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VITE DI ANDREA SACCHI

Giovanni Pietro Bellori
Giovanni Battista Passeri

a cura di
Bianca Tavassi La Greca

Il limbo: collana diretta da
Eugenio Bartolini

© UGO MAGNANTI EDITORE

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Introduzione
di Bianca Tavassi La Greca

Innanzitutto un breve profilo biografico di Andrea Sacchi, alla luce delle moderne acquisizioni critiche.
Ancora avvolte in qualche mistero le origini del pittore: nato presumibilmente a Nettuno nel 1599, compie la sua prima formazione presso un modesto pittore di Fermo, Benedetto Sacchi, dal quale sembrerebbe aver preso mediante adozione il cognome.(1) Passa poi alla scuola di Francesco Albani cui viene affidato dal suo stesso maestro e, dopo un breve soggiorno a Bologna, giunge a Roma nel 1621. Già in questi primi anni di studio si accende l'interesse per le opere di Raffaello e di Annibale Carracci. Due i suoi principali mecenati che gli consentono di farsi conoscere al grande pubblico romano: il cardinale Francesco Maria Del Monte e il cardinale Antonio Barberini.
Del primo periodo di attività si ricordano soprattutto la Visione di S. Isidoro (1621-22), dipinto per la chiesa omonima a Roma, la Madonna di Loreto con i SS. Eartolomeo, Giuseppe, Giacomo di Compostela e Francesco (1623-24), per la chiesa di S. Francesco a Nettuno e S. Gregorio e il Miracolo del Corporale per la basilica di S. Pietro a Roma, ora nella Pinacoteca Vaticana. Tali opere, realizzate per l'intercessione del cardinale Del Monte, rivelano già stilemi assimilati dalla pittura della scuola emiliana e una tendenza complessiva di chiara matrice classica.
Alla morte del cardinale Del Monte, il cardinale Antonio Barberini, oltre a divenire suo mecenate, gli procura i favori di Papa Urbano Vili intento, proprio in quegli anni, nella scelta degli artisti destinati a narrare le glorie della famiglia: di qui l'incarico, intorno agli anni trenta del '600, per l'affresco del Trionfo della Divina Sapienza a Palazzo Barberini (1629-31), che lo pone in competizione e al tempo stesso in contrapposizione con Pietro da Cortona, a sua volta incaricato di dipingere il Trionfo della Divina Provvidenza nella volta del salone principale del palazzo.
Andrea Sacchi a quella data ha appena terminato gli affreschi per la Villa Sacchetti ora Chigi a Castel Fusano, di cui sono note in particolare le Allegorie delle Stagioni.
Di questi anni ricordiamo fra le altre opere, la Nascita della Vergine, conservata al Museo del Prado a Madrid, la Visione di S. Romualdo, per la chiesa omonima a Roma, ora nella Pinacoteca Vaticana, nella quale il pittore mostra di aver raggiunto la piena maturità: l'abilità compositiva nella collocazione delle figure entro lo sfondo paesistico si sposa ad una resa introspettiva dei personaggi, il tutto ottenuto attraverso una padronanza cromatica che consente all'artista di graduare con effetti luminosi sorprendenti le varie tonalità di bianco delle vesti dei frati che si affollano nel dipinto.
Sempre per il cardinale Antonio si ricordano le tele per la chiesa dei Cappuccini a Roma, La Visione di S. Bonaventura e S. Antonio da Padova resuscita un morto, quest'ultima iniziata prima e terminata nel 1633. Intorno a questa data sono anche da collocare le pale d'altare per la cripta della basilica di S. Pietro, in corrispondenza ai soggetti delle sculture poste nelle nicchie dei piloni della chiesa superiore.
Terminati i lavori di S. Pietro, Andrea Sacchi compie un viaggio nell'Italia settentrionale fra l'estate del '35 e l'autunno del '36, intrapreso, come narrano i biografi, per conoscere "il nuovo colorito di Lombardia". Tappe del suo viaggio sono Bologna, Parma, Milano, Mantova, Ferrara e Venezia. Al ritorno a Roma completa l'esecuzione della Visione di S. Bonaventura commissionata, come si diceva, per la chiesa dei Cappuccini di S. M. della Concezione, dove risulta evidente la presenza di nuove componenti cromatiche e compositive, in particolare venete ed emiliane, assimilate durante il soggiorno nell'Italia settentrionale.
I lavori nella chiesa di S. M. sopra Minerva, nel soffitto della sacrestia del 1637, risentono ancora dell'impatto con la grande decorazione veneta; la critica ipotizza inoltre proprio in questa chiesa una attività di architetto già ricordata dalle fonti.
Degli anni '39-'49 le tele con Storie del Battista dipinte per il Battistero Lateranense, nelle quali è evidente la ormai piena assimilazione della pittura emiliana; tra le opere tarde si segnala la Morte di S. Anna nella chiesa di S. Carlo ai Catinari a Roma ('48-'49): in essa si avverte la forte presenza di una meditata rilettura dei dipinti di Raffaello, ed una eco delle opere di Poussin e di Duquesnoy.
Non meno interessante l'attività sacchiana nell'ambito della ritrattistica tesa ad una moderna introspezione psicologica, pur sempre entro una visione complessiva decisamente classicistica. Andrea Sacchi muore a Roma nel 1661. Amico di Bellori e di Andrea Duquesnoy - "amorevolissimo d'Andrea", lo definisce lo stesso Bellori- è stato maestro di Carlo Maratti per il quale ha nutrito grande ammirazione e, in qualche modo, anche Poussin gli è debitore per la sua formazione. Nel complesso la sua produzione risente dell'influsso dell'opera di Raffaello, della pittura emiliana, a partire da Correggio, via via attraverso gli esponenti dell'Accademia degli Incamminati, con una specifica, ancorché saltuaria connotazione coloristica di marca lanfranchiana.
Nell'affrontare uno studio su Andrea Sacchi, non possiamo fare a meno di prendere le mosse dalla testimonianza delle fonti coeve: nel caso specifico ci soccorrono gli scritti di due grandi personalità del secolo, G. B. Passeri (1610-1679) e G. P Bellori (1615-1696), due teorici di calibro iverso, ma ambedue fortemente rappresentativi, nella specificità delle rispettive posizioni, della cultura del secolo.(2) analisi delle biografie che i due scrittori dedicano al os ro autore segna un punto di partenza quanto mai suggestivo per l'interpretazione critica della sua opera.
Mi sembra quindi ottima occasione di studio mettere a confronto i due testi, derivati l'uno dall'altro, molto simili nelle valutazioni, eppure differenti per alcuni aspetti peculiari che sarà utile evidenziare. Si potranno in tal modo tratteggiare le diverse sfumature interpretative, sia pure all'interno di una stessa corrente di pensiero, quella di indirizzo classico, che permea un notevole settore della critica d'arte del '600.
Cominciamo col delineare brevemente i caratteri distintivi di queste due personalità, in merito al testo che ambedue dedicano alle biografie degli artisti. La loro opera si inserisce a pieno titolo, ma con connotazioni differenti, entro la tradizione avviata da Giorgio Vasari: lo storico aretino è, come si sa, l'iniziatore di un genere letterario che avrà molta fortuna soprattutto nel '600, tracciando una storia dell'arte attraverso i secoli mediante la stesura delle biografie degli artisti che hanno operato in successione cronologica.
Entro questa tradizione letteraria si inseriscono tra gli altri, come si diceva, G. B. Passeri e G. P. Bellori: tra le differenze che contrappongono queste due personalità e i loro scritti, metterò in rilievo, per attenermi al tema circoscritto, quelle più strettamente pertinenti alla biografia di Andrea Sacchi.
G. B. Passeri, con le Vite de' pittori, scultori ed architetti, si riallaccia, entro la tradizione vasariana, a Giovanni Baglione, le cui biografie di artisti sono organizzate secondo un criterio storico che abbraccia gli anni dei pontificati che si susseguono a partire dal 1572 fino a giungere al 1642.3 Le Vite di Passeri hanno un sottotitolo che specifica a sua volta l'ambito cronologico della trattazione: si tratta di autori che hanno operato a Roma, morti nel periodo compreso fra il 1641 ed il 1673.
Bellori viceversa che, come citano le fonti, afferma espressamente di volere anch'egli proseguire l'opera vasariana, in realtà se ne distacca metodologicamente: il criterio storico-cronologico è accantonato a favore di un criterio antologico-selettivo che indica chiaramente l'orientamento teorico e il gusto dell'autore. Non potremmo spiegare diversamente la stesura delle 12 biografie pubblicate nel 1672, cui saranno aggiunte postume tre altre -fra le quali quella appunto di Andrea Sacchi- che l'autore non fece in tempo a dare alle stampe in vita(4) Difatti Bellori stesso, nella prefazione al lettore, programmaticamente afferma di essersi accinto a scrivere, "raccogliendo l'opere e li fatti di alcuni pochi artefici", in quanto non ci si deve assuefare "ad udire le lodi di quelli che non meritano di essere commentati".(5)
Non solo: scorrendo i nomi degli artisti selezionati, ci rendiamo conto che nel campo dell'architettura un colpo di spugna ha cancellato i grandi protagonisti della Roma barocca e, se l'assenza di Gian Lorenzo Bernini può essere giustificata dal fatto che l'autore era ancora in vita al tempo della pubblicazione, non si può dire altrettanto per Francesco Borromini e Pietro da Cortona. Bellori, come unico rappresentante dell'architettura, ripesca un grande protagonista della generazione precedente come Domenico Fontana, protagonista sì, ma comunque di un calibro diverso dal punto di vista qualitativo rispetto agli architetti della grande stagione barocca.
Nel settore della scultura, scegliendo fra gli italiani il solo Alessandro Algardi, non a caso emiliano, ritiene opportuno affiancargli il fiammingo Duquesnoy, legato strettamente nel circolo romano a Poussin e al suo ambito di matrice classicistica. E, ignorando ancora una volta Bernini, il cui successo al servizio dei pontefici è ormai incontrastato e pienamente consolidato, sorprendentemente afferma: "alla Scoltura manca sin'hora lo scultore, per non essersi questa inalzata al pari della pittura sua compagna".(6)
Nell'ambito della pittura infine la sua scelta è ugualmente mirata e gli esponenti della scuola emiliana sono di gran lunga preferiti agli altri, in una selezione di chiaro orientamento classico, dove la presenza di Caravaggio, di van Dyck e di Rubens, cui non sono risparmiate ampie critiche, assume un sapore di impossibilità di esclusione: l'autore pensa evidentemente di non potersi sottrarre alla valutazione di questi grandi protagonisti del secolo.
Altro particolare da aggiungere a tali considerazioni riguarda l'introduzione che Bellori premette al testo delle biografie, l'Idea dell'Arte: si tratta di una conferenza da lui pronunciata presso l'Accademia di S. Luca nella quale, accanto alle critiche feroci espresse nei confronti dell'architettura del tempo, si enunciano i princìpi cui devono attenersi gli artisti per giungere alla perfezione nei confronti del modello da imitare: la natura va emendata dei suoi difetti e, solo attraverso lo studio degli antichi, l'artista potrà avvicinarsi a quello che è considerato da Bellori l'ideale dell'arte: "li pittori e gli scultori scegliendo le più eleganti bellezze naturali, perfezionano l'idea, e l'opere loro vengono ad avanzarsi e restar superiori alla natura, che è l'ultimo pregio di queste arti".(7) È perciò necessario "lo studio dell'antiche sculture le più perfette, perché ci guidino alle bellezze emendate della natura".(8) Partendo da questi presupposti Bellori, pur apprezzando la svolta operata da Caravaggio nei confronti del Manierismo: "Giovò senza dubbio il Caravaggio alla pittura, venuto in tempo che, non essendo molto in uso il naturale, si fingevano le figure di pratica e di maniera",9 non può valutare positivamente gli esiti della sua pittura: "Datesi (...) egli a colorire secondo il suo proprio genio, non riguardando punto, anzi spregiando gli eccellentissimi marmi de gli antichi e le pitture tanto celebri di Rafaelle, si propose la sola natura per oggetto del suo pennello".(10)
Viceversa Passeri, allievo di Domenichino, amico di Algardi, quindi a contatto con la medesima congerie culturale del '600, intuisce con sagacia critica anche il valore della corrente più eversiva del secolo ed esprime in questa ottica un interessante giudizio positivo sul "capriccio": "La architettura ha pure nome di loro sorelle (della pittura e della scultura) mentre da un padre medesimo vien generata; ma con mezzi troppo diversi si fa conoscere: se bene tutte e tre, col capriccio, con la novità, e con l'invenzione porgono un dolce nutrimento alla curiosità".(11)
Per chiarire ulteriormente il divario che separa le concezioni di questi due teorici, basti affiancare a tale enunciato, un passo dell'Idea di Bellori, relativamente all'architettura: "Affaticaronsi Bramante, Rafaelle, Baldassarre, Giulio Romano ed ultimamente Michel Angelo dall'eroiche ruine restituirla alla sua prima idea ed aspetto, scegliendo le forme più eleganti de gli edifici antichi. Ma oggi in vece di rendersi grazie a tali uomini sapientissimi, vengono essi con gli antichi ingratamente velipesi (...). Ciascuno però si funge da se stesso in capo una nuova idea e larva di architettura (...). Tanto che deformando gli edifici e le città istesse e le memorie, freneticano angoli, spezzature e distorci-menti di linee, scompongono basi, capitelli e colonne, con frottole di stucchi, tritumi e sproporzioni".(12) E ancora: "L'architettura sollevata da Bramante, da Rafaelle e dal Buonarroti nello studio di pochi Architetti, cadde ben tosto e venne meno sino alla corruttione dell'età nostra".(13)
In conclusione, prima di affrontare l'esame delle due biografie di Andrea Sacchi, giova sottolineare la diversità di approccio verso l'arte del secolo da parte dei due teorici: Bellori, il cui spessore critico non può essere assolutamente sottovalutato, tanto da poterlo considerare senza ombra di esitazione il più grande teorico del '600 nel settore storico-artistico, dimostra una incomprensione totale verso una corrente dell'arte del XVII secolo, quella che potremmo chiamare la più eversiva, nei confronti della quale Passeri intuitivamente esprime un'entusiastica adesione.
E veniamo nel merito dell'esame valutativo dei due testi. Diciamo subito che la critica, attraverso l'analisi di alcuni particolari, sui quali mi sembra inutile tornare, in quanto ininfluenti per la nostra indagine, è giunta alla conclusione che Bellori abbia preso visione della biografìa sacchiana di Passeri, (14) che ne segua nel complesso la stesura e ne riprenda anche alcuni episodi salienti e coloriti, fra i quali quello famoso relativo a Domenichino paragonato ad un venditore di tessuti più fornito di merci rispetto ad altri.
Inoltre Bellori, le cui biografie hanno un'estensione più ampia rispetto a quella degli autori coevi, grazie alla dettagliata descrizione delle singole opere citate, formalmente curata anche da un punto di vista letterario, si è valso altresì di ulteriori fonti che rendono il suo testo più ricco di informazioni.
Vediamo in dettaglio il complesso di notizie biografiche coincidenti fornite dall'uno e dall'altro autore: la prima formazione di Andrea Sacchi presso il padre, mediocre pittore, e poi quella determinante presso Francesco Albani che, constatata la grande abilità nel disegno del giovane allievo, lo spinge a saggiare quella stessa abilità nell'uso dei colori; il mecenatismo nei suoi confronti prima del cardinale Francesco Del Monte e poi del cardinale Antonio Barberini che facilitano gli inizi del pittore, oltre a costituire veicoli di introduzione presso le autorità e le grandi famiglie romane per le importanti committenze pubbliche e private; il viaggio nell'Italia settentrionale con tappe in Lombardia, Emilia e Veneto, con una sosta privilegiata a Parma per prendere visione diretta della pittura di Correggio; la tendenza del pittore a non accettare molto lavoro e ad eseguirlo con una certa lentezza; il discepolato presso Sacchi di Carlo Maratti per il quale il maestro nutre grande ammirazione riponendo in lui molte speranze di successo.
E, a proposito della lentezza esecutiva di Sacchi, Bellori riporta l'accusa corrente di pigrizia, di cui viene tacciato il pittore, che in un passo così giustifica: si tratterebbe piuttosto di una certa tendenza al perfezionismo, sintomo di rara e lodevole modestia caratteriale. Altrove però ammette: "Ma per ritornare alla tardanza d'Andrea nell'opere sue (...) non si può nulladimeno negare ch'egli non si distraesse agl'agi ed alle commodità, le quali lo rendeano lento alle fatiche".(15)
Anche Passeri, che in un punto descrive il pittore come mai contento di sé e quindi ingiustamente rimproverato per la sua pigrizia, in un altro passo della biografia mostra invece di allinearsi all'opinione corrente quando definisce Sacchi "vago della pigrizia, ed amico del riposo" e altrove conferma: "fu sempre pigro e rincrescioso della fatica".
Entrando poi nel merito del giudizio critico espresso concordemente dai due, viene attribuita ad Andrea Sacchi una grande ammirazione emulativa nei confronti di Raffaello e di Annibale Carracci, nonché di Correggio e di Domenichino. In particolare la venerazione per Raffaello ed Annibale Carracci è tale da diventare ostacolo, a detta dei due critici, per la sua stessa carriera: l'artista nei loro confronti confessa la inadeguatezza della sua statura di pittore e si ritrae di fronte ad alcuni incarichi prestigiosi.
Ambedue i critici infine gli riconoscono grande abilità compositiva nei dipinti, sapienza nell'organizzazione generale dell'insieme, come nella cura dei particolari, nonché una lodevole e mai rinnegata adesione al naturale: "Mai trascorse linea o tratto de' pennelli fuori de' termini della buona imitazione del naturale" per Bellori; "fu sempre osservatore del naturale" per Passeri. Ambedue concordano altresì nell'apprezzamento per l'abilità disegnativa del pittore: in gioventù -secondo Bellori- l'esercizio "sull'opere di Rafaelle e sulle statue e marmi antichi" lo porta ad essere considerato "il miglior disegnatore che fosse in Roma". "La diligenza e 'l finimento che dalla giovanezza usò ne' suoi disegni, ritenne appresso in tutta l'età sua". "Andrea -secondo Passeri- disegnò sempre con grande accuratezza, e curiosità, nel modo, e nello stile di gusto assai raffinato, e profondo": che, "com'ei diceva" è il disegno "fondamento principale del pittore".
Di più: nell'analisi della pala della Visione di S. Romualdo, che ancora oggi gli studiosi ritengono una delle migliori opere di Andrea Sacchi, viene apprezzata e messa in rilievo da ambedue i critici la grande abilità cromatica dell'artista, che riesce ad assegnare valori luminosi diversi alle varie tonalità di bianco delle tonache dei monaci che si accalcano nel dipinto. "Andrea avendo necessità di rappresentare un'istoria con figure tutte coperte di bianco e di una forma d'abito sola senza varietà alcuna di panni e d'ignudi, pigliò il ripiego di quell'albero (...) con un ramo pendente e con una massa di frondi sopra il tronco oscuro, (...) penetrando di sopra qualche raggio di sole all'armonia dell'ombra e de' lumi con artificio singolarissimo. Lo stile de' panni non può riuscir migliore nell'ampiezza di quegl'abiti religiosi disciolti in vari lembi delle maniche ed estensione della cocolla; sembra ancora effetto molto ben considerato e nuovo il prodursi di quella continua bianchezza un temperamento non minore di quello che possono dare gli altri colori con la varietà loro alla vista non solo per la forza del chiaro scuro, ma per una certa varietà, alla quale giova una quasi insensibile impressione di giallezza, che mitiga il continuo biancore della saia degli abiti": così si dilunga Bellori. Più sinteticamente, ma con valutazione analoga, Passeri si esprime nel seguente modo: "II componimento più ingegnoso di quel quadro, è il partito di un albero, che sbatti-menta alcuni di quei monaci bianchi per aver campo e servirsi di quell'ombra nella necessità in cui era di rappresentare figure tutte di un abito medesimo, di un istesso colore, e quasi di uniforme sembianza; non so, come sarebbe riuscito ad un altro risolversi con tanta prudenza".
Questi in sintesi i giudizi di valore coincidenti che si possono estrapolare dalle biografie su Andrea Bacchi dei due teorici coevi.
In quanto alle diversità, cominciando dalle informazioni, a parte la piccola discordanza sulla data di nascita e la non perfetta coincidenza delle opere citate, anche sotto il profilo cronologico, notiamo che il discepolato di Andrea Sacchi presso il cavalier d'Arpino è ricordato soltanto da Bellori, come soltanto da questi è citato il premio ricevuto da Andrea dall'Accademia di S. Luca per l'abilità disegnativa, nonché il rifiuto del pittore, per dichiarata inadeguatezza, di fronte alla prestigiosa commissione del dipinto su tavola della S. Petronilla per la basilica di S. Pietro.
Viceversa solo Passeri ci informa dei brevi rapporti intercorsi tra il pittore e il principe Don Camillo Pamphili (per i lavori della villa del Bel Respiro), della cui scarsa liberalità l'artista non rimane soddisfatto e degli altrettanto brevi rapporti con Papa Alessandro VII Chigi che chiede al pittore un segno della sua abilità e, accortosi che l'opera ricevuta in dono non è altro che frutto di un assemblaggio di due opere già eseguite in precedenza, lo allontana da sé definitivamente; Andrea "raccozzò due vecchie tele da lui dipinte" e il papa "se ne sdegnò giustamente, e gli perdette ogni affezione": con tali termini pittoreschi ed espressivi ci narra l'episodio Passeri.
Sul piano dei giudizi critici, tra le divergenze interpretative, mi sembra utile citare la differente valutazione data al viaggio intrapreso dal pittore nell'Italia settentrionale: Bellori ne vede gli esiti positivi in un addolcimento sfumato del colore dovuto alla visione diretta dell'opera di Correggio: "allettato dalla soavità del Correggio, s'addolci in una maniera più sfumata della prima"; Passeri, pur ammettendo che il cuore di Andrea "era rimasto in Parma nell'opere di Antonio da Correggio", ne da in definitiva una interpretazione decisamente negativa: a suo dire i dipinti di Sacchi subiscono, a seguito del viaggio, un chiaro processo involutivo; nelle opere eseguite subito dopo, si coglie una eco di influenze di diversi artisti e non è più riconoscibile il suo stile personale: "l'andar girando il mondo non è cosa da pittore già stabilito; ma da giovane vagabondo non ancora assodato; perché in vece di guadagnare vi si perde, riducendosi ad un segno, che non è più né di se stesso, né di altri".
In conclusione, nella stesura delle due biografie, salva la maggior ampiezza data da Bellori al racconto particola-reggiato della vita del pittore e alla descrizione analitica delle sue opere, queste in sintesi le disparità salienti, che si rivelano nel complesso piuttosto marginali.
Ma, leggendo più attentamente i due testi, emerge tra le righe una componente di notevole peso che non è stata finora individuata, ma che ci da la misura della diversità di vedute che caratterizza i due teorici. Tale difformità di concezione trapela nel resoconto dei lavori effettuati per l'affresco di Palazzo Barberini, il Trionfo della Divina Sapienza. Bellori, dopo una analitica descrizione del dipinto, ne mette in evidenza la varietà piena di grazia, maestà e decoro delle figure femminili, nella disposizione, nelle attitudini, negli abbigliamenti e nei moti espressivi; inoltre è posta all'attenzione del fruitore il "gratissimo temperamento dei colori" espresso "con soavità e tenerezza", l'esattezza dell'impianto disegnativo che denota l'attenzione del pittore non solo alla costruzione generale della scena, ma anche ai singoli particolari: "Andrea non soddisfece solo alla disposizione universale ma alle bellezze particolari". "Questo pittore -conclude Bellori- da ogni parte si conferma il merito e la lode di ogni età futura".
Analogamente Passeri si dilunga nella descrizione dell'affresco, sottolineando la bellezza complessiva della rappresentazione, la grandezza dell'artista nel "maneggio del colore", la perfezione nel disegno, l'abilità nel panneggiare, come nel delineare le nudità dei corpi femminili: è insieme un'opera "copiosa di tutte quelle parti, che si richieggono ad un gran pittore". "Il componimento riesce nobile, e maestoso, e l'elezione del tutto è mirabile; le parti sono scelte, e praticate con giudizio, e sapere non ordinario; nel disegno riesce aggiustata". In aggiunta riconosce ad Andrea Sacchi un alto livello tecnico di pittura a fresco, il "migliore, che si sia mai praticato, con qualche ritocco solito, e necessario a questa operazione".
Vale però la pena di sottolineare una osservazione di Passeri: notando che la sede dell'affresco sia la volta di "una di quelle piccole camere" di Palazzo Barberini -Bellori parla invece di una "camera grande d'udienza"- conclude: "Ancorché quella volta sia di non molta grandezza, l'ha Andrea con tale artificio, e nobiltà resa sì vasta, che l'occhio non è bastante ad esserne capace". Deplora infine che il pittore, per una congenita pigrizia ed una certa tendenza al perfezionismo, non abbia eseguito molte opere di questa portata e complessità.
Da questo passo possiamo enucleare, anche se non apertamente dichiarato, un importante elemento di giudizio: l'incarico di affrescare il soffitto di una "piccola camera" del palazzo sottende, nel racconto di Passeri, la posizione marginale di Andrea Sacchi nella considerazione dei Barberini, che riservano ad altro artista il compito di decorare il salone più prestigioso destinato alla raffigurazione della gloria della famiglia. Forse per il teorico anche la tendenza del pittore a sottrarsi di fronte ad incarichi prestigiosi induce necessariamente la committenza a rivolgersi ad altri artisti. "Nessuno profetizza in patria", commenta altrove Passeri, volendo significare appunto la non totale adesione alla sua opera da parte del pubblico romano.
Bellori viceversa, a proposito dell'affresco sacchiano di Palazzo Barberini, fa riferimento ad "una camera grande d'udienza", e accenna, ponendola sullo stesso piano e senza darle rilievo alcuno, alla commissione affidata contemporaneamente a Pietro da Cortona per la volta "della sala" del palazzo: tale definizione anonima ne ridimensiona indubbiamente l'importanza, capovolgendo addirittura i ruoli dei due artisti. Allude anche all'emulazione che si sarebbe creata fra i due pittori "i migliori di tutti i giovani che in quel tempo sorgevano alla fama"; informa altresì il lettore che Andrea Sacchi termina la volta della camera di cui gli era stata affidata la decorazione nel 1634, "sei anni prima che Pietro da Cortona terminasse l'altra volta maggiore della sala, avendo tanto più commosso l'aspettazione e la speranza nella concorrenza di questa altra".
In realtà l'affresco della Divina Sapienza è scoperto nel 1631, non nel 1634, dopo poco più di due anni di lavoro e 1 aspettativa e il plauso per l'opera cortonesca non fu certo inferiore a quella di Andrea Sacchi, anzi fu certamente superiore, data la ricchezza, il fasto, la libertà immaginativa, e la complessità allegorica che la sottende.
Noi sappiamo inoltre che i due affreschi eli Palazzo Barberini sono stati oggetto di una disputa intellettuale all'interno dell'Accademia di S. Luca che vede schierato su due fronti il pubblico colto del tempo:(16) si trattava di stabilire se fosse preferibile, all'interno di una composizione pittorica con significato allegorico di ampio respiro, restringere la rappresentazione a pochi personaggi essenziali di chiara leggibilità interpretativa, in una unità ideale di tempo e di spazio, oppure arricchire la stessa di un numero imprecisato di figure con tempi narrativi differenziati e dislocazioni svariate e imprevedibili. L'episodio, che ebbe una certa risonanza nella società colta del tempo, non è minimamente riportato né dall'uno né dall'altro autore.
Bellori accenna alla compresenza dei due artisti nello stesso palazzo e, distorcendo i fatti alla luce della sua angolazione poetica di chiara e univoca matrice classicheggiante, riferisce di una accoglienza più calda riservata dal pubblico all'opera sacchiana rispetto a quella cortonesca. Non a caso Bellori non ritiene opportuno inserire nelle sue Vite Pietro da Cortona, escludendo con disinvoltura dal panorama culturale pittorico del '600 romano la prestigiosa attività di questo artista.
Passeri passa anch'egli sotto silenzio la disputa sorta in relazione agli affreschi dei due pittori all'interno di Palazzo Barberini, ma inserisce a pieno titolo Pietro da Cortona nel novero degli artisti protagonisti delle sue Vite e, proprio a proposito del grande affresco per i Barberini si esprime con palese entusiasmo: "è un'opera meravigliosa, di grande studio, e fatica, e degna di somma lode per essere ingegnosa nell'invenzione, copiosa nel componimento, studiosa, e in un atto mirabile, abbondante, e vaga nell'ornamento, e condotta con tale maestria di pennello, che pare tutta dipinta in un giorno, e pare a me difficile, che possa vedersene di altro pittore una simile, che abbia unite tante belle qualità in una sola, e questo sia detto a chi guarda l'opere altrui senza l'occhio dell'invidia".(17) In particolare quest'ultima frase può forse alludere alla contesa sorta a proposito del modo differente impiegato dai due artisti coevi di rappresentare in affresco una complessa figurazione allegorica così ricca di motivi da interpretare e della reazione discordante del pubblico a riguardo.
In effetti, andando a ritroso nel tempo, nel panorama artistico romano, per trovare una composizione di grandiosità comparabile a quella cortonesca, si deve risalire alla decorazione carraccesca della Galleria Farnese, dipinta quarantenni prima. E la grandezza di Pietro da Cortona sta proprio nel fatto che egli parta da quella composizione per rivoluzionarla in una concezione rinnovata di svolta, dando corso ad un nuovo modo di concepire la decorazione di soffitti di grandi palazzi aristocratici. Senza voler sminuire assolutamente il dipinto Bacchiano, di alto livello qualitativo, ma non di portata rivoluzionaria, quello di Pietro da Cortona apre una nuova strada nel settore dell'arte pittorica. L'unità di spazio e di tempo del dipinto cortonesco esiste e non contrasta affatto con la esuberante capacità immaginativa del racconto: vi è una prospettiva centrale all'interno della quale si aprono ulteriori numerose prospettive e gli episodi si legano fra loro con una libertà inventiva che non ha precedenti in questo tipo di composizione.ls Anche dal punto di vista contenutistico, il tema viene sviluppato con una commistione di sacro e profano, che vede senza contrasto alcuno la gloria del potere spirituale incarnato dalla figura del pontefice Urbano VIII e insieme del potere temporale incarnato dalla famiglia dei Barberini. Vediamo in concreto i termini della polemica che prende l'avvio all'interno dell'Accademia di S. Luca, di cui era principe proprio Pietro da Cortona negli anni che vanno dal 1634 al 1638. Il dibattito avviato da Sacchi comincia nel 1636, quando la Divina Sapienza era già stata mostrata al pubblico e prima che lo fosse il dipinto cortonesco della Divina Provvidenza. Sacchi in certo qual modo difende il suo modo di dipingere di fronte alla novità sovvertitrice del dipinto cortonesco che apre l'era della pittura barocca, di cui evidentemente si comincia già a parlare.
La disputa si accende, come si diceva, proprio sul modo di concepire la composizione pittorica e vede sui due versanti Sacchi che difende la limitazione di figure di chiara e immediata leggibilità e comprensione, in nome di un'adesione ai princìpi dell'arte classica; Cortona che, richiamandosi agli stessi princìpi del Classicismo, rivendica la libertà dell'artista a non limitarsi nella rappresentazione a un numero scarno di personaggi.
La discussione accademica, che in sé ha scarso rilievo, nasconde in realtà ben altro: in nome dello stesso Classicismo si delineano due percorsi alternativi, dei quali uno eli portata rivoluzionaria che apre la nuova era della pittura barocca, l'altra, non meno interessante, ancorché più allineata a quelli che erano i princìpi teorici anticipati da monsignor Agucchi, ripresi e codificati organicamente da Bellori.
Leggiamo analiticamente l'affresco Bacchiano di Palazzo Barberini: eliminata la cornice architettonica, l'autore ha posto quattro figure femminili agli angoli. Su uno sfondo di ciclo azzurro solcato da nuvole si stagliano 14 figure simboliche e un'enorme sfera rappresentante il mondo. La concezione è chiara e lineare, così come sono composti i gesti e gli atteggiamenti delle figure. È la misura e la sobrietà compositiva del dipinto sacchiano che segna la differenza di fronte al movimento agitato e vorticoso dei personaggi di quello cortonesco.
Prendendo spunto da un documento conservato nella Biblioteca Barberini riassumiamo brevemente l'intera raffigurazione nelle sue componenti: la Sapienza armata è rappresentata in atto di comandare l'Amore e il Timore, suoi divini arcieri, che rivolgono i loro strali al bersaglio del Mondo per colpire in maniera salutare gli animi degli uomini. Seduta su un trono celeste e coronata da regina è vestita di bianco e circondata di luci. Ha in mano uno specchio, ha il sole disegnato in petto e regge con la destra uno scettro. Le donne che la circondano con simboli di varie costellazioni rappresentano i suoi attributi: la Divinità col triangolo simbolo dell'unità dell'essenza e trinità delle persone; l'Eternità col serpe; la Schiettezza o Purezza col cigno; la Perspicacia con l'aquila; la Santità con l'altare; la gellezza con la chioma di Berenice; la Soavità con la lira; la portezza con la clava; la Beneficenza con la spiga; la Giustizia con la bilancia; la Nobiltà con la corona. L'Amore giovinetto cavalcando il Icone celeste scaglia una freccia d'oro; il Timore, seduto sulla costellazione del lepre, ne lancia una d'argento. La rappresentazione, pur con lievi varianti interpretative, doveva alludere alla casa dei Barberini, scelti da Dio per governare la Chiesa con sapienza.
Il testo, così riassunto, indica la sua fonte nella VII e VIII parte dell'apocrifo Libro della Sapienza eli Re Salomone (Liber Sapientiae). (19)
In sostanza Sacchi lega il suo modo di dipingere alle regole e ai princìpi della retorica; non a caso, in tutt'altra occasione, rivolgendosi a Francesco Lauri, così afferma: "Io stimo e credo che i pittori dagli oratori deggian pigliare i concetti".(20) Il numero delle figure del suo affresco è agevolmente decodificabile seguendo con attenzione il testo da cui deriva.
Pietro da Cortona viceversa si muove su un piano assolutamente antitetico: le sue innumerevoli figure, non tutte necessarie alla rappresentazione del tema, producono un effetto di piacevolezza puramente visiva non strettamente legato alla traduzione del testo letterario da cui dipendono. La persuasione cui tende l'artista avviene su un piano di inganno psicologico ben diverso dalla interpretazione letteraria dello scritto.(21) Ed ecco come Pietro da Cortona difende la sua opera: "Procuri il pittore di esprimere con molta varietà di cose la sua dipintura. In un'opera grande conviene far comparire uomini, donne, vecchi, giovani, ed anco fanciulli, paesi, città, campagne e tratti di mare con altre cose varie (...) per quanto comporta il decoro della storia o del soggetto che devesi rappresentare. Imperciocché come molti e graziosi fiori rendono vago e grazioso a tutti un bel giardino, così molte e varie figure cagionano che un'opera sia tale che tutti vi trovino materia per riceverne molto compiacimento".(22)
In conclusione, dalle notizie fornite su Sacchi dai due teorici del '600, andando al di là delle semplici notizie biografiche, tra le righe possiamo intrawedere quella duplicazione di tendenze che nella prima metà del secolo cominciava a profilarsi nell'ambito della stessa corrente classicistica, che a sua volta contrastava il filone pittorico più rivoluzionario facente capo a Caravaggio.
Bellori sembra ignorare il tipo di pittura ricca di libertà immaginativa che avrà esito nella grande decorazione barocca; Passeri mostra invece di avveclersene e il suo apprezzamento a riguardo è chiaramente positivo.
Il giudizio dei due autori su Sacchi apparentemente coincide: "Non era Andrea né capriccioso né veloce né riscaldato da fervore all'operare, ma sempre si mosse coll'ingegno cauto e maturo (...). Egli sempre andò ritenendo nel produrre e perfezzionare i suoi parti, né mai trascorse linea o tratto de' pennelli fuori de' termini della buona imitazione del naturale", afferma Bellori; "Andrea disegnò sempre con grande accuratezza, e curiosità, nel modo, e nello stile di gusto assai raffinato, e profondo; ben è vero che non fu molto copioso, ed abondante ne' componimenti, e nell'istorie non apparve molto ricco, e capriccioso; ma fu sempre osservatore del naturale", conclude Passeri, avanzando con quel "ben è vero", "ma", qualche riserva che noi sappiamo non pronunciare di fronte all'affresco cortonesco, che rappresentava appunto il filone alternativo di novità di una diversa tendenza che si stava delineando proprio in quegli anni nel panorama artistico della pittura del '600 romano.
Diversamente Bellori esprime nei confronti di Andrea Sacchi e quindi della tendenza pittorica operante nei limiti del Classicismo tradizionale, un giudizio di consenso assoluto, al punto da assegnare al nostro autore la palma di numero uno a Roma per due specifici aspetti: la grandezza nella rappresentazione della pittura di storia e l'eccellenza nel colorire: nella pittura di storia "egli veramente superò gli altri pittori suoi eguali"; nel colorito "s'avanzò sopr'ogn'altro pennello del suo tempo, onorando la scuola di Roma nel colore, mostrandosi de' Carracci sempre seguace e rampollo".


NOTE

(1) Su Andrea Sacchi cfr. in particolare lo studio di H. Posse, Der Rómische Maler Andrea Sacchi, Leipzig 1925, l'ottima monografia di A. Sutherland Harris, Andrea Sacchi, Oxford 1977 e il più recente volume di A. d'Avossa, Andrea Sacchi, Roma 1985, con relativa bibliografia. Cfr. anche D. Gallavotti Cavaliere, D'Andrea Sacchi, in L. Pascoli, Vile de' pittori, scultori, ed architetti moderni, Roma 1730-1736; ed. critica dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992, 73-78.

(2) G. B. Passeri, autore delle Vite de' pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673, pubblicate a Roma soltanto nel 1772, la cui prima edizione critica risale al nostro secolo: J. Hess, Die Kunstlerbiographien des G. B. Passeri, "Wiener Jhb fur Kg", 1928, 7-70. G. P. Bellori, autore di Le Vite de' pittori, scultori e architetti moderni, Roma 1672. Come premessa alle Vite, è inserito il discorso pronunciato dall'autore presso l'Accademia di S. Luca nel 1664, LIdea del pittore, dello scultore e dell'architetto. Si cfr. l'edizione critica, a cura di E. Borea, con Introduzione di A. Previtali, Torino 1976, cui si rara riferimento per le citazioni. Per inquadrare i due teorici nel panorama coevo, cfr. J. Schlosser Magnino, Die Kunstliteratur, Wien 1924, ed. it., La letteratura artistica, Firenze 1956 e L. Grassi, Teorici e storia della crìtica d'arte, Parte II, I, L'età moderna: II Seicento, Roma 1973.

(3) G. Baglione (1573-1646), Vite de' pittori, scultori, architetti e intagliatori, dal pontificato di Gregario XII del 1572, fino a' tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642.

(4) Queste ultime hanno visto la luce soltanto nel nostro secolo: M. Piacentini, Le vite inedite del Rettori. Vite di Guido Reni, Andrea Sacchi e Carlo Maratti, Roma 1942 (manoscr. 2506 della Biblioteca Municipale di Rouen). In sostanza gli artisti presi in esame sono: Annibale Carracci, Agostino Carracci, Domenico Fontana, Federico Barocci, Michelangelo da Caravaggio, Pietro Paolo Rubens, Antonio van Dyck, Francesco Di Quesnoy, Domenico Zampieri, Giovanni Lanfranco, Alessandro Algardi, Nicolo Passino, cui si aggiungono postume le Vite di Guido Reni, Andrea Sacchi, Carlo Maratti.

(5) G. P. Bellori, op. cit., 1. Cfr. in proposito, ibidem, Introduzione di G. Previtali, XXXII-XXXIII, XL-LX.
(6) Op. cit., 6.
(7) Op. cit., 24.
(8) Op. cit.,21.
(9) Op. cit., 229.
(10) Op. cit., 214.
(11) G. B. Passeri, op. cit., p. 229; cfr. anche 414-415 e passim.
(I2) G.P. Bellori, op. cit., 24.
(13) Op. cit., Introduzione Al Lettore, 6.
(14) Come si è accennato, Le Vite belloriane sono pubblicate nel 1672, mentre le Vite di G. B. Passeri vedono la luce postume, soltanto nel 1772, a un secolo esatto di distanza. Si è anche detto che, in particolare la Vita di Andrea Sacchi non fa parte del primo gruppo delle biografie belloriane, ma compare in stampa soltanto nel XX secolo a cura di M. Piacentini (cfr. nota 4). Ciò non toglie che il materiale raccolto da Passeri possa essere stato visionato da Bellori durante la stesura del suo lavoro. Cfr. in proposito G. Previtali nella Introduzione alle Vile belloriane citate, 536, n. 2, 557, n. 1, 558, n. 1 e passim.
(15) Lo stesso autore distingue poi anche la lentezza di Sacchi durante l'età matura, dovuta ad indisposizione e "acerbità della podagra che lo ritenevano a letto".
(16) Cfr. a riguardo A. Sutherland Harris, op. cit., 33-37, A. d'Avossa, op. cit., 23-25, G. Briganti, Pietro da Cartona o della pittura barocca, Firenze 1962, ed. 1982, 88-92.
(17) G. B. Passeri, op. cit., 412-413.
(18) G. Briganti, op. cit., 81-88.
(19) La fonte citata deriva da un documento (Cod. Barberini Lat. 6529, misceli. V, foglio 52) che G. Incisa della Rocchetta scoprì nella Biblioteca Barberini e pubblicò, Notizie inedite su Andrea Sacchi, "L'Arte", XXVII, 1924, 60-76. Altra fonte cui può avere attinto Sacchi è
quella di G. Teti, Aedes Barberinae ad Quirìnalcm, Roma 1642. Per un influsso di Tommaso Campanella sull'affresco della Divina Sapienza, cfr. in particolare G. S. Lechner, Tommaso Campanella and Andrea Sacchi's fresco oj" "Divina Sapienza" in thè Palazzo Barberini, "The Art Bulletin", LVIII, 1, 1976, 97 e 108 e F. Grillo, Tommaso Campanella nell'arte di Andrea Sacchi e Nicola Poussin, Cosenza 1979. Per la disamina complessiva del problema, cfr. A. d'Avossa, op. cit., 61-65, con relativa bibliografia.
(20) L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1736, ed. critica dedicata a V. Martinelli, con Introduzione di A. Marabottini, Perugia 1992, 524.
(21) G. C. Argan, La "rettorica" e l'arte barocca, Retorica e Barocco, Atti III Congr. Internaz. St. Umanistici (Venezia 1954), Roma 1955, ora in Studi e note dal Bramante al Canova, Roma 1970, 167-176.
(22) G. Briganti, op. cit., 132.




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