Lontano nel Lazio, dove alle onde
i suoi chiari e leggendari
merletti, il promontorio di Circe solleva,
sta la torre Astura e fluttua
come un pallido eroe di un ritratto
sopra l'azzurro mare selvaggio;
attizza la sera le sue fiamme spettrali,
ammonitore solitario nelle alte maree.
Il più bel faro della storia.
Tristi lo salutano i navigatori
come un messaggero sventurato
sul mare dal silenzio fiabesco,
e viene spinto dal dolore il pellegrino.
Attraverso i boscosi campi,
Corradino, sulle tue tracce
colmo di paura deve affrettarsi,
per salutare la tua prigione
e intrattenersi nei ricordi
nelle desolate segrete della torre.
Sulle deserte dune di sabbia del mare
posa qui dimenticata la rovina
come la fortezza del Graal e riposa
nel canto delle sirene della marea;
selvagge la circondano con falbe
ali, stridule rondini d'acqua;
Corradino! Vento e uccelli
sembrano stridere e portare
sulle ali questo lamento di grida roche di dolore.
E gli spiriti del bosco tessono
intorno agli arruffati merletti della torre
sempre e ancora l'edera sinistra,
e la vetta di Circe lì
tiene in magico timore
il mare e il luogo selvaggio qui imprigionati,
che la torre guarda nelle chiare
alte maree con spaventoso silenzio,
come un assassino al quale le onde
mostrano il suo volto traditore.
Le brezze piene di romanze,
il canto delle onde e l'odore del bosco
addormentano dolcemente il mio cuore,
anche il sognatore prova qui dolore,
e una nostalgia mi fa piangere,
mi lascia apparire ricordi
nella torre dello spirito
ghibellino qui a quest'ora,
come appariva a Dante
e gli indicava la ferita dell'eroe.
Quei morenti che combatterono
l'Idra di Roma gonfia di veleno,
Federico, Manfredo, Corradino,
giammai, pretaglia,
poterono scappare alle tue trappole,
e ai tuoi anelli forti come serpenti,
oh come risplendono nella luce,
nella mitezza trasfigurata della loro morte
più chiara ora attraverso la storia,
un'opera di Laocoonte.
Forza colossale hai tu dimostrato,
Manfredo, morente ancora fendesti la roccia di Pietro
con l'ultimo colpo di spada,
come Orlando,
e assorbito in un silenzio profondo
si vedeva salire il Corradino
sulla ghigliottina, i flussi di sangue
succhiò la terra vorace
e da mille sorgenti di vendetta
li restituì la Sicilia;
la Germania ancora, come se combattessero
quel drago gli ussiti,
e da Wittenberg il cigno
ha riempito di fragore il Vaticano
e ha sfilacciato la colomba di S.Pietro.
Certo il regno - esso giace nella polvere!
Con il brandello di porpora si adornarono
trenta volte, spezzarono
la corona di Federico, e fecero a pezzi
trenta volte il trono di Aquisgrana.
Tolti dai propri finimenti, dalla carrozza della vittoria,
sono i destrieri, i quali hanno portato
avanti nella migrazione dei popoli
la strada secolare,
tu, guida dello scettro d'Europa,
a te Germania, regina del mondo;
al nuovo Angiò adesso la staffa
tu tieni, all'audace governatore,
dai tu le redini della storia universale
senza intervenire contro l'avventuriero.
Come gli stormi di uccelli viaggiano
continuamente in caotici cerchi
striduli e selvaggi sulla tua cima,
così i miei lamenti qui,
torre Astura, lascio innalzarsi,
danze di sospiro senza patria,
linea di frontiera tedesca, dove dal cuore
della dolce sorella, la Germania si strappò
con profondo dolore,
che ancora i nipoti tardivi espiano.
Anche se entrambe sono sorelle,
sia nella gloria che nel dolore.
II tuo riso, Germania non assomiglia
proprio a quello della sorella più bella,
eppure l'alloro lo incorona ugualmente.
Agli orfani della storia
dovete nascondere la nostalgia
che tiene perennemente legate
le vostre ugualmente dilaniate anime,
che si risanano solo unite.
Ma un tempo l'odio da espiare
scese giù sugli Appennini,
disarmata Germania libera,
attraverso la libera Lombardia
fin giù nel viaggio verso Roma.
Poi essa riabbraccerà
caldamente l'Italia, seno contro seno
si riposeranno, ricorderanno felici
i superati tempi di dolore - muse d'Europa,
avanzeranno attraverso il mondo.
Guide poi degli eserciti,
dei cori liberi dei popoli,
che verso il tempio della cultura
festosamente seguono il loro passaggio,
quando i popoli fondano il duomo della pace
e a Roma accendono
nord e sud le fiamme della riconciliazione,
e bruciano uniti le armi di quella vecchia discordia,
che un tempo aveva diviso l'umanità.
Sono sogni, quelli che scrivo?
È il futuro della storia
e la brezza primaverile dello spirito,
che io sento rabbrividendo, andare
verso il crepuscolo del levante?
Guarda, un capo penetrato dallo spirito
era la terra già, pensieri
lascia essa, senza ali scivolare,
come lampi, ondeggiano in mille,
catene attraverso lo spazio del tempo.
Ma le vie dei pensieri,
queste strade veloci dello spirito,
che si avvolgono attorno al mondo,
il dispotismo le ha ordinate.
Verso sentieri aperti si dirigono,
delitto e odio, attraverso la vita terrena:
ma si smarriscono nel caos,
nell'oscurità senza uscita,
troppo tardi deve passare attraverso
il luogo selvaggio, l'amore umano.
E, cavalieri dello spirito, vaghiamo
noi nel deserto e cerchiamo
il santo Graal dell'umanità,
come il pellegrino Parzival;
ma potessi io raggiungerlo in fretta,
camminerei mille miglia
nel luogo selvaggio senza tristezza,
affinché potessi veder innalzarsi,
duomo dell'umanità, le tue mura,
e chinare il mio capo per adorarti. |