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Gabriele D'Annunzio

Lettere da Nettuno e altri manoscritti
estate-autunno 1903

a cura di
BENEDETTO LA PADULA

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IL TEMPO
8 gennaio 1950

ELEONORA DUSE NEL RICORDO Dì RENATA D'ANNUNZIO

A Nettuno con la Signora
all'epoca della "Figlia di Jorio"

La grande attrice pallida, con i capelli grigi, aveva per l'immaginifico
una condiscendenza quasi materna. L'inguaribile esibizionismo del poeta

Quella mattina d'estate, quando mio padre mi disse, prendendomi per mano sulla porta dell'Hotel de Russie: "Ora andremo da una signora che verrà con noi a Nettuno ", ebbi la rapida intuizione che si trattasse della persona della quale avevo tanto sentito parlare in casa come della causa di tutte le nostre tristezze.
Il mio cuore si chiuse: da tre giorni non sognavo che Nettuno, dove pensavo di essere sola con quel padre che vedevo tanto di rado, soltanto nelle sue rapide corse a Roma, e per poche ore, e invece! Ma forse non era quella persona, chissà! E la mia mente di bimba che molto aveva ascoltato anche quando pareva intenta ad un gioco o ad un sogno, e che troppo aveva intuito, si dibatteva sul dilemma doloroso.
Come avrei potuto vivere con lei? Avrei dovuto rinunciare a Nettuno? E se non fosse lei? Intanto mio padre seguitava: "Le ho già parlato dite. Ti vuol già bene. Sarai molto gentile vero?" Lo guardai un pò ' risentita. Ero una bambina abituata a vivere coi grandi, avvezza a dissimulare i miei sentimenti, conoscevo troppo bene le piccole ipocrisie della vita di società.
La carrozzella correva lungo i viali di Villa Borghese verso i quartieri alti, e mio padre, sorpreso dal mio inconsueto silenzio, mi parlava scrutando il mio viso, quasi ansioso. Egli certo intuiva i miei pensieri, le mie impressioni, ma non osava interrogarmi chiaramente.
Arrivammo alfine e fummo condotti in giardino. Su una panchina, all'ombra di un cespuglio di rose, scorgemmo una donna molto semplicemente vestita di una gonna grigia e una camicetta bianca, in capo aveva un cappello di paglia di quelli chiamati allora "canottiere" . Ci avvicinammo e mio padre disse: "Ecco la signora ". E la Duse tale nome conservò per me, sempre.
Sul momento fui delusa: credevo che fosse giovane, invece aveva i capelli grigi, un viso avvizzito, una figura comune. Ma quando alzò su di me i suoi occhi nocciola, pieni di disperata malinconia, e la sua bocca dolorosa sorrise, ma soprattutto quando la sua voce indimenticabile disse il mio nome, mi sentii conquistata. Pure qualcosa infondo al mio cuore si ribellava a quel fascino, avevo quasi rimorso di cedere e cercavo di alimentare il dubbio per non lottare, sebbene fossi sicura di essere dinanzi a colei che tanto male ci aveva fatto. Il bacio che le diedi fu freddo e guardingo. Poi i miei occhi non lasciarono un momento di scrutare i loro volti, i loro gesti per cogliere una certezza.
Ella aveva verso di lui una condiscendenza quasi materna, e lui così vivace, così gaio sembrava vicino a lei infinitamente giovane. Ecco tutto. Nessuno indizio di una specie dì intimità. Ma allora?

Uno strano cappello

Dopo qualche settimana giunsi a Nettuno dove mio padre e la "signora " si erano già istallati a Villa Borghese, sempre scortati dal professar Tenneroni. Mentre salivamo verso la villa nel carrozzino che ci era venuto al prendere al treno, incontrammo mio padre che ci era venuto incontro. Mi sembra di vederlo: tutto vestito di bianco, con un panama adorno di un lungo nastro celeste. Ricordo che mi sembrò un pò strano vestito in quel modo. Balzai giù dal carrozzino ancora in moto e gli saltai al collo coprendolo di baci senza lasciargli il tempo di parlare grata che mi fosse venuto incontro solo. Quando le mie espansioni furono finite egli guardò un pò 'sbigottito la piccola selvaggia che gli era piovuta in casa, ma mi disse semplicemente: "Calmati piccola. Andiamo che la signora ci aspetta".
"La Signora" ci aspettava, infatti, nella grande sala di soggiorno che era anche la stanza da pranzo, stesa su una sedia a sdraio, accanto al balcone dal quale si dominava la pineta e il mare. Era avvolta in un chimono di seta verde. Le sue mani esangui e bellissime mi colpirono mentre le tendeva verso di me. Mi avvicinai e feci la riverenza di prammatica, ma ella mi attirò a se e mi baciò.
E insensibilmente ella mi conquistò: dimenticai dubbi e ribellioni, non ebbi per lei che un grandissimo affetto che mi fece docile e sottomessa. Non volli pensare, non volli sapere. La vita tra quei due esseri che si amavano profondamente era la felicità.
Mio padre scriveva "La figlia di Iorio ". Si era fatto uno studio in una soffitta della villa che aveva la porta sulla terrazza che coronava l'edificio, e la finestra spaziava sul mare.
Lavorava lì buona parte della notte; la mattina dopo il "tub" ghiacciato, riposava fino all'ora di colazione. La Signora dedicava la mattinata alle infinite cure che la sua salute malferma richiedeva, e io andavo al mare. Qualche volta scendevamo tutti al maneggio e mio padre montava a cavallo, mentre noi stavamo a guardarlo. Mi accorsi che la "Signora" non amava queste esibizioni: seguiva con ansia tutte le esibizioni del cavaliere, ed ogni volta che si trovava davanti ad una staccionata impallidiva e fremeva, però stava lì in piedi anche due ore, soltanto perché ciò faceva piacere a lui e si sforzava di mostrargli un viso sorridente. Molte volte i. villeggianti dei dintorni si riunivano intorno al maneggio per la curiosità di vedere l'uomo celebre. Una domenica scendemmo soli alle scuderie. La "Signora" non stava bene. La folla dei curiosi era maggiore del solito. I cavalli, già sellati, uscirono dalla scuderia e mio padre, seguito da Rocco, fece il giro del prato, poi con uno strano sorriso tra malizioso e canzonatorio, si avvicinò a me che lo seguivo con lo sguardo, appoggiata al recinto. ''Piccola vuoi salire? Facciamo un giro?" Balzai verso di lui piena di gioia: da quanto tempo lo desideravo, ma la "Signora" si era sempre decisamente opposta. Mi accomodai sul garrese appoggiata al petto di mio padre e cominciammo il giro del maneggio, saltammo tutte le staccionate fra il mormorio di disapprovazione della piccola folla che ci guardava e che temeva di vederci cadere ad ogni ostacolo. Mio padre si divertiva, per quella mania che ha sempre avuto di "epater les bourgeois'' e che tanto male gli ha sempre fatto suscitando intorno a lui leggende stravaganti. Però mi divertivo anch'io, inconscia che fosse un giuoco veramente pericoloso. Quando risalimmo alla villa fieri dell'impresa, incontrammo la "Signora " che scendeva al maneggio pallida e agitata, avvolta nel chimono che portava in casa, poiché per venire al più presto a "salvarmi" aveva trascurato di cambiarsi. Chi l'aveva avvertita? Mi strinse nelle braccìa e rivolta a lui esclamò: "Volevate ucciderla?".

I giochi col padre

Restammo senza parole, con l'aria di scolaretti pentiti: nessuno dei due aveva pensato di correre un così grave pericolo.
Quando il tempo cattivo ci impediva di uscire mio padre, io e la bimba Anastasia, la guardarobiera, giocavamo a rimpiattino. Egli correva rapido e silenzioso e non riuscivamo mai a prenderlo. La casa risuonava, allora, di grida e di risate. La "Signora" sempre stesa sulla seggiola a sdraio, paleggiava con noi bimbe e coi gesti ci indicava il nascondiglio, noi ci mettevamo in agguato, ma egli ne usciva correndo e gridando a gran voce, noi sbigottivamo e perdevamo l'attimo buono per acchiapparlo ed egli rideva di noi allegramente. Un giorno, venivo dal mare, e salivo di corsa le scale che conducono alla villa in cerca della "Signora" alla quale volevo mostrare non so quale tesoro raccolto sulla spiaggia. Incontrai uno stalliere. "Avete visto la signora?" "Quale signora? La signora Duse?" "Si la signora Duse". Risposi prontissima. Ma quando il giovane si fu allontanato fuggii nella pineta e là, stesa sull'erba, piansi disperatamente. Mi trovavo finalmente dinanzi alla realtà. Cosa dovevo fare? Ormai non sapevo più rinunciare ad un affetto che mi era diventato indispensabile. Mi calmai, tornai a casa, mi lavai gli occhi e nessuno seppe mai della breve tempesta che aveva sconvolto il mio cuore infantile. "La Signora" rimase sempre "la Signora".

RENATA MONTANARELLA





OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
"100 LIBRI PER NETTUNO" Edizione del Gonfalone 2001
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