Roma diede ad Andrea il natale, e quanto alla patria non ebbe bisogno di gloria maggiore. Il padre chiamossi Benedetto Sacchi pittore ma di mediocre levatura. Ebbe costui varj figliuoli, e chi legge può capire il come, basta, che da lui nacque anche Andrea naturalmente, e gli pose questo nome perché venne al mondo nel fine di novembre vicino alla festa di questo santo l'anno 1600. (1) Mi disse un giorno suo padre, il quale io da giovinetto conobbi, che Andrea da ragazzo mostrava uno spirito vivacissimo, e dava contrassegni d'indole assai spiritosa. Essendo pervenuto ad una certa età discreta, come pittore volle applicarlo alla sua professione, ed egli medesimo glie ne diede i primi principj. Durò qualche anno Andrea a studiare colla sua direzzione, ma giunto all'età giovanile il padre lo accomodò coll'Albani, (2) sotto la cui disciplina si perfezzionò, e prese il possesso del buono. Disegnava con tanta accuratezza, e maniera vezzosa, che rendeva maraviglia a chi lo vedeva, e il suo maestro ne andava superbo. Diede principio al colore così consigliato dall'Albani, e nella prima cosa, che fu una testa copiata dal maestro, diede chiarissimo segno della sua riuscita. Preso animo nel colorire, cresceva nel possesso di quello; ma però non tralasciò mai il disegno, il quale com'ei diceva è il fondamento principale del pittore. (3)
Ebbe occasione di fare sopra la porta eli una casa pia, che serviva di asilo alle donne mal maritate, contigua allora al monastero di S. Chiara alla Ciambella, una imagine di Maria Vergine col suo figliuolo Gesù. Questi è posato sopra un piedestallo a sedere, e San Giuseppe gli tiene un libro avanti, acciocché si eserciti a leggere, ed egli all'usanza de' fanciulli avendo tolti gli occhiali al buon vecchio, vuole metterseli al naso, e legger con quelli. L'opera è di mezze figure, e meno della grandezza del naturale. Coll'occasione di passare altrove quella casa di mal maritate, fu levata tale pittura da quel sito, benché fatta sul muro a fresco, e con diligenza venne introdotta dentro la clausura di S. Chiara (4) Dopo dipinse una S. Teresa pure a fresco nella pubblica strada sopra la porta del monastero di S. Giuseppe a Capo le Case; ed è quella che vi è al presente. (5) Un'altra cosa dipinse pure a fresco al pubblico sopra la porta del monastero delle Monache Cappuccine nella contrada di Tor de' Conti vicino a S. Maria in Campo Carico. Vi fece nel mezzo il S. Pontefice Urbano I in piedi in atto contemplativo, che da il nome a quella chiesa, dalla destra parte S. Francesco pure in piedi orante, ed alla sinistra S. Chiara col contrassegno del Santissimo Sagramento; e nell'alto un po' di splendore, che da indizio di una gloria celeste. (6) Fece tutte queste cose nella sua gioventù insieme col quadro dell'aitar maggiore nella chiesa di S. Isidoro a Capo le Case, ed in poco spazio di tempo; ma sempre con superiorità. (7) Questa di S. Urbano, è a gran meraviglia ben condotta; ma il tempo traditore, che divora il tutto qua in terra, a poco a poco la va consumando; sicché in breve appena se ne scorgeranno le vestigia.
Essendosi avanzato a tanto segno, il cardinal del Monte se ne invogliò; essendo molto curioso, e vago della pittura, ed avendo fabbricato un casino nella strada di Ripetta vicino alla piazza del Popolo in quella parte, che ha corrispondenza col fiume, servendosi di esso per diporto pensò eli adornarlo di pitture; valendosi di Filippo d'Angioli Romano detto il Napoletano, che dipingeva cose piccole, ma ben condotte, e perfette, fu consigliato a valersi di Andrea, come più abile a cose grandi. (8) Assegnandogli provvisione, e stanza, si valse dell'opera sua con molta sodisfazzione, e vedendosi appagato nel valore di questo, volle sempre accompagnarlo colla sua protezzione, e favore, procurandogli continue occasioni d'introdurlo alla cognizione del pubblico. Fu assunto al pontificato Urbano VIII, e parve veramente, che in quel tempo ritornasse il secolo d'oro per la pittura, essendo un papa ameno d'ingegno, generoso di animo, e nobile di genio, ed i nipoti di lui tutti favorevoli alle belle arti. (9) Coll'ajuto del suo merito per cagione di alcuni disegni fu introdotto Andrea in Casa Barberina, ed essendo da quei principi gradito il suo valore, ebbe l'occasione del quadro nella gran basilica di S. Pietro. Vi dipinse il pontefice S. Gregorio Magno, il quale per sodisfare le richieste di un signore oltramontano, che desiderava qualche cosa rara del tesoro della Chiesa, gli diede un purificatore, eh'è quel fazzoletto che serve a ripulire il calice nel sagrificio della messa. (10) Mal sodisfatto quel personaggio ne faceva poca stima, non riconoscendo in quel panno qualità nessuna, che lo rendesse degno di esser tenuto in tanta venerazione. Il Santo Pontefice per fargli conoscere quel dono, volle fargliene vedere un'autentica, ed avendolo riavuto nelle mani nell'atto del sagrificio, in presenza del forestiere, che assisteva alla messa pontificia, trapassò il purificatore in più luoghi con uno stile, e da ogni percossa scaturì sangue a vista di tutto il popolo; acciocché intendesse da miracolo così grande, che quel bianco lino era tutto intriso del sangue prezioso di Cristo. Ha rappresentato il pontefice in atto di far questa dimostrazione, tenendo nella sinistra il purificatore sanguinoso, e colla destra il ferro pungente col quale lo colpisce, e tiene la faccia rivolta al popolo assistente, tra li quali si trova quel personaggio, che sta nobilmente vestito, e in atto di stupore. Al pontefice assistono il diacono, ed il sotto diacono con le loro tonicelle consuete al sagrificio, e il pontefice vestito da sacerdote celebrante. Tutto il componimento, dove si vede l'altare, dimostra essere dentro un tempio di maestosa architettura, coli'accompagnamento della guardia pontificia de' Svizzeri, figure alquanto maggiori del naturale, ma ben compartite con artificio mirabile. È un quadro questo di tal qualità per lo disegno, per l'ordine del componimento, per l'artificio del colorito, e per le altre sue rare perfezzioni, che se fosse ajutato da un lume favorevole farebbe conoscere la squisitezza delle sue parti, ed un tutto maraviglioso. Se Andrea non fosse stato romano, si sarebbe inteso per quest'opera lo strepito, e il rimbombo del suo nome volare alle stelle; ma perché nessuno profetizza nella propria patria, e perché Roma è la schiava dell'universo, benché abbia il nome di Regina del mondo, se ne fece appena caso per la giustizia, ma non ebbe un'oncia di grazia nella lode, e nell'applauso. (11) Io per me giudico che questa tela, farà sudare più di una fronte per pareggiarla.
Andrea vedendosi poco favorevole la sorte, e meno riconosciuto nel prezzo dell'opere sue, temendo di non ridursi in poco buono stato, si affaticò per introclursi col cardinal Antonio Barberini nipote del pontefice Urbano (12) vivente, e perché era principe generoso, e magnanimo il Sacchi prendeva speranza di qualche sollievo. Gli sorti il suo desiderio, e lo ricevè quel cardinale al servizio assegnandogli provisione di dieci scudi il mese, e la parte, che gli durò finché visse. Rallegratesi Andrea di questo beneficio, giunto a casa s'inginocchiò avanti una imagine di Maria Vergine ringraziandola con tutto il cuore di tanto bene, e prendendo animo viveva assicurato delle Decorrenze neces-sarie, che possono avvenire a un galantuomo.
I Barberini comprarono dagli Sforza il palazzo alle Quattro Fontane, ed ingranditelo, come oggi si vede, diedero a dipingere ad Andrea la volta d'una di quelle piccole camere, in conformità di tutte l'altre distribuite a varj pittori. (13) Nel mezzo di questa volta fingendo un ciclo rappresentò la Divina Sapienza assisa in trono regio in un chiaro splendore vestita regalmente di colori d'oro, coronata di
un prezioso diadema col volto coperto da un bianco, e trasparente velo tenendo gli occhi rivolti verso la gloria superna. In mezzo al petto ha un lucido sole, e tiene colla destra uno scettro dorato rivolto verso la terra nella cima del quale è un occhio risplendente, mostrando una maestà regale, ed alii gradini del suo trono si veggiono due leoni uno per parte, anch'eglino finti di oro. D'intorno a questa figura sono altre undici donzelle, sette alla destra, e quattro alla sinistra, parte assise, e parte stanti in varie attitudini sopra chiare nuvole. Delle più vicine alla destra di lei, e che stanno in piedi, la prima rappresenta la Nobiltà, vestita di bianco coi capelli sparsi per il petto, con una fascia, che le cinge la fronte; ha per diadema un trino risplendente, e colla destra sostiene un triangolo d'oro. Appresso vi è quella, che rappresenta l'Eternità, e per segno tiene colla sinistra un serpe, che formando un circolo perfetto, si morde la coda, ed ha nella destra una corona regale nella punta della quale sono tante lucide stelle. Ai piedi è la Giustizia, come prostrata, colle bilancie in mano; ed appresso a questa assisa con maestà è la figura, che rappresenta l'Armonia colla lira di Apollo in ambedue le mani. Non distante vi è una figura di robuste sembianze dal mezzo in su nuda mostrando le spalle, e il braccio destro, col quale sostiene in atto maestoso la clava di Èrcole, la quale è la Fortezza; ed a lei vicina è la Fecondità coricata con un fastello di spighe nella sinistra. Dall'altro lato della Sapienza evvi la Santità umile, e modesta nella pallidezza del volto, e nella composizione del vestimento. Ha nella destra una croce, e nella sinistra sostiene un'ara col fuoco acceso. Vicino a questa è la Purità, che tiene in braccio un bianco cigno. Assisa a questa appresso è la Perspicacia, e tenendo la destra appoggiata al mento, mostra fissar le luci in quel sole, che è nel petto alla Divina Sapienza, ed a suoi piedi è un'aquila, per essere quella un augello di vista più perspicace degli altri. Vicino a questa è una verginella con fronte risplendente colle chiome di oro, bocca riderete, ed occhi scintillanti, che rimirano arditamente chi la mira, e mostra il petto quasi neve bianco, sporgendo le tumidette mamelle, e tutto il rimanente del corpo svelto, e discoperto modestamente. La Bellezza è questa, e porta nella destra la chioma di Berenice, per significare, che la pompa più superba del vanto feminile consiste nella copia, e sfarzo de' capelli. Nell'estremo si vede un globo, che rappresenta il Mondo parte inferiore di tutte le sfere, e si mostrano queste come virtù superiori dispregiate dalla' terra; ma situate in luogo di gloria, e di beatitudine. Sopra la figura della Divina Sapienza ve ne sono per l'aria due altre, che rappresentano due giovinetti; dalla parte destra a cavallo di un feroce Icone è un giovinetto alato del tutto nudo, che solo viene recinto da una semplice ammari-tatura svolazzante, e questi è l'Ardire. A sinistra un altro giovinetto simile, il quale con un dardo nella destra sollecita una lepre, sopra la quale sta a cavallo, e questo è il Timore. (14) Ancorché quella volta sia di non molta grandezza, l'ha Andrea con tale artificio, e nobiltà resa sì vasta che l'occhio non è bastante ad esserne capace. Quanto al gusto, e alla disposizione del tutto nel maneggio del colore è mirabile. Nel disegno ha gran perfezzione, e lo stile del panneggiare contiene in sé un certo modo di disporre le pieghe collo scoprimento del nudo, che non si sa, che desiderarvi di vantaggio. In fine è un'opera bastante a recare gran nome a chi si sia, perché copiosa di tutte quelle parti, che si richieggono ad un gran pittore. (15) Vorrei essere bene inteso da persone prudenti, perché io non discorro sfacciatamente, e coli'arbitrio della mia opinione, ma sempre col parere de' più sensati, ed intelligenti. Egli la dipinse a fresco, e nel migliore, che si sia mai praticato, con qualche ritocco solito, e necessario a questa operazione. (16) Il componimento riesce nobile, e maestoso, e l'elezzione del tutto è mirabile; le parti sono scelte, e praticate con giudizio, e sapere non ordinario; nel disegno riesce aggiustata, e se avesse moltiplicate l'opere di quella qualità in altre occasioni, sarebbe da lui oggi occupato un luogo nella fama, che non vi giungerebbe l'invidia, e la malvagità; ma egli fu sempre pigro, e rincrescioso della fatica.(17) Da quest'opera se gli aggiunse splendore al credito, ed il cardinal Antonio più gli prese affezione, perché bene spesso lo sovveniva di centinara di scudi, acciò si accomodasse colla compra di alcune case, e di altri stabili, perché se avesse voluto accomodarsi col guadagno dell'opere sue, sarebbe vissuto sempre tra la mendicità. (18) Operava con grande sconcerto di animo perché conoscendo perfettamente il migliore del buono, non si contentava giammai, né si stabiliva nel primo partito, e sentendo rimproverare la sua pigrizia se ne affliggeva, e si difendeva con argutissime risposte. Diceva a quelli che lo caricavano di queste accuse: "Quale giudicate più degno di stima; quello che dipinge opere assai e non così accurate; o pure quello, che ne fa meno, ma le riduce ad una più esatta perfezzione? Io per me crederei" diceva egli, "che se uno avesse un giardino nel quale fossero diversi arbori di varie poma, sarebbe meno stimabile quell'arbore, che ne facesse maggior quantità; ma non così grate al gusto, di quello, che ne facesse poche, ma di tutta bellezza, e bontà". Con questi esempi si schermiva dalle accuse, e proseguiva agiatamente il suo comodo; ma quando si poneva ad operare era implacabile nell'operazione. (19) Sia testimonio di questo il quadro ch'è collocato nella chiesa di San Romualdo delli Camaldolesi vicino a S. Marco al aitar maggiore, nel quale rappresenta una visione, che apparisce al santo con i suoi compagni monaci nell'aperto di una campagna, in cui videro una scala dalla terra alzata fino al ciclo, sopra la quale ascendevano molti di quell'Ordine, salendo alla gloria de' beati. Il componimento più ingegnoso di quel quadro, è il partito di un albero, che sbattimenta alcuni di quei monaci bianchi per aver campo e servirsi di quell'ombra nella necessità in cui era di rappresentare figure tutte di un abito medesimo, di un istesso colore, e quasi di uniforme sembianza; non so, come sarebbe riuscito ad un altro risolversi con tanta prudenza. Chi osserva giudiziosamente il gusto di quel quadro, il buono di quel colorito, e la finezza del disegno, non avrà scarsezza di lode trovandolo a gran segno finito, e perfetto. (20)
In quei tempi fu trasportata l'abitazione de' padri Cappuccini, tanto per istabilirsi in luogo più ameno, più remoto, e più appropriato alla solitudine, quanto per valersi il pontefice Urbano Vili del loro convento situato alle falde del Quirinale per comodità della famiglia pontificia, e fu veramente ottimo pensiero. Il cardinale il quale era fratello del pontefice, essendo anche egli cappuccino, come benefattore della sua religione, fabbricò quella chiesa, e convento, che oggi si vede nella Piazza Barberina a Capo le case. (21) Per dare compimento a quella devota chiesa li signori principi, e cardinali Barberini presero l'incombenza delle cappelle laterali essendo stata dal medesimo papa fatta edificare la maggiore con nobiltà di marmi, benché contro l'Istituto de' Cappuccini. Dispensarono a ciaschedun pittore da loro protetto le tavole degli altari. Al Sacchi fu assegnata la prima alla destra nell'entrare, che rappresenta quel miracolo del glorioso S. Antonio detto di Padova, quando richiamò alla vita quel giovine, acciocché rivelasse al pubblico chi lo aveva ucciso, del quale delitto veniva accusato il padre del santo, e convinto era già condannato all'ultimo supplicio. (22) Ha espresso il santo in piedi, che avendo fatto dissepelire il morto, prende colla sinistra la destra di lui, e colla destra alzata in atto di comando gli impone il dare notizia di questa verità; ed egli già reso redivivo si mostra obbediente al comando del santo. Fa apparire una figura, che viene fuori dalla sepoltura con una candela accesa nelle mani, mossa dalla curiosità del miracolo, ed un'altra, che sostenendo una cassa da morto si rende attonita per tanto stupore. Vi è inginocchiato vicino al santo un chierico pure
in atto di sorpresa, ed alcune altre figure stupefatte da tanta maraviglia, ed una di loro per lo fetore dei cadaveri, si tura con un pannolino le nari. In aria vi sono due angeletti, l'uno inalza un libro, e l'altro il giglio, usati contrassegni del santo dottore. Finge succedere il caso dentro di un tempio, mostrandone i segni con una fabbrica di colonne, ed una nicchia nella quale è una statua di una santa verginella, il tutto finto di travertino. Il gusto, e il giudizio, che si vede nell'artificio di questo quadro a parere degl'intendenti spassionati, è a gran segno mirabile, e si vede in esso un tingere con forza discreta, e con dolcezza non languida, avendo nel tutto un'armonia concorde, che sa appagare l'occhio, e l'intelletto.
Seguì dopo ad operare per la chiesa sotterranea di San Pietro nel Vaticano, e vi fece quattro piccole tavole, ma dalla parte superiore centinate, perché fossero addattate al loro sito. In quella, che ha corrispondenza colla statua di S. Andrea del Fiammingo, vi figurò il santo medesimo condotto al patibolo della croce, che sta gettato inginocchio colle braccia distese per adorarla, e il manigoldo, che lo sollecita all'esecuzione della sentenza di morte coll'accompa-gnamento della sbirraglia. (23) Sotto la S. Veronica del Mochi dipinse la santa istessa, che incontra per la via Cristo Signor nostro col peso della croce sopra le spalle andando verso al Calvario; ella gli porge quel lino per asciugarsi il sudore della fronte, nel quale panno riceve l'impressione del volto sudante del Redentore. (24) Corrispondente alla figura del Longino del cavalier Bernini, vi ha espresso il santo centurione legato colle mani, e postosi inginocchioni sta aspettando il colpo del suo martirio, e il manigoldo appresso in atto di percuoterlo. (25) Alla statua di S. Elena del Bolgi, vi è la santa imperatrice, che fa prova del vero legno della santa croce sopra un cadavere, il quale risuscita. (26) In questi quadretti ha conservato il suo solito buon gusto di tingere, e di perfezzione.
Di lì a non molto tempo parte per propria volontà, e parte per servigio del cardinal Antonio, passò a girare la Lombardia, cioè Bologna, Venezia con tutto il suo Stato, Mantova, Milano, Parma, Piacenza, Modena, e imbevuto del buono nelle maniere de' pittori di quelle parti se ne tornò dopo qualche anno in Roma invaghito dello stile di tante bell'opere. Dagli effetti, che nel suo lavorare Andrea fece vedere, si conobbe, che il suo cuore era rimasto in Parma nell'opere di Antonio da Correggio (27) e lo mostrò in un secondo quadro nella chiesa de' Cappuccini all'incontro di quello suo alcuni anni prima dipinto. Vi rappresentò il S. Cardinal Bonaventura dell'Ordine serafico, al quale stando inginocchiato in abito episcopale avanti l'altare col torribolo in mano apparisce Maria Vergine nell'alto col suo piccolo figliuolo nelle braccia assisa in trono di nuvole in atto maestoso. (28) Il santo è assistito da alcuni angioli, e due amorini celesti stanno manipolando l'incenso, ed un altro tiene nelle mani il pastorale. Vi ha rappresentato il di dentro di un tempio; ma quanto alla buona prospettiva, bisogna confessare che è un punto di veduta stravagante. In questo quadro, perché volle uscire da se stesso, non ha lasciato vedere di essere entrato perfettamente in un altro gusto, ed ha insegnato, che l'andar girando il mondo non è cosa da pittore già stabilito; ma da giovane vagabondo non ancora assodato; perché in vece di guadagnare vi si perde, riducendosi ad un segno, che non è più né di se stesso, né di altri. Non dico, che il quadro non sia buono, perché è di sua mano, ma li più intelligenti non lo trovano dell'usato suo stile trattato colla bravura del suo solito pennello. Succede così a tutti quelli, che non si contentano solamente di camminare per la via segnata da quelli uomini di più valore, ma vogliono calcare le medesime pedate di quello e di questo; e così non camminano col piede sicuro, ma dubbioso, timido, e mal atto, perché escono fuori della naturalezza. (29)
In quel tempo il pontefice Urbano volle far ristaurare il tempietto di S. Giovanni in Fonte nel Laterano, ed Andrea
come dipendente dalli signori Barberini ebbe l'incombenza di tutto l'ornato, ed anche delle pitture. (30) Egli che fu sempre innamorato della comodità, per isfuggire la fatica, dispensò ad altri le istorie maggiori da dipingere a fresco d'intorno, le quali sono di buona proporzione, ed in figure del naturale, e tutte devono essere avvenimenti del magno Costantino imperatore. L'istoria, che dimostra Costantino accampato, quando gli apparisce nell'aria una croce con lettere d'intorno, che dicevano, In hoc vince, è di mano di Giacinto Gimignani da Pistoia. (31) La battaglia di detto imperatore contro Massenzio tiranno, e il trionfo che siegue del medesimo sono di Andrea Camassei, (32) la distruzzione degl'idoli, in luogo de' quali si stabiliva la croce per contrassegno di nuova religione, è di Carlo Maratta, ma sotto il cartone del medesimo Andrea; (33) stando questi allora obbediente alla direzzione del maestro. Quella quando Costantino fece abbrugiare tutti li memoriali, che contenevano calunnie contro gli ecclesiastici per non volere prestare le orecchie all'accuse degl'infedeli, ed idolatri contro li vescovi della Chiesa Cattolica, è opera manipolata da Carlo Magnoni; (34) ma anch'essa colla scorta, disegno, e ritocchi del Sacchi. Quei putti sopra la cornice finta, che gira d'intorno, espressi in diverse attitudini con varj contrassegni, sono parte di sua mano, ed alcuni de' suoi giovani, tutti fatti con suo disegno. Le otto istorie dipinte in tela ad olio, che contengono azzioni del santo precursore di Cristo Giovanni Battista collocate nelle otto faccie del cupolino, il quale è di dentro ottagono, sono tutte di sua mano dal principio della nascita fino al fine della morte del più glorioso santo il Battista. (35) Passati alcuni anni morì il pontefice Urbano, e tutte le cose di Roma mutarono faccia, perché nacquero quelle turbolenze di guerra nelle viscere proprie dell'Italia tra la lega delli prìncipi confinanti, ed il pontefice con tanti pregiudizj, e ruine, sicché cessò in ciascheduno il diletto di applicare alle amenità delle professioni, non discorrendosi, che di armi, e di leve di soldatesca, venendo anche sollecitate per lo Stato Ecclesiastico le milizie; il che fu uno sconvolgimento, ed un disturbo così tra la nobiltà, come tra la plebe. (36) Ad Urbano successe Innocenzo X, nel cui principio altre cagioni di turbolenze si svegliarono, e si vide tutta Roma contristata, per lo disparere tra il cardinale d'Este, e l'almirante di Castiglia ambasciatore di obbedienza del Re Cattolico al pontefice, e queste novità impedirono ogni altra applicazione. Rassettate tutte le discordie successe la fuga della famiglia Barberina, che pure fu cagione di nuovi disgusti, ed intanto non ricompariva la quiete necessaria alla pittura. (37)
In questo pontificato di Panfilio non vi fu altro che un solo nipote, e questo raggirato in diversi stati, ora di cardinale, ed ora di principe ammogliato, parte in disgrazia, e parte favorito dal zio papa, e in questo modo si tirò avanti alcuni anni tra gli ozj delle scarse occasioni. (38) Ritornato a Roma il principe Don Camillo dopo la contumacia dell'esilio, volendo anche egli far da padrone regnante; benché con poca fortuna, andava di quando in quando mettendo in opera qualche pittore per suo servigio; così tra gli altri si valse di Andrea in un quadro per lo suo giardino detto Bel Respiro fuori di Porta S. Pancrazio. (39) Egli con ordine del principe dipinse in una tela di palmi otto e dieci una Venere nuda colcata sopra di un letto; ma però modestamente coperta, ed un Cupido volante con una frezza nella destra in atto di scoccarla verso il seno della madre in mezzo ad alcuni fiori, ma dipinti da un altro pittore. Con poca sodisfazzione rimase Andrea da Don Camillo, assuefatto alla generosità del cardinal Antonio, che spesse volte oltre le sue provisioni correnti, gli faceva regali di cento, e ducente doppie per volta, e così lasciò di andarvi intorno, attendendo alii fatti suoi. (40)
Ritornati nell'amicizia del papa li Barberini, lasciò il cardinal Antonio rivedersi in Roma ricevuto con grandissimi applausi, e perché venne obbligato alla Corona di Francia come difeso da quel Re Cristianissimo, avendo avuta la croce dello Spirito Santo, l'offizio di grand'elemo-siniero del regno, e il titolo di protettore di quella corona, per mostrarsi parziale, e benevolo, pensò di fare ornare la volta di S. Euigi de' Francesi in Roma di pitture, e stucchi dorati, e ne diede la cura ad Andrea, ed una certa somma di denari per arra. Fattosi il palco, e tenendo con quello imbarazzo occupata una gran parte della chiesa, non fu mai possibile, che egli volesse cominciare a dipingerla, tanto era vago della pigrizia, ed amico del riposo: occasione, che ogni altro avrebbe pagata a costo di sangue. Con tutto che il cardinale gli facesse conoscere dispiacere di questa sua tardanza, e trascuraggine, scordatesi di tanti obblighi, che gli aveva, non pensò mai a dargli sodisfazzione (41) Celebrato l'Anno Santo nel 1650 da Innocenzo X, e trascorsi cinque anni dopo morì nostro signore nel 1655 nel mese di gennaro, e nell'anno medesimo gli fu successore Alessandro VII, nel principio del qual pontificato venne in Italia, ed in Roma la Regina di Svezia chiamata Cristina Alessandra, che fu ricevuta dal papa con quella grandezza, splendore, e maestà, che conveniva ad una così grande eroina (42) Alessandro, che sempre ebbe pensieri magnanimi, e generosi, mosso dalla fama di Andrea si mostrò desideroso di conoscerlo, e se ne dichiarò col cardinale Antonio dal quale vi fu introdotto a baciarli il piede. Fu ricevuto con grandissimi segni di amorevolezza, e di stima, lasciandosi intendere, che avrebbe avuta gran sodisfazzione di avere qualche cosa di sua mano. Andrea licenziatosi dal papa, se ne andò a casa, e in vece di far un quadro di nuova invenzione, ed unico raccozzò due vecchie tele da lui dipinte, e ne fece una sola, la quale non era degna di un tanto sovrano. Vi avea introdotto parte di quell'opera della Divina Sapienza, dipinta da lui nel palazzo de' Barberini, e parte di quella di S. Romualdo de' Camaldolesi, veramente ambedue uscite dal suo pennello, ma non si rendevano singolari per essere già altrove pubblicate. Alessandro gradì il dono; ma quando mostrollo ad altri, gli fu detto essere copiacce, e non di sua mano ma de' suoi giovani. Il papa se ne sdegnò giustamente, e gli perdette ogni affezzione. (43) Chi diede questo giudizio, poteva dire senza livore, che erano originali di quelle opere già fatte, senza dare ad esse il titolo di copie, mentr'egli le aveva dipinte; ma fu un tratto di certa vendetta, e Andrea si meritò questo cattivo rincontro per la sua pigrizia nell'operare. Rimasto mortificato da un nuovo pontefice se ne afflisse, tanto più, che per certe ragioni non poteva risentirsi del male officio fattogli. Egli fu sempre uomo accorto, e sagace, tanto nelle risposte, e nel discorso avveduto; ma bene spesso gli uomini più prudenti si perdono in caso proprio.
Si era già allevato colla sua disciplina Carlo Maratta, il quale è stato sempre un ingegno di gran valore, ed egli ne faceva stima, perché vedeva i suoi progressi, (44) ed essendo seco un giorno nella chiesa di S. Luigi de' Francesi, dove per politica andava qualche volta a cagione di quell'opera, che doveva fare, entrarono ambedue nella cappella dipinta dal Domenichino, e così gli disse il Sacchi: "E bene Carlo, che ti pare di questa bella pittura? Se stesse nelle stanze eli Raffaele non farebbe una bella conversazione? E se pure fosse in questa qualche cosa, che dispiacesse, non potrebbe dispiacere in lei altro, che il troppo studio, se questo può dispiacere". In altra occasione gli disse: "Carlo so che, avrai occasione sempre di clolerti di me"; al che quegli rispose: "E come se io vi sono tanto obbligato, non avendo avuto mai occasione di altro, che di gloriarmi di voi per tante grazie, ed amorevolezze fattemi?" "No", replicò Andrea, "la cagione sarà perché io ti ho insegnato a conoscere il bello, ed il buono della pittura, e chi arriva a questa cognizione è troppo inquieto, né si contenta delle opere uscite dalle sue mani". Soggiunse Carlo: "II male è, che io conosco la mia
poca abilità nella professione; sono già tanti anni, che vado disegnando le opere di Rafaelle, e la vostra carità mi ha somministrato del continuo tanti documenti, anzi i più belli dell'arte, ed io li so benissimo, gl'intendo, e li conservo nella memoria; ma quando sono nell'operare pare, che non abbia mai visto, né sentito cosa riguardevole, e sempre mi affatico indarno, sicché per questo son risoluto non attendere più a tal professione". (45) Egli allora gli disse: "Studia, ed affaticati, che se non farai tanto bene quanto vói, non farai tanto male quanto dubiti; tutti non possono arrivare ad un medesimo segno, ma tutti possono farsi onore".
Fu sempre assai parziale di Raffaele, e perché egli era di ingegno acuto, e di giudizio sagace, conosceva internamente le rare, e singolari qualità di quel grand'uomo, e se per sorte gli veniva mostrato da alcuno de' suoi giovani qualche disegno fatto dall'opere di Raffaele, dopo di averlo assai bene considerato, come fosse disegno di qualche gran maestro, e non di un giovine, con gran commozione di animo diceva al giovine, che lo aveva fatto: "Che ne dici?" non levando mai l'occhio da quel foglio, "Vogliono darmi ad intendere, che Raffaelle fosse un uomo: non è vero, era un angiolo"; (46) e pronunciava queste parole con tanto impeto, ed energia, che rendeva il giovine maravigliato, ed intimorito, ed egli ne restava per qualche spazio di tempo sopraffatto da malinconia infiammato nel volto, e quasi stordito. Quando qualche suo amico gli rimproverava la sua pigrizia, e gli chiedeva la cagione perché egli fosse così lento nell'operare, gli rispondeva: "Perché Raffaele, ed Annibale Caracci mi spaventano, (47) e mi fanno perdere di animo", e soggiungeva, che era una grande infelicità dei suoi tempi il non avere amici con cui poter conferire le difficoltà, che si contengono nella professione della pittura, e questo nasceva da due sventure, o che non vi erano uomini, che le sapessero, o vero*che alcuni sapendole non le volevano dire.
Si mostrava ancora assi vago dell'opere del Domenichino, e faceva di quel maestro una stima straordinaria. Sentendo alcuni, che tenevano opinione, che questi ancora stentasse nell'operare, che fosse scarso di pensieri, e d'invenzioni, loro rispondeva, che s'ingannavano, e che non avevano di quel grand'uomo perfetta cognizione, ed un giorno in questo proposito disse al Maratta: "Se uno andasse in un fondaco, e chiedesse pannine, o altra cosa per vestire al mercante, e dopo averne vedute alcune pezze, e quelle non fossero di sua sodisfazzione, e facesse istanza di altra forte, e il mercante dicesse non averle, è certo, che quello andrebbe in un altro fondaco per sodisfarli, ed andando dal secondo facesse le medesime richieste, e dopo molto contrasto trovasse l'adempimento del suo desiderio, è certo, che stimarebbe più ricco il secondo del primo, mentre aveva modo di sodisfare ognuno. Così era il Domenichino, il quale forse non giudicato nell'apparenza era un fondaco così copioso di tutte le merci più rare dell'arte, che era valevole a rendere ciascheduno sodisfatto". (48) Con questa buona apprensione del Zampieri, se gli veniva fatta istanza qual fosse il più bel quadro di Roma rispondeva con prontezza: "II primo è quello di Raffaele in S. Pietro in Montorio, il secondo è quello del Domenichino in S. Girolamo della Carità, ed il terzo quello del Civoli in San Pietro in Vaticano". (49)
Andrea disegnò sempre con grande accuratezza, e curiosità, nel modo, e nello stile di gusto assai raffinato, e profondo; ben è vero che non fu molto copioso, ed abon-dante ne' componimenti, e nell'istorie non apparve molto ricco, e capriccioso; ma fu sempre osservatore del naturale. Si lasciò trasportare dall'amore delle donne, le quali lo distoglievano dall'applicazione; con tutto questo non ebbe mai genio di moglie, ma si trattenne imbarazzato con alcune carogne con suo pregiudizio, e discapito. Finalmente nel mese di ottobre dell'anno 1660 fu soprapreso da una strana infermità, la quale ebbe principio dalla podagra, di cui era solito patire, e volendola medicare cadde in morbo etico, nel qual male penò nove mesi stando sempre nel letto con
grandissimo strazio, e si rese in tale miseria, che in vederlo rendeva compassione, avendo fatto nella schiena una piaga acerbissima per la lunga dimora nel letto. Questo fiero spettacolo finì colla morte arrivatagli a dì 21 giugno 1661 a ore 15. (50) Lasciò qualche valsente in case, tra le quali quella dove abitava, e nella quale morì, situata nella strada Rosella, aggiustata di suo gusto, ed architettura, ed altre case non molto distanti da quella; com'anche in buona quantità di luoghi di monte. Furono eredi alcuni suoi figliuoli nati così di balzo come il padre li quali poco tennero conto di quelle facoltà. Fu uomo di buona presenza, e di statura più tosto grande, che altro, di tratto non discaro, e cordiale, molto circospetto, e pulito nel procedere, e co' suoi uguali assai ritirato, e guardingo. Dopo che ebbe dipinto a fresco in S. Giuseppe a Capo le Case alle Monache Carmelitane scalze quella poca cosa nell'altar maggiore, dove si vede S. Giuseppe che dorme, ed un angelo, che lo avvisa, che se ne fugga in Egitto insieme colla Vergine, e il piccolo Gesù, non lasciò mai più vedere opere di sua mano al pubblico. (51) Alcuni suoi quadri si veggono ad olio in casa di diversi principi. Quella Venere, che già dissi nella Villa Panfilj, ora è stata ricoperta con più rigore per lo scrupolo del principe Don Giovanni Battista. (52) Il contestabile Colonna, ne ha uno di Noè ubriaco beffato dal figlio; (53) un Caino, ed Abele ha il principe di Palestrina, (54) ed alcuni ne aveva il cardinale Antonio; ma pochi, perché egli non dipinse molto. Morto che fu Andrea, il cardinale fece disfare il ponte della chiesa di San Luigi, giacché non vi aveva in tanti anni né meno voluto dar principio, restandone con mala sodisfazzione.