In ogni tempo nella città di Roma si sollevarono uomini eccellentissimi nella pittura, scoltura ed architettura, i quali onorarono tutte e tre queste arti, non dico sol di coloro che ancor giovanetti vi concorrono da ogni parte ad erudirsi, che in molto numero sono e di chiarissimo nome, ma di quelli ancora che, nati dal seno di si benigna madre, acquistarono con le loro illustri opere onore e fama. Imperocché se terremo le morbidezze e gli agi della casa paterna, che pur troppo sovente fanno marcire la gioventù in un ozio ignobile e periglioso, non mancano gli spiriti grandi a quelli che nascono sotto il cielo si felice, ove sia chi li sproni e li risvegli alle fatiche; onde sin ne' primi tempi che cominciò a risorger la pittura un Pietro Cavallini romano sublimossi in quel rozzo secolo non solo nella pittura, ma anche nella scoltura, restandocene ancora gli essempii. Dopo nel pontificato di Pio secondo essendosi l'arte avanzata da que' primi rudimenti, un Paolo Romano fu eccellentissimo nella scoltura ed ancorché questi precedesse di molt'anni il Buonaroti, non però gli cede il pregio dello scalpello come ne rende a bastanza fede la statua grande di San Paolo situata su l'entrata del ponte Sant'Angelo, statua che tiene fama fra le poche eccellenti della moderna scoltura.(1)
E se pure manca a Paolo alcuna cosa è l'aver egli poco operato, o 'l non restare a noi memorie che l'opere sue si conservino alla vista. Appresso nella perfetta età di Rafaelle da Urbino e nella sua fecondissima scuola, chi loderà mai a bastanza il gran genio di Giulio Pippi romano nella pittura ed architettura, poiché nell'una e l'altra scienza riusci egli prestantissimo? Come l'istessa Roma e molto più Mantova ne serbano gli essempi, restando questa fra l'altre città d'Italia di pitture e di fabriche per l'ingegno di Giulio celebre ed illustre nell'aver egli rinovato lo stile eroico degli antichi insieme con Rafaelle suo maestro.(2)
Ma fra gl'altri molti che all'età nostra si avanzarono nella pittura, un altro gran parto di Roma chiama la mia penna a riportar nuovi pregi di essa in queste carte con Pi-magine d'un ornatissimo ingegno, che illustrò immortalmente la patria ed il suo nome. Fu questi Andrea Sacchi, il quale nella città di Roma spirò le prime aure di questa mortai vita, nato di Benedetto Sacchi l'anno 1601 (3) ed essendo nato la vigilia di Santo Andrea Apostolo da esso prese il nome, ed Andrea al battesimo fu chiamato. Adorno egli i suoi primi anni di una grave modestia di costumi, ed essendo dotato dalla natura di grazia e dignità d'aspetto, col decoro delle sue maniere abbelliva le doti del suo ingegno e dell'animo, che erano maggiori in lui di quelle del corpo, senza le quali s'avvilisce ogni altro dono di natura; e come ne' gran genii suoi essere un grand'incitamento a gli studii delle buone arti, essendo Andrea nato di padre pittore (4) in quell'età sua tenera si diede al disegno e si approfittò in esso mirabilmente con l'essercizio continuo d'una essattissi-ma diligenza, la quale stabilisce un giovanetto più assai che la furia impaziente della mano, che fa spesso tracollare i più veloci ed i più arditi a terra; onde Benedetto suo padre tosto che in quella fanciullezza vide sopravanzarsi dal figliuolo, non gli bastando più l'animo di erudirlo, pensò saviamente provederlo di miglior maestro e lo raccommandò al cavalier Giuseppe d'Arpino (5), che volentieri l'accolse nella sua scuola, vedendolo più d'ogni altro giovane attento ed applicato ad approfittarsi; s'essercitava Andrea il più del tempo in disegnare i chiari oscuri di Polidoro che allora in maggior numero e più intieri molto si conservavano nelle facciate delle case di Roma, (6) affaticandosi ancora sull'opere di Rafaelle e su le statue e marmi antichi, tanto che in breve si trovò il miglior disegnatore che fosse in
Roma.
Approvò egli il suo profitto in quel tempo che non passava l'undecimo anno, quando riportò il premio nell'Accademia di San Luca, nel quale ancorché concorressero giovani adulti di età e di studio, con tutto ciò il disegno d'Andrea fu scelto il primo, ed egli ne restò premiato ed acclamato da ciascuno. Era il soggetto facile di due sole figure conforme l'abilità di que' giovanetti, Adamo ed Eva (7) nella disobedienza del pomo, ove Andrea in que' due nudi si avanzò assai ne' dintorni e nelle attitudini, come si è potuto vedere il disegno istesso da lui conservato in memoria dell'età sua prima e del premio riportato, e perché egli in quel concorso s'acquistò fama di primo disegnatore dell'Accademia; come è solito a' fanciulli per la poca età diminuirsi il nome, in vece d'Andrea, Andreuccio fu chiamato da quell'ora sino a gl'ultimi anni, quantunque fosse egli grande di corpo e ben complessionato. Ora come le lodi sogliono essere di stimolo alla virtù crescente, non s'arrestò Andrea in quel confine, ma guardando più in alto sollevò il passo alla salita, né dalla virtù sua si discostò la sorte; poiché un giorno, mentre egli se ne stava ritirato a disegnare una stanza in un giardino, senza ch'egli sentisse o s'avvedesse, fu sopragionto dal cardinal Del Monte (8) che passeggiando pian piano s'era avvicinato a riguardare il disegno; ma riconosciutolo Andrea all'improviso, s'arrossì d'onesta vergogna ed alzatesi per ritirarsi il cardinale non volle che si movesse di luogo, ma che seguitasse a disegnare, lodando la modestia, l'attenzione e '1 profitto del giovinetto. Era protettore il cardinale dell'Accademia di San Luca da esso ristabilita, liberalissimo promotore di tutte le buone arti, onde questo signore volgendosi con animo benigno verso d'Andrea, riconoscendolo bisognoso e non ben provisto alle necessità della vita, prima d'ogni altra cosa lo rivesti di nuovo molto onorevolmente, assegnandoli in casa stanza e provisione necessaria al vitto, acciocché niuna cura gli disturbasse l'ingegno; trovandosi però Andrea ristorato ed eccitato dalla grazia di questo signore, senti accrescersi sprone al desiderio di tirarsi avanti, ed avendo già da se stesso rivolti gl'occhi alla scuola de' Carracci ed alla buona maniera rinovata da Annibale, (9) si propose di seguitarla con introdursi alla conoscenza di Francesco Albani (10) allora dimorante in Roma, ed uno de' maggiori lumi di quella scuola, eleggendolo per sua novella guida e maestro. Non andò molto tempo ch'essercitandosi Andrea sotto PAlbano si erudì ne' migliori insegnamenti della pittura, che ancora mancavano a' suoi teneri anni. Studiò l'istoria della cappella di San Diego (11) e la Galleria Farnese (12) gloriandosi l'Albano del gran progresso di questo suo discepolo; ma vedendolo ottimamente istrutto nel disegno, lo indirizzò a dipingere ed usare i pennelli, ove Andrea ritenne lo stesso spirito nel colore, che aveva sì bene usato ne' dintorni. Nel qual tempo il cardinal Del Monte avendo a sue spese fondato una casa detta Pia, ove si chiudono le mal maritate, volle che Andrea dipingesse su la porta l'imagine della Vergine col Bambino; ond'egli che non aveva mai più dipinto né a fresco né in pubblico, fattane prima alcuna prova ed assicuratesi del tempo e della calce, dipinse su quella porta la Vergine che regge il Bambino sedente sopra un piedestallo e quasi voglia apprendere a leggere con ischerzo puerile tiene in mano gl'occhiali di San Giuseppe che gli porge avanti un libro. Riuscì così bene Andrea in questi primi tratti del suo pennello che gli accrebbe il nome, non potendo credere i pittori più vecchi essere que' tratti d'uno ancora fanciullo. Oggi l'imagine per la mutazione di quella casa è stata trasportata nel contiguo monastero di Santa Chiara. (13) L'istesso cardinale Del Monte risarciva ancora il convento delle monache cappuccine di Sant'Urbano, e per essersi Andrea portato così bene in quel primo dipinto, volle che seguitasse a colorire un'altra imagine su la porta di quest'altro convento. Fecevi egli tre figure in piedi: Sant'Urbano primo nell'abito di pontefice colle mani al petto e la faccia verso un lume celeste accompagnato da un angioletto che tiene la mitra; a destra San
Francesco veduto di profilo con una mano aperta e col volto elevato, a sinistra Santa Chiara rivolta alla custodia sacramentale, che tiene in mano. Con queste tre figure ancor più lodate delle prime diede segno del gran profitto conseguito sotto l'Albano, (14) ed avendo Andrea una sorella monaca in San Giuseppe a Capo le Case sotto la riforma di Santa Teresa, gli convenne ancora compiacere quelle suore, dipingendo un'altra imagine su la porta del loro convento. È questa una bellissima figura della Santa madre Teresa ginocchioni colle mani giunte e con la faccia piegata verso uno splendore di paradiso tutta astratta alle divine rivelazioni.(15)
Aveva il cardinal Del Monte adornato un giardino per suo diporto vicino al Tevere su la via di Ripetta, oggi del signor principe Borghese, edificatavi una loggia di ricreazione, nella quale volendo in tempo di estate fare l'invito di una cena, ordinò ad Andrea che quanto prima la dipingesse, ristrettogli il termine di alquanti giorni; sicché egli di necessità costretto ad ubbidire a quel signore suo benefattore, ancorch'egli non fosse punto veloce di mano, s'affrettò nondimeno, e si accelerò tanto, che al tempo prefisso restò la loggia quasi del tutto compita in modo tale che sodisfece al cardinale; ma non a se stesso ed al suo usato studio; poiché non ritiene quella perfezzione che a tempo più maturo gli sarebbe riuscita. Con tutto ciò per esser l'opera copiosa e di peregrino argomento, non la tralasceremo senza farne memoria. (16)
Le stagioni che prendono la virtù dal sole.
Nel mezzo della volta è riportato un quadro in lungo con figure alquanto minori del naturale, le quali rappresentano le stagioni che adorano il sole, e prendono da lui la virtù solare alla fertilità dell'anno. Queste sono quattro donzelle ginocchioni, la prima è l'Estate coronata di bionde spighe, mezza ignuda la spalla da un manto giallo, la quale riceve da Apolline un vaso aperto, mentre egli sedendo sopra una nube tiene il coperchio, e si volge a Mercurio ed a Giunone, che vengono incontro sopra una nube intesi per l'aria che s'infrapone alla virtù del sole nel temperamento della terra e delle stagioni alla generazione delle cose; s'inchina appresso un'altra donzella coronata d'uve intesa per l'Autunno, la quale ancora tien la mano al coperchio del vaso, quasi voglia aprirlo dopo la compagna, e fra di loro s'interpongono la Primavera e 'l Verno, l'una coronata di fiori e l'altra di frondi di pino. Le quattro lunette della medesima volta di qua e di là sono adornate di statue di giovani finte di stucco, i quali seggono da tutte quattro le parti e reggono la cornice intessuta d'un festone, e dentro le lunette istesse sono colorite medaglie tra fogliami. Nei sottarchi delle medesime lune sono dipinte favole con figure minori del naturale: Marte che ammira Venere, Apolline che accusa a Vulcano i loro amori, Cerere che parla ad una naiade nell'acque; mancando la quarta favola incontro per essere aperto il sottarco in un fenestrone. Dipinse ne' quattro canti di essa volta quattro figure maggiori del naturale finte a sedere nel cornicione di stucco, e queste appartengono ancora alle stagioni. Da un lato piegasi Venere sopra un origliere con un amoretto al fianco in atto di scoccare a mira lo strale, essendo questa dea intesa per la primavera atta agl'amori ed al piacere che feconda la natura; dall'altro lato evvi una donna, che mezza ignuda da un panno di color d'oro spiegato dal seno solleva il braccio e la mano con un specchio ardente di virtù solare, e con un fascio di spighe a' piedi simbolo dell'estate; incontro la primavera evvi un agricoltore ignudo assise in cubito sopra l'aratro indicando il verno stagione propria alla coltura. In quarto luogo siede Bacco con pelle di tigre al seno, il quale tenendo in mano una tazza vi preme l'uve stillandone rubicondi liquori. Su la porta incontro al fenestrone dipinse un baccanale con figure grandi al naturale, fintovi Sileno portato in grembo da Bacco e dal re Mida con la corona di raggi d'oro ed orecchi asinini per argomento delle ricchezze il più sovente accompagnate dall'ebrietà e dall'ignoranza. Vi sono altri furiosi che suonano e bevono insanamente, col qual emblema il cardinale che era sobrio e moderato, volle denotare la bruttezza di questi vizii e la continenza del convito. Era Andrea pervenuto all'età dell'anno decimo ottavo con molto maggior concetto del saper suo e sufficienza nel condur bene i lavori ed i quadri ch'egli studiosamente e con maturità risolveva; onde seguitandosi in quel tempo a far le tavole per gli altari della nuova Basilica Vaticana venne in pensiero al cardinal Del Monte di proporlo e farlo concorrere co' primi maestri che allora fiorivano in Roma, e come egli era uno de' primi cardinali della congregazione della fabrica, facilmente ottenne che Andrea fosse eletto alla tavola grande di Santa Petronilla nel consentimento di tutti per eccitare maggiormente il giovanetto ad un insigne sforzo dell'ingegno ed ad un obbligo di rendersi in quella età più ammirabile. Ma quando quel buon cardinale pensò di aver fatto un gran favore ad Andrea con promoverlo ad opera sì illustre, in un tempio il maggiore ed il più celebre fra' cristiani, trovò d'Andrea molto diversa l'intenzione, il quale nulla sapendo del trattato si rammaricò a tal novella, e per non avere ambizione e pretenzione di se stesso, rifiutò immediatamente l'invito, affermando che quella tavola era dovuta al merito di qualche gran maestro, e non a lui, che non era bastante a tanto peso per lo poco sapere e per l'imbecillità degli anni. Non potè mai quel signore persuaderlo, ed indurlo in modo alcuno, onde lodando tutti la sua modestia, accrebbe a se stesso l'amore e la stima; ma però la scusa dell'età fu ammessa alla congregazione con questo, che se egli ricusava la tavola grande per l'impotenza degl'anni, accettasse l'altra piccola di San Gregorio corrispondente, come essi dicevano, alla poca età sua. In questo modo Andrea fu costretto alfine di accettare quest'altra piccola, la quale però egli non esseguì allora, ma fu da lui maturata lo spazio di sei anni, dopo i quali egli la diede compita; (17) onde l'altra grande di Santa Petronilla fu conferita a Gio. Francesco Barbieri da Cento. (18) Io per me ammirando la modestia di Andrea, bramerei in questo tempo di vedere un altro essempio di sì lodevole continenza e cognizione di se stesso, quando ciascuno per poco che sappia, concorre il primo senza temere né luogo né impresa per grande che sia, essendo maggiore l'ardire de' loro pennelli, che fanno anco maggiore la caduta.
Il soggetto della tavola piccola dipinta da Andrea nel Vaticano contiene un miracolo di San Gregorio Magno, il quale pungendo un panno lino, dove erano state involte le reliquie de' Santi Martiri, ne fa uscire sangue vivo.
Miracolo di San Gregorio Magno.
Il Santo Pontefice avendo toccato l'ossa de' Santi Martiri con panno lino, diede questo in vece di reliquie ad alcuni ambasciadori, avendolo rinchiuso e suggellato ne' vasi da portarlo ne' loro paesi; del che avvistisi gli ambasciadori per viaggio, tornarono a Roma a lamentarsene col santo, il quale dopo aver celebrato la messa e fatto orazione a Dio alla presenza di essi ambasciadori e del popolo, punse col ferro il panno lino, e ne scaturì il sangue con meraviglia di ciascuno. Finse Andrea il dentro del tempio, ove il Santo Pontefice in abito sacerdotale con la pianeta ed avanti l'altare con una mano alza il panno lino candido e puro, coll'altra lo punge col ferro, facendone gocciolare vivo sangue stillante; nel qual atto tenendo sospeso il panno, si volge indietro e lo mostra a gli ambasciadori increduli, uno de' quali, il principale più avanti ginocchioni, guarda sopra al prodigio, aprendo le braccia e le mani per meraviglia, la qual figura disposta nobilmente diffonde
il manto azzurro su la zimarra fodrata di pelle, in abito peregrino, ed espone al lume il calvizie e le canizie de' capelli, con effetto molto naturale. Dietro questo primo ambasciadore si scuopre il compagno piegato avanti l'altare, tenendo il vaso delle reliquie con la mano e con l'altra il coperchio, attento anch'egli al miracolo. A' piedi San Gregorio vedesi il diacono, che si volge al Santo, e con la destra tiene un altro vaso aperto, e colla sinistra il coperchio alzato. Il colore di questo quadro è il più armonioso temperamento che possa dare il pennello di chiunque fa professione di gran coloritore con unione molto diligente tra la forza e la soavità d'ombreggiamenti e di lumi, e con buonissime piegature di panni, che suppliscono alla mancanza dell'ignudi; dietro, in contrasegno della guardia del papa da sito più basso e di sotto l'altare spuntano i ferri delle alabarde, che riempiono a tempo quello spazio. Onde si può affermar con verità per lode di Andrea che questa tavola compita nell'età sua di ventiquattro anni dopo sei anni intieri di studio lo tolse affatto dalle concorrenze de' giovani, e lo ripose fra' primi maestri dell'età sua tanto feconda d'opere insigni.
Diede fuori Andrea poco dopo la tavola di Santo Isicloro novamente canonizzato da Gregorio XV, la qual tavola è posta sul maggiore altare della Chiesa ad esso in Roma dedicata: (19) è figurato il Santo nell'abito d'agricoltore con un tabarro rosso e piegando umilmente una gamba a terra, apre le braccia e le mani verso la Vergine, la qual sedente su la nube gli svela il Bambino Giesù retto da lei su le ginocchia. Incontro alla Vergine s'apre una gloria celeste d'angeli, ch'è bellissima.
Essendosi Andrea per queste opere sollevato alla conoscenza de' signori e prelati della corte, incontrò la grazia del cardinal Antonio Barberini, (20) il quale cominciò a favorirlo, e lo elesse suo pittore, beneficandolo non solo con le previsioni usate degl'altri gentiluomini, ma con estraordinarii premii in tutte le opere ch'egli faceva. Imperocché non vi fu nipote di papa alcuno che superasse questo signore magnanimo di splendidezza e benignità di costumi, e che più di lui universalmente fosse dal pubblico acclamato; sicché godendo Andrea il favore di questo prencipe in tempo che gli era mancato per morte il cardinal Del Monte suo primo protettore, ottenne da questo maggior ricompensa al suo merito, ed accrebbe l'avanzamento della sua fortuna. Mentre però che il cardinal Francesco Barberini portava Pietro da Cortona a dipingere la volta della sala del nuovo palazzo Barberino alle Quattro Fontane, il medesimo cardinal Antonio suo fratello impiegò Andrea alle pitture della volta in una camera grande d'udienza nel piano istesso, e primo appartamento del palazzo; (21) e come questi due pittori erano senza dubbio i migliori di tutti i giovani che in quel tempo sorgevano alla fama, così fra loro suscitossi una lodevole emulazione, che fu poi cagione all'uno ed all'altro di segnalarsi. (22) L'argomento di questa camera è intitolato la Divina Sapienza alludente alle virtù eroiche attribuite a papa Urbano VIII nel governo della chiesa, come anderemo descrivendo.
Imagine della Divina Sapienza.
In spazioso ciclo ed in regio trono d'oro maestosa e sublime siede l'eterna diva a cui le nubi fanno pavimento, è d'oro la corona che le circonda la fronte, come dell'universo regina risplendend'intorno il suo volto un cerchio di purissima luce, che si spande e si dilata su l'aria in una grande sfera. Lungo candido è il manto, che tutta la circonda, ma su '1 petto si scuopre la tonaca di color celeste, ove luce la faccia del sole col suo inesausto raggio verso i mortali; con la destra mano inclina l'occhiuto scettro radiante in segno della sua previdenza, ed addita il basso mondo a lei soggetto, figurato sotto in un globo con la superficie della terra e dell'acque; con la sinistra ella tiene lo speglio della prudenza, o più tosto della sua divina idea e suprema intelligenza, in cui riguarda e contempla se stessa eternamente. Di forma ovata è lo speglio appoggiato al seno, due cherubini alati d'oro sono scolpiti nelle braccia del trono, e sotto due leoni colle branche distese su la soglia, denotando i cherubini la mente alata della sapienza, ed i leoni la vigile custodia, con cui ella il mondo conserva e governa. Così sedendo l'eterna diva travolge la real faccia a destra esprimendo in se stessa la mente e la saggia sua provvida cura. Il manto candido e la turchina veste sono contrasegni ch'ella è tutta pura e celeste nell'infallibile candore della verità sua. Due arcieri in tanto ministri della dea in alto su le nubi frenano due irragionevoli belve, che tiranneggiano l'animo umano; sono queste figlie dell'appetito impetuoso ed insano, cioè l'irascibile e la concupiscibile, onde dal lato destro sopra una nube vedesi un angelico giovanetto alato ignudo col manto di color fuoco ventilante indietro, il quale cavalcando un feroce Icone per l'aria rampante, lo frena e lo corregge dal corso furioso colla sinistra mano, e colla destra vibra in alto un aureo strale pungendolo amorosamente, ed intanto ch'egli a se stesso tira il morso allacciato alla bocca ed al collo del Icone, volgesi la fiera indietro al rettore ed ubbidisce al suo imperio in mezzo al corso sparsi i crini al vento. Dall'altro lato vedesi un altro angelico giovinetto parimente alato, il quale piegandosi sopra una nube a volo, anch'egli vibra uno strale non d'oro, ma di piombo, fugando l'amor lascivo figurato in una fuggitiva lepre ch'egli perseguita ed incalza per ferirla. Di questi strali pare intenda Ovidio negli amori di Apolline e di Dafne:
Deque sagittifera promit duo tela pharetra
Diversorum operum: fugat hoc, facit illud amorem,
Quod fatit, auratum est, et cuspide fulget acuta,
Quod fugat, obtusum est, et habet sub arundine plumbum (23)
Questi due arcieri celesti ministri della sapienza frenano l'amore e l'ira, che derivano dall'irragionevole appetito, e sono contrarii all'intelletto ed alla ragione perturbando la felicità umana; essi colle loro saette penetrano gli umani petti; quelli di piombo feriscono l'amor lascivo; gli strali d'oro sono contrarii all'ira. Sotto il soglio della gran regina e diva quasi chiamate a consiglio celeste la circondano e l'accompagnano undici altre vergini, sette a destra e quattro a sinistra, disposte in varii abiti e forme, altre in piedi, altre sedenti su le nubi con i loro segni.
La prima dal lato destro più vicina al trono è la Divinità; vedesi tutta in faccia sedente, con due dita della mano destra tiene la punta di un triangolo d'oro, e con la sinistra di sotto la sostenta; e questo è il trigono della divina natura nell'unità delle tre persone divine, rappresentando la loro divina essenza; regia candida è la fascia che le circonda la fronte, e i lunghi e biondi crini, verde è il manto radiato di dorati lumi, e bianca la tonaca, denotando col verde la speranza, che hanno i mortali d'intendere i divini misteri dopo che l'anima separata dal corporeo velo s'unirà immortalmente al raggio dell'eterno lume; e '1 color bianco disegna la purità della fede, che con la credenza ci rivela in questa vita la verità dei divini arcani. Alquanto più basso, ma più esposta agl'occhi nostri di fianco siede un'altra vergine: la Beatitudine che raccolte in nodo sopra il capo le chiome, tiene la destra mano sopra la lira d'oro di nove corde, onde l'anima umana partecipa anco quagiù il concento, delle beate sfere. Sotto le gambe di costei si piega un'altra vergine mezza ascosta nelle nubi, quale esponendo il viso in faccia e riguardando pietosamente con una mano si preme la mammella, facendone stillare il latte, con l'altra tiene una bionda spiga matura per insegna. Questa è la Carità feconda della Sapienza divina, che col suo pasto nutrisce e vivifica il mondo; turchina è la veste stellante, e turchina è la fascia che le circonda i capelli, dipendendo dal
cielo il divino alimento. Ma dell'altre più avanti s'espone la fortezza, donzella invitta vigorosa e forte, che disvelata mezza la spalla, il braccio ignudo, posa la destra mano su la clava, e piegandosi indietro su '1 gomito sinistro espone il dorso, e volgesi ad un'altra vergine, la quale sospende le bilance con due dita della mano per uguagliare il peso. Così la Fortezza riguarda la Giustizia per sua difenditrice e compagna e questa tenendo una mano diretta al peso, posa l'altra avanti su le nubi. Dietro queste due vergini, che seggono intente al giusto governo delle cose, si sollevano in piedi due altre compagne, che da questo lato compiscono il coro celeste. L'una, tutta ammantata in un panno pavonazzo, è il premio o sia Rimunerazione de' giusti, appressa una mano al petto e tiene una corona d'oro radiata stellante; l'altra vergine che di là l'accompagna è l'Eternità del premio de' giusti che cinta il capo di diadema d'oro tiene in una mano il serpente in giro, che si morde la coda, simbolo usato dell'eternità. Anche essa si volge tutta in un manto di color verde, che non riceve alcun lume oscurandosi all'ombra della compagna, nel che il pittore argutamente venne a significare la natura dell'eternità è incomprensibile nell'ombra del nostro intelletto; ma l'una e l'altra si riguardano vicendevolmente promettendo il regno delle stelle a chiunque siegue la divina Sapienza eternamente. Ora volgendosi all'altro drappello dal lato sinistro ed alle altre quattro vergini che la sublime dea accompagnano: la prima di esse è la Religione sedente più vicina al soglio: tiene con una mano la croce e con l'altra un'ara d'oro fiammante posata sopra il grembo. Vedesi anch'essa in ombra vestita di una veste color paonazzo velato il capo sino la fronte sotto candido velo trasparente nell'ombre de' suoi occulti misterii. Volgesi essa di profilo verso di un'altra, che a lei parla di vicino stando in piedi, e questa abbraccia con l'una e l'altra mano un candido cigno, simbolo della soavità della parola di Dio a chi siegue la pietà della religione, essendo il cigno riguardevole per la bianchezza e per la dolcezza del canto. Sotto queste due nel più basso delle nubi siedono ultime due altre donne: l'una appoggiato il cubito sul ginocchio con la mano sotto il mento contempla astratta, e si affìssa sopra alla divina Sapienza con l'aquila a' suoi piedi. Questa è la Perspicacia della divina contemplazione, che forma la vita contemplativa più dell'attiva appropriata a conseguire in questa vita i doni della sapienza eterna e la beatitudine dell'angeliche menti. Di color fulvo d'oro sono la veste e '1 manto che la ricuoprono, raccolte dietro le chiome in un volume. Di formoso aspetto è la compagna, che sedendo avanti distesa in sembiante giocondo, piega la sinistra mano al petto ignudo e ricopre col lembo del manto turchino una mammella; con l'altra mano tiene la chioma di Berenice in contrasegno della sua bellezza locata fra le stelle. Di più circondale il capo un cinto d'oro gemmato nel mezzo, e riguardando in faccia gioliva e benigna discuopre il petto e parte del seno ignudo, sul qual s'avvolge il suo celeste manto. Questa s'intende la vera Bellezza che conduce l'alme su in ciclo a risplendere con le stelle, sicché nella presente imagine riconosciamo la divina Sapienza forte, giusta, feconda, armoniosa, bella, contemplativa, pura, religiosa, rimuneratrice, regina, saggia e provvida verso i mortali, e che coli'amore incita alla virtù eroica e frena l'ira; e l'istessa col timore ritira l'anima dalla concupiscenza sfrenata e dal vizio: tale è il senso di questa dotta pittura. (24)
Durò Andrea lungo tempo in condurre quest'opra, in cui ancorché concorrine da ogni lato tutte le figure di donne, le variò nondimeno con tanta grazia, maestà e decoro nelle disposizioni, attitudini e belle arie di teste appropriate a i sensi che rappresentano, e con si ricchi e vaghi abbigliamenti e moti d'espressione, che non lasciano alla vista ed alla mente altro nuovo oggetto alcuno da desiderarsi, o nella grandezza o nella ricchezza dell'invenzione. Costringe di più ad ammirarla un dolce gratissimo temperamento di colori con soavità e tenerezza propria di quelle vergini celesti, in modo che si avanza al colorito più lodato; sono ancora esatte le forme del disegno temprate soavemente e senza alterazione in quelle membra virginali; sicché Andrea non soddisfece solo alla disposizione universale ma alle bellezze particolari ancora più importanti de' contorni e delle piegature de' drappi che ricorrono a tempo, e vicendevolmente su l'ignudo; cose che a considerarle bene si ritrovano molto rare a chi non s'appaga di una prima vista. Tanto che questo pittore da ogni parte si conferma il merito e la lode d'ogni età futura, che verrà ad ammirare così degno dipinto.
Terminò e discopri Andrea la volta di questa camera circa l'anno 1634, sei anni prima che Pietro da Cortona terminasse l'altra volta maggiore della sala, avendo tanto più commosso l'aspettazione e le speranze nella concorrenza di quest'altra. (25) Due o tre avanti avea Andrea anche ridotta a perfezzione e scoperta la tavola di San Romualdo nella pic-ciola Chiesa nuovamente edificata in onor del Santo, che noi annoteremo al presente per essere ancor questa l'una delle migliori del suo pennello. (26)
Visione di San Romualdo
In questa tavola si rappresenta il Santo nell'eremo, che narra a' suoi monaci la visione di quella scala che da terra giungeva sino al ciclo, e sopra cui ascendevano alcuni vestiti di bianco intesi per i religiosi della sua regola. Siede il Santo Padre sotto il tronco d'un albero, e stanco dagl'anni e dal digiuno, s'appoggia con la sinistra mano al bastone e con la destra addita lungi i candidati di Cristo in abito monastico, che poggiano in alto, ove una nube si rompe in più chiarori di luce. Vien figurato il Santo dal lato sinistro del quadro, ed incontro ad esso stanno i suoi monaci intenti ad udirlo. Siede avanti il primo e meditando le parole tiene la sinistra mano alla barba ed al mento, e l'altra sotto il gomito, arrestandosi intento e pensieroso; al fianco di questo, che è esposto tutto al lume, siede il compagno ombrato dall'albero istesso, e riguardando con attenzione il Santo, raccoglie le mani al seno; appresso questi due sedenti, quasi nel mezzo del quadro, siegue un altro di loro in piedi appoggiato con le mani al bastone, ascoltando anch'egli con attenzione; è questo rivolto in faccia in età meno grave, bionda la barba; dietro questo religioso s'infrapone la testa di un altro, la quale per l'impedimento di mirare il Santo si piega da un lato attentamente, ed appresso un altro di loro alza la testa e congiunge le mani in orazione, esprimendo le preghiere e la speranza di salire anch'egli la scala del paradiso. Questa così ben disposta azzione eccede nella parte del colorito ed armonia del chiaro oscuro. Poiché Andrea avendo necessità di rappresentare un'istoria con figure tutte coperte di bianco e di una forma d'abito sola senza varietà alcuna di panni e d'ignudi, pigliò il ripiego di quell'albero veduto con un ramo pendente e con una massa di frondi sopra il tronco oscuro, circondato di ellera e selvaggio, penetrando di sopra qualche raggio di sole all'armonia dell'ombre e de' lumi con artificio singolarissimo. Lo stile de' panni non può riuscir migliore nell'ampiezza di quegl'abiti religiosi disciolti in varii lembi delle mani ed estensione della cocolla; sembra ancora effetto molto ben considerato e nuovo il prodursi di quella continua bianchezza un temperamento non minore di quello che possono dare gli altri colori con la varietà loro alla vista non solo per la forza del chiaro scuro, ma per una certa varietà, alla quale giova una quasi insensibile impressione di giallezza, che mitiga il continuo biancore della saia degli abiti, che s'induce dall'uso. Apresi la veduta dell'eremo, che va poggiando in un colle, dal cui fianco scaturisce lungi una fonte, e sopra fra' tronchi di alquanti alberi è accennata un'angusta cella coll'insegna della croce, e più lungi l'azzurro de' monti.
Non meno diletta l'opposizione d'una gran nube, che trovandosi dietro le frondi dell'albero principale, ricuopre quasi tutti i rami lontani d'una palma dell'eremo e poi va a rompersi nello splendore del ciclo che s'apre a que' santi monaci che salgono al paradiso, abbagliandosi l'uno sopra l'altro in que' chiarori di luce con imaginativa bellissima. La visione però non sieguì nel tempo che San Romualdo la narrava a' suoi monaci, essendo a lui apparsa avanti, ma il pittore la fa vedere presente per l'intelligenza. Sono dunque tanto eccellenti parti in quest'opera che onoreranno sempre il nome d'Andrea, potendosi affermare che nella scuola di Roma e nell'altre ancora più celebri della Lombardia non vi sia stato pittore che meglio di lui abbia usato l'arte del colore modernamente.
Edificatasi intanto la nuova Chiesa de' Padri Cappuccini dal cardinal Sant'Onofrio fratello di papa Urbano ottavo i signori Barberini fecero fare quadri ad olio delle cappelle; onde il cardinal Antonio impiegò Andrea in due quadri più prossimi all'aitar maggiore: nell'uno Sant'Antonio di Padova, quando risuscita il morto in difesa del padre, e l'altro di San Bonaventura che celebra all'aitar della Vergine. (27)
Essendo stato falsamente imputato di omicidio il padre del Santo, egli miracolosamente trasferitesi in un istante da Padova a Lisbona, e dissotterrato il cadavere, gli fece rivelare l'innocenza del genitore. Il Santo Padre tenendo con la sinistra la destra mano del giovine tratto fuori del sepolcro, con l'altra addita il ciclo e gli commanda in virtù di Dio, che manifesti l'ingiusta accusa e l'innocenza paterna. Siede il morto sopra uno scaglione di marmo presso il sepolcro, e rivolto al Santo disvela il petto ed una gamba dall'involto di un panno, squallido ed essangue in que' funesti respiri vitali, segnata la ferita sopra la mammella; sotto il morto esce il becchino dalla bocca della tomba, apparendo fuori un poco di spalla col braccio ignudo, e tiene un pezzo di candela accesa con la mano appoggiata all'ultimo gradino della scala, guardando il miracolo, ed in questo atto espone dietro il capo, neri i capelli e vigoroso l'ignudo incontro al cadavere scolorito. Sopra il cadavere istesso evvi un giovine quasi ignudo, che tenendo fra le braccia la cassa del morto, s'arresta guardando anch'egli intento al prodigio. Nello spazio che s'interpone fra '1 Santo ed il cadavere, vedesi un uomo nobile, che nel giungere improviso, apre le braccia e si ritira indietro, sorpreso da subito stupore inarca le ciglia: ma questo nel ritirarsi indietro, da luogo ad un altro, che guardando il miracolo, tiene il fazzoletto al naso in contrasegno del fetore del sepolcro. Finsevi il chierico giovinetto con la cotta indosso, ginocchiatosi dietro il Santo apre le mani per meraviglia. Sopra il chierico si avanza, un uomo bramoso di vedere, e nel farsi avanti con la testa e col petto, appoggia le dita d'una mano su la spalla del chierico istesso, quasi faccia forza di reggersi dietro su le piante, aggirandosi il manto di azzurro alle spalle. L'azzione si rappresenta dentro una chiesa, aprendosi un arco in faccia due amoretti col giglio e il libro aperto del Santo. (28)
Circa l'istesso tempo dalla congregazione della fabbrica di San Pietro furono allogati ad Andrea li quattro quadri de' quattro altari sotterranei corrispondenti alle quattro statue grandi di sopra ne' pilasti della cupola: Santa Veronica, Santa Elena, San Longino e Sant'Andrea Apostolo, quai quadri sono di forma centinati. (29) Nel primo dipinse la caduta di Cristo sotto il peso della croce, con le ginocchia e con la mano a terra, e mentre due crocefissori lo sollecitano a risorgere, uno di loro rispinge indietro Veronica, che pietosamente ginocchione tiene nelle mani il sudario, impressovi il volto santissimo; dietro vi è il capitano a cavallo che addita. Nel secondo quadro è dipinta Sant'Elena in piedi, che al risorgere d'un morto coleo a' suoi piedi sopra un lenzuolo, apre le braccia dal manto imperiale di color d'oro, e riconosce il vero legno della croce, in virtù di cui succede il miracolo. Segue il martirio di San Longino inginocchiato con le mani legate davanti ignudo in un... (30) aspettando il colpo dal percussore che vibra di dietro la spada per troncarlo, volando in aria un amoretto con la corona del martirio. Appresso questo, che è bellissimo in tutte le parti, segue in ultimo l'altro quadro di Sant'Andrea Apostolo, che inginocchiato avanti i tronchi della croce, distende le braccia e le mani aperte in adorazione per riceverla. È questa un'insigne figura, che rappresenta il santo vecchio in profilo, dal mezzo in su ignudo, e nel resto coperto in un panno giallo, che arrestandosi in quell'affetto del martirio viene sollecitato da un soldato dietro le spalle e da un altro che addita il supplicio.
Per la medesima Basilica Vaticana fece ancora il cartone grande colorito a guazzo di San Tommaso d'Aquino, uno de' quattro dottori della Chiesa Latina, ne' pieducci della cupola della cappella di San Leone. Siede il Santo nell'abito suo domenicano, e dispiegando un libro su la coscia, vi tiene sopra la mano sinistra ed apre l'altra verso i Santi Apostoli Pietro e Paolo, che gli dichiarano un luogo della Scrittura. Il cartone di quest'opera degnissima e di gran maniera resta appeso nella sala Barberina alle Quattro Fontane, essendo stato lavorato a mosaico dal Calandra. (31)
Volle intanto Andrea porre ad effetto un lungo desiderio suo, di girare l'Italia e riconoscere con la vista i maestri di Lombardia, e particolarmente il Correggio, a cui egli nel suo colorito ebbe particolar mira. Passò prima a Bologna per l'amore ed intenzione ch'avea ancora grande all'opere de' Carracci, e dalla scuola di cui egli riconosceva gl'ammaestramenti del suo maestro Albani. Copiò egli quivi sopra una picciola tela la Communione di San Girolamo di mano d'Agostino, avendo l'altra del Domenichino sempre sotto gli occhi in Roma. (32) Ma ricevuto con tutte le amorevolezze dal suo maestro Albano, fece il suo ritratto per memoria di quel buon vecchio, (33) e di Bologna trasferissi a Parma ansioso delle cose del Correggio, che altrove e fuori di Lombardia raramente si vedono. Arrestato nel duomo all'armonia del ciclo della cupola, disegnò la maggior parte di quelle figure: la Vergine assunta, gli apostoli e molti di quegl'angeli di lapis rosso forniti, né altramente che sogliono i giovani e ch'egli avea in uso ne' primi anni, ed è una meraviglia come un maestro cosi provetto nelle opere, si fermasse tanto paziente, il che si deve attribuire all'amore dello studio che volentieri lo rivocava alle fatiche giovanili, essendo Andrea ancor vecchio solito dire ch'egli cominciava ad imparare. Da Parma egli trascorse a Modena, a Mantova ed a Venezia, sollecitato da que' gran pennelli e compito l'anno alla patria fece ritorno, dove era aspettato ad opre diverse da lui promesse. Aveva nella sua partenza particolarmente differito di dipingere il secondo quadro di San Buonaventura nella Chiesa de' Cappuccini incontro il primo di Santo Antonio da Padova, sicché subito vi pose mano. Instando il cardinal Antonio che egli non lo prolungasse più oltre per esser gli altri terminati. (34)
Il soggetto è di San Buonaventura, che avendo ordinato molte divozioni al culto della Vergine, rinnovò l'istituto di San Francesco di celebrarsi in onor di essa ogni sabato la messa da' suoi religiosi. Rappresentò la Vergine apparsa sopra l'altare in una nube col Bambino Giesù in piedi nel grembo, ed il Santo inginocchiato su la soglia in abito sacerdotale col camice e col piviale di color d'oro; con una mano tiene il turribolo ed incensa la Vergine, posando l'altra sopra un libro aperto sostentato da un angelo genuflesso, anch'egli al servigio del sacrificio. Dall'altro fianco un altro angelo con l'incensiere sparge gli odori. Avanti vi son due fanciulli angelici; siede l'uno su la soglia dell'altare con la navicella d'argento dell'incenso nelle mani. L'altro in piedi tenendo il pastorale si volge al compagno, e con un cucchiaro d'oro dentro la navicella stende gl'odori su la soglia istessa, e posato il cappello di cardinale del Santo, e sopra un lato dell'altare la mitra.
Sfavasi in grand'aspettazione di quest'opera, attendendo ciascuno il nuovo colorito di Lombardia, ove allettato dalla soavità del Correggio, s'addolci in una maniera più sfumata della prima, come si vede dal quadro incontro di Santo Antonio da Padova e dagli altri da noi descritti. (35) La prospettiva intcriore del tempio con le arcate della volta dipinta nel quadro istesso è di mano di Filippo Gagliardi romano celebre in questa sorte d'imitazione. (36)
Nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case, ov'egli avea una sorella monaca, dipinse su l'aitar maggiore il picciolo quadro del Santo che siede a dormire col braccio appoggiato in cubito sul basto della giumenta, e con la mano sotto la guancia, mentre l'angelo scende e lo desta con toccargli il mantello, additandogli la fuga in Egitto. Evvi appresso la Vergine genuflessa in adorazione, contemplando il Bambino, che tiene fra le braccia. (37) Essendosi questo bellissimo dipinto cancellato e quasi venuto meno per la cattiva materia della incollatura, la pietà e 'l grato affetto del signor Carlo Maratti verso del suo maestro non lasciò che perisse, ma lo ristorò alla sua prima forma, come fece anche l'altra imagine di Santa Teresa su la porta fuori del convento, come abbiamo detto. (38)
In San Carlo a' Catinari tra le sue ultime opere vedesi il quadro col Transito di Sant'Anna, figuratavi la Vergine che le mostra il Bambino Gesù, che verso la Santa distende le mani per abbracciarla, e dietro la Vergine succede San Giuseppe. (39) Vi sono espresse bellissime figure di mestizia, tra le quali una donna veduta per di dietro tiene in mano una tazza di liquore sopra un piattello; evvi un'altra appresso con le mani giunte in orazione e dall'altro lato s'inginocchia ancora un'altra che si cuopre il volto e si asciuga le lagrime; sopra alcuni angeli sollevano in alto un panno aprendo il chiuso della camera, e s'avvicinano tre cherubini alla moriente per accompagnarla, quasi già sia partecipe della beatitudine. La figura sedente a lato il letto con il mantello bianco attribuita a San Gioacchino, è qui posta per divozione con licenza de' tempi, essendo egli già morto molto prima di Sant'Anna.
Ma ancorché Andrea restasse sempre applicato alle cose della pittura, non pretermise gli studii dell'architettura, a' quali egli si sentiva particolarmente inclinato, essendosi rivolto non solo agli scrittori di quest'arte, ma anche alle belle antichità della sua patria, com'egli dimostrò in tutte le Decorrenze, sicché il cardinal Antonio protettore della religione di San Domenico, rinovando il vecchio e cadente convento della Minerva verso il Collegio Romano, Andrea lo dispose con quel bello e commodo uso di fabrica che ora si vede, (40) distribuì gl'ornamenti della sagrestia e vi colori il quadro ad olio sopra l'altare con l'imagine del Crocefisso, a i cui piedi ritrasse alcuni Santi dell'ordine: San Domenico a destra tiene in una mano il libro della sua regola e coll'altra addita il titolo che v'è scritto; vi è appresso San Tomaso d'Aquino con le mani al petto in volto contemplativo, ed a sinistra San Pietro Martire col ramo della palma e Sant'Antonio che addita il Crocefisso, a' piedi del quale Santa Caterina da Siena ginocchione adorando il Crocefisso; sopra un ovato a fresco vi sono coloriti amoretti celesti in aria con gigli, corone e palme ed altre insegne de' medesimi Santi (41)
Nella spezieria de' Padri Giesuiti del Collegio Romano sopra la volta colori a fresco Sant'Ignazio e San Francesco Xaverio, il primo sedente in abito sacerdotale con la pianeta rossa e col libro della sua regola, appresso eli cui San Francesco Xaverio inginocchioni con la cotta indosso presenta un giglio al Bambino in seno di Maria e dietro appariscono li due Santi Cosmo e Damiano avvocati de' speziali (42)
L'angelo custode figurata l'anima come è l'uso in forma d'un fanciullo sul precipizio d'una voragine refugia l'angelo che lo prende ne' capelli e l'assicura dall'insidie del Demonio, che per la rabbia si morde le mani e precipita al fondo. (43)
Essendoci sin qui avanzati in descrivere l'opere di questo maestro avanti di trascorrere ad alcun'altre che restano in Roma e fuori, ci divertiremo ad alcune cose appartenenti a' modi e costumi di esso. Non era Andrea né capriccioso né veloce né riscaldato da fervore all'operare, ma sempre si mosse coll'ingegno cauto e maturo (44) Alcuni sono riputati grand'inventori dal grand'oprare e perché subito ed in molta copia danno fuori le loro invenzioni, le quali poi ben considerate non resistono alla maturità d'un intelletto purgato ed erudito. Egli sempre andò ritenendo nel produrre e perfezzionare i suoi parti, né mai trascorse linea o tratto de' pennelli fuori de' termini della buona imitazione del naturale. (45)
La diligenza e 'l finimento che dalla giovanezza usò ne' suoi disegni, ritenne appresso in tutta l'età sua, come si può avvertire dagl'ignudi delle sue accademie, che sono in tanta stima tratteggiate e sfumate amorosamente, al qual fine per molti anni tenne aperta nella sua casa l'accademia del nudo, nella quale non pochi si avanzarono, li quali poi uscirono maestri di nome. Sono però i suoi dintorni aggiustati con una certa tenerezza d'ombre e di lumi dolcemente e senza alterazione. Nelle sue istorie ancora ritenne sempre una certa dignità che per lo più egli spiegò negli oggetti sacri e gravi con fecondità studiosa e facile insieme, con cui sodisfece non solo all'universale, ma alle parti emendate delle figure, aggiuntavi la venustà dell'arie delle teste e la grazia e nobile maniera degli abbigliamenti de' panni e drappi ch'egli risolveva con la purità delle pieghe senza affettazione alcuna sopra l'ignudo; nel qual modo egli veramente superò gl'altri pittori suoi eguali. Si propose egli ancora di giungere al perfetto del colorito, seguitando l'intenzione del Correggio, soavità e maniera sfumata, ma con forza ben tinta, ed anche in questa parte s'avanzò sopr'ogn'altro pennello del suo tempo, onorando la scuola di Roma nel colore, mostrandosi de' Carracci sempre seguace e rampollo. (46) Conosceva Andrea quello che era buono e perfetto, onde non s'arrestava alle prime apprensioni delle cose, sebene il meditare suo continuo gli apportava qualche lunghezza nelle opere, e perciò alcuni l'incolparono di pigrizia e di lentezza, irresoluto di genio rispetto altri che si sono diffusi in opere grandissime; con tutto ciò chi avvertisce bene quelle di Andrea, ritroverà che non sono tanto poche e che l'età sua non fu troppo lunga per condurle con studio e non di pratica, che presto si appaga, sicché andando egli così ritenuto nel progresso del suo dipingere, quando alcuno lo sollecitava e lo avvertiva di lunghezza ne' lavori, egli rispondeva: "La mia tardanza nasce dal timore, poiché io mi propongo che l'opere mie abbiano da esser vedute da Rafaelle, e da Annibale, che mi spaventano e mi tolgono l'ardire". (47) Soggiungeva poi che quelli che non maturavano l'opere e si sodisfanno solo della superficie, sono simili a que' mercatanti ch'apparano una bella mostra di fuori, e poi non hanno niente di dentro il fondaco; e seguitando lo stesso concetto ad uno quale diceva ch'il Domenichino essendo scarso per esso s'avanzava coll'altrui sostanze, intendendo del quadro di San Girolamo, rispose ch'egli non l'intendeva, e voltatesi col signor Carlo Maratti, che allora giovanetto con grand'aspettazione studiosa nutriva nella sua scuola: "Carlo", disse, "se uno andasse in un fondaco per vestirsi e non trovasse altro ch'una sorte di panno, al certo che egli non resterebbe sodisfatto, ma se dopo il primo andasse al secondo, e lo trovasse ricco di drappi di lane, tessute di seta e di ricami, senza dubbio ch'in tante e sì rare merci rimarrebbe pago e contento, abbondando il fondaco di tutto". Così comparò a questo ricco fondaco le opere del Domenichino, ripieno più dentro che nella mostra di tante preziosi merci dell'arte. (48) Ed io sempre ho trovato per isperienza che quando un'opera bella vien condannata di furto, ciò deriva da invidioso rancore di non poterne dir male altrimente, non s'accorgendo l'invidia che in tal modo viene ad approvare ed essaltare la bellezza
ch'ella condanna. Così Andrea stimava infinitamente l'opere del Domenichino. Un giorno col medesimo suo discepolo in San Luigi de' Francesi nella cappella di Santa Cecilia dipinta di sua mano dopo d'esser stato qualche spazio a contemplarla disse: "E ben Carlo, che ti pare di questa bella pittura? Se stasse nelle Stanze di Rafaelle non sarebbe egli una bella conversazione? Vi è a chi dispiace il troppo studio, ma a me lo studio sempre sembra più lodevole". In altra occorenza diss'egli: "Carlo, io so ch'avrai occasione di lagnarti sempre di me". Rispose il discepolo: "Come potrò lagnarmi di voi se io vi sono tanto obligato, avendomi voi tutto quanto io so insegnato?". Replicò Andrea: "Per Pi-stessa cagione che io ti ho insegnato a conoscere il bello ed il buono della pittura, hai da lagnarti di me, perché chi arriva a questa cognizione, diviene troppo inquieto, né mai si contenta nell'operazione". Allora soggiunse Carlo: "II male è ch'io conosco la mia poca abilità nella professione, ed essendo tanti anni che ho disegnato dall'opere di Rafaelle e che la vostra carità m'ha somministrato del continuo tanti documenti ed i più belli dell'arte, quali benissimo io so, intendo e conservo nella mente; con tutto ciò quando vengo ad operare, parmi non aver visto né sentito mai cosa riguardevole, e pure sempre mi affatico; sicché per tal cagione io mi sono risoluto di non attender più a tal professione, e ritirarmi da' pennelli". Parlando così il discepolo, Andrea per consolarlo gli disse: "Segui ed affaticati, Carlo, e sappi che se non farai bene quanto vuoi, non farai tanto male quanto pensi". (49) Riverì egli sempre Rafaelle come nume della pittura, e conoscendo le qualità divine di quel supremo ingegno, se per sorte da alcun giovane di quei che vanno a disegnare in Vaticano gli veniva portato qualche disegno copiato, acciò egli lo correggesse, Andrea postosi il disegno davanti, si fermava immoto a riguardarlo e molto tempo dopo con molta commozione d'animo esclamava: "Vogliono darmi ad intendere che Rafaelle non fosse un angelo: non è vero, era un angelo, era un angelo". E proferiva queste voci con tanto impeto che restava per qualche spazio tutto infiammato e quasi stordito ed il giovane attonito e confuso. Disse più volte e l'udirono, non solo il medesimo signor Carlo, ma altri ed io insieme l'udii raccontare ad esso, che egli, tornato a Roma dal suo viaggio di Venezia e di Lombardia, dove si era trasferito per cagione del colorito, essendo andato al Vaticano, dove allora soggiornava il papa, per farsi vedere e baciargli il piede, intanto per trattenersi entrò nelle Camere di Rafaelle, con apprensione che quel colorito non dovesse più come prima soddisfargli ed essergli grato, per aver gl'occhi assuefatti al colorito di Lombardia; con la qual intenzione entrato e fermatesi su la porta della prima Camera a rimirar l'istoria d'Attila, rapito dall'armonia di quei mirabili dipinti, restò ben tosto deluso di se stesso e del suo inganno, ritrovandovi dentro il più bel misto di Tiziano e del Correggio ed il più degno colore di pennelli lombardi, aggiungendovi in ultimo d'avervi trovato di più quello che più importa, il sapere dello stesso Rafaelle. Il che abbiamo volsuto ripetere in questo luogo per cagione di quelli che tanto ingiustamente vogliono oppugnare il colorito di Rafaelle, come in altro luogo ne discorriamo, di cosa tanto aperta agli occhi degl'intelligenti. (50) Ma per ritornare alla tardanza d'Andrea nell'opere sue, ancorché egli in verità si difendesse ragionevolmente: non si può nulladimeno negare ch'egli non si distraesse agl'agi ed alle commodità, le quali lo rendeano lento alle fatiche; (51) e dopo molto più nella maturità degli anni l'indisposizioni e le acerbità delle podagre che lo ritenevano in letto, sicché in vano si doleva di non aver fatto opera alcuna grande per lasciare di sé memoria degna del suo nome. Intraprese però più con lo spirito che colle forze la volta della Chiesa di San Luigi in Roma della nazion francese, alla quale il cardinal Antonio sin dal suo ritorno da Francia l'impiegò, volendo questo signore come protettore della corona ornare la chiesa medema con ricchi fregi, ed in particolare la volta. (52) Seguitava Andrea l'ordine de' pilastri di sotto, che reggono il cornicione, dividendo la volta istessa con altretante fasce finte di stucco e d'oro, e con varii fregi tramezzati da putti, da termini e da ignudi. Nel mezzo riportava sopra quelle fasce un gran quadro con la sua cornice, figuratavi la gloria di San Luigi, e nelle due teste due grand'ovati, fregiate intorno con due battaglie, una terrestre l'altra navale, vittoriose, del Santo. Sopra il cornicione all'istessa corrispondenza e numero de' pilastri, v'erano disposte le statue de' re di Francia più gloriosi con figure eie' schiavi e trofei a' loro piedi. Cosi degna opera non ebbe però effetto; e non ostante che il cardinale lo stimolasse del continuo, tanto egli differì eli stagione in stagione, che al fine, confinato in letto dal male, lasciò solo a quel signore il desiderio dell'opera; essendo restati per alcuni anni li ponti sopra la porta di dentro la chiesa, sino dopo la sua morte. Del qual luogo fra i ripartimenti restano solo alcune figure ignude di chiaro oscuro di sua mano, che sono bellissime, e danno segno de' principii di sì degna impresa. Vedendosi Andrea cosi ridotto al fine senza speranza di risorgere, pensò di riparar la sua disgrazia con appoggiare il lavoro al signor Carlo Maratti suo discepolo, consegnandogli a questo effetto tutti i suoi disegni e cartoni dell'opera e le chiavi de' ponti, acciocché egli la proseguisse. Della quale elezzione molto si sodisfece il cardinale, riconoscendo il merito grande del giovane, che al sicuro avrebbe ampliato la gloria del suo maestro, come oggi nella pittura tiene si gran luogo e tanta fama il suo pennello, che si rende degno di maggior suono della mia penna per celebrare il nome suo immortale. Mentre però Carlo attendeva ad applicarsi ed a sodisfare i suoi talenti nella successione di questo lavoro, il cardinale ripassando i monti fece ritorno in Francia, e distratto in altre cure tralasciò il pensiero della pittura, senza che più dopo si venisse ad altra conclusione alcuna. (53) Andrea dunque confinato nel letto per sempre dalla podagra senza ricever profitto alcuno de' medicamenti, cadde in un morbo etico, che per lo spazio di nove mesi l'indebolì tanto che, al fine consumato ed afflitto lo rese inabile, come un cadavere spirante, aggiuntavi una piaga nella spalla dal continuo star supino in letto, la quale molto più l'affliggeva acerbamente. Per le quali percosse che sogliono aggravare la nostra misera vita, mancando più ogni giorno rese al fine a Dio lo spirito il giorno 21 di giugno l'anno 1661, (54) ad ore quindeci, e dell'età sua l'anno ses-santuno e mezzo. Sopportò egli con gran pazienza il male, e con molta contrizione diede segno della sua pietà cristiana e della sua salute, raccomandandosi particolarmente a San Filippo Neri, suo avvocato, con guardare sino all'ultimo respiro il suo ritratto, ch'era solito tenere in camera. Il cadavere fu deposto nella chiesa parrocchiale di San Nicola in Arcione a Capo le case per trasportarsi a San Giovanni Laterano conforme la sua volontà che si collocasse incontro il deposito del cavalier Giuseppe d'Arpino per l'affetto ch'egli portava alla memoria di questo suo primo maestro. Il monumento d'Andrea fu esseguito nel medemo luogo col suo ritratto di marmo di Pier Paolo Naldini (55) suo discepolo nella pittura, che gli assistè con gran carità nel male sino al tratto ultimo della vita. A me fu data la cura dell'inscrizzio-ne formata nel modo seguente scritta nel marmo:
D. O. M.
ANDREAS SACCHIUS ROMANUS
HIC EST
QUI CUM DIU AETERNITATI PINXERTT
VEL MORTUUS IN HOC TUMULO FAMAE AETERNUM VIVIT DIVINAE SAPIENTIAE MYSTERIA DIVINIS PENE COEORIBUS
IN BARBERINIS AEDIBUS EXPRESSIT
BASILICAM VAT1CANAM, BAPTISTERIUM LATERANENSE
PICTURIS SUIS DECORAVIT.
INDE
URBANI VIII PONT. MAX.
AG EMINENTISSIMI PRINCIPIS CARDINALIS
ANTONII BARBERINI
BENEFICENTIAM ET GRATIAM PROMERITUS
OPERUM, ET NOMINIS GLORIA APUD SUOS
EXTEROSQUE SUPERSTES
PICTURAE, AG VITAE LINEAS ABSOLVIT.
DIE XXI JUNIJ A. M. DC. LXI. AE. LXII (56) |
Con tutto ciò l'ossa e le ceneri d'Andrea ancora rimangono nella prima sepoltura, non essendo mai state trasportate al Laterano. Nel suo testamento lasciò al cardinal Antonio tutti li studii suoi e disegni fatti in Lombardia dalla cupola del Correggio, ed altri ne lasciò a diversi ed a' suoi scolari, che si trovarono alla sua morte, eccettuando il signor Carlo Maratti, a cui non volle lasciarne alcuno, ancorché presente. Perché Andrea voltatesi verso di lui: "Carlo", disse, "non è dovere ch'io vi lasci i miei disegni, mentre voi sapete così bene condurre i vostri a perfezzione, contentatevi però che se ne approfittino quest'altri, che ne hanno bisogno". L'eredità d'Andrea non fu molto opulenta, rispetto le spese grandi, e '1 poco ch'egli operò nell'ultima età sua, avvedutosi tardi quanto in suo danno fosse risultato a lui che studiava l'opere, il trascurare il premio delle sue fatiche ed il non farsi pagare a ragione, considerandosi gli anni dell'età prima spesi senza acquisto alcuno in sudori e disagi, e quello che è peggio senza aver provveduto abbastanza alle indisposizioni ed alla vecchiezza, che il più delle volte s'affrettano i mali dalle fatiche dell'ingegno, ed in quell'età canuta quando è pur troppo brutto il bisogno e più necessario l'acquistato ed al certo che molti incorrono in questi mali nocendo loro la modestia per non dire la viltà, essendo pur troppo noti gl'essempi del Correggio e di Annibale, che alcuni poi sfacciatamente apportano in essempio in riprovare le giuste ricompense eie' poveri artefici privandoli d'ogni liberalità di premio e condannandoli solo alla miseria ed alla fatica, quando più ragionevolmente meritano ricompensa e ristoro, essendo poi liberali a' vizii. Fu Andrea alto di statura e di nobile apparenza e ben complessionato di corpo e di buon colore e rubicondo, con fronte magnifica, neri i capelli e neri gli occhi, ma alquanto enfiati. Avea del pari maniere nobili e gravi ne' suoi discorsi col decoro dovuto nel trattare co' pren-cipi ed uomini grandi, che volentieri l'udivano discorrere.
Ritornando noi all'opere della pittura e prima a quelle che restano in Roma, l'anderemo numerando brevemente. Avea Urbano ottavo ristaurato in Laterano il battisterio di Costantino, data la direzzione ad Andrea dell'architettura, (57) pittura ed ornamenti, ed essendo l'altre ben condotte, egli trascurò tanto l'essecuzione delle pitture, che morto Urbano e succeduto Innocenze, fu costretto poi ad accelerare l'opera per lo sdegno del papa che tanto tempo si fosse trascurato il lavoro, volendolo veder finito per il prossimo anno santo 1650, in tempo ch'egli rinnovava fin da' fondamenti le cinque navi della Basilica Vaticana. Sicché Andrea diede di mano sollecitamente all'opera. La Chiesa ha titolo di San Giovanni in Fonte, contigua alla basilica, ed è di forma rotonda, sostentata da colonne a' quali si gira intorno. Ne' vani e muri eli sotto della chiesa divisi da pilastri sono dipinte cinque istorie grandi de' fatti di Costantino, l'Apparizione della croce, la Battaglia ed il Trionfo divise ad altri pittori. (58) Restano due colorite a fresco da' cartoni di Andrea. In una vi è rappresentato il concilio niccno, quando Costantino ricusando di giudicare le cause de' vescovi fa gettar nel fuoco i libelli, rimettendoli al giudizio divino. Usò di più questo imperatore tanta pietà verso di loro, che baciò fin le piaghe e le ferite sofferte da loro per la fede e per l'amor di Giesù Cristo. Finse Andrea però nel eli dentro d'un tempio Costantino coronato di lauro ornato di manto d'oro, con la destra tiene il braccio d'un Santo vescovo,
avvicinandosi per baciargli la ferita della mano, tronche le dita, e con la sinistra getta sotto in terra un tripode d'oro con un focone d'argento pieno de' fogli dell'accuse; mentre un sacerdote con la cotta s'inclina con un ginocchio e con una torcia accende la fiamma. L'imperatore è seguito da molti altri vescovi dell'abito loro vestiti, ed altri in lontananza appariscono sedenti di qua e di là avanti il trono imperiale. Nell'altra v'è rappresentato l'abbattimento dell'idolatria ed il trionfo di Cristo, fintovi un sacerdote che con ambe le mani avvolte nel pallio porta la croce d'argento ricevuto alla porta del tempio dal clero con le cotte e candelieri nelle mani, mentre un di loro più avanti incensa il santissimo legno della croce; vi sono due che gettano a terra le teste e le braccia rotte delle statue, calcandole co' piedi, ed un soldato che scaccia un sacerdote pagano, concorrendo il popolo fedele alla divozione. Colorì la prima tutta da' cartoni Carlo Magnoni suo discepolo (59) e nell'altra v'ebbe poi mano anco il signor Carlo Maratti con l'istesso, dal quale cominciò a colorire a fresco. Là sopra nel timpano sopra del battistero figurò in otto quadri ad olio intorno otto istorie della vita di San Giovanni, l'Apparizione dell'angelo a Zaccaria nel tempio in abito sacerdotale con l'in-censiero nelle mani, la Visitazione della Madonna, la Nascita, San Zaccaria che impone il nome a San Giovanni, rompendo il silenzio con ammirazione de' circostanti. L'altra istoria rappresentò quando San Giovanni giovanetto volendo andare al deserto s'inginocchia avanti il padre che lo benedice e con questi la Predicazione nel deserto il Battesimo di Cristo ed il suo martirio e decollazione. Sono queste istorie dignissime di sua mano ad olio su la tela e particolarmente il Battesimo, che è gran peccato si consumino, riportate. Di più sopra il primo ordine di pilastri un fregio fra le fenestre che s'aprono da tutti gli otto lati che compongono il tempio, vi scompartì medaglioni verdi con festoni d'oro intorno e varii putti con diverse imprese nelle mani, quali posano in un dado o basamento del secondo ordine finti al naturale e scherzando con armi e trofei, insegne ed istrumenti sagri conforme l'istorie che di sotto si rappresentano. In ciascun medaglione v'è la testa di Costantino con l'impresa della basiliche e delle chiese da lui edificate, rimanendo sopra due porte i medaglione di papa Urbano ottavo col suo ritratto e col battisterio e tempio da lui ritoccato, e sotto alcuni genii con varii istromenti d'architettura e pittura in contrasegno della ristaurazione di quel santo luogo (60)
Per il medesimo pontefice in una cappelletta del palazzo Quirinale dipinse parimenti a fresco su l'altare la Coronazione di spine61 e per il cardinal Antonio nella chiesa del suo priorato su l'Aventino fece il quadro su l'aitar maggiore con la Vergine, il Bambino e San Basilio (62)
In Foligno nella Chiesa de' Padri dell'Oratorio è di mano d'Andrea il quadro della Concezzione (63) ed in Perugia nell'altra Chiesa de' medesimi Padri la Purificazione con la Vergine su la porta del tempio, che presenta Giesù Bambino nelle braccia del vecchio Simeone sostentato da' Leviti. (64) Arricchiscono questa invenzione due angeli in candida veste discesi su le nubi e ginocchioni in adorazione con altri angioletti in aria che incensano. Evvi un giovane avanti col canestro delle colombe per offerirle al tempio, e dietro in mezza figura San Giuseppe con la candela accesa in mano ed Anna profetessa che si volge ed addita il parto divino circondato da teste alate di cherubini.
In Rieti nella Chiesa delle monache di Santo Andrea sopra l'aitar maggiore vi è il quadro del Santo nel suo martirio, dilatate e distese le braccia e le gambe su la croce e con la faccia volta al ciclo vicino a spirar l'anima, attendendola di qua e di là due angeli ed un altro in mezzo gli porge al capo la corona. (65)
In Camerino nella Chiesa di Santa Maria in Via edificata dal cardinal Giorio vi è ancora di mano d'Andrea il quadro di San Francesco di Paola, che piegando le ginocchia a terra si volge verso il popolo ed addita in ciclo il titolo della sua regola: "CHARITAS", con un altro Santo. (66)
Nel duomo della città di Forlì nella tribuna della celebre cappella della Madonna del fuoco, fra gli altri quadri di celebri maestri di mano d'Andrea vi è la figura di San Pietro con un libro aperto nelle mani ed un angelo di sopra con le chiavi. (67)
In Malta nella Chiesa de' Padri dell'Oratorio il quadro di San Filippo Neri con la pianeta bianca e con le ginocchia piegate sopra un cuscino avanti l'altare apre le braccia verso San Giovanni Battista sedente sopra una nube additandogli in alto la luce con la destra, e con la sinistra tiene la croce fatta di canna. A piedi il santo precursore un ange-letto tiene la spada e la palma del martirio, e di sotto incontro San Filippo un altro angeletto siede in terra tenendo il libro della sua regola e l'insegna sua del giglio (68)
Nella Chiesa de' Padri Cappuccini di Reims evvi il quadro con la Vergine sopra una nube col Bambino in grembo, a cui Sant'Antonio da Padova avvicinandosi su la nube ginocchioni offrisce il giglio della purità sua, assistendogli San Francesco, e conducendolo con una mano dietro la spalla, ed anch'egli umile e divoto con l'altra mano al petto in espressiva del suo amore. Di sotto vicino a terra dal lato destro del quadro v'è dipinto San Pietro a sedere, additando sopra la Vergine a Sant'Antonio Abbate in abito di romito, e la testa di questo Santo è ritratta alla similitudine di papa Urbano ottavo, conservandosi appresso di me e nel mio studio l'abbozzo primo di questa invenzione sopra di una picciola tela, quale da segno essere l'opera bellissima (69)
Molti quadri privati dipinse Andrea per il cardinal Antonio, che ora si serbano in casa Barberina, che per una somma eccellenza meritano di esser commendati fra' più rari dipinti dell'età nostra. Fra questi San Francesco che sposa la Povertà. Questo è un divoto concetto, essendo figurato il santo inginocchione presso una rupe avanti il crocefisso sollevato sopra un sasso; con due dita della mano tiene l'anello ed apre l'altra in espressione d'amore; la Povertà da un altro lato figurata in una donna lacera scalza e dimagrata in rotta veste addita a Francesco il crocefisso con la sinistra mano ed apre la destra per ricever l'anello dal Serafico, a' cui piedi giace rovesciata una coppa d'oro, sparse le monete in disprezzo e rifiuto delle ricchezze, in vece de' quali vi sono radiche, cipolle ed erbe. (70) Con questo, che è bellissimo, l'altro quadro delle tre Madalene: e sono tre Sante dal nome stesso sedenti su le nubi. La penitente sollevata in mezzo con una mano riceva da Santa Madalena de' Pazzi il giglio, con l'altra accenna il ciclo, al quale ascende per la castità e santità sua. Incontro vedesi Santa Madalena regina delle Indie, o sia della China, coronata di raggi d'oro fiammante, tiene carboni e fiamme nella destra in segno del suo martirio con bianca sopraveste tessuta di minuti animaletti, in abito peregrino. (71) Né di minor lode è il Battesimo e San Giovanni al fiume piegando un ginocchio sopra il sasso con la tazza versa l'acqua sopra il capo del Signore, servito dagli angeli. Il Padre Eterno s'apre di sopra in una gran luce ed addita il figliuolo diletto; l'invenzione è raddoppiata nell'altro Battesimo nel battistero di Costantino, in Laterano. (72) Trovasi ancora nel palazzo Barberino il bel modello della tavola grande che Andrea dovea operare nella Basilica Vaticana, quando Cristo disse a San Pietro: "Pasce oves meas"; figurato il Signore in piedi in atto di parlargli con altri apostoli appresso ed in lontananza e con un'apertura di mare, lasciate su la barca le reti. (73) Sopra un ramo dipinse Adamo che piange Abelle ucciso dal fratello e piega le ginocchia presso il cadavere ignudo disteso a terra, e per il duolo tiene una mano a gli occhi lacrimosi, e con l'altra aperta si lagna. (74) Fece Lot che avendo piantata la vigna e gustato la dolcezza del vino giace ignudo ubriaco con un braccio dietro il capo, e l'altro rilasciato con la tazza vota, rubicondo il volto e gl'occhi preso dal sonno; avanti Cam ridendo con ambe le mani accenna il padre ignudo iscoperte le vergogne, mentre gli altri due fratelli con la faccia avversa camminano all'indietro per non vederlo, avvicinandosi con il mantello spiegato su le loro spalle per ricuoprirlo. (75) Fece Agar con l'angelo che addita l'acque, disteso a terra il figliuolo moribondo per la sete. (76) Resta la favola di Dedalo che incera l'ali alla spalla d'Icaro, che nell'adattarsi le piume solleva il braccio ed in vaga attitudine volge il petto ignudo. (77)
In ultimo lasceremo memoria d'alcuni ritratti di questo maestro, ne' quali ebbe un raro talento per il suo buon colorito, essendo anche in questi eccellente, fatti in persona di soggetti illustri.
Fece il ritratto del padre Mostro, religioso di San Domenico mostruoso per l'ingegno e dottrina, che è una testa rotonda ed ispida dipinta in faccia per far meglio apparire il naso, che in altra veduta avrebbe troppo diminuito. (78) Nel viaggio di Lombardia passando Andrea per Bologna con le accoglienze usate con il suo maestro Albano, fece il suo ritratto, che serbò sempre mentre visse, restato poi degnamente al signor Carlo Maratti che lo serba ancora per il divoto affetto verso la memoria dell'Albano, e d'Andrea istesso, essendo eli un color fresco e rubicondo, come si conservava quel buono e venerando vecchio. (79) Era Andrea amicissimo di Gio. Cristolano insigne poeta e segretario del cardinal Gaetano, onde finse in mezza figura la pittura che, avendo dipinto il ritratto in un ovato con una mano l'addita, e con l'altra lo regge, e vi tien sopra la tavoletta ed i pennelli. (80) Fece il ritratto di monsignor Merlini auditor di rota ed insigne nelle dottrine legali disposto a sedere nello studio in zimarra con una mano appoggiata al bracciolo della sedia, mentre coll'altra tocca un foglio del libro aperto, quasi noti alla dottrina. (81)
Ma l'industria sua maggiore usò Andrea nel ritratto di
Marc'Antonio Pasqualini insigne musico del suo tempo nella voce di soprano, e suo amicissimo nella stessa corte del cardinal Antonio Barberini. Non è questo un semplice ritratto, ma un vaghissimo componimento, avendolo figurato in abito di pastore con Apolline che l'incorona. Tiene le mani sopra un cembalo, overo arpicembalo con li tasti, e con le corde alzate a guisa d'arpa, e suonando si volge in faccia in bellissima veduta al naturale. La veste è bianca sino al ginocchio con una pelle che s'attraversa dalla spalla. Incontro vedesi Apolline, che con una mano gli pone sul capo la corona di lauro, con l'altra tiene la lira al fianco. A piedi giace un satiro legato inteso per l'emulazione e maldicenze. (82)