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Dilettevole Inganno e
Ingegnosa Maraviglia

Studi su Antonio Ongaro,
Andrea Sacchi, Paolo Segneri

di Rocco Paternostro

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Appendice dei microtesti segneriani


Con qualche piccola ma necessaria modifica nei titoli e con qualche lieve alleggerimento nei testi rispetto all'edizione del 1999, riporto qui, in appendice, i ventiquattro microtesti da me individuati nell'opera segneriana e di cui ho dato notizia in questo saggio.

 

I - Francesco Saverio e il battello alla deriva

Tornava egli [Francesco Saverio] dal Giappone nell'India, quando a un'improvvisa burrasca che si levò, fu la sua nave trasportata in un mare nuovo ed incognito, anche all'audacia medesima portoghese. Adoperarono i marinari ogni industria per assicurare il battello, necessarissimo in quelle navigazioni; ma nel più orrido della notte fu dall'onde e da' venti, che più rabbiosi imperversarono all'armi, trabalzato nell'alto per farne strage. Quindici persone v'erano dentro, e tra queste il nipote del capitano: che però, perduti tutti di vista, furono pianti amaramente per morti, confondendosi, per maggior orrore, in un tempo, i singhiozzi de' naviganti co' fremiti de' tifoni. Allora Francesco, compassionando il capitano afflittissimo, il consolò con accertarlo che in termine di tre giorni sarebbe da sé medesimo ritornato il figliuol ramingo alla madre; che volea dire il navicello alla nave. E com'egli promise, così mantenne. Sul fine del terzo giorno, quando gli altri già non avevano più speranza di riveder mai lo scafo, da lor creduto o lacero per le scosse, o assorto fra' gorghi, un garzoncello alzò improvviso la voce dalla veletta, e gridò: miracolo, miracolo, ecco il battello. Corse a quella voce tutta la gente, e videsi orgogliosetto venire il piccolo legno che, a onta di più naufragi, attraversava con dirittissimo corso or valli, or montagne, di spumanti marosi.
Vollero i marinari lanciargli un canapo; ma Francesco noi consentì, perché si avverasse che quello con avidità filiale veniva a ricercare il seno materno. Chi può spiegare lo stupore, le lagrime, l'allegrezza con cui que' miseri furono quasi da morte a vita raccolti dentro la nave? E già v'erano essi montati tutti, quando veggendo che un marinajo discostava il battello vuoto, cominciarono a gridar fortemente, che si porgesse innanzi mano a Francesco dentro rimasto vi. Che Francesco? (replicò il marinajo) Francesco è stato nella nave finora con esso noi. Come? (ripigliarono quelli) Francesco è stato con esso noi nel battello. Ma se noi l'abbiamo qui sentito prometterci il vostro arrivo? Ma se noi l'abbiam là veduto reggere il nostro corso? Che più? Non si potè decidere la contesa in altra maniera, che con chiarirsi, aver lui per comun soccorso prestata la sua presenza negli stessi giorni in due luoghi: per la qual novità due Saracini, salvatisi in quel legnetto, si convertirono (P. Segneri, Panegirico Primo, In onore di S. Francesco Saverio Apostolo delle Indie, detto in Milano, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 532).

 

II - Nerone manda a cercare l'origine del Nilo

Nerone istesso, imperadore del mondo, dispone una memorabile spedizione. Per ordine suo si apprestano da più parti cavalcature, si radunano genti, si raccolgon denari, si compongono carriaggi, e si preparano provvigioni grossissime per viaggi sì terrestri come marittimi. Capi della spedizione son destinati alcuni nobili senatori romani. Si spargono preghiere per la partenza, si fanno voti per il ritorno. E frattanto spiccasi la famosa comitiva da Roma, capo del mondo. Tutti i popoli, per mezzo ai quali ella passa, domandano curiosi dove ne vada. A tutti rispondesi: va a cercar l'origin del Nilo. Non v'è provincia, non v'è città, non v'è terra, ove non ne arrivi la fama. Se n'empiono i fogli, ne volano le novelle, e per tutto ognun dice: non sapete, eh? Roma manda a cercar l'origin del Nilo. Roma manda a cercar l'origin del Nilo (P. Segneri, Panegirico Secondo, Per l'immacolata concezione di Maria Vergine, detto in Ravenna, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 542).

 

III - Santo Stefano appare alla madre di Stefano I d'Ungheria

Stava questa gran principessa, nominata Sarolta, vicina al parto, quando le apparve Santo Stefano in abito da diacono, e con volto allegro e con parole amorevoli: sappi, le disse, che arrivata è già l'ora della salute de' tuoi vassalli. Però al bambino che nascerà dal tuo seno poni il nome di Stefano. Starà egli sempre sotto la mia protezione: pacificherà questi popoli; né solamente li reggerà col consiglio, ma gli ammaestrerà con la Fede. Sarà egli il primo che cinga nell'Ungheria'corona reale: ma corona più bella ancora di quella che porterà in terra già gli è lavorata nel cielo. Restò la donna attonita a questa vista ed a queste voci, e dimandando al Santo, chi egli si fosse: io (le rispose quegli) sono Stefano Protomartire. E ciò detto disparve, come un veloce ma luminoso baleno. Quanto il Santo predisse, tanto seguì. Partorì la principessa un figliuolo, il quale fu battezzato e chiamato Stefano, e fu quello Stefano primo re d'Ungheria, così chiaro per celebrità di vittorie e per gloria di santità, il quale, meritando anche il nome di apostolo del suo regno, seppe il primo unire fra loro questi due titoli per lo innanzi tanto discordi, di re e di apostolo (P. Segneri, Panegirico Terzo, In onore di Santo Stefano Protomartire, detto in Vicenza, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 553).

 

IV - Santo Stefano libera dai Mori l'ammiraglio Galzerano de' Pini

Nel tempo che le Spagne erano infestate da' Mori, l'anno 1147 andò il re don Alfonso con un poderosissimo esercito sotto Almaria, città di Granata, per conquistarla. E perché l'impresa era molto ardua, aveva unite seco le forze di altri potentati e d'altre provincie. Tra questi erano i Catalani, con molte fiorite squadre, sì terrestri come marittime, delle quali era ammiraglio Galzerano de' Pini, baron di Baga. Fu battuta la città per terra e per mare: ma quantunque gli assalitori mostrassero gran coraggio, tuttavia furono ributtati e disfatti: tanto che l'istesso ammiraglio, avanzatesi nell'assalto troppo oltre, fu sopraggiunto, fu preso, ed essendo, con somma festa de' Mori, condotto nella città, fu ivi racchiuso in una sicurissima torre fra stretti ceppi. Volò tosto in Baga la fama della sua prigionia alle orecchie de' genitori, i quali tutti dolenti mandarono a supplicare il re di Granata per lo riscatto. Questi, procedendo da barbaro, qual egli era, chiese molt'oro, molte chinee, molti drappi; ma quel che più rilevavagli, erano cento fanciulle di beltà rara, che venissero a suo servigio. Chi può spiegare con qual sentimento d'indegnazione fosse da' miseri genitori ascoltata una tale inumanità di richieste? Pure, non veggendo aperta altra strada alla libertà del figliuolo, fecero tanto, e tanto si adoperarono, che arrivarono a porre insieme il riscatto, salvo che le cento fanciulle. Nel trovar queste era la maggiore difficultà: che però il padre, chiamati i suoi vassalli a consiglio, propose loro il bisogno, trattò del modo. Questi, come amantissimi del giovane Galzerano loro signore, con rado, non so però se lodevole, al certo non imitabile esempio di lealtà, offersero le loro propie figliuole con questa legge, che chi ne avea tre, dessene due, chi n'aveva due, ne desse una, chi n'aveva una sola, mettessela alla sorte con qualcun altro che pur ne avesse sol una. Così, quantunque con molte difficultà, furono adunate insieme le misere verginelle, ed incamminate fuor delle case paterne. Ora io lascio giudicare a voi quali fossero in questa dipartenza le grida, quali le lagrime e quale la confusione. Piagnevano le miserabili madri, che così andassero le figliuole innocenti in terre infedeli. Strepila vano centra i mariti, dicendo che questo era un mandar le agnelle nelle zanne de' lupi, e le colombe tra Pugne degli sparvieri/Maledicevano l'ora nella qual esse le avevano generate, si scarmigliavano i crini, battean le palme, si graffiavan le gote, e invano sospirando, e invano abbracciando le sfortunate donzelle, furono costrette a lasciarle in fine partire. Dall'altra parte non potevano queste appena parlare, per la gravita dell'affanno; ma dileguandosi tutte in lagrime ed in singhiozzi, supplivano con gli occhi all'ufficio compassionevole che negava loro la lingua. In questa forma ne andarono camminando alla volta di Tarracona, verso il porto di Salo, dove attendevate il legno a ciò preparato. Frattanto l'innocente prigione don Galzerano, nulla sapendo di quanto altrove trattavasi a suo favore, attendea fra durissimi ceppi e sotto gravi catene a rendersi il Ciel propizio. E siccome egli era incredibilmente divoto dell'inclito protomartire Santo Stefano, protettore della sua città e del suo Stato, a lui specialmente inviava di giorno e di notte infocatissime suppliche. Né tardò molto il Santo ad udirle. Perocché, mentre una notte fra le altre egli veniva invocato dall'ammiraglio con maggior fervore di spirito ed umiltà di preghiere, egli comparve in un abito splendidissimo di diacono: lo consolò, l'animò, lo prese per mano, e gli comandò che lo seguitasse. Udirono i custodi del carcere lo strepito de' ferri e '1 suon delle voci; e correndo armati alla porta della segreta, nudan le spade, impugnano le alabarde, piglian le chiavi, e fanno forza d'aprire per entrar dentro; ma tutto indarno. Fremono, contendono, rompono, fracassano, gettano finalmente a terra le porte; ma già il Santo per altra incognita strada avea tratto fuori di carcere il suo divoto, quantunque involto, per maggior maraviglia, ne' medesimi ceppi e nelle istesse catene; né l'abbandonò, finché presso allo spuntare dell'alba lo lasciò salvo sopra il porto di Salo. Dovevano quella mattina appunto far vela dal medesimo porto le infelici donzelle, condannate ai servigi del Barbaro, per la liberazion del padrone; e già, più che mai malcontente, più che mai meste, si avvicinavano, riempiendo l'aria di gemiti, e' confondendo il fremito delle voci col suon dell'onde. Restò l'ammiraglio stupito a quella comparsa, e tirando in disparte un quivi presente, gli addimandò, verso dove s'incamminasse quella sì miserabile comitiva. Rispose quegli ch'ell'era destinata al re di Granata, e minutamente gli riferì con qual occasione ed a quale effetto. Non potè allora più contenersi il giovane intenerito: onde incontanente inoltrandosi fra la turba, la trattenne, e gridò: quegli, del quale si pretende il riscatto, sta qui presente, non più prigione ma libero, l'ammiraglio; ed io son quel desso. Mirate, o fedeli sudditi, il vostro desiderato padrone, ch'altro non ha di servitù che le insegne. Con quali termini si potrebbe spiegare bastantemente lo stupore, la sospension, lo sbalordimento, con cui tutti rimasero a tali voci! Correano tutti, e si affollavano a gara, per chiarirsi con gli occhi proprj, se doveano fidarsi de' proprj orecchi; e quantunque vedessero il loro padrone, quantunque il riconoscessero e lo toccassero, ancora nondimeno temevano di sognare. Ma tolse egli loro, se non accrebbe piuttosto, la maraviglia, raccontando distintamente il soccorso ricevuto dal protomartire Santo Stefano: come questi, invocato, era venuto cortesemente a trovarlo, a pigliarlo per mano, a trarlo di carcere, a trasportarlo in quel lito. Pensate voi che voci allora di affetto, di riverenza, di divozione levaronsi verso il cielo! Si cambiaron le lagrime di dolore in lagrime d'allegrezza, le grida di lamenti in grida di giubilo, e si prostrarono tutte quelle vergini in terra divotamente, a ringraziare il celeste lor protettore, che in un medesimo tempo, col salvar uno, avea salvate ancor tante, e con trarre il lor padrone di servitù, aveva a tutte lor mantenuta la libertà, anzi la riputazione, la patria, l'innocenza, la vita. Furono pertanto subito tratte d'attorno di Galzerano le vesti squallide e le pesanti catene; e così rivestito onorevolmente, ripigliò esso con tutti gli altri il cammino di quivi a Baga. Donde iscoprendosi mezza lega lontano la chiesa del Protomartire, s'inginocchiarono tutti, e la riverirono: ma l'ammiraglio, di più, volle compire, così ginocchione com'era, tutta la strada, con tanto patimento e con tali piaghe, che non potè poi per un anno uscir più di casa. Era frattanto già precorsa la fama nella città a preconizzarne l'arrivo; onde tutta uscitagli incontro festosamente, lo ricevè, ed egli rendè alle madri dolenti le loro figliuole, prima liberate che schiave. Né contento di questo, le volle dotar tutte abbondevolmente, usando di vantaggio a' lor padri molte dimostrazioni di gratitudine, ed ammettendogli a molti gradi di onore. Alla chiesa di Santo Stefano donò, con facoltà di suo padre, la metà delle decime che traea di tutta la baronia; e indi a qualche tempo ancora sdegnando di menar più nel secolo quella vita che riconosceva dal Cielo, volle rendersi monaco cistcrciense, e tale visse e tal morì santamente (P. Segneri, Panegirico Terzo, In onore di Santo Stefano Protomartire, detto in Vicenza, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 554-555).

 

V - San Giovanni convince un giovane a mutare vita

Aveva egli [San Giovanni Evangelista] in una città dell'Asia scorto un giovane d'indole generosa e di abilità singolare al culto divino. Lo die pertanto in serbo ad un vescovo, perch'egli stesso di persona allevasselo ne' costumi. Ma in progresso di tempo cominciò il giovane, qual cavallo sboccato, ad odiare il morso e a scuotere il direttore. Si diede ai giuochi, a crapole, a passatempi; né molto andò che, scappato ancora in campagna capitano di fuorusciti, infestò tutte le convicine boscaglie di ladronecci, di tradimenti, di sangue. Ritornò dopo alcuni anni Giovanni in quella città, e udì dal vescovo l'infelice riuscita del tristo giovane. Or chi può esprimere, come caddegli il cuore a sì rea novella! Subito domanda una guida pratica del paese, e a dirittura incamminasi sopra un monte, fido nascondiglio a quei ladri. Fu da lungi veduto e riconosciuto ancora dal giovane; il quale, vergognoso di sé medesimo, si die tosto a fuggire per quei dirupi. Non si disanimò il santo vecchio; ma, come meglio potea, tenendogli dietro, incominciò coi prieghi insieme e coi pianti a studiarsi di trattenerlo. Fermate, gli diceva: perché fuggite, figliuolo amato, dal vostro misero padre? E di che temete, di che? Non vi accorgete che voi siete giovane ed io vecchio; voi robusto ed io debole; voi provvisto ed io disarmato? Sogliono i passeggieri fuggire dagli assassini, e non gli assassini dai passeggieri. Per vostro bene vengo io, non vi dubitate. Io renderò di voi conto a Cristo; io addosserommi le vostre colpe; io sconterò le vostre pene; pronto a dar per voi la mia vita, se o in ciclo o in terra ritrovisi tribunale il qual me lo chiegga. Intenerissi alle parole del Santo il cuore del giovane; si fermò, si precipitò da cavallo, gli cadde a' piedi, e, divenuto come di fuoco, nascose per vergogna in seno la destra, lorda di tanti assassinj da lui commessi, e di tante stragi. Noi sofferse Giovanni; ma inginocchiatesi gli stese al collo teneramente le braccia, lo strinse, lo sollevò, lo baciò, e poi cavandogli per forza fuora la destra: dov'è, dov'è, dicevagli, questa mano? Datela qui, ch'io la voglio lavare con le mie lagrime, s'ella è sozza. Che dubitate? Non mi posso io promettere dal mio Dio la vostra salute? Andianne insieme alla chiesa, andianne, andianne; ch'io là per voi non cesserò d'impiegarmi: supplicherò, sospirerò, farò tanto, che al fine rimarrò certo di avere riguadagnato in un punto stesso voi al Ciclo ed il Ciclo a voi. Che più? Trasformossi con la divina grazia a tal segno d'uno in un altro il cuore del giovane, ch'indi a pochi giorni partendosi, non dubitò l'apostolo di fidargli il governo di una chiesa, o perché lo scorgesse già abile a reggere altrui, o perché il necessitare uno a reggere altrui, riesce spesso la maniera più certa di necessitarlo a ben reggere sé medesimo (P. Segneri, Panegirico Quarto, In onore di S. Giovanni Evangelista, detto in Firenze, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 558-559).

 

VI - Come Gregario il Taumaturgo cancellò le eresie di Neocesarea

Era egli [Gregorio il Taumaturgo] da' romitorj di Ponto salito, per opera di Fedimo, alla sedia di Neocesarea, città in quel tempo tanto ingombrata di errori, che non vi si arrivava bene a discernere se quivi gli Etnici fosser finti Cristiani, o se i Cristiani finti Etnici. Ond'egli, diffidato del suo sapere, umilmente pregò la Madre di Dio a voler dettargli ella stessa il tenor di quella dottrina ch'insegnar doveva a quel popolo. Esaudì la gran Vergine il suo di voto, come colui che non chiedea notizie per credere, al che basta una riverente semplicità; ma per insegnare a credere, al che si richiederebbe un sapere angelico. Non però volle esercitar ella le parti più principali in simile magistero, forse per confermare fin dal ciclo alle donne quello che loro ell'avea dimostrato in terra, quando lasciò di usare i doni men proprj del loro sesso: docere autem mulieri nonpermitto [...]. Chi pensate pertanto ch'ella scegliesse? Non mancavano certamente nel cielo gran personaggi stati nella Chiesa dottori di molto grido. V'eran di quei che, versatissimi nelle controversie più astruse di religione, le aveano più volte o spiegate nelle accademie, o disputate ne' concilj, o difese ne' tribunali, o stabilite ne' libri. Eppure la Vergine, lasciato ogni altro, condusse solamente seco Giovanni. Col quale entrata, tutta folgorante di maestà e di modestia, nella camera di Gregorio: Giovanni (disse), tu che sul petto del mio Figliuolo bevesti alla sorgente di una sapienza increata, distillane ora qualche parte nell'animo del mio servo. E così quegli obbedendo subito, dettò al santo vescovo una forma di credere sì sublime, sì chiara, sì compendiosa, che non vi fu poi la più celebrata in tutto l'Oriente. Questa, come un antidoto potentissimo, preservò tutta la città di Neocesarea da quelle contagioni di errori ch'indi infettarono tanta parte di mondo. E però Gregorio morendo lasciolla a' suoi figliuoli per unica eredità; e potè animosamente affermare che in vigor d'essa egli avea tolto di modo tale nella sua Chiesa ogni credito al Gentilesimo, che siccome diciassette soli Cristiani vi avea trovati nel pigliarne il possesso, così diciassette soli Gentili egli vi veniva a lasciar nell'abbandonarla (P. Segneri, Panegirico Quarto, In onore di S. Giovanni Evangelista, detto in Firenze, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 560).

 

VII - Le imprese del demonio

Andavane il ladrone infernale tutto superbo, ed a guisa di quell'incirconciso gigante de' Filistei insultava alla terra, insultava al cielo, quasi che niuno avesse poter d'opporsegli, per torgli di mano un mondo fatto suo schiavo. Chi verrà, dicea l'arrogante, a pigliarla meco? Io solo ho popolati i templi di Dei bugiardi, ho empiti gli altari di sacrifizj sacrileghi. E quanti secoli sono, che tutti i popoli non riconoscono quasi altro nume che me? Vilipeso Dio delle stelle! Dentro un angolo di Giudea sono confinati i suoi squallidi adoratori: notus in Judaea Deus [...}, Io sotto nome di Giove ricevo in Campidoglio le spoglie da' romani trionfatori; io sotto nome di Apollo rendo in Delfo gli oracoli a' popoli pellegrini; io sotto nome di Diana mi godo in Efeso i tesori dellAsia domi-natrice. E chi potrà mai levarmi dal possesso di tante glorie? Sono anguste negli abissi le carceri alla turba de' condannati, sono manchevoli le catene al numero degli schiavi ch'io mi son guadagnati con la mia forza. E che serviva discacciarmi dal cielo, se poi lontano io gli dovea suscitare guerra più atroce, che non gli mossi presente? Non mi volle il suo Dio per collega nel trono, m'abbia per emolo. Così il demonio insultava audace e fastoso, ad onta di colui, dal qual erasi ribellato (P. Segneri, Panegirico Quinto, In onore del Nome Santissimo di Gesù, detto in Ancona, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 568-569).

 

VIII - Sant'Anselmo contro i Lombardi scismatici

Aveva Anselmo ricevuta dapprima Matilda in cura sotto Alessandro, quando era questa nel fior di sua giovinezza [Fiorentino nella di lei vita]: ma per fuggirsene al chiostro l'avea lasciata già non meno assodata nella virtù, che adulta negli anni. Dipoi, rapito che dal chiostro egli fu, gli convenne di nuovo tornare a reggerla, per ordine di Gregorio: né più da essa si dipartì, se non ove, presso a tre lustri, egli fu dalla terra chiamato al ciclo. Fremevano tutti i tristi di un tal custode dato alla nobile donna; e a guisa di tanti lupi, urlando, ululando, glielo avrebbono in ogni modo voluto staccar d'attorno. Ma tanto più vicino a lei lo bramavano tutti i buoni, ben intendendo che levare Anselmo a Matilda sarebbe stato levare appunto al paradiso terrestre il suo cherubino, se non piuttosto alla nave il piloto, alla vite il pioppo, e quasi al sole l'intelligenza assistente. Ohm felicem illam (così esclamò quello scrittore, più fedele che culto, a cui dobbiamo principalmente memorie così vetuste [negli atti di Sant'Anselmo]), oh felicem illam, cui tam providus semper assidebat paedagogus, non tamquam homo quilibet, sed ut magni consi-lii angelus. lila potestatem exercebat, ille regebat; illa praeceptum dedit, ille consilium: excellebat tamen ille in omnibus. Quindi non fu mai che vinto Anselmo o da stanchezza o da turbazione o da tedio l'abbandonasse; né solamente l'era sollecito allato, quando quasi tutte le notti le concedeva nel maggior silenzio di sorgere a lodar Dio, ma allato ne' consigli, allato nelle cause, allato fra i tribunali, e quel ch'è più, fin allato tra le battaglie. E quante volte sepp'egli in queste, con la sua mano, anche renderla vincitrice! Si erano un dì mossi, ad instigazione di Arrigo, contra Matilda i popoli quasi tutti di Lombardia, divenuti infami scismatici; e costituito un esercito formidabile, già ne volavano ad assaltarla furiosi su '1 propio trono, non diffidando di poter tutto orribilmente anche mettere a ferro e a fuoco. La sollevazione improvvisa non avea dato a' cattolici verun agio di antivederla; che però, non ritrovandosi pronte le soldatesche, bisognò porre insieme qual si potè piccola mano di gente, turbata, timida, e poco men che io non dissi tumultuante. Oh Dio! Qual argine potrà però mai contrapporsi alla piena che, già altamente inondando per le campagne, minaccia strage? Quale opposizion? Quale ostacolo? Sapete quale? La benedizione di Anselmo. Non prima quei sì pochi fedeli, con la riverenza dovuta a quell'uomo santo, la riceverono che, sentitesi infondere nelle vene un vigor celeste, parvero tanti leoni: si spinsero ad incontrar quella moltitudine, e quasi fosse una folta mandra vilissima di conigli, la scompigliarono: fecer prigione il condottier dell'esercito con tutto il fiore più scelto di nobiltà; fugarono, ferirono, uccisero, e finalmente, rimasti signori del campo, non vi trovarono tra gl'infiniti cadaveri de' nemici, giacer de' suoi, se non tre, morti per ventura ancor essi, perché nessuno, veduta sì gran vittoria, dovesse ascriverla a squadre più che mortali. Fu questa appunto quella sconfitta fatale che più di tutte mise gli scismatici a fondo. Da indi innanzi restarono ogni dì più inferiori di forze; e perduta la stima, e perduto il seguito, tornarono a poco a poco all'antica fede, riconoscendo il vicario vero di Cristo. E però piacemi che si dia bene in ogni fatto a Matilda il dovut'onore, ma si consideri quanto pur ne tocchi ad Anselmo. Certa cosa è che Gregorio, considerando allora il numero grande di quei che, quasi pecorelle ravviste, si riducevano da sé stessi all'ovile, diede a lui la cura di ammetterli; e conferitagli con tale occorrenza una insolita podestà, lo dichiarò suo Legato sommo per tutta la Lombardia. (P. Segneri, Panegirico Settimo, In onore di Sant'Anselmo Vescovo di Iucca e protettore di Mantova, detto in Mantova, in Id., Panegirici Sacri, cit, pp. 587-588).

 

IX - La sepoltura di Sant'Anselmo e il vescovo di Sutri Bonizzone

Fu egli [Anselmo] fin all'estremo qual fu Mosè, alloraché discese tutto luminoso dal monte. Non conosceva i suoi meriti, ed era solo a ignorar quegli alti splendori della sua faccia, a cui gli altri si abbarbagliavano. Però morendo ordinò d'esser sotterrato nel luogo consueto de' suoi sì diletti monaci, perché, confuso così tra gli altrui cadaveri, non ne rimanesse più nome. Ma grazie a te, santo vescovo Bonizzone, che, alzato un grido là su la pubblica piazza, fermasti quei che con processione funebre andavano ad eseguire una tal sentenza, e dimostrandola ingiusta, persuadesti non solo alla moltitudine, ma ai prelati, ai porporati, ed a quanti gran personaggi erano quivi da varie parti concorsi affollatamente alla mesta pompa, che un tal deposito collocar si dovesse, come un tesoro, nell'urna appunto più splendida. Così non solo si venne ad ottener che non si occultasse, ma si die campo ad un numero innumerabile di attratti, di monchi, di mutoli, di lebbrosi, e brevemente di languidi d'ogni sorte, di venir quivi, come a pubblico erario, per provvedersi di ciò che vale assai più di quant'oro è al mondo, volli dir di intera salute: tantoché, crescendo giornalmente i miracoli a dismisura, non solo inondavano infermi dal Mantovano, ma da Brescia, da Piacenza, da Parma, e da tutta ampiamente la Lombardia. Senonché non sia chi si pensi che a riportare ad Anselmo sublimi grazie fosse necessità di giugner sempre a trovarlo nella sua tomba, come in sua casa. Più d'una volta si degnò egli di uscir con virtù benefica ad incontrare quei pellegrini divoti, i quali a lui ne venivano per soccorso. Così pruovò quella felicissima cieca, la quale, fattasi porre sopra d'un carro per recarsi qua da Verona, non ebbe appena camminato due miglia, che cominciò da principio tutta festosa a scernere il carro; poi tra non molto anche i buoi che lo tiravano; poi i campi; poi gli alberghi; poi le persone, secondo che più accostavasi verso Mantova; e giunta finalmente alla cattedrale, fu tutta sana, e potè vedere anche ciò per cui, più che per altro, prezzò la vista, che fu il propio liberatore. Che dirò di quel popolo, il qual, tornato dal sepolcro del Santo, trovò la nave all'opposta ripa d'un fiume che gli attraversava il viaggio, e non vi trovò i navichieri? Restò da prima assai povero di consiglio; chiamò, cercò, mise grida: nessun comparve. Al fin temendo la notte, oramai imminente, s'inginocchiò e con viva fede ricorse al favor di Anselmo. Credereste? Subito quella barca, quasi animata, si spiccò di là dove sta vasi a riposare, e con veloce corso venuta a trovar quel popolo, lo servì di tragitto, tanto più caro, quanto più ancora gratuito. E allorché i lupi così rabbiosi comparvero qui una volta ad infestare le più popolose campagne, qual fu quel nome che gli atterrì, che gli arrestò? Non fu quello parimente di Anselmo, sì buon pastore? Anselmo, Anselmo (gridò affannosa una madre, tostoché vide a giorno chiaro rapirsi una piccola figliuolina), Anselmo, Anselmo: e ciò bastò, perché il lupo la ributtasse di subito dalle zanne. Ma che? Non prima l'ingordo l'ebbe così ributtata, che -si pentì; e benché più non osasse toccar la preda, si mise in atto di volere almeno difenderla. Non si disanimò già la donna: ma con portare sempre il nome medesimo su le labbra, glie l'andò costante a ritogliere; restando il lupo, suo mal grado, sì immobile a tanto insulto, che se non fosse stato al furore, al fremito, agli urli, avresti giurato essersi cambiato in un sasso (P. Segneri, Panegirico Settimo, In onore di Sant'Anselmo Vescovo di Iucca e protettore di Mantova, detto in Mantova, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 591-592).

 

X - Il Battista

Andavano molti già a trovare il Battista, e compunti alla vita che gli vedevano sì costantemente menare tra le caverne, gli addimandavano: quid faciemus et nos? (...] Che pensate però? Ch'egli rispondesse: spogliatevi tosto ignudi, e, come me, cingetevi solo i lombi di pelli irsute, dormite in terra, assuefatevi alle più schifose locuste, abbeveratevi alle più sozze lacune? Tutto il contrario. Siete voi soldati? Diceva: orsù, contenti estote sti-pendiis vestris, [...] e non vogliate da ora innanzi far onta al prossimo vostro né con percosse, né con parole. Voi pubblicani fate atti di cortesia, e non ricercate per voi ciò che non vi fu stabilito; voi popolari fate atti di carità, e non ritenete per voi ciò che v'è superfluo. E così, con discretezza ammirabilissima in uomo tanto avvezzato alla tolleranza, usava di addossare a ciascuno il peso, ma nulla superiore alle forze (P. Segneri, Panegirico Settimo, In onore di Sant'Anselmo Vescovo di Iucca e protettore di Mantova, detto in Mantova, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 593).

 

XI - Giuliano l'Apostata contro i Persi

Allorché Giuliano l'Apostata guerreggiava co' Persi divoti a Cristo [...]: perocché volendo di là egli sapere ciò che frattanto operavasi in Occidente, vi spedì, siccome era solito, per ispia un di que' corrieri volanti che egli tenea salariati per tali affari, voglio dire un maligno spirito, con dargli commessioni sollecite di affrettare, di vedere, di nuocere, d'impedire quello che forse venisse là centra il principe macchinato. Ma giunto per viaggio il demonio all'abitazione di Publio, divoto monaco, non gli fu mai possibile passar oltre, mercé le assidue e le affettuose preghiere che quegli quivi spargeva a prò del paese. Onde il reo messo, dopo avervi aspettato indarno due dì, se ne tornò tutto confuso a Giuliano, il quale sgridatelo della soverchia dimora, quando udì gl'intoppi e gli arresti da lui patiti per un fraticello cencioso, n'arrabbiò tanto, che giurò togliere dall'universo ogni razza di simil gente e di perderne ogni memoria. Ma sciocco ch'egli si fu! Piuttosto è quindi avvenuto che le città tutte abbiano fatto a gara per aver dentro le loro mura alcun numero di sì possenti avvocati; e dalle orazioni di essi hanno impetrato continuamente ogni bene: fertilità a' lor poderi, prosperità a' lor negozj, vantaggi alle lor famiglie, vittorie de' lor nemici, sanità a' lor corpi; e ciò che monta assai più, salute anche all'anime (P. Segneri, Panegirico Nono, In onore insieme e in difesa de' venerabili Ordini Regolari, detto in Piacenza, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 615).

 

XII - Fidia e il saccente

Avea Fidia, scultor famoso, compita una certa statua di gran beltà, ma di non minor eminenza; perché, fra l'altre sue doti, ella era d'una statura sì gigantesca, che, benché stesse non diritta, ma assisa, toccava quasi col capo la sommità della stanza in cui fu formata. E già essendo ella scoperta la prima volta, concorrevano molti a considerarla, com'è costume; né mancavano di ammirare, chi la maestà del sembiante, chi la naturalezza del gesto, chi la espressione de' muscoli, chi la bizzarria del panneggiamento e chi la proporzion delle membra, vieppiù stimabile in corpo sì smisurato. Quando un cert'uomo, più saputello degli altri, disse che Fidia avea molto errato nell'arte, perché quando quella sua statua venisse mai per ventura a rizzarsi in pie, sicuramente o spezzerebbesi il capo, o fracasserebbe la volta. Udì Fidia l'accusa dell'uom saccente, e con faceta risposta: o amico (disse), non dubitate di ciò, ch'io vi ho provveduto, formando però la statua, se noi sapete, d'una materia sì greve, che per quanto ella voglia levarsi in alto, mai non potrà. Con che eccitatosi un piacevole riso ne' circostanti, restò vergognosamente mutolo il momo, e agevolmente giustificato l'artefice (P. Segneri, Panegirico Undecimo, Per la festa della Santissima Nunziata, detto in Venezia, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 625).

 

XIII - Leone il Trace

Camminava egli [Leone il Trace] un dì per un certo bosco, non so se a cagione o di viaggio, o di caccia, o di passatempo, quando udì da lungi una voce, come di uomo lagrimoso e languente. S'arrestò egli per comprendere meglio donde uscisse quel suono, ed osservò ch'egli veniva dal mezzo appunto della boscaglia più folta. Contuttociò, qual animoso ch'egli era, si fece cuore, ed inoltratesi addentro, giunse finalmente a trovare un povero cieco che, smarrita la via, tanto più si andava aggirando fra quegli orrori, quanto più procurava di svilupparsene. Consolollo Leone quando lo vide, ed animatelo a non temere, non fu contento di metterlo solamente fuor di pericolo, ma oltre a ciò, non isdegnando di porgergli ancora il braccio per lungo tratto di strada, andava con grand'eccesso, non solo di carità, ma di sommissione, disgombrando frattanto con l'altra mano tutto il sentiero, e rimovendo fin dal terreno que' pruni, quegli sterpi o que' sassi che potevano al cieco oltraggiar le piante. Così dopo gran fatica condusselo ultimamente a sedere nella via pubblica. E già voleva lasciarlo, quando quel meschino, non pago di quel servizio, prese doglioso a chiedergli un sorso di acqua, onde ristorare le fauci riarse dal gridare e dallo scalmarsi. Ma come potea fare Leone? Era la contrada diserta, il suolo arenoso, la stagion arida. Contuttociò, per confortare quel misero sitibondo, tornò di nuovo a girare con molta sollecitudine dentro il bosco per vedere se a sorte vi ritrovasse qualche vestigio o di sorgente limpida, o se non altro di palude fangosa. Ma tutto indarno. Se non che, dappoi d'essersi un pezzo affaticato con molta sommissione per servire a quel miserabile, udì dall'alto improvvisamente una voce che lo chiamò: Leone, Leone. Alza egli attonito il guardo, ma nulla vede. Pure sentendosi richiamare, si ferma per udir che voce è, ed ode soggiugnersi: vieni un poco più addentro, che qui troverai dell'acqua insieme e del loto. Con l'acqua smorzerai la sete a quel misero, col loto renderaigli la vista. Tu sappi poi, che per quest'atto sarai signor dell'imperio; e però voglio che allora tu, ricordevole del favore, erghi a me, Maria, che te 1 feci, un solenne tempio dov'or è questo loto e dov'è quest'acqua. Pensate voi come rimase Leone a sì strane voci. Non so se più sbalordito per la novità del miracolo, o attonito per l'altezza delle promesse, o intenerito per la pietà di Maria: s'inoltra nella macchia, ed ivi ritruova come un piccolo pantanetto. Prende però l'acqua nell'elmo, ed il loto in mano. Ritorna al cieco; gli applica il loto agli occhi, e glieli rischiara; gli accosta l'acqua alle fauci, e gliele conforta. Quindi, esaltando la benignità della Vergine, torna a casa; ed ecco ch'indi a non gran tempo morendo l'imperadore Marciano senza legittimo erede, fu per consenso di tutti gli elettori, di tutti i popoli, di tutte le soldatesche assunto Leone all'imperiai dignità. E fu questi quel gran Leone, il primiero di questo nome, il quale poi e con salutevoli leggi e con religiosissimi esempj recò alla religione cattolica grandissimo accrescimento, e mantenendo nella grandezza di principe l'umiltà di privato, non isdegnavasi di montare sovente su la colonna di Daniello Stilita, ed ivi ginocchione baciargli, con riverenza profonda, i pie verminosi (P. Segneri, Panegirico Undecimo, Per la festa detta Santissima Nunziata, detto in Venezia, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 632-633).

 

XIV - San Filippo e il patrizio romano prossimo alla morte

Stava un patrizio romano vicino a morte; e come quegli che portava al sant'uomo un immenso amore, determinò di lasciarlo erede universal di tutti i suoi beni. A questo avviso, per cui tanto altri fatto avrebbon di festa, si turbò Filippo di modo, che fece intendere privatamente all'infermo di non più volere né assistergli, né vederlo, se non cambiava pensiero. Ma non facendo con quell'apparenza di sdegno profitto alcuno, va a ritrovarlo quando, ricevuti già gli ultimi sacramenti, non altro ornai rimanevagli che spirare; e con ragioni, con doglienze, con prieghi fa quanto può, perché annullisi il testamento. Ma tutto è indarno. Allora egli, in un sembiante compostosi più che umano: or fa, disse, pur ciò che vuoi, ch'a tuo dispetto tu non mi avrai per erede. Si ritira in diversa parte, si raccoglie in breve orazione, e dipoi tornato, piglia per mano il moribondo, e gli dice: tu non morrai. Cosa maravigliosa! Fuggì a quel tuono sbigottita la morte, cessò ogni doglia, disparve ogni languidezza; e quegli, a cui già disponevasi per quel dì stesso la pompa del funerale, dopo un leggerissimo sonno si levò sano (P. Segneri, Panegirico Duodecimo, In onore di San Filippo Neri, detto in Roma, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 636).

 

XV - San Filippo e il cardinale Gabrietto Paleotto

II cardinal Gabriello Paleotto, nel suo elegante ed erudito volume De bono senectutis, volendo al mondo rappresentare l'idea di un lodevolissimo vecchio (qual era quegli che formar egli voleva co' suoi precetti), lasciato ogni altro da parte, scelse Filippo, quantunque ancora vivente; né dubitò che verun gli rimproverasse, non doversi un nocchiero chiamar beato, infino a tanto che raccolte non abbia le vele in porto. Federigo Borromeo, Agostino Gasano ed Ottavio Paravicino, tutti e tre cardinali di eccelso merito, furono a lui tutti di amore così congiunti, ch'erano nominati l'anima sua: lo corteggiavano sano, lo servivano infermo, ed a piena bocca affermavano, non vedere che poter più disiderarsi in Filippo di perfezione. Il cardinal parimente Ottavio Bandini lasciò di lui questa illustre testimonianza: fu Filippo in tale opinione di santità, che non solo era venerato da tutti, ma i più credevano di non poter giammai fare acquisto di spirito, se non soggettavansi sotto la sua disciplina: ond'è che ad esso da per tutto correvasi come a oracolo. Gregorio XIII, Gregorio XIV, e finalmente a par d'ogni altro, ancor esso Clemente Vili, oltre a' consigli che da lui spesso prendevano negli affari più rilevanti del principato, lo rispettavano in modo, che lo facevano alla loro presenza seder coperto; lo abbracciavano, lo strignevano, lo accarezzavano, né dubitavano di abbassar quelle labbra, per cui Dio promulgava i suoi gran decreti, a riverentemente baciargli eziandio la mano (P. Segneri, Panegirico Duodecimo, In onore di San Filippo Neri, detto in Roma, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 639).

 

XVI - L'assedio di Orvieto da pane di Enrico figlio di Barbarossa e Pier di Parenzo, governatore di quella città

Aveva questa città [Orvieto] [...] con valore indicibile sostenuto un assedio fierissimo di tre anni, aveva prevaluto, avea vinto; e però, rendutasi degna di maraviglia fin al suo regio medesimo assediatore, ch'era Enrico, figliuolo di Barbarossa, avea con esso stabilita amicizia, non che sopita, anzi spenta, ogni nimistà. Ma che? Quel danno ch'ella non avea ricevuto dagl'Imperiali, fin che le furon contrarj, lo ricevè quando le divennero amici. Perciocché dal loro avvelenato commerzio venne inavvedutamente la misera a trar nel seno una orribile contagione, qual era quella dell'eresia manichea, dalla qual subito divisa in parti e lacerata in fazioni, cominciò quasi frenetica a far di sé più funesto scempio, ch'altri mai ne avesse bramato. Avresti veduto, al serpeggiar che tosto fé' quel rio tossico per le case, allividire i cuori, gonfiarsi gli animi, intorbidarsi le menti; e quei che dianzi tra lor sì uniti attendevano al comun bene, non altro già macchinarsi insieme, ch'eccidj, che distruzione; sollevarsi fratelli contra fratelli, amici contr'amici, parenti centra parenti: quindi vilipesa la pubblica autorità, schernito il sacerdozio, depresso il clero, perduta ogni riverenza alle sacre leggi; e già introdotta la pubblica invocazion del demonio stesso (conforme al perfido rito di quella setta), ciascuno darsi allo studio della magia, cercar con arti sagrileghe di spiare o gli avvenimenti futuri o i trattati occulti; né però altro risonare ornai sulle lingue già sagrosante, che laidezze, che bestemmie, che incanti, che stregherie. Tal era già divenuto, Orvieto, il tuo stato, sul fine appunto del dodicesimo secolo dopo la riparazione del mondo: quando, in ascoltare che fé' così ree novelle Innocenzo III, allor sovrano pontefice della Chiesa, stimò suo debito spedir tosto da Roma chi qua, fornito d'autorità, sen volasse a troncare il capo alla nuova idra nascente, innanzi ch'ella, divenuta più adulta, disprezzasse indomabile e ferro e fuoco. Ecco però che, senza molto deliberar, gli occhi ferma in Pier di Parenzo, e questo elegge, e questo appruova, ed ingiugne a questo l'impresa. Ma io mi avviso stimar qui voi facilmente che questo Pietro esser dovesse qualche maturo ecclesiastico, il quale, esercitato in governi e provato in cariche, si fusse già paragonato più volte a cimenti sì disastrasi; uom che potesse in fin da lungi spaventare gli eretici con la fama del solo nome, non altrimente che un Davide, non mai vinto, i suoi Filistei; ed uomo almeno, a cui la canutezza del crine accrescesse venerazione, e la severità del sembiante acquistasse ossequio. Ma oh quanto andreste a ferir lungi dal vero se ciò credeste! Era anzi Pietro un amabilissimo giovane, non solamente non arrolato nell'ordine clericale, ma secolare, ma laico, ma quel ch'è più, di breve tempo anche sposo; inclito bensì di lignaggio, ma non però sperimentato per innanzi in affari di eccelsa fama, nuovo alle cure, non usato a' contrasti, e tale insomma, che non avea con l'eresia mai provato di stare a fronte, non che di provocarne i latrati o sfidarne i morsi. Quanto grand'uomo dovea pertanto esser egli, mentre, tutto ciò non ostante, un Innocenze III, ch'è quanto il dire un de' più savi pontefici della Chiesa, non dubitò di confidargli una impresa sì malagevole, e di promettersi tanto della sua intrepidezza, della sua diligenza, del suo valore? De' Cimbri, barbari assai famosi, si legge ch'eran tutti uomini di gigantesca statura. Però un capitano accortissimo, qual fu Mario, non ebbe ardire di cimentare i suoi Romani con essi a campai giornata, se non ov'ebbegli avvezzati prima a vederli in frequenti incontri, ed a superarli con picciole scaramucce. Che gran fiducia fu quella dunque che il papa mostrò di Pietro; mentre non avendo questi a' suoi dì mai veduti eretici, ch'è come dire, uomini astuti, viziosi, audaci, maligni, non dubitò di mandarlo a pugnar con essi; né già a pugnar, come dicesi, a primo sangue, ma a battaglia finita? Ho io certamente letto che Pietro infin dalla sua tenera fanciullezza avea dati saggi d'una virtù prima robusta, che adulta; che fra gli studi nudrito, egli aveva fatti mirabili avanzamenti nella eloquenza; che non per altro stimate avea le ricchezze che per consolarne i mendici, o la nobiltà che per calpestarne le pompe; che fra le penitenze, fra le austerità,, fra i rigori studiato avea di difendersi da ogni colpa, con quel riguardo con cui gli usignuoli, per assicurarsi dagli aspidi, cautamente dimorano tra le spine; che ne' più immondi spedali era stato uso d'impiegar tutto quel tempo il qual con santa avarizia rubar potea giornalmente alle propie cure; e finalmente, che nello stato di cavalier professando con raro ardire la cristiana umiltà, superate aveva le pubbliche dicerie, ed aveva lieto, in compagnia di coloro che son dal mondo derisi, deriso il mondo. Ho io, noi nego, tutto ciò letto di Pietro: ma certamente altri talenti, altre doti dir si conviene, oltre a queste, che in lui splendessero, mentre il poterono in tal grado, in tal abito, in tal età rappresentar pari a tanto. E vaglia la verità, ben conobbe egli qual carica fosse quella che sotto splendido nome di dignità gli veniva imposta. Smorbare infetti, soddisfar malcontenti, domar ribelli, compor tra cittadini litigi pertinacissimi, minacciar tormenti, dar pene. Chi potea però dubitar ch'altro ciò non era ch'esporsi a cimenti orribili, con isperanza incertissima di riuscita, e con pericolo manifesto d'insulto? Ma questo fu, che unicamente a lui fece accettar l'onore. Sen volò Pietro in Orvieto, e (chi '1 crederebbe?) non andò molto, che necessitò i turbolenti a chinare il collo ed a ricevere il freno. Non però crediate che tanto conseguir egli potesse a leggier suo costo. Udite, ed inorriditevi: tra le abbominevoli usanze carnovalesche introdotte in questa città, una erane la seguente: solean gli eretici invitare spesso i cattolici a giostrar seco; e come se ciascun dovesse con la spada provare la verità della sostenuta sua fede, così le più volte in una guerra finta sfogavasi un furor vero; se pure finta si potea dir quella guerra, in cui non ad altro si anelava, che a sangue, che a macello, che a strage, benché per giuoco. Vietò bentosto con seve-rissimi editti il nuovo governatore sì fier trastullo: onde inveleniti gli eretici (siccome quelli ch'avean con tale opportunità congiurato di esterminare interamente i cattolici, o meno numerosi, o men forti, oppur meno arditi), ciò che non ottennero nel carnoval per amore, tentarono di Quaresima per dispetto. Ed ecco appunto il primo dì delle Ceneri, tutti di concerto si levano tosto in arme, e gridando centra i lor emoli: ammazza, ammazza, obbligan questi, quantunque in giorno lor sì per altro divoto, a pigliar le spade; si assediano le vie, si appostano i passi; e già crescendo impetuoso per ogni parte il tumulto a guisa d'un fiume, al quale ognora dan più d'orgoglio o più d'animo quelle nevi che liquefatte discendono giù da' monti, tutto è confusion, tutto è strepito, tutto è grida. Che farà pertanto a tal nuova il governatore? Andrà a cacciarsi sollecito in fra tant'armi? Ma senza che contro di lui spezialmente son elle mosse, ch'altro fia ciò, che un cimentar la riputazione, che un arrisicare l'autorità, che un inutilmente trascorrere a certa morte? Sia ciò che si vuole, uditori: già Pietro è ito. Conciossiaché, commosso egli all'improvviso romore, non scese no, precipitò di palazzo; e là correndo dove appariva più presente il pericolo e dove più serrata la mischia, s'innoltra intrepido in mezzo alle nude spade, minaccia, prega, consiglia, sgrida, comanda, ed al fine ottiene, che ritirati nelle lor case i cattolici, diano, secondo l'insegnamento apostolico, luogo all'ira: quindi agli eretici rimproverando con volto eccelso l'orribile fellonia, l'impietà verso la lor patria, l'inumanità verso il loro sangue, l'ingiuria centra le stesse leggi più amabili di natura, gli spaventò, gli stordì, gli scorò per modo, che si rimiravano attoniti gli uni gli altri; e lasciandolo intatto in così gran sete che avevano del suo sangue, ciascuno si vergognava di non ardire, e nessuno ardì (P. Segneri, Panegirico Decìmoterzo, In onore del martire San Pietro di Parenzo, detto in Orvieto, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 643-645).

 

XVII - Sant'Antonio e gli animali marini

[...} Antonio, non uso a ripulse, se n'andò tutto infocato al lido del mare, e alzata la voce: o pesci, o pesci, esclamò, venite ad udire quella divina parola a cui non voglion questi uomini, o, per dir meglio, questi aspidi dare orecchie. Avreste veduto a quell'animoso comando scuotersi ed incresparsi tutte in un punto l'onde pur dianzi placide e abbonacciate: indi a poco a poco salire a galla con maravigliosa ordinanza tutti quei greggi marini, e piccoli e grandi ripartiti secondo le spezie loro, e schierati lungo la riva formare un ampio ed un attento teatro. Fé' loro il Santo un ben lungo ragionamento in commemorazione de' benefici che, fra tutti gli altri animali, avevano ricevuti da Dio, mentre egli avea soli salvati nell'alta strage dell'universale diluvio, e singolarmente avevagli eletti or ad albergare nel ventre un profeta naufrago, or a restituire la luce ad un giusto cieco, or a somministrare il denaro a un Dio tributario; e con questi ed altri argomenti eccitatigli alle lodi del lor Fattore, die per fine a tutti paterna benedizione. Non credo che a quei muti animali mai dispiacesse esser muti, più che in quell'ora. Avrebbon pure voluto troncar i nodi delle loro stupide lingue, ed articolare parole e scolpire accenti. Ma non potendo giugnere a tanto, chinarono umilmente le teste in segno di riverenza, e battendo l'ale attuffaronsi nel profondo (P. Segneri, Panegirico Decimoquarto, In onore di Sant'Antonio di Padova, detto in Lucca, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 655).

 

XVIII - Teodora moglie di Giustiniano e il diacono Vigilio

Teodora Augusta moglie dell'imperador Giustiniano, avea pigliato a favorir malvagiamente un tal Antimo eretico eutichiano, e come tale condannato nel Concilio Calcedonese, e deposto dalla sedia Costantinopolitana, nella qual egli con violenza tirannica s'era assiso. Non potendo però la malvagia femmina impetrar né prima da Agapito, né poi da Silverio, ambidue sovrani pontefici della Chiesa, che gli restituissero tal onore, chiamò Vigilio, diacono assai potente; e come già lo conoscea per un uomo oltre maniera ambizioso, ardito, sacrilego, sì gli promise di farlo tosto costituire nel soglio da lui già prima bramato del Vaticano, purch'egli, ciò conseguendo, le promettesse di annullare il Concilio, di riporre Antimo, di favorire gli eutichiani, e di approvare con apostoliche lettere la lor fede. A sì scellerata proposta, Vigilio, invece di tramortire o d'inorridirsi, l'accetta e la sottoscrive; e senza punto indugiare, ne vola a Roma con ordini a Belisario di dover con l'armi proteggerlo, dove non potesse promuoverlo col favore. Belisario, il qual dianzi trionfatore de' Goti, forse non avea, come avviene nella propizia fortuna, tanta pietà, quanta poi mostrò nell'avversa, parte per le commessioni mandategli da Teodora, parte per l'oro offertogli da Vigilio, con tradimento vilissimo fa prigione Silverio gran sacerdote, e sotto finti colori, ch'egli tenesse alcun trattato segreto con gl'inimici, lo fa spogliare del pallio pontificale, lo fa vestire d'una cocolla monastica, e così nascosolo, esce a convocare il clero romano, e con l'esercito a fronte, e con l'armi in mano, lo richiede ch'eleggasi un nuovo papa. Ma chi non sa che richieste armate equivagliono ad ordinazioni violente? Stabilito così Vigilio nel trono, ebbe in suo potere Silverio, e lo rilegò nell'isoletta Palmaria, dove sostentandolo con pane di tribolazione e con acqua d'angoscia, fra breve tempo il condusse a morir di fame. Mostrò nondimeno Silverio nel vile esigilo ch'egli avea perduta la potenza, ma non l'autorità, e la libertà, ma non il coraggio. Perciocché prima di morire, adunato un piccol concilio di quattro vescovi, rimastigli più fedeli del Terracinese, del Fondano, del Fermano, e del Minturnense, scomunicò lo scellerato Vigilio; e narratane l'impietà, e detestatane le violenze, dichiarò ch'egli, quantunque assiso nell'eccelsissima sede sacerdotale, non rappresentava Simon Pietro, ma Simon Mago, e che però nessun dovea riconoscerlo come pontefice vero, ma come un idolo nella Chiesa, e come un'abbominazione nel santuario. Non temè punto Vigilio, quando a lui giunse la scomunica fulminata, anzi vieppiù per la grand'ira inasprissi ed invelenì: ma quando poi sentì che il Santo era morto, o fosse orror del delitto, oppur fosse potenza della censura, parve che il fellone ad un tratto cadesse d'animo; onde, quasi pentito, se ne calò spontaneamente dal soglio, depose la dignità, lascionne le insegne. Attribuiscono alcuni questo al timore ch'ei concepette, quando con la morte di Silverio sentì i miracoli di Silverio. Ma quei più fini politici, i quali s'internarono addentro nel cuor di lui, dissero che il malvagio scaltritamente per allora pigliò quella maschera di modestia. Perocché, certo del favore di Teodora e dell'ombra di Belisario, ben si avvedeva che nessun altro gli verrebbe anteposto nella novella elezione; e dall'altro lato per renderla più legittima, e così ancor più sicura, desiderava che tutti vi concorressero ancora i buoni: però volle o mitigarli, o deluderli, o guadagnarli con quell'apparenza ingannevole di pietà. E certamente, come egli avea divisato, così successe. Conciossiaché, parte contenti di sì pubblica umiliazione, parte timorosi di più implacabile scisma, parte ancor per mostrare di donar quello a cui prevedevano di dover altramente venir costretti, tutti finalmente convennero a dichiarare Vigilio papa, e come tale lo riconobbero con le debite adorazioni, e co' debiti riti lo consacrarono. Or bene. Ecco legittimamente costituito nel trono del Vaticano l'uom più scorretto che forse allor soggiornasse nell'universo; uno dianzi scismatico, simoniaco, traditore, omicida, scomunicato; uno che aveva ad una imperadrice impegnata la sua parola a piacere dell'ingiustizia, in servigio dell'eresia; uno che aveva solennemente promesse maligne annullazion di concilj, inique restituzioni di vescovadi, ingiuriose depravazioni di canoni; ed un finalmente che dato avea, quasi per caparra di tante malvagità, un pontefice assassinato (P. Segneri, Panegirico Decimosettimo, In onore della Cattedra di San Pietro, detto in Bologna, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 683-684).

 

XIX - Sant'Ignazio tentato dal demonio

Qualunque volta lo scolare novello su que' principj entrava nella sua classe, tosto l'astuto nimico, trasfiguratesi in angelo luminoso, pareva che spalancassegli il paradiso. Gli dipingeva incontanente nell'animo quelle celesti visioni ch'egli avea godute in Manresa, quelle estasi, que' riposi, que' rapimenti; indi facevagli scaturire dagli occhi due dolci fiu-micelli di lagrime; e quando il vedeva aprire il libro per rimemorar la primiera conjugazione, a quelle voci, amo, amas, quivi arrestavalo; e non già gli proponeva al pensiero sembianti impuri, o gli attizzava nel petto amori impudici, com'egli forse a qualcun altro avria fatto; ma tutto lo dileguava in dolci disfacimenti di amor divino, che gli dicevano al cuore: chiudi, Ignazio, chiudi quel libro; che a saper ben amare, miglior maestro trovar non puoi di quel Dio che tanto t'amò, ancora quando tu gli eri ingrato e ribelle. T'insegneranno ad amar gli uccelli del bosco, che a Dio su l'alba pagan tributo di lode; t'insegneranno ad amar le stelle del ciclo, che a Dio di notte rendono omaggio di gloria; i fiori, l'erbe, le piante, i fonti, le fiere, tutte ancor esse in lor muta favella ad amare t'insegneranno, mentre son tutte sì fedeli e sì docili al lor Fattore. Così il nimico parlava al cuore d'Ignazio; ed a poco a poco invogliandolo degli antichi ritiramenti, lo invitava a lasciar gli strepiti pel silenzio, lo studio per l'orazione, la scuola pel romitaggio. E vaglia il vero, non si accorgendo il Santo dapprima delle arti occulte, era in procinto di ripigliare da Barcellona il cammino verso Manresa, e di rivestire i suoi sacchi, e di ricaricarsi di sue catene: se non che, illuminato a tempo da Dio, ravvidesi del gran fallo, e tanto se ne arrossì, che con solenne giuramento obbligossi a proseguire indefesso tutti gli studj; e chiamato il suo maestro a tal fine dentro una chiesa, gli cadde a' piedi, gli scoperse l'inganno, gli domandò perdonanza, e pregollo che da quell'ora, ov'ei mancasse a' debiti della scuola, il facesse subito soggiacer più d'ogni altro all'ammenda delle sferzate. Bastò quest'atto di sì profonda umiltà, perché il demonio confuso più non osasse tornar alle arti primiere. Svanirono d'indi innanzi tutte ad Ignazio nel tempo dello studiare quelle nuove estasi e quelle importune dolcezze; ed egli cominciando frattanto a rendersi ogni dì più strumento opportuno a propagare la maggior gloria divina, non solo nella propia persona, ma nell'altrui, qual mezzo potè mai tentare a tal fine, ch'egli lasciasse? Fece egli tosto come il sole, che apparso su l'emispero, non già successivamente lo illumina a parte a parte, ma tutto insieme. Così egli cominciò subito; e nelle chiese, e nelle piazze, e nelle università, e nelle case, e nelle campagne a spander raggi d'insegnamenti celesti, a sterpare abusi, a riformar moni-sterj, a tor pratiche, a levar giucchi, e soprattutto a richiamar nella Chiesa la salutare frequenza de' sacramenti già quasi dimenticatavi (P. Segneri, Panegirico Decimottavo, In onore di Sant'Ignazio di Lojola, detto in Parma, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 692).

 

XX - Estasi di Sant'Ignazio

Andava Ignazio co' suoi primieri compagni alla città reina del mondo, per ivi dare a quel concorde drappello una insolubile unione; e già era non lungi dalle sue mura, quando prima d'entrarvi si ritirò dentro una chiesicciuola diserta, affine di orare. Ma non fu quella orazione, fu estasi. Vid'egli il Padre eterno, che al suo Figliuolo umanato raccomandava con eccessiva caldezza i disegni nuovi d'Ignazio. Ma che poteva il Figliuolo rispondere a sì gran raccomandazione? Si rivolse ad Ignazio con volto amabile, e fattoio avvicinare, seco lo strinse ad una croce sanguinosa e pesante ch'egli tenea fra le braccia; e con piacevol sorriso: andate, disse, ch'io sarowi propizio nelle città, ego vobis Romae propitius ero. O fosser questi presagi di traversie rappresentate in quell'orribile tronco, o fossero augurj di prosperità figurate in quel sembiante sereno; certo è che con l'une e con l'altre si mostra Cristo, s'io non erro, propizio a questa sua religione, mentr'egli va temperando sempre in tal guisa ad util di lei persecuzioni e favori, dispregi e glorie, ch'ella non abbia occasione di diventare né per le avversità pusillanima, né per le prosperità baldanzosa (P. Segneri, Panegirico Decimottavo, In onore di Sant'Ignazio di Lojola, detto in Parma, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 694).

 

XXI - Mosè e l'Angelo armato

Se ne andava Mosè per divin comandamento in Egitto, ad eseguir la sua celebre ambasceria, e seco si conduceva la sua moglie Sefora, e due figliuoletti, Gersa ed Eliezerre: quando al voltar di una strada, ecco si fa loro incontro un Angelo armato, il qual, tenendo nudo in mano un pugnale, minaccia morte. Che fa a tal vista sbigottita la donna? Piglia di presente una pietra aguzza e affilata, e circoncidendo con esso il minor de' bambini che aveva al petto, placa l'Angelo in modo, che quegli a un tratto si dilegua, e li lascia, e senza aver loro fatta veruna offesa. È curiosa a sapersi fra' sacri interpetri la intelligenza più candida e più sincera di questo fatto: ma secondo i migliori passò così. Era Eliezerre nato a Mosè poco innanzi ch'egli imprendesse quel viaggio all'Egitto: onde, entrato questi in timore che i disagi e i sinistri di lunga strada non riuscissero disadatti alla cura del bambinello, ne avea trascurata la presta circoncisione, differendola a tempo men importuno e in luogo più stabile: mercecch'essendo stato egli allora da Dio collocato in grado di sovrano legislatore, non temea che alcuno del popolo osar dovesse di dirgli: perché ciò fai? Ma giudicava di poter anzi interpetrare benignamente le leggi a propio favore, e (siccome i principi fanno) o dispensarle, o allargarle com'ei volesse, non servarle più strettamente. Sì? (disse allora il suo Angelo) Che niuno s'attenterà a rinfacciarti, l'udrai da me; e così comparsogli in quel sembiante feroce, ma profittevole, gli fé' riconoscere l'errore e compir il debito (P. Segneri, Panegirico Decimonono, In onore di Sant'Angelo Custode, detto in Perugia, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 698-699).

 

XXII - Proclo vescovo di Costantinopoli ricorda San Giovanni Crisostomo e chiede a Teodosio di rìcondurne la salma a Costantinopoli

Era già morto San Giovanni Grisostomo nell'ignominioso esilio di Ponto, quando trentun anno dappoi recitando un'orazion solenne in sua lode il vescovo Proclo nella [...] città di Costantinopoli, seppe sì vivamente rammemorare i suoi meriti, sì degnamente esaltare le sue virtù, che tutto il popolo alza una voce, ed esclama, che gli sia renduto Giovanni. Prende allora Proclo le parti del popolo concitato, e rivolto all'imperadore Teodosio, quivi presente, esortalo a soddisfar sì giusta dimanda, ed a ricuperar sì ricco tesoro. Già per sé stesso avidamente il bramava l'imperadore; onde vieppiù allora infiammato da quelle voci, ordina di presente una legazione, per ricondurre il desiderato cadavero di Cumana in Costantinopoli. Sono eletti a tale ufficio i più nobili senatori; s'inviano soldatesche per guardia, cortigiani per comitiva, ingegneri per macchine, carriaggi per apparati: ma non prima giunti in Cumana, voglion alzare il prezioso deposito dal suo luogo, che lo ritrovano a ciò ritroso ed immobile. Applicano cento braccia, sottopongono cento leve; ma tutto è indarno. Però confusi riscrivono mestamente all'imperadore, come Grisostomo piega di ritornare. A questo avviso, sbalordito Teodosio, si conturba prima e s'inquieta: quindi con più che umana risoluzione dimanda subito penna, dimanda carta; e prostratesi ginocchione, prende a scrivere tutta di propio pugno una lunga lettera al Santo, come s'egli ancor fosse vivo, nella quale parte lo persuade, parte lo supplica al desiderato ritorno: poi sottoscrive il foglio, il piega, il sigilla, e lo consegna ad un frettoloso corriere. Pensate voi quanto stupore concepissero i senatori, quando, pigliato in mano il regio dispaccio, vi rimirarono in fronte questa inaspettata soprascrizione: Al Padre spirituale delle anime, e dottore universale del mondo, Giovanni Grisostomo. Tosto n'andarono unitamente alla tomba; e mentre gli altri divoti stavan d'intorno chi con fumanti turiboli chi con fiammeggianti doppieri, si fé' più innanzi de' senatori il più vecchio, e baciata riverentemente la lettera: questo foglio, disse, presenta a vostra paternità il vostro servo e mio signore Teodosio. Quindi, quasi ricevuta licenza, l'apre, e gliel legge, e poi così aperto ponendoglielo sopra '1 petto, s'inginocchia a ripregarlo insieme con gli altri, che gradir voglia l'umiltà delle istanze con la benignità della degnazione. Parve che l'istesso volto del Santo vieppiù sereno desse lor animo; onde provatisi a muoverlo, lo ritruovano così agevole, che incontanente tutti festosi dispongonsi alla partenza. Lungo è spiegare la magnificenza, la divozione, la calca, con cui su le spalle di nobili senatori fu portato fino in Calcedone. E già in Calcedone era opportunamente arrivato l'imperadore con un'intera armata di navi, e piccole e grandi, adornate pomposamente; quando appressatesi con la sua splendidissima capitana, vi ricevette a ginocchia piegate il sacro deposito, e tra un giocondissimo strepito di trombe, di vivole, di cetere e di tamburi, fé' dirizzare immantinente le prode a Costantinopoli. Dica l'Oceano medesimo, s'egli altra volta avea mirato giammai trionfo più bello. Splendeano d'ogn'intorno tutte le spiagge, ancor più rimote, di fiaccole e di fanali; rideva il ciel più sereno, il mare più placido; e solo alcuni venticelli battendo maestrevolmente su l'acque le loro penne, parca che s'ingegnassero d'accordare con l'armonia delle voci il suono dell'onde. Ogni navilio folgorava di oro, ogni antenna era inghirlandata di fiori, ed ogni poppa incoronata di fiamme. Precedevano prima i legni men nobili, appresso i più signorili, ed in fine seguiva la capitana, vieppiù ancora d'ogni altra più riguardevole per la maestà della mole, per la ricchezza de' lumi, per la sontuosità degli addobbi. E ornai non lungi rimiravasi il porto della città, quando ad uno stesso momento conturbandosi il ciclo, ed il mar corrucciandosi, levossi una burrasca sì formidabile, che squarciate le vele e rotte le sarte, dissipò tutta improvvisamente l'armata. Figuratevi voi, se a un tratto cambiaronsi i salmeggiamenti di giubilo in gemiti di spavento. Chi temea della sua vita e chi dell'altrui, e più anche molti temevano della perdita di quel sagrosanto deposito, quasi che quel mare medesimo, il quale rigetta stomacato e sdegnoso, gli altri cadaveri, fosse di questo divenuto famelico ed invidioso. Ma dileguossi ogni timor, quando videro aver il Santo stesso eccitata sì gran procella per venir così trasportato a salutare la memorabile vigna di quella vedova, per cui tanto avea tollerato. Perocché arrivata che fu la sua capitana vicino a quella riviera, rasserenossi l'aria, tacquero i venti, si tranquillarono l'acque; e ricon-giuntisi insieme tutti i vascelli, seguirono lietamente il loro viaggio all'imperiale città. E qui di nuovo comincian pure altre pompe ed altri stupori. Scendono tutti sul lido i cavalieri, i sacerdoti, i soldati, e sino al tempo degli apostoli s'ordina una solennissima processione, dietro la quale a guisa di trionfante siegue sul carro imperiale il sacro cadavere. Quindi qual credete che sia l'accompagnamento di sì nobile funerale? Muti che snodan la lingua; sordi che racquistan l'udito; zoppi che disciolgono il passo; ciechi che riaprono i lumi; infermi che riguadagnano la salute: e in un con questi inonda un mare sì smisurato di popolo, che Costantinopoli stessa noi cape in seno. Né già fu alcuno, a cui quel dì fossero oggetti di oziosa curiosità o gli archi trionfali che incontravansi in ogni strada, o le inscrizioni eleganti che pendeano d'ogni parete, o i nembi fioriti che pioveano d'ogni balcone. Tutti a gara affollavansi per entrare nel sacro tempio, dove, posato il venerabil deposito, fu dal patriarca aperta la cassa per mostrare al popolo il Santo. Non si potè contenere il popolo intenerito a tale spettacolo; onde con affetto concorde tosto esclamò: sul vostro trono tornate, o Padre, a sedere sul vostro trono. E già ossequiosi i ministri ve lo adattavano, quando il santo vescovo aprendo visibilmente le morte labbra, con voce chiara, maestosa e distinta, proferse queste parole: Fax vobis. Crescono a queste voci le acclamazioni, si rinnuovano i pianti, e l'imperadore Teodosio, proteso a pie del suo santissimo padre, non sa finire o di bagnarli di lagrime, o di stamparli di baci, fin che non gli fu quasi a forza tratto davanti, per collocarlo in una maestevole tomba sotto l'altare (P. Segneri, Panegirico Ventesimo, Per la festa di tutti i Santi, detto in Modena, in Id., Panegirici Sacri, cit., pp. 711-713).

 

XXIII Un giovane ateniese si innamora di una statua

Fra quanti strani amori si leggano nelle istorie, o antiche o moderne, mirabilissimo, per mio credere, è quello di cui rimase già sorpreso in Atene non so qual giovane di sangue illustre e di facultà dovizioso. S'abbattè egli a mirare un dì casualmente nel Pritaneo (ch'era un de' più celebri luoghi della città), s'abbattè, dico, a rimirare una statua rappresentante, come parlavasi già, la Buona Fortuna; e tutto a un tempo n'invaghì di maniera, ch'arrivò a quegli eccessi ch'or esporrowi, perché gli abbiate, non so s'io dica a compatire, o a deridere. Non passava quasi mai dì [...], ch'egli non tornasse sollecito a corteggiarla: or la inghirlandava di fiori, or la ingemmava di anella; andava a farle di mezzanotte afflittissime serenate; le esagerava la vampa de' suoi desii, le dedicava la devozion del suo spirito, e finalmente, anteponendola a quante belle Greche lo ambivano per marito, andò in senato, ed ivi supplicò di potersela come sposa condurre a casa con magnifica pompa, offerendo a titolo o di pagamento o di dote il suo patrimonio. Risero i senatori del folle innamoramento, e gliel contraddissero. Allora egli ritornò sulla sera alla statua amica, e con dirotti singhiozzi e con calde lagrime deplorò lungamente la sua sventura; indi tratto fuori uno stilo: non sia mai vero, le disse, ch'ad altre nozze io mi serbi, dacché mi vengono ritardate le tue; e così, datasi una ferita nel cuore, le cadde a' piedi, e tutta la spruzzò del suo sangue (R Segneri, Panegirico Ventesimoprimo, In onore della Santa Casa di Loreto, detto in Fermo, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 715).

 

XXIV - Una luce apparsa improvvisamente nella Casa di Loreto mentre vi predica un sacerdote

Predicava, ha già molt'anni, un de' padri in quel sacro tempio, essendo ancora il dì chiaro e l'udienza folta; quando dall'alto della cupola scese un improvviso splendore a guisa di stella, ma sì lieta e sì luminosa, che fu creduta poter contendere di bellezza col sole, ancorché presente. Si posò questa da prima sopra la volta dell'alloggiamento divino: indi spiccato un volo, se ne passò a ricercare ad una ad una le pubbliche residenze de' sacri penitenzieri, e con eguali dimore andò sostenendo su le teste d'ognun di loro; sinché, già quasi soddisfatto al suo debito, sen tornò sopra la santa cappella, donde rivolatane al ciclo svanì dagli occhi del popolo sbalordito, lasciando più colmi gli animi di dolcezza, che le ciglia non erano di stupore [...] (P. Segneri, Panegirico Ventesimoprimo, In onore della Santa Casa di Loreto', detto in Fermo, in Id., Panegirici Sacri, cit., p. 719).






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AUTORIZZATA DALL'AUTORE ROCCO PATERNOSTRO

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