tutto era in preda alle fiamme. Ogni sforzo si rendeva vano a domare il fuoco; le donne fuggivano atterrite con i loro bambini; vecchi e infermi perivano bruciati.
La ressa dei fuggiaschi aumentava il terrore e la confusione, moltiplicando i sinistri. Le fiamme, da ogni parte, perseguitavano coloro che cercavano scampo nell'aperta campagna. Molti, presi dalla disperazione sdegnando di salvarsi volontariamente uccidevansi. Il soccorso era vano ed era ostacolato con minacce per poter saccheggiare impunemente in ogni meandro rimasto incolume dalle fiamme divoratrici.
Nerone, mentre Roma ardeva, tranquillamente stava in Anzio nella magione imperiale. Salito il palco del suo privato teatro, accompagnandosi con la cetra, cantava l'incendio di Troia comparandolo a quello di Roma.
L'incendio, dopo sei giorni, fu spento; ma di nuovo si manifestò per tre giorni. Vennero distrutti alcuni edifici di Tigelli-no, e tal fatto mise in sospetto il popolo che Nerone avesse proseguito ad incendiar Roma per costruire la casa d'Oro. Di quattordici quartieri in cui la città era divisa, ne rimasero soltanto quattro (Tacito).
Il popolo tumultuante accusava Nerone; e la ferale notizia si spargeva ovunque. I danni erano incalcolabili. Le fiamme avevano annientato palagi ornati di preziose spoglie nemiche, i delubri consacrati ai Re, quelli eletti dopo le guerre Puniche e della Gallia, il tempio della Luna, di Èrcole, di Giove Statore; e quello di Vesta con i numi tutelari, il palagio di Ninna nonché ingenti ricchezze acquistate dai Romani nelle vittorie ed, ammirabili opere pittoriche e scritti di sommi oratori e poeti.
Nerone, recatesi in Roma, non dava segni di dolore per tanta rovina; godeva veder incenerita la torre di Mecenate e i suoi deliziosi orti.
Era insomma soddisfatto del disastro, Vestito da attore tragico. Suonando la cetra, credeva ispirarsi dall'immune sciagura. Dell'incendio furono calunniati, siccome autori, i Cristiani e contro essi sferraronsi persecuzioni ed atroci martiri.
Sopra le rovine fabbricò la " casa d'oro " per opera degli architetti, Severo e Celere. Il palazzo, oltre ad essere profuso di
gemme, aveva un maestoso ingresso alto venti metri, ed aveva annessi un'ampia campagna, laghi artificiali, boschi, giardini, vigneti. Nerone, soddisfatto, dichiarava essere, finalmente, " alloggiato a guisa di uomo ".
33) PORTO NERONIANO
Nell'anno 63 dell' èra volgare, Nerone imprese in Anzio la costruzione di un porto (Svetonio).
Per il progetto si servì degli architetti Severo e Celere, da Plinio stimati insigni. Essi costruirono come già si disse la " casa d'oro " ed altri edifici, che il genio bizzarro di Nerone ordinava (Tacito).
A quest'opera di pubblica utilità venne data una grande importanza per il Commercio, che si era diffuso nel Mediterraneo. Fu il porto, di ampiezza notevole, data, la sua ubicazione prossima a Roma. Il punto ove fu costruito era il più idoneo per la felice posizione naturale.
Il molo destro si estendeva dalla punta del promontorio Anziate, e assumeva, in principio, un andamento curvilineo, proseguendo, poi, verso levante, in linea retta, con prolungamento rilevato sul mare, e formando un' ampio seno naturale per difesa dai venti d' Ostro.
Il molo sinistro aveva principio da una collina, dalla parte orientale; proseguiva quasi rettilineo, poi curvilineo molto pronunziato, verso est. Il molo destro era più prolungato del sinistro, disegnando una figura ovale, tagliata alla base.
Fu un monumento insigne della potenza di Roma; ornato di colonne, architravi, decorato da statue e da portici stupendi, formava una costruzione grandiosa, siccome testimoniavano i ruderi ormai scomparsi.
I flutti del mare hanno compiuto l'opera deleteria e non rimangono che pochi avanzi sotto le acque, altri ancora visibili nel luogo oggi chiamato " Grotte di Nerone " che, in verità, erano vòlte costruite solidamente per sostenere fa strada portuale sopra cui passavano i carichi delle merci per imbarcarle sulle navi. Sull'argomento, avrò occasione di parlare ancora in appresso.
34) NERONE DA ANZIO VA IN GRECIA
L'Imperatore geniale, ma perverso, stanco della solitudine della reggia, oppresso da paure, cercava dare sfogo alla sua passione d'artista; da Roma venne in Anzio per andare poi in Grecia (Svetonio).
Si cominciavano colà i giuochi Olimpici. Desideroso Nerone, di farsi maggiore onore e acquistar fama di esimio sonatore di arpa, si esibì come cantore, commediante ed auriga; subito fu schiavo dell'adulazione greca, e, specialmente, delle lodi di pantomimi ed istrioni volgari.
Ricevuti gli ambasciatori, che gli offersero le corone Olimpi-che, diede ad essi un sontuoso banchetto, durante il quale fece elogio dei Greci, che avevano buon orecchio e sentivano l'arte della musica più di ogni altra nazione.
Un' immensa folla assisteva ai canti di Nerone. Molti forniti di arpe, di maschere e di arnesi teatrali facevano corona all'artista. Fece udire la sua voce avanti l'altare di Giove Cassio; comparve ai giuochi Olimpici, ora come suonatore di cetra, ora in veste di commediante, ora di auriga. Carpì con cavilli, il premio della corsa, sebbene fosse sbalzato a terra dal cocchio e premiò i giudici col titolo e diritto di cittadinanza Romana. Restituì la provincia d'Acaia, proclamò la libertà degli Achei in Corinto, nei giorni dei giuochi Istmici; fece sfoggio, poi, del suo canto in varie città della Grecia, uccidendo coloro che, più meritevoli di lui, lo superassero, e colmando di beni chi facevagli elogio. (Tacito).
Ma i Greci, preoccupati dalla scarsezza di provviste provocata dall'ingente consumo fatto dall'immensa corte imperiale, impazientemente attendevano la partenza di Neorne. Questi, consultato l'oracolo di Delfo gli profetizzò di tenersi in guardia, per essere giunta l'età di Galba, non curò il vaticinio, die impresa al taglio dell'istmo di Corinto (opera che per altro, non compì), saccheggiando, di poi la Grecia.
35) RITORNO DI NERONE IN ANZIO
Immerso nelle cupidigie, confuso dalle comiche scene, gli giunse, la notizia di gravi ribellioni nella Giudea, e inviò colà Vespasiano, che vinse.
Si compiva l'anno del suo soggiorno in Grecia; eccitato dal desiderio di tornare in Roma, perché nessuno si avvedesse del suo turbamento per i torbidi ebraici, s'imbarco alla volta di Napoli e, dopo un periglioso viaggio, vi entrò, facendo aprire una breccia nelle mura, secondo le usanze dei giuochi Olimpici. Da Napoli venne con eguai pompa in Anzio. All'arrivo celebrarono in suo * onore i giuochi Neonariani, i quali consistevano in gare di poeti, oratori, musicisti, corsieri e ginnasti. Da Anzio passò per Alba Longa con lo stesso sfarzo, e infine giunse a Roma. Quivi entrò col cocchio trionfale di Augusto, pomposamente ornato, e sul carro aveva Diodoro, celebre suonatore di arpa con una corona Olimpica in testa (quella meritata in Grecia) e con il lauro pitico dio poeta cantore. Il corteo era composto da milleottocento persone; ognuna aveva in mano una corona con iscrizione che indicava il merito ottenuto. Il cocchio, seguito da una plebaglia numerosa entrò per la Via Sacra, voltò nel Circo, e, demolito un sontuoso arco, passò per la breccia, proseguendo al Velabro, poi al Foro e, quindi al palazzo Imperiale. Da qui, Nerone si recò al tempio di Apollo, ove depose le corone, che in seguito pose in testa alle statue poste intorno al suo letto, e fatte modellare in sembianze di suonatori di arpe. Il folle e sinistro Imperat ore, l'uccisore di Poppea incinta, di Longino, di Silano, di Petronio Arbitro, di Seneca, di Corbulone e di altri personaggi mentre pensava a curare la sua stridula voce, venne sopraffatto dalla cospirazione popolare. Il discorso di Galba lo accusò.
Enobarbo, il sonatore d'arpa teme la ribellione, si dispera; con lagrime vili domanda perdono.
Abbandonato dalle guardie, fugge da Roma. Pensa al veleno di Locusta; atterrito dalla sentenza del Senato non ha coraggio d'uccidersi, e va alla villa di Faonte. Avanzandosi i soldati di Galba, egli prevede la, fine. Sporo lo incoraggia ad uccidersi; ma il pugnale cade ai suoi piedi. Un liberto, allora, lo raccoglie e lo presenta a Nerone, puntandoglielo sulla gola. Con un rantolo da belva, l'Imperatore sanguinario e nefasto, s'abbatteva, ponendo fine alle sue gesta malvagie.
36) ILLUSTRI OSPITI IN ANZIO - NETTUNIA
Dopo le memorie di un sì grande fenomeno di degenerazione, che proiettò una truce ombra sulla chiara bellezza di questa terra avventurata, accennerò ad altri Imperatori e nobili Romani, che in essa ospitarono.
Vennero in Anzio, a diporto e vi dimorarono Vespasiano, Tito e Domiziano, a testimonianza d'iscrizioni rinvenute e da nomi incisi in alcuni acquedotti. Vespasiano vi ebbe dimora, insieme con Porzia, moglie di M. Aurelio Commodo, restauratore di molte terme. L'imperatore Tito perle sue benemerenze, fu onorato dagli Anziati, che coniarono per esso una moneta augurale. Che Domiziano ospitasse in questa riviera, risulta dalle memorie di Marziale.
L'imperatore Traiano costruì splendidi edifici in questo lido, come attesta il Torre. Egualmente si adoperò Adriano. che fabricò in Anzio una magnifica reggia, con orti amenissimi ornati di statue (Filostrato). In epoca remota furono rinvenuti busti di Adriano, tra i quali uno, che oggi trovasi nel museo Capitolino.
Antonino Pio fece molti restauri agli acquedotti e ne costruì nuovi, perché la sua villa fosse ricca di acque (G. Capitolino).
Lo storico greco Erodiano fa menzione che Anzio fu frequentato da M. Aurelio, da Lucio Vero, da Commodo e da Alessandro Severo e vuole che la colonia Anziate assumesse il nome di Commodiana e Severiana. Tra i suddetti imperatori. Lucio Vero fu benemerito in questa riviera. Una lapide (rinvenita nei pressi di Anzio, e che trovasi, ora, nel palazzo Albani) attesta la riconoscenza del popolo, che a lui eresse una statua.
Settimio Severo venne a diporto in Anzio a respirare l'aria, balsamica e, a testimonianza di Erodiano, il detto Imperatore seco condusse anche i figli.
Il delizioso lido fu frequentato dagli Imperatori fino all'epoca di Costantino. Questi come asserisce Macrone, donò alla basilica del Laterano molti fondi rustici, che possedeva in AnzioNettunia.
37) PALAZZO DEI CESARI
ED ALTRE VILLE IN ANZIO
Sopra la località chiamata " Batteria ", in Anzio eravi il Palazzo dei Cesari e la Villa Imperiale, che si estendevano verso ponente fino alla punta dell' Arco Muto. Verso Roma aprivansi la Porta Aurea, sita nell'aggere della città.
Ville di nobili Romani facevano collana oltre la città di Anzio, nei pressi di Nettunia, fino ad Astura. L'archeologo Fea, narrando un viaggio fatto nella Campagna Romana, sul principio del sec. XIX. nomina la villa di Plinio il giovane, prossima alle Caldane da Plinio stesso descritta, secondo Plutarco, la villa di Claudio Medullino in Anzio lussureggiava, in bellezza, più di quelle che aveva in altri luoghi. L'archeologo Ligorio segnala la villa di Publio Cabilio, che era tra Anzio e Nettunia. Un cippo rinvenuto con lettere incise, designava il termine d'essa. Lo stesso archeologo nomina altre ville e ne prova l'esistenza con lapidi rinvenute: e cioè, quella di M. Aurelio Arpalo, pantomimo di Commodo, ed altre di Quinto Rustici e di Marco Livio, addetti all'albo questorio sotto Vespasiano Nelle lapidi suddette, sono indicati i sacrifìzi, che si rendevano alla Dea Robigine, protettrice dell'avena. La villa di Miralo liberto pantomimo di Commodo, e quella di Tito Claudio Ardigene, liberto musicista di Claudio, erano nei pressi di Nettunia (Ligorio).
Dalla città di Anzio a Nord-Est, partiva un'antica strada (oggi dei " marmi ") che si univa alla Via Appia, alle tre taverne. " Lungo essa eranvi molti monumenti sepolcrali, tra i quali uno di C. Cecilio Dicearco, Liberto di Commodo, e di Cecilia Crysida sua moglie, costruito per loro e per i figli (Ligorio). Probabilmente era la necropoli di Anzio.
Numerose famiglie antiche, oriunde di questa riviera, si resero illustri dimorando in Roma. I nomi di esse sono narrati dettagliatamente nelle storie degli autori già nominati nella parte introduttiva di questo scritto.
A ulteriori testimonianze, descriverò, nell'epoca moderna, monumenti, lapidi, statue ed altro prezioso materiale archeologico
che si rinvenne da scavi fatti presso questi lidi.
38) TEMPIO DELLA DEA FORTUNA
I culto pagano ebbe notevole incremento in questa riviera, ove vai templi vennero consacrati a diverse divinità. Famoso fu il tempio della dea Fortuna, in Anzio. La divinità, d'origine greca, fin dal tempo d'Augusto, era raffigurata con due immagini chiamate sorelle: la Fortuna Felice o Muliebre e la fortuna Forte o Equestre. Tali erano i nomi delle Fortune Anziatine. Quantunque l'effigi fossero due, la Dea era anche venerata sotto un sol nome, ed Orazio ne fa fede, invocando: " O Diva, che reggi il grato Anzio ", mentre Marziale le chiama: " Fatidiche sorelle che riposano nel sobborgo della città marina "; ed ancora, in una moneta rinvenuta col nome di A. Rustie, eranvi scolpite due Fortune. Dalle memorie di Marziale il tempio risulterebbe posto nel sobborgo della città di Anzio. Questo sobborgo devesi attribuire alla località Nettunia, perché un'iscrizione col nome di M. Antonio Rufo e delle due Fortune, fu rinvenuta ove oggi trovasi la Chiesa di S. Francesco in Nettuno. Le mura e le arcate dei sotterranei di detta Chiesa di pura forma romana, accreditano l'opinione che ivi fosse stato eretto il tempio pagano descritto. (Piglio Stefano Annali 1585 - Della Torre). Il fanatismo per tale divinità induceva tutti cavalieri romani a far voti alle Fortune Anziati. Il simulacro della dea era di legno placcato in oro, ad eccezione della testa, delle mani e dei piedi; gli occhi erano coperti di una benda; ai piedi aveva le ali e la figura poggiava sopra una volubile ruota. La divinità assumeva vari nomi, Primigenia, Obbediente, Vergine, Privata, Contraria, Libera, Equestre, Reduce, Pubblica, Regia, Salutare ed altri ancora. Sotto tali denominazioni i fedeli appendevano i loro voti nel tempio, a seconda dei favori ricevuti. Nei privati lari, frequentemente veniva conservata una piccola statua della Fortuna, preferibilmente d'oro. La Fortuna in Anzio era venerata con il solo nome di Fortuna Anziatina ! e il culto di essa aveva importanza speciale in relazione agli eventi e cose future. Tutte le divinazioni manifestate si denominavano Fortune Anziatine. Un responso dato all'Imperatore Caligola predisse a questi la morte, che avvenne infatti per opera di Cassio.
I riti, per questa divinità, erano imponenti. Il Pontefice nobile patrizio, o, anche, plebeo, presiedeva alla cerimonia. Intorno ad esso, in grande pompa, erano i sacerdoti, l'indovino, l'augure, il sortilego con tre vergini sacerdotesse, le quali avevano anche mansioni per gli ornamenti del tempio.
Consumate le libazioni, seguiva il sacrificio della vittima; dopo di che, imponevasi agli astanti il silenzio. Un fanciullo, mescolando dadi, ne traeva in sorte uno, in cui leggevasi l'auspicio. A volte, però, praticamente, i responsi erano emanati a voce o con gesti. I sacerdoti, conosciuto il desiderio dei fedeli e, a seconda delle circostanze, potevano dare ingegnose risposte o da fori praticati nel muro o dal sotterraneo del tempio. Terminato il rito, ed avuto il responso, si licenziavano gli astanti con la formula " ex tempio ". Quindi, succedevano conviti pubblici, o privati e come riferisce Orazio, anche giuochi scenici.
39) TEMPIO DI VENERE AFRODITE
La Dea della bellezza e dell' amore, " Venere " detta da Omero figlia di Giove e di Dione e nata, invece, dalla spuma del mare, secondo Esiodo, fu chiamata anche Afrodite; e sotto tal nome adorata nel tempio a lei dedicato in Anzio.
L'archeologo Volpi vuole che esso fosse situato oltre il porto Neroniano, sviile alture vicino all'" arco muto "; ed ivi furono trovate lapidi in relazione a tal divinità. Ad essa venivano consacrati i cigni; ed era rappresentata sopra un cocchio tirato da due bianche colombe, con la fronte coronata di mirto, pianta a lei sacra. S'immolavano colombe ed altri volatili ed onoravasi, anche con offerte di uve, di vino, di olive, spargendo intorno tali doni il profumo dell'incenso. I Romani, credendola madre di Enea, la chiamarono Ericina e le tributarono speciale festa nel mese di aprile. La dea si venerava sotto molteplici nomi. Nel culto comprendevansi: Cupido, creduto suo figlio, fanciullo alato, con occhi bendati, cinto di arco e faretra; le Grazie, giovani donzelle, compagne di Venere e di Bacco; Imeneo ad esse fratello, nume, che presenziava alle nozze, coronato di rose.
40) TEMPIO DI APOLLO
II tempio di Esculapio e di Apollo, come dissi parlando del Porto Cenone, era nei pressi del castello, a levante di Nettuno questi due numi si adoravano in un sol tempio, essendo Esculapio figlio di Apollo (Cicerone).L'aneddoto favoloso del serpente, già narrato, e riportato da Ovidio nelle " metamorfosi ".
Secondo questo illustre poeta latino, il delubro era circondato da alberi. L'Apollo del Belvedere, che trovasi al Vaticano, opera sublime d'arte scultorea, veneravasi in questo tempio.
Apollo, figlio di Giove e di Latona, appellato anche Febo, creatore della musica e della poesia presiedeva alle Muse Si rappresentava con l'arco, e la cetra, coronato d'alloro.
Esculapio dio della medicina, era adorato sotto la forma di serpente o nella figura di vecchio, avente una clava, intorno a cui s'attorceva il rettile, che lo simboleggiava.
41) TEMPIO DI MITRA
Sotto il nome di Mitra, nume Persiano si adorava il Sole e il Fuoco.
Il culto (già professato in Grecia e introdotto in Roma ai tempi di Traiano) racchiudeva feste e misteri celebrati in antri o spelonche, ove s'immolavano le vittime.
Fu rinvenuta una lapide in Anzio, nella quale era scritto il nome di Tito Flavio, della famiglia omonima, sacerdote di Mi tra nel Tempio di Anzio (Ligorio).
Un'interessante scoperta, fatta sulla fine del sec. XVII dall'erudito archeologo Della Torre, conferma che il tempio esisteva nei pressi dell'antico porto Neroniano, si trovò, infatti, una lastra marmorea, su cui è scolpito un giovane con veste succinta e manto ondeggiante, in discesa dalla spalla, sinistra. Il capo è coperto da un berretto frigio. Egli sta in atto di atterrare un toro; lo preme col ginocchio sinistro; con la mano destra, armata di pugnale, lo ferisce nel collo, mentre l'altra poderosamente lo tien fermo. Ai lati s'ergono due garzoni, molto bene scolpiti, che brandiscono faci. Innanzi un serpente e un cane; sotto il toro, un granchio; poco lungi un piccolo vaso. In alto a significare il Sole, sta la figura d'un giovane, al di sopra di due colombe.
42) TEMPIO DI ERCOLE
Anche la divinità di Èrcole ebbe un suo tempio in questa riviera Era uno dei numi indigeti, e i suoi sacerdoti erano scelti tra le famiglie romane nobili ed illustri. La località, dove era il detto tempio in Anzio, è incerta. Opinasi che probabilmente fosse situato presso il circo; tanto più che si apprende da Vitruvio, come gli ippodromi e le abitazioni dei gladiatori non erano mai privi, nelle lor vicinanze, di un tempio consacrato al formidabile figlio di Giove e di Alcmena. Frammenti di un simulacro furono ritrovati vicino alla località " Batteria ", ed un'altra statua intera, fu dissepolta in Nettuno. Il luogo della scoperta non si conosce: ora è nella Villa Aldobrandini.
All'eroico semi-dio era consacrato il pioppo e, negli olocausti e giuramenti, che si facevano avanti al Nume, si soleva esclamare:
" Così mi aiuti Èrcole? "
Si rappresentava in figura di uomo membruto ed alto, con una clava in mano, e indosso la pelle del Icone Nemeo, da lui ucciso secondo la tradizione mitologica in una delle dodici, famose fatiche.
43) TEMPIO DI NETTUNO E SACRARI
Si ergeva inoltre il preistorico tempio al dio del Mare sull'area ora occupata dal Castello Medioevale di Nettuno. Di questo monumento, già parlai, in relazione all'epoca preistorica. La situazione dei templi e d'altri edifici antichi nominati, comprovano che l'antica Anzio, oltre la cinta, si estendeva da Nettunia fino ad Astura. Altre costruzioni, dedicate al culto, ornavano questa riviera.
Vi furono sacrari, delubri e sacelli, che differivano dai templi, per la minore loro estensione e grandezza. Augusto ebbe un'ara a lui dedicata (Svetonio). D'un sacello, innalzato all'Imperatore Tito, è notizia in un'epigrafe rinvenuta, nella quale trovasi inciso il nome dell'augurale Q.Manilio. Il Ligorio attesta che Antonino Pio, benemerito di Anzio, ebbe un'ara votiva; e lo prova con una lapide, la quale porta l'iscrizione: " Ara Pia ".
44) CIRCO ANZIATE
Fin dai primi tempi dei Romani in Anzio, esisteva il Circo: una lapide ricorda che Appio Claudio il Censore lo restaurò; e vi è scritta una frase, che esprime la riconoscenza degli Anziati. Il Circo (Ippodromo) veniva adibito alle corse delle bighe, ed era compreso entro le mura della città. Era vasto; gli spettatori si adagiavano sui sedili marmorei (sovente forniti di morbidi cuscini) collocati in vari ordini posti sopra i portici, dei quali, parzialmente, era cinto.
Posti d'onore erano assegnati ai Senatori; v'era la loggia per l'Imperatore e per i Magistrati. Sotto i portici sostavano cocchi e cavalli. Un canale divideva l'area del circo dai sedili degli spettatori. Ad un.dato segnale, l'acqua inondava l'arena e, su tale specchio, si rappresentavano combattimenti navali. Un muro (spina) separava l'area in due parti; nel mezzo elevavasi un obelisco con statue o simboli della divinità.
La meta era formata con tre colonne piramidali, ovoidi nelle sezioni superiori e poste sopra uno stesso piedistallo. Alle due estremità del muro, le mete formavano il termine di esso, lasciando un passaggio per i cocchi e cavalieri, fino all'estremità del Circo e suo recinto.
Nerone abbellì il Circo Anziate con marmi e splendidi dipinti che ritraevano a grandezza naturale, figure di gladiatori o di magistrati (Plinio).
Nel Circo Anziate - come narrai - Nerone ebbe ovazioni dopo il suo ritorno dalla Grecia (Svetonio). I giuochi che si davano in Anzio furono sontuosissimi, per le frequenti partecipazioni di nobili Romani (Dionisio).
Prima che i ludi avessero principio, con superba pompa, si portavano processionalmente in trionfo, i simulacri delle Fortune Anziatine, del dio Nettuno, di Esculapio, di Apollo di Èrcole, di Venere e di Marte fra un coro di cantori, ed essendovi, intorno, istrioni di ogni specie.
In seguito, si aggiunsero al corteo le statue delle famiglie Claudia e Dornizia e delle due Poppee; seguiva poi il numeroso stuolo degli ufficiali dei giuochi (Dionisio). Gli spettacoli, nel circo,si celebravano ogni anno; nei giorni della fondazione della città, per la ricorrenza festiva di varie divinità e nei genetliaci degli Imperatori. Furono di varie specie: Circensi, Nettuniani, Floreali, Afrodisi, Neroniani.
S'iniziavano con le corse di bighe o cocchi a due, tre o quattro cavalli. Dato il segnale, spiccavasi la corsa dalla prima meta, proseguendo in giro intorno alla spina (muro).
Colui, che, per sette volte consecutive, compiuto il percorso, raggiungeva primo la meta, conseguiva il premio destinato.
Dopo le corse aveva luogo il pugilato. I contendenti avevano il pugno rivestito di ferro e poi da un involucro di cuoio munito, nell'esterno, di piccole pallottole di piombo. Al pugilato succedevano le lotte dei gladiatori - mirmilloni, e reziari - che si assalivano reciprocamente, finché uno dei due combattenti soccombeva. Nei giuochi Neroniani, le donne scendevano annate sull'arena a combattere (Stazio). Cicerone nel maggio del 695 di Roma, venne al Circo in Anzio con Tullia, sua figliuola (lettera ad Attico) assai desiderosa di vedere i caratteristici indi.
45) FORO ANZIATE
nzio ebbe un Foro principale, situato vicino al Circo; altri, di minore importanza, erano nel proseguimento di Neptunia; ma il primo era di maggior estensione, per dare sfogo alla popolazione numerosa, che vi si riuniva per sentire quanto si deliberava circa i pubblici affari.
Il Foro Boario e OH torio era posto nei pressi di Nettuno nel castello vicino al tempio d'Apollo, come già dissi, parlando del sontuoso porto del Cenone.
Il Foro principale era adorno di statue innalzate ad uomini illustri ed imperatori benemeriti. Ne danno prova due iscrizioni, che riguardano M. Aurelio Antonino e Marco Aquilio, nonché la statua di quest'ultimo, rinvenuta in frantumi. (Della Torre).
Marco Aquilio era patrono Anziate e ricopriva molti, ragguardevoli uffici. Vicino al Foro principale doveva esservi, secondo Dionisio d'Alicarnasso, il sepolcro di Coriolano, che taluni, invece, opinano essere stato eretto nel luogo chiamato " Vignacce ". Ma Tito Livio pone in dubbio che il guerriero romano sia stato ucciso dai Volsci.
46) TERME TEATRO GINNASIO
Non mancarono in Anzio terme sontuose, delle quali, alcune erano nei pressi di Nettuno. Non si conoscono bene le precise località; però, non è guari, in occasione di uno sterro, sono apparsi in Nettuno, avanzi di costruzioni termali. La condottura principale per le acque proveniva dalla villa di Mecenate sita alle Caldane, e forniva le terme imperiali, il circo, le tenne pubbliche e private e il ginnasio, (Ligorio).
II Ginnasio, in Anzio, era presso il circo; consisteva in una scuola, ove gli adolescenti si esercitavano alla ginnastica ed agli studi. Unita ad esso, eravi la palestra per 1' esercitazioni nella lotta ed in tutti i movimenti idonei a dare elasticità, sviluppo e vigore alle membra. In tali esercizi i giovani comparivano completamente ignudi.
Fuori della città di Anzio eravi il Teatro. Una scoperta fatta nel 1712 dal Cardinale Albani, in presenza dello storico Bianchini ha provato che il teatro era nei pressi di Nettuno. Il Bianchini ne fa l'iconografia, e attestai! rinvenimento di una statua e di una relativa iscrizione, assai interessante, e confermata dal Volpi.
Il Teatro ebbe origine dall'arte d'imitare tipi e figure umane, Attori tragici e drammatici rappresentavano personaggi in vari aspetti; e, in tali rappresentazioni, esibivansi maschere comiche, tragiche e satiriche.
47) FINE E DISTRUZIONE D'ANZIO E NETTUNO
La grandezza e la civiltà Romana, la magnificenza, i trionfi imperiali, la sublime memoria a vita, volgevano verso un'era nefasta. Un male irreparabile corrodeva gli organi vitale della Romana grandezza. Indisciplinati gli eserciti, esausto l'erario, corrotti i costumi, fatalmente il colosso cadeva in rovina.
Nella riviera Anziate e Nettunese, gli antichi e superbi edifici, la celebre città di Anzio il suo porto, le sue ville, intorno alla metà del II sec. d. C, ancora esistevano, conservando grandiose memorie dei fasti e della gloria Romana; e la vita cittadina pulsava tuttora in vigoroso ritmo.
Sopravvenuta la Tetrarchia, Diocleziano, di oscuri natali, presuntuoso, ricercatore del lusso più sfrenato, ambizioso in tal modo da farsi adorare come un dio, quantunque si adoperasse a tener alto l'onore e la grandezza dell'Impero, vide piombare da ogni parte orde di barbari, che presero a devastare provincie Romane, minacciando rovina.
Avendo il grande Costantino trasferita la sede dell'impero lungi da Roma, cominciarono le incursioni devastatrici, insufficientemente combattute. Questa riviera non andò esente da fatali conseguenze deleterie.
Quanto v'era di sontuoso e di sfolgorante valore artistico andava perendo miserabilmente.
Ogni cura e ricchezza venivano prodigate per l'Oriente. Le provincie Romane erano travagliate ed esauste; la miseria affliggeva le regioni abitate; le campagne divenivano boscaglie incolte e la desolazione poneva il suo squallido campo.
La propaganda cristiana veniva man mano distruggendo quanto eravi di pagano.
Sontuosi edifizi, preziosi cimeli d'arte, opere di valore venivano demoliti. S'ebbero, per vero, fanatici eccessi, nel formidabile contrasto tra il Cristianesimo e il paganesimo, ormai crepuscolare.
E quell'Impero, che pure aveva offerto classici esempi di virtù e di gloria, venne, anch'esso, umiliato in dissolvimento.
Sopraggiunti i Visigoti, avvennero le occupazioni di tenitori per opera di Alarico. Campagne e città vennero distrutte. Dalle provincie, gli abitanti, terrorizzati, cercavano asilo in Roma; ma la città, cinta di assediò dai barbari, non offriva più rifugio, entro le mura dell'Urbe ogni spirito di difesa s'affievoliva; e lo sconforto si diffondeva negli animi d'una gente, che pure aveva dominato il mondo.
Gli Unni, capitanati dal feroce Attila, devastarono l'Italia. Genserico re dei Vandali, saccheggiava le contrade della Campania e le amene riviere di essa, trucidando e facendo schiavi.
Né poteva andare immune da tanta mina la doviziosa città di Anzio, emula e nemica di Roma, e la ridente riviera Nettunia Quanto,in essa plaga felice, eravi di sublime e maestoso, veniva devastato ed incendiato
Le isole del Mediterraneo, le città marittime ed altri opulenti centri dovevano, man mano, divenire preda delle orde di Totila, dei Franchi, degli Alemanni e dei Longobardi.
Allorquando i Goti, sotto Vitige, nel 535 d. C. occuparono Ostia, in questa riviera ancora approdavano navi Romane; ma le condizioni dell'antico porto già erano quasi totalmente in rovina e i suoi abitanti si riducevano ad esiguo numero, finché i Saraceni, come dirò in appresso, quali belve umane, per quarant'anni saccheggiarono completamente il litorale Anziate e Nettunese, che tanti ricordi e fatti memorabili lasciò nella Storia mondiale.
Chiudo così la narrazione di questo secolare periodo immensamente importante e mi accingo a proseguire la trattazione, attraverso le caratteristiche, profondamente diverse, di una nuova epoca: l'Evo Medio. |