Nell'Introduzione, premessa da Bianca Tavassi La Greca alla riedizione, da lei curata per l'editore Magnanti, delle Vite di Andrea Sacchi scritte dal Bellori e dal Passeri, così si ha modo di leggere a proposito dell'abilità compositiva e quindi della peculiarità della pittura di Andrea Sacchi:
Ambedue i critici [Bellori e Passeri] riconoscono [a Sacchi] grande abilità compositiva nei dipinti, sapienza nell'organizzazione generale dell'insieme, come nella cura dei particolari, nonché una lodevole e mai rinnegata adesione al naturale.(1)
Ma ciò che più conta, ai fini di quanto mi propongo di dimostrare, è che la curatrice insiste sul fatto che i due biografi finiscano con il concordare soprattutto sull'abilità disegnativa di Sacchi.(2)
Ma, nonostante Sacchi fosse stato - al dire del Bellori - nella pittura un "ornatissimo ingegno" tanto da acquistarsi "fama di primo disegnatore dell'Accademia di San Luca" e nonostante fosse "ottimamente istruito nel disegno"(3) da raffigurare con "tanta accuratezza, e maniera vezzosa, che rendeva meraviglia a chi lo vedeva, [per cui] il suo maestro(4) ne andava superbo";(5) insomma nonostante tutto ciò, ovvero nonostante - come conferma il Passeri -"nel disegno [avesse] grande perfezzione"(6) e nonostante - come ribadisce ancora una volta il Bellori - risolvesse i suoi quadri "studiosamente e con maturità",(7)Sacchi non fu alieno dal nutrire e dal coltivare una qualche attenzione, o meglio, una qualche predilezione per il deforme, il brutto.
In tal senso i suoi quadri presentano segni evidenti e tangibili e certo non episodici e/o occasionali, a dispetto di quel suo classi-cismo individuato dal Bellori e inteso - come scrive Rosanna Barbiellini Amidei - quale "ideale neoraffaellesco, finalizzato alla rappresentazione apologetica di una nuova età dell'oro".(8)
Così, se Sacchi, frenando sulla tentazione barocca cui Pietro Da Cortona cedette in pieno, aveva finito con il "riesumare, riformulandolo radicalmente, il grande tema [...] del dominio del vuoto sul rappresentato", ovvero se per lo stile Sacchi fu un "rivoluzionario silenzioso, ma pure come lo era stato il Caravaggio, aggressivo e perentorio, proprio perché - secondo quanto scrive Strinati - il grande maestro romano non assomigliala a nessuno e questo suo eccepiersi dal contesto, in cui pure si [era calato] giovane accanto a Pietro Da Cortona e a una pletora di maestri che [avevano evaso] esplicitamente dal confronto con il naturalismo caravaggesco, fu la sua vera grande caratteristica";(9) insomma, se Sacchi - sempre a dire di Strinati - fu in grado di inventare un linguaggio "ricco ed esauriente nella sua schematicità assoluta" da sembrare "all'apparenza facilissimo, ma, in effetti, di abissale complicazione"; e se, muovendo dalle dottrine di uno dei grandi intellettuali della cerchia barberiniana, Michelangelo Buonarroti il giovane, circa i libri vani e tutto ciò che è in definitiva vano, arrivò al paradosso "di un'arte che aspira a scoprire solo "quel ch'avanza",(10) è pur vero però che, a dispetto di tutto ciò Sacchi non potè fare a meno di cedere ad alcuni temi tipici della modernità, non solo entrando direttamente nell'annosa questione del contrasto tra gli antichi e i moderni che, in quegl'anni, penetrava sempre più acutamente negli ambienti intellettuali e suscitava accese dispute, ma anche caratterizzando in maniera originale e provocatoria il suo proprio linguaggio pittorico.
Paradossalmente, ma solo in apparenza - scrive in proposito Strinati -Sacchi prende posizione esplicita sul tema, manifestandosi maestro moderno per antonomasia, che non ha bisogno di attingere il suo sapere dall'immensa dottrina degli antichi, ma, piuttosto, si trincera dentro un linguaggio da molti condiviso, che tende progressivamente a tagliare il cordone ombelicale che legittimerebbe la grandezza dell'arte sull'autorità dell'Antico. E questo accade persino in opere liminari, come il Ritratto del maestro Pasqualini, in cui il contesto classico è trattato con un senso di incommensurabile distanza e ironia.(11)
E questo accade - a mio parere - anche e soprattutto in quelle sue opere segnate dalla presenza voluta e consapevole del deforme, del brutto.
Del resto tale tendenza, presente nell'arte pittorica e in quella letteraria del secolo, fu segnalata, sebbene con un atteggiamento di forte rifiuto, relativamente all'architettura, dallo stesso Bellori, il rappresentante più significativo della critica d'arte di indirizzo classico del Seicento.
Nella sua Idea dell'Arte,(12) Bellori con queste parole stigmatizzava il suo rifiuto della corruzione in cui era caduta, nell'età moderna, l'architettura con il privilegiare la deformazione degli edifici e/o il distorcimento delle linee:
Affaticaronsi Bramante, Rafaelle, Baldassarre, Giulio Romano ed ultimamente Michel Angelo dall'eroiche ruine restituirla alla sua prima idea ed aspetto, scegliendo le forme più eleganti de gli edifici antichi. Ma oggi in vece di rendersi grazie a tali uomini sapientissimi, vengono essi con gli antichi ingratamente vilipesi [...]. Ciascuno si funge (sic) da se stesso in capo una nuova idea e larva di architettura [...]. Tanto che deformando gli edifici e le città istesse e le memorie, freneticano angoli, spezzature e distorcimenti di linee, scompongono basi, capitelli e colonne, con frottole di stucchi, tritumi e sproporzioni.(13)
L'aspetto eversivo, ovvero il capriccio dell'arte del secolo venne al contrario giudicato positivamente dal Passeri che intuì tutto il valore di novità e di inventiva ad essa connaturato. In proposito così scriveva:
La architettura ha pure nome di loro sorelle (della pittura e della scultura) mentre da un padre medesimo vien generata; ma con mezzi troppo diversi si fa conoscere: se bene tutte e tre col capriccio, con la novità e con l'invenzione porgono un dolce nutrimento alla curiosità.(14)
Così, se il Bellori dimostra una incomprensione totale verso quella che potremmo definire la corrente artistica più eversiva del Seicento, tanto da non esitare a enunciare i principi cui devono attenersi gli artisti per giungere alla perfezione,(15) non altrettanto fece il Passeri, la cui entusiastica adesione a tale corrente eversiva va segnalata solo per dovere di informazione, in quanto ciò che è veramente interessante segnalare è piuttosto la posizione teorico-critica e pratico-operativa in ordine alla modernità assunta da Sacchi. Posizione, questa di Sacchi, invero singolare e per certi aspetti originale, lontana, da un lato, da quanto sostenuto dal Bellori, e segnata, da un altro verso, da una profonda aporia tra il piano della sua poetica programmatica e quello della sua poetica in atto. In proposito si legga quanto Sacchi affermava in una lezione a Francesco Lauri:
È incontrastabil principio d'ogni uomo di senno, che la natura sia maestra all'arte [...]. Non devesi per esprìmere il volto adirato de' Santi prender norma da quello de' numi o de' manigoldi: né far venir dal cielo l'eterno Padre come vi verrebbe Marte: né figurare il divin Salvatore, ch'è stata la fattura più bella, che sia mai veduta nel mondo, od in sembianza di povero lacero, e schifo, o di villano salvatico, e rozzo, o d'artigianello incolto, e stupido: ed in ciocché perpetuamente studiar si dovrebbe per immaginar un volto nobile, serio, maestoso, e perfettamente formato [...]. Non si debbon colorir le Maddalene a guisa delle Veneri, né le Madonne a similitudine della Psiche, né rappresentar fatti contrari al veri-simile, ed all'istorie, e spezialmente alle sacre [...]. Non si deono per far pittoreschi i ritratti rendere, o nella capellatura, o nell'abito, o nel gesto, od in altre strane guise ridicoli gli originali, ed andar minutamente ricercando, o difettuzzi, che si dovrebber nascondere, o caricare quelli che si dovrebbero diminuire. Poiché chi sa ben prendere gli affetti dell'animo, che appariscono ne' volti, e di lor contorni, di poco più ha uopo per farli simili, dovendo l'artefice far comparir sempre più vaga dell'originale la copia sanzache punto perda di sua somiglianza. E prendasi sempre il lume maggiore, e da alto e più da tramontana che da mezzo giorno, acciò il sole, ed il prenderlo da basso non faccia variare il sembiante.(16)
Più che una lezione, ovvero più che dei consigli operativi di un maestro al proprio allievo, il passo riportato mi sembra essere una vera e propria dichiarazione di poetica, che ha la sua centralità nel concetto della natura maestra all'arte e in quello ad esso legato secondo cui l'arte deve fondarsi sul principio del verosimile, con l'avvertenza di non rendere in nessuna delle lor parti ridicoli gli originali cui ci si ispira, soprattutto di non ricercare minutamente quei piccoli difetti che si dovrebbero nascondere, oppure accentuare quelli che si dovrebbero diminuire.
Una considerazione fondamentale a questo punto s'impone. Sacchi mi sembra essere già lontano dal concetto belloriano di "bellezza emendata della natura" ottenuta attraverso lo studio degli antichi; Sacchi è tanto più lontano solo se si consideri come egli insista sul fatto che "non si debbon colorir le Maddalene a guisa delle Veneri, né le Madonne a similitudine della Psiche, né rappresentar fatti contrari al verisimile, ed all'istorie, e spezialmente alle sacre". Insomma Sacchi non solo dimostra di non aver bisogno di attingere il suo sapere dall'immensa dottrina degli antichi, ma - così come ha visto Strinati - dimostra di trincerarsi "dentro un linguaggio che tende progressivamente a tagliare il cordone ombelicale che legittimerebbe la grandezza dell'arte sull'autorità dell'Antico"; ovvero dimostra di volere e sapere elaborare un proprio linguaggio moderno, autentico e originale la cui forza, a ben vedere, sta nel saper "prendere gli affetti dell'animo che appariscono ne' volti" in modo che la copia, l'opera d'arte, compaia sempre più vaga dell'originale senza perdere con ciò la somiglianza con quest'ultima.
Con tale poetica del verosimile interiore o del verosimile dell'anima che, da un lato, gioca sul concetto di somiglianza e, dall'altro, su quello di pertinenza tra copia e originale, e che rifugge programmaticamente da tutto ciò che non sia studiata compostezza formale, Sacchi prende posizione esplicita nel dibattito sul contrasto tra gli antichi e i moderni, tra gli "antihoggidiani" e gli "hoggidiani", per dirla col linguaggio secentesco, elaborando un propria autonoma originale e quindi rivoluzionaria soluzione pittorica. Ma in questo rapportarsi e confrontarsi con le "vivezze" di un gusto moderno, Sacchi, suo malgrado, finisce per subirne il fascino, pagando in tal senso il contributo di uomo e di artista al suo tempo.
L'eversione, il capriccio, la novità, l'invenzione dell'arte di quel secolo finirono con l'esercitare una, seppur piccola, suggestione sulla sua poetica in atto, e lasciando evidenti, anche se sporadici, segni nelle sue opere inferirono su uno dei dettati estetico-operativi della sua poetica programmatica, secondo cui l'artista non deve rendere in nessuna delle parti ridicoli gli originali cui si ispira. Nonostante Sacchi espungesse programmaticamente dall'arte il deforme, il brutto, tale categoria ritorna, è presente in alcune sue opere. Il caso più evidente e insieme più eclatante è rappresentato dall'opera San Gregorio e il miracolo del corporale, forse commissionatagli nel 1621 dopo l'elezione del pontefice Gregorio XXV (Papa Ludovisi), e ultimata nel 1626. L'opera - scrive la Barbiellini Amidei - anche se finita dopo la morte del cardinale Del Monte era stata impostata secondo l'iconografia dettata dal cardinale e dai suoi colleghi della Congregazione dei Riti e rispondeva pienamente al dettato stilistico dei pittori caravaggeschi. L'opera non passò inosservata, né per l'audacia della composizione, né, soprattutto, per gli errori e le brutture della pittura. Così Michele Lonigo scriveva in proposito:
Dipingendo la faccia grinza, bocca torta e sdendato un Pontefice che per cosa certa sappia esser stato bellissimo; ogni elemento dei paramenti e degli arredi sacri era errato e la colomba all'orecchio non è un piccolo errore perché solo quando è in atto di scrivere c'è la colomba.(17)
Nel quadro Le tre Maddalene, la mano destra poggiata sul petto della martire Maddalena del Giappone è decisamente deformata nelle dita. Nell'opera, conservata nella chiesa conventuale di San Francesco a Nettuno, intitolata Traslazione della Santa Casa e Santi, la figura di San Francesco è decisamente brutta rispetto alle altre tre figure di Santi (Rocco, Bartolomeo e Giuseppe) con un volto cadaverico e una stempiatura che rende ancor più brutto tutto il volto, ma il particolare più suggestivo della composizione è costituito dalla pelle livida abbandonata come un cadavere, panneggio di carne che aderisce a terra, quasi una deformazione di prospettiva dell'intero quadro. In Sant'Antonio che resuscita un morto, il personaggio che discopre il sepolcro presenta una deformazione sulla parte sinistra della testa che è vicino alla pietra sepolcrale, la mano sinistra che evidentemente regge tale pietra sembra, per un gioco di ombre e di prospettive, un enorme orecchio quasi giustapposto che rende ancora più brutto un volto già di per sé deformato per le sue angolature e spigolature. La caviglia sinistra e il piede sinistro di San Pietro di Apostoli sono decisamente deformati rispetto alla caviglia destra e al piede destro del santo. Ma ancora si confronti il nano deforme che appare nel disegno Una festa in casa Falconieri (Windsor, Collezioni Reali); oppure il cartone che rappresenta il Concilio di Nicea, allorché Costantino, ricusando di giudicare le cause dei vescovi, fa gettare nel fuoco i libelli, rimettendoli al giudizio divino, da cui è tratto uno dei cinque dipinti rappresentanti le cinque grandi storie di Costantino che si trovano nella chiesa di San Giovanni in fonte, contigua alla basilica lateranense. "Finse Andrea - scrive in proposito il Bellori - nel di dentro d'un tempio Costantino, coronato di lauro ornato di manto d'oro, con la destra tiene il braccio d'un Santo vescovo, avvicinandosi per baciargli la ferita della mano, tronche le dita, e con la sinistra getta sotto in terra un tripode d'oro con un focone d'argento pieno di fogli delle accuse [...]"; o ancora il ritratto del padre Mostro, religioso di San Domenico, mostruoso per ingegno e dottrina, ritratto sconosciuto dalla critica, ma di cui ci da notizia sempre il Bellori il quale così lo descrive: il ritratto "è una testa rotonda ed ispida dipinta in faccia per far meglio apparire il naso, che in altra veduta avrebbe troppo diminuito"; e per finire si pensi alla Visione di San Bonaventura per la chiesa dei Cappuccini, di cui il Passeri così scrive: "II Santo è assistito da alcuni angioli, e due amorini celesti stanno manipolando l'incenso, ed un altro tiene nelle mani il pastorale. Vi ha rappresentato il di dentro di un tempio; ma quanto alla buona prospettiva, bisogna confessare che è un punto di veduta stravagante".(18)
Tale presenza del brutto, del deforme, era il tributo che Sacchi pagava al gusto, o almeno a un versante particolare con cui il gusto dell'epoca prendeva forma nel campo dell'arte: dalla pittura alla architettura, alla letteratura. A livello artistico, si ricordino certe figure iperrealistiche di Caravaggio, oppure alcune figure popolari delle bambocciate di Pieter Van Laer e del suo seguace Michelangelo Cerquozzi, o ancora quelle di Micco Spadaro (cfr. I mangiatori di maccheroni, Roma, Galleria Nazionale), o taluni disegni di Annibale Carracci (cfr. Lo storpio, Londra, Collezione Oppè), oppure certe incisioni di Johann Heinrich Schònfeld (cfr. Saul dalla strega di Endor), ma soprattutto si ricordino il famoso quadro di Rembrandt Lezione di anatomia del dottor Tulp (1632) e i ritratti di Ribera raffiguranti corpi invecchiati; insomma si ricordi quel gusto dell'orrido derivato dall'iconografia fiamminga e nordica che tanto influenzò persino Salvator Rosa della fase "morale"; ma ancora si ricordi lo studio delle deformazioni prospettiche o anamorfosi allora tanto di moda cui si ricorreva sia per virtuosismo, sia per il gusto della sorpresa, sia per nascondere ai profani immagini simboliche od oscene.(19)
A livello letterario, invece, si pensi a certe figure femminili di zoppe, nane, spiritate, vecchie orribili, brutte donne "putride e malsane" di cui è popolata la fantasia di poeti e di scrittori quali Giovan Battista Marino, Giovan Leone Sempronio, Bernardo Morando, Ludovico Tingoli, Claudio Achillini, Giuseppe Salomoni, Pietro Michiele, Fulvio Testi, Giulio Cesare Croce, Giambattista Basile, Fernando Donno;(20) e alle altre maschili di nani gobbi, di vecchi canuti e cascanti, di storpi, di zoppi di Bernardo Morando, Pier Francesco Paoli, Giulio Cesare Croce.(21) Ma pure si pensi a quelle figure di donne, se certo non deformi, almeno con difetti e/o imperfezioni fisiche, come la bellissima donna cui manca un dente di Bernardo Morando, o la bella balbuziente di Scipione Errico; o ad eventi umani e naturali come la morte che tutto corrompe e deturpa di Antonio Basso, o come l'aborto di cui parla Bartolomeo Dotti. Infine, a conclusione di tali esempi, si pensi al caos quale "macchina mal composta" di Giuseppe Battista; oppure ai "leporeambi" di Ludovico Leporeo, componimenti dalla complicata struttura metrica basata sull'uso degli artifici stilistici e ritmici più bizzarri: rime al mezzo, allitterazioni, bisticci vari, manovrati con intenti di deformazione caricaturale e giocosa,(22) quasi una sorta di specola letteraria della anamorfosi pittorica.
Ebbene, proprio questa attenzione al deforme, al brutto, quale uno degli aspetti del gusto e dell'arte della modernità presente nelle opere di Sacchi, mi sembra debba e possa porre una nuova luce sul dibattito che nel 1636 si era svolto nell'Accademia di San Luca tra lo stesso Sacchi e Pietro da Cortona. Dibattito che -come scrive Oreste Ferrari - verteva sui criteri di composizione della pittura di Historia-, l'uno (Sacchi) richiamandosi alla essenzialità delle norme aristoteliche, al decorum, l'altro (Cortona) parteggiando per la copiosa varietà di un bel Poema.
Il richiamarsi al decorum si inseriva nella ricerca di Sacchi di un proprio autonomo e originale linguaggio pittorico, che non era, e non poteva essere, una riproposizione semplicistica, acritica e atemporale di una linea classicistica, ma era un elemento di moderazione, di equilibrio, nei confronti di quella tentazione barocca che emergeva dalla cultura del tempo e cui il Cortona aveva ceduto in pieno; insomma era un principio estetico che temperava quell'eccesso barocco cui s'era opposto - come scrive la Barbiellini Amidei - Tommaso Campanella nel commento ai Poemata di Maffeo Barberini e nella Poetica. Da anni, del resto, un gruppo di scrittori si muoveva in tale direzione. Maffeo Barberini, Virginio Cesarini Sforza, Francesco Caetano, Giovanni Cristofano, Giovan Battista Ciampoli da un lato, Sforza Pallavicino, Paolo Segneri da un altro, avevano elaborato o andavano elaborando una poetica di moderato barocco, opponendosi di fatto e concretamente a quell'eccesso barocco reso esplicito da Campanella il quale, però, teorizzò come unica forma di poesia la poesia delle cosiddette "parafrasi" davidiche o scritturali, la "prisca poesia" di ispirazione sacra e profetale, ovvero una poesia sul modello di re David e di Dante, la sola che - a suo modo di vedere - potesse promuovere il Vero e il Bene.
Classicismo romano,(23) ambiente dalmontiano (24) modello campanelliano,(25) a mio parere anche sotto l'aspetto magico-astrologico, frequentazione di alcuni poeti di area moderato barocco (26) furono le coordinate culturali che sottesero alla formazione del linguaggio pittorico sacchiano e che lo portarono a elaborare una poetica di timbro e di tono moderato barocco; poetica che, fondandosi sul canone estetico dell'imitazione del naturale, se non a livello programmatico almeno a livello pratico-operativo, cedeva alla tentazione della modernità con l'aprire e, quindi, con l'aderire al brutto, al deforme, quale cifra estetica che avversava la mimesi aristotelica e il canone di imitazione umanistico, in quanto si fondava sull'ingegno inteso come nuovo centro del fare artistico e letterario; sull'ingegno, appunto, che, insieme all'esperienza, surrogava la mimesi non essendo l'esperienza conoscenza di sapere universale, ma un'esperienza che dava solo esiti di osservazione minuta dell'essere umano.(27)
Se, dunque, per questa via - come è stato sottolineato brillantemente da Michele Cataudella - entrava il brutto in letteratura o nella rappresentazione poetica e - aggiungo io - nell'arte pittorico-figurativa, è poi vero che il brutto, il deforme, proprio per ciò finiva per qualificarsi come uno dei topos del meraviglioso, così come avverrà di lì a poco nel Segneri dei Panegirici Sacri, sorta di analitica del meraviglioso che il grande scrittore nettunese elaborerà e dove tale topos assumerà un valore singolare e particolare rispetto al gusto medio del secolo. Ciò avrò modo di dimostrare in maniera più esaustiva nel prosieguo di questo mio lavoro, ovvero nel saggio dedicato a Paolo Segneri.
Quel che ora, a termine di questa indagine mi sembra necessario sottolineare è come il topos del deforme, del brutto, finisse per caratterizzarsi e quindi per essere un aspetto particolare della poetica della meraviglia, di quella poetica cioè, che - come scrive ancora Cataudella - rompendo con il passato, (28) fondava nell'ingegno e nella quantità come qualità del bello il fare letterario; quantità, del resto, che giustificò anche l'accumulazione enciclopedica e quindi il variegato fenomeno del collezionismo. Difatti filosofi ed eruditi, teologi e lessicografi furono occupati sotto le rubriche della mathesis universalis, dei systemi e dei dictionnaireis.
Passando - scrive in proposito Federico Luisetti - per il Pansophiae Prodromus di Comenio (1637), la Science universelle di Sorel (1641), L'Encyclopaediae di Gueinzius (1648), \Encyclopaedias disciplinarum di Calovius (1652), il Pharus scientiarum di Izquierdo (1059), la Pansophia seu encyclopaedia ac summa omium artium artium liberalium et illiberalium di Aeschelius (1667), Videa totius Encydopaediae mathematico-filosophicae di Weigel (1671), VEncyclopaedia jurìs universi di Hunnius (1675); il secolo aperto dalle rivoluzioni enciclopediche dell'Advancement ofLearning di Bacone (1604), dell'Encyclopaedia brevis di Martini (1606) e del Lexicon Philosophicum di Goclenio (1613) si conclude con il lebniziano Discours touchant la methode de la certitude et l'art d'inventer (1697-1698) e con il Dictionnaire historique et critique di Bayle (1697).(29)
Ma il secolo si caratterizzò soprattutto dell'enciclopedismo di Alsted, Kircher e Leibniz e continuò a ristampare "gli obsoleti trattati medievali" di Vincenzo di Beauvais e di Bartolomeo Anglico (il De rerum proprietatus). E mentre la filosofia e la teologia affiancarono ai generi tradizionali della summa, del commentario e della disputazione (le Disputationes di Suarez furono del 1597), i più aggiornati ritrovati didattici dei Systemi, methodi, sciagraphiae e anatomiae, nonché le varie encyclopaediae, cyclopaediae e pansopbiae, la retorica e la lessicografia umanistica (neolatina e volgare) - scrive ancora Luisetti - dettero alle stampe innumerevoli dizionari, lexici, thesauri, silvae, bigarrures, poliantheae, theatri, florilegio,, adagia, bibliothecae, cathalogi, officinae, cornucopiae, oltre che onnicomprensivi trattati di stile, di "acutezze" e "concetti", paralleli agli archivi enciclopedici della polymathia, dell'Historia, dell'anatomia, del catalogo, del poema eroico e allegorico.
Medici, giuristi, alchimisti e scienziati naturali - conclude Luisetti, facendo propri gli studi di Tonelli, Rossi e Yates, - si dotarono di repertori alfabetici e sistematici, [...] gli storici eruditi compilarono prolisse chro-nologiae e polyhistorìae, i cultori ramisti, lullisti e cabalisti dell'arte della memoria e dei linguaggi artificiali perfezionarono le artes, le clavis e i phari (30)
Sulla quantità quale faccia dell'accumulazione - come dicevo - si fondò anche il variegato fenomeno del collezionismo enciclopedico che, come ci aiuta a capire Luisetti, con le Wunderkammern nordiche, le collezioni umanistiche e le raccolte di artisti, mercanti, dilettanti e amatori amplificò l'esperienza dei trèsors medievali e degli studioli e gallerie rinascimentali:
Ad Anversa, - scrive in proposito il giovane studioso torinese - prima capitale del mercato d'arte europeo, la rappresentazione pittorica dei cabinet depeintures diventa addirittura un genere alla moda, l'attività del collezionare assurge a motivo figurativo [...]. Che al di sotto di queste totalizzazioni libresche e museali agisse una comune matrice enciclopedica lo dimostra per esempio la sistemazione delle collezioni di Palazzo Barberini: tra medaglie, armature, preziosi, reperti archeologici, sculture e dipinti spicca la biblioteca di Urbano Vili, e al suo interno la raccolta di Bibbie illustrate, a coronamento dell'inviluppo di cristianità e letteratura pagana, di cultura letteraria e artistica.(31)
In definitiva, per ritornare a ciò che più mi preme precisare e sottolineare in questa sede, debbo ribadire, riprendendo il discorso interrotto da questa lunga digressione, che il deforme, il brutto, finì per caratterizzarsi e quindi per essere un aspetto particolare della poetica della meraviglia, di quella poetica cioè che, rompendo con il passato, fondava nell'ingegno e nella quantità come qualità del bello il fare letterario, e quindi operando una svolta decisiva rispetto alla tradizione, fece del Barocco un'esperienza di letteratura e di gusto sua propria e autonoma; autonoma nelle ricerche formali e negli emblemi. Insomma fece del Barocco un'esperienza che finì con l'elaborare una retorica dell'anormale e una morfologia del problematico, una retorica, cioè, per dirla ancora con Cataudella, che, avendo preso il posto della filosofia e della teologia era, così come aveva sostenuto il Pallavicino, una retorica produttiva, la macchina che produceva cultura e quindi conoscenza; e dove la metafora era una macchina trasformazio-nale che elaborava trasformazioni, e dove, infine, aveva un posto centrale persino il linguaggio della scienza che, essendo di per sé metaforico, specie quello dell'anatomia, metteva in atto un processo di trasformazione nel servirsi di una metafora preesistente per costruirne una nuova, come del resto trasformazione era anche la magia o l'alchimia, nel frattempo diventata la cifra del secolo.
Dunque, se l'ingegno e la quantità furono gli elementi generatori di meraviglia,(32) questa fu generata anche dal gioco che era diventato il grande tema del secolo: dalle false prospettive in architettura, al trompe l'oeil, fino al gioco in borsa. Ma la meraviglia, occorre precisarlo, fu generata anche dal sentimento dello scontento, dello chagrin e quindi dalla "melanconia" intesa quest'ultima quale elegante ma anche sofferta infermità del secolo,(33) come ben dimostra il Canzoniere di Giovanni Delfino, di cui mi piace riportare a titolo esemplificativo e a conclusione di questo saggio, alcuni versi di sentita e sofferta disperazione, quale testimonianza più compiuta di un Barocco notturno, malinconico, appunto, che allora andò affermandosi accanto e insieme agli altri aspetti che il movimento assunse:(34)
Nel centro ove ci pose o colpa o fato,
scettro tiene il dolor, regna la pena.
[...]
Varie le vie del viver nostro sono,
ma ognuna d'esse oscuro duol circonda.
[...]
E se talvolta appar gioia serena
è lampo che svanisce allor ch'è nato.(35)
Sol chi non nacque si può dir felice,'
o chi nato, in un punto arriva al fine.(36)
Immensa turba ancor non nata geme.(37)
NOTE
1 - Cfr. B. Tavassi La Greca, Introduzione, in G.P. Bellori e G.B. Passeri, Vite di Andrea Sacchi, a cura della medesima, Magnanti, Nettuno 1999, p. 21. E in proposito il Bellori scrive: "Mai trascorse linea o tratto de' pennelli fuori de' termini della buona imitazione del naturale". Dal canto suo il Passeri ribadisce: "Fu sempre osservatore del naturale" (cfr. G.P. Bellori e G.B. Passeri, Vite di Andrea Sacchi, cit., pp. 21, 92).
2 - B. Tavassi La Greca, Introduzione, cit., p. 21. A questo riguardo, in gioventù - a dire del Bellori - l'esercizio "sulle opere di Rafaelle e sulle statue e marmi antichi" fece sì che Sacchi venisse considerato "il miglior disegnatore che fosse in Roma", tanto che -<la diligenza e '1 finimento che dalla giovinezza usò ne' suoi disegni, ritenne appresso in tutta l'età sua". "Andrea - ribadisce il Passeri - disegnò sempre con grande accuratezza, e curiosità, nel modo, e nello stile di gusto assai raffinato, e profondo", perché, "come ei diceva, è il disegno fondamento principale del pittore". (G.P. Bellori e G.B. Passeri, Vite di Andrea Sacchi, cit., pp. 61, 92).
3 - Ivi, pp. 40, 41 e 42.
4 - Francesco Albani, sotto il quale si era erudito nei migliori insegnamenti della pittura. (Ivi, p. 42).
5 - Ivi, p. 70.
6 - Ivi, p. 82; e cfr. pure Ivi, p. 92, dove il Passeri così precisa: "Andrea disegnò sempre con grande accuratezza e curiosità, nel modo, e nello stile di gusto assai raffinato, e profondo".
7 - " Ivi, p. 45.
8 - R. Barbiellini Amidei, Andrea Sacchi creato del cardinal Del Monte, in AA.VV., Andrea Sacchi, De Luca, Roma 1999, p. 34.
9 - C. Strinati, L'intervento di Andrea Sacchi nella sacrestia di Santa Maria sopra Minerva, in AA.VV., Andrea Sacchi, cit., p. 16.
10 - Ivi, pp. 18-19.
11 Ivi, p. 18.
12 - Questo è il testo di una conferenza pronunciata dal Bellori presso l'Accademia di San Luca nel 1664 con il titolo L'idea del pittore, dello scultore e dell'architetto, e riproposto come introduzione al testo, Le vite de' pittori, scultori e architetti moderni, Roma 1672.
13 - G.P. Bellori, Le vite de'pittori, scultori e architetti moderni, cit., p. 24; cfr. pure B. Tavassi La Greca, Introduzione, cit., p. 19. Il corsivo è mio.
14 - Cfr. G.B. Passeri, Vite de' pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673, Roma 1772, p. 229; cfr. anche pp. 414-415 passim; infine cfr. B. Tavassi La Greca, Introduzione, cit., p. 18.
15 - Così Tavassi La Greca scrive in proposito: "La natura va emendata dei suoi difetti e, solo attraverso lo studio degli antichi, l'artista potrà avvicinarsi a quello che è considerato dal Bellori l'ideale dell'arte: "Li pittori e gli scultori scegliendo le più eleganti bellezze naturali, perfezionano l'idea, e l'opere loro vengono ad avanzarsi e restar superiori alla natura, che è l'ultimo pregio di queste arti"; è perciò necessario "lo studio dell'antiche sculture le più perfette, perché ci guidino alle bellezze emendate della natura"" (Cfr. B. Tavassi la Greca, Introduzione, cit., p. 18; cfr. pure G.P. Bellori, L'idea del pittore, dello scultore e dell'architetto, a cura di E. Borea, con Introduzione di A. Previtali, Torino 1976, pp. 24 e 23).
16 - Cfr. L. Pascoli, Vite de'pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1736.
17 - Cfr. R. Barbiellini Amidei, op. cit., p. 35.
18 - Cfr. G.P. Bellori e G.B. Passeri, Vite di Andrea Sacchi, cit., pp. 68, 69, 73, 86. Il corsivo è mio.
19 - Anamorfosi di cui lo storico dell'arte francese di origine lituana, Jurgis Jr. Baltrusaitis, ha dato un'accurata analisi nel suo libro Les Perspectives fausées. Aberrations, vol. II, Perrin, Paris 1957 (Prospettive distorte. Aberrazioni, vol. II, trad. di A. Bassan Levi, Adelphi, Milano 1983).
20 - Si leggano in proposito i seguenti versi: "Crespa è la guancia e del visaggio asciutto / si staccan quasi l'aride mascelle" (cfr. G.B. Marino, Adone, canto XIV, ottava 290 e seg.); "Move zoppa gentil piede ineguale", "La bella nana mia dal ciel discese" (cfr. G.L. Sempronio, La bella zoppa, v. \, e La bella nana, v. 4, in Poesia italiana. Il Seicento, a cura di L. Felici, Garzanti, Milano 1978, pp. 78-79); "Mostra ella fuor qual sia lo scempio interno, / sparsa il crin, bieca gli occhi, orrida il viso" (cfr. B. Morando, Bellissima spiritata, w. 3-4, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 98); "Costei cui sol di tenebre e d'orrori / natura acherontea veste e circonda [...] / spargon le chiome e '1 labbro ombre e squallori [...] / la perla, onde la bocca orba notteggia, / a l'orecchia plebea, quasi per scherno / pende, ed intorno al nero collo albeggia" (cfr. L. Tingoli, Brutta donna adorna di gran gioie, w. 1-2, 5, 9-11, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 77); "Grave quantunque d'anni [...]/ in quella età cadenti [...]" (cfr. C. Achillini, Donna vecchia vestita di color acqua di mare, vv. 1 e 6, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 66); "Crespa hai la gola e crespe / le guance e crespo il petto" (cfr. G. Salomoni, La bella vecchia, vv. 73-74, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 89); "Così con rughe al volto e neve al crine / fia ch'a me scuopra l'età importuna / di tua beltà le misere rovine" (cfr. P. Michiele, Ricorda alla sua donna che invecchierà, vv. 12-14, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 217); "Importuna vecchiezza [...] / Cangeran qualità la guancia e '1 crine" (cfr. F. Testi, A Cinzia. Le Sirene, w. 51-54, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 280); "Poi quando vecchie, putride e malsane" (cfr. G.C. Croce, La girandola dei pazzi, v. 60, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 393); "O isdentata vizza nemica, sozzura fetida e puzzolente [...]. Qual eran [...] le tue parole mandate dal-l'imputridita caverna di tua fracida bocca?" (cfr. F. Donno, Amorosa Clarice, in Id., Opere, a cura di G. Rizzo, Milella, Lecce 1979, p. 230). E infine si ricordino le dieci orribili vecchie di Giambattista Basile che nel Pentamerone raccontano in cinque giorni cinquanta fiabe. Solo a titolo di cronaca si ricordi anche l'affacciarsi di una sorta di poetica delle rovine, della decadenza, adombrata in poeti quali Giordano Preti, Antonio Basso, Giovan Leone Sempronio. Di costoro si leggano a mo' di esempio i seguenti versi: "Voltò sossopra il mondo, e 'n polve è volta: / e tra queste ruine a terra isparte / su se stessa cadeo morta e sepolta" (cfr. G. Preti, Ruine di Roma antica, w. 12-14, in Poesia italiana. II Seicento, cit., p. 72); "Tu de la forma tua vivi idolatra, / né vedi or come il predator fallace / renderla tenta un dì pallida e atra" (cfr. G.L. Sempronio, Mostra d'orologio, vv. 9-11, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 80); "Che vòlte in polve onde fur pria formate, / mostran di noi vii fasto esser natura" (cfr. A. Basso, All'incenerite ossa d'un umano cadavere, vv. 3-4, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 185). Da tale poetica non sono lontani per temi trattati e sensibilità poeti come Pietro Michiele, di cui ho già accennato e Pier Francesco Paoli, di cui accennerò nella nota seguente.
21 - "Novo Encelado compose / e mi pose / su le spalle un monte adesso / [...i picciol son ne la sembianza /[...] corpo nano ha cor gigante /[...] Ben è ver che corto ho il braccio" (cfr. B. Morando, Nano, gobbo, bravo, innamorato, di nome amico, v. 10-12, 22-24 e 31, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 100); "Ei così rappresenta / il Tempo, oltraggiator della bellezza" (cfr. P.F. Paoli, Vecchio canuto amante, w. 4-5, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 193); "Chi è storpiato, [...] / chi va gobbo e chi va zoppo" (cfr. G.C. Croce, La girandola de' cervelli, vv. 78-79, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 386).
22 - "Là da l'ordine eburneo un dente tolse / onde stassi in agguato e i dardi scocca" (cfr. B. Morando, Bellissima donna cui manca un dente, w. 12-13, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 99); "Del tuo mozzo parlare ai mozzi detti / mozzar mi sento [...] / [...] quella annodata lingua annoda i petti! / tu tronco, io tronco il suon mando [...]" (cfr. S. Errico, Bella balbuziente, vv. 1-2 e 4-5, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 113); "Embrione morì, scheletro nacque, / fatto parto immortai d'aborto esangue" (cfr. B. Dotti, Per un aborto conservato in un'ampolla d'acque artificiali dal signor Giacopo Grandis fisico anatomico eccellentissimo, vv. 10-11, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 223); "Macchina mal composta, a cui non porse / beltà la forma onde ogni cosa è bella" (cfr. G. Battista, II caos, vv. 1-2, in Poesia italiana. Il Seicento, cit., p. 181). Per quanto riguarda infine Antonio Basso cfr. i suoi versi già citati nella nota 20.
23 - Si pensi al Cavalier D'Arpino (Giuseppe Cesari) e al bolognese Francesco Albani.
24 - L'ambiente dalmontiano era caratterizzato da una molteplicità di orientamenti stilistici in cui predominava in pittura il naturalismo caravaggesco.
25 - Tommaso Campanella stese il testo per l'opera più importante di Sacchi Allegoria della Divina Sapienza, Roma, Palazzo Barberini.
26 - Si ricordino soprattutto Virginio Cesarini Sforza e Giovanni Cristofano che furono suoi committenti.
27 Cfr. M. Cataudella, Discorso sul Barocco in letteratura, in Pluralism and criticai pratice, essay in honor of Albert N. Mancini, "Italiana" VIII, a cura di Paolo A. Giordano e A. J. Tamburri, Bordighera Press, West Lafayette (IN) 1999, p. 18.
28 - Si pensi al superamento del rapporto mimetico, della poetica aristotelica e della imitazione umanistica (Cfr. M. Cataudella, op. cit., p. 14).
29 - F. Luisetti, Plus Ultra. Enciclopedismo barocco e modernità, Trauben, Torino 2001, p. 12.
30 - Ivi, p. 13.
31 - Ibid.
32 - "La dismisura di Marino era una consapevolezza, la struttura opulenta di Tesauro era necessaria", scrive in proposito M. Cataudella, op. cit., p. 20 e cfr. pure pp. 16-17.
33 - Ivi, pp. 19, 20 e 21, passim.
34 - In proposito rimando il lettore a R. Paternostro, Giovanni Delfino, o dell'ambivalenza della poesia, in G. Delfino, Nuove Rime scelte, a cura e con Introduzione di R. Paternostro, Nota filologica e commento ai testi di M. Sarnelli, Bulzoni, Roma 1999, pp. 5-30.
35 - Cfr. G. Delfino, Sopra l'umana infelicità, in Id., Rime scelte, a cura di M. Costanze, Introduzione di R. Paternostro, Bulzoni, Roma 1995, p. 54.
36 - Ivi, p. 55.
37 - Cfr. G. Delfino, Sopra i sdegni del re delle Gallie contro Roma e Toscana per causa dei Barberini, in Id., Nuove Rime scelte, cit., p. 85.